Sonic Mania

Un gioco dai fan per i fan. Dopo una serie di titoli poco convincenti, Sonic Mania appare come il sole dopo una giornata di pioggia. Con la benedizione del Sonic Team, il team composto da Christian Whitehead, che ha dato nuova vita ai giochi Sonic, Sonic 2 e Sonic CD su iOS, Headcannon e Pagoda West Games hanno decisamente dimostrato con questo titolo cosa serve per rendere un gioco del porcospino blu semplicemente eccezionale. Certo il fandom del porcospino è molto selettivo e il Sonic Team difficilmente riesce ad accontentare le loro richieste. La risposta sembra proprio un gioco super semplice e che si rifà alle proprie radici sul leggendario Mega Drive; per quanto eccellente il risultato possa sembrare, questa è comunque una sorta di contraddizione visto che il difficilissimo fandom ha sempre voluto vedere qualcosa di nuovo e innovativo… ma andiamo per gradi.

Un tuffo nel passato

La storia vede i tre classici eroi, Sonic, Tails e Knucles, alle prese con il nuovo piano del dott. Eggman: lo scienziato, in compagnia dei sui nuovi sgherri, gli Hard Boiled Heavies, ha intenzione di usare la potentissima gemma del tempo per viaggiare nel tempo e recuperare ciò che serve per poter dominare Little Planet. Una volta estratta la gemma dal terreno, Sonic, Tails e Knulckles (che semplicemente si stava facendo i fatti suoi sotto un albero) vengono inghiottiti dal vortice temporale sprigionato da quest’ultima, e sarà allora che la nostra avventura avrà inizio fra le zone più classiche del passato. Sonic Mania non è solamente un richiamo a un passato nostalgico ma è un gioco che unisce ciò che ha reso leggendaria la saga a nuove idee. Troviamo le zone più tipiche della serie, come le celebri Green Hill Zone, Chemical Plant Zone e Oil Ocean zone, insieme a molte altre nuove, come Press Garden Zone e la fantastica Studiopolis Zone. Ogni livello, come da tradizione diviso in due atti, è sempre originale e aggiunge sempre qualcosa di nuovo senza che questi elementi siano scontati o noiosi. La grafica è chiaramente ispirata a quella dei titoli del Mega Drive, migliorata con più frame di animazione e  con fondali più ricchi, rotazione totale degli sprites e colori più vividi e vibranti. Il level design è perfetto e soddisfa sia chi vuole esplorare il livello più nel dettaglio sia chi invece preferisca sfrecciare dall’inizio alla fine nonché, sempre come da tradizione, premia il giocatore se si mantiene sulla parte alta del livello con più rings, power up, principalmente presi da Sonic 3, e ha più probabilità di finire in una delle aree bonus utili per ottenere le Chaos Emerald che permettono a Sonic di diventare Super Sonic. Questa area bonus si rifà a quella di Sonic CD in cui Sonic correva in un una specie di mondo in Mode-7 e doveva rompere degli UFO sparsi per il livello; qui il concept è stato sia semplificato, mettendo solamente un ufo, sia migliorato dalle sfere blu che permettono di correre più veloce e i rings che serviranno per allungare il tempo a nostra disposizione per il nostro bonus. Tutto questo condito con una grafica da Sega Saturn: modelli poligonali semplici, ben colorati e pieni di nostalgia. Ancora come da tradizione in questo gioco passando da un checkpoint con più di 25 rings è possibile accedere all’altra area bonus: il labirinto delle sfere blu di Sonic 3. Chi ha una grande pazienza, e sa anche come fare apparire i rings, ha la strada più o meno spianata ma la novità, visto che i Chaos Emerald sono riservati all’altra area bonus, sta nel fatto che bisogna collezionare non solo tutte le sfere blu ma anche i rings indicati nella parte alta dello schermo. Quando avremmo ottenuto tutte le sfere blu, e se avremmo raccolto il numero di rings indicato, otterremo un gettone d’argento o dorato; il numero dei gettoni permette di sbloccare gli extra del gioco come la modalità debug e il minigioco Mean  Bean, praticamente una versione di Puyo Puyo che si rifà a sua volta al suo spin-off su Mega Drive in cui il dott. Eggman era il protagonista. Il gioco è diviso in quattro campagne, ovvero una per personaggio più una che include sia Sonic che Tails controllato dal computer o, dividendo i joycon (nella versione per Nintendo Switch) fra due giocatori, da un amico. Questa avventura sarà accompagnata dalla magistrale colonna di Tee Lopes che si alterna fra i temi classici della serie e pezzi inediti, fra strumenti digitali e sintesi FM usata anche per dar vita agli effetti sonori.

«You’re too slow»

Sonic Mania è decisamente una lettera d’amore rivolta a tutti i fan della serie ma forse questo potrebbe far desistere qualche giocatore alle prese per la prima volta con un titolo della saga. Non tutti forse sono in grado di comprendere gli easter egg e i cameo netti per i più devoti fan di Sega, come quei cartelli wanted nella Mirage Saloon Zone, l’insegna “Pinkbot” in Studiopolis Zone che richiama Streets of Rage su Mega Drive, il furgoncino “Hornet” che richiama Daytona Usa, la boss battle di Chemical Plant Zone che non è altro che un livello del già citato spin-off Dr. Robotnik Mean Bean Machine per Mega Drive, una boss battle che in sé è un intero easter egg! Sonic Mania è una vera e propria enciclopedia Sega, un titolo decisamente per i più nostalgici ma non per questo merita di passare inosservato dai giocatori più casual; con la giusta apertura mentale, Sonic Mania risulterà, come molti altri platform in questo stile, un gioco divertentissimo, dai controlli intuitivi, attuale e difficile al punto giusto. Il retrogaming ormai va di moda e alcuni giochi sono semplici richiami a un passato ormai andato, ma non questo. Vedete Sonic Mania come uno Star Wars EP 7: The Force Awaken: un modo per mandare avanti una serie i cui fan erano rimasti con l’amaro in bocca, un dare ai fan qualcosa di nuovo pur restituendo tutto quello che avevano reso grandi i precedenti titoli creando così un equilibrio perfetto. I diversi contenuti garantiscono ore e ore di gioco che ci riporteranno indietro nel passato ma ci terranno comunque ancorati in un presente ancora vivissimo e tutto da giocare. Un gioco come questo, ai tempi degli anni neri di Sega, avrebbe forse salvato l’ex gigante che ha avuto la possibilità di mettere in ginocchio Nintendo. In poche parole: «To be this good takes AGES»!




Nintendo Switch non riesce ancora a soddisfare l’alta richiesta di mercato

Nintendo Switch è stato lanciato a Marzo e da allora è nota la sua difficile reperibilità sul mercato, date le inaspettate vendite della console giapponese.

Reggie Fils-Aime, presidente della Nintendo of America, ha dichiarato che è stato  consegnato al lancio uno stock di Switch “drasticamente” più basso del previsto, in contrasto alla domanda inferiore suggerita dagli analisti di mercato. Negozi come GameStop, ad oggi, esauriscono i loro stock di Nintendo Switch non appena questi arrivano in negozio. A onor del vero, Fils-Aime conferma che Nintendo potrebbe non riuscire a soddisfare la domanda di console per il prossimo Natale; tuttavia ha aggiunto che la compagnia sta facendo di tutto per far sì che ciò non accada.

Fra le persone rimaste senza la console più in voga del momento c’è anche Hajime Tabata, direttore di Final Fantasy XV, che ha rivelato inoltre l’intenzione di Square Enix di portare la più recente incarnazione della saga su Nintendo Switch.

Lo Switch non è l’unica console Nintendo a non essere riuscita a soddisfare la domanda; il Nes Classic Edition è stato noto per la sua difficile reperibilità lo scorso anno e molti temono che lo stesso possa accadere allo Snes Classic Edition per il suo lancio fissato per il 29 Settembre. Nintendo ha incrementato la produzione delle due mini console e raccomandato a coloro che le cercano di non pagare oltre il prezzo suggerito di 80 dollari.




SN30 e SF30 Pro Controllers per Switch già disponibili per il pre-order

Sono già ordinabili SN30 e SF30, i Pro Controllers per Switch modellati rispettivamente sui design dei controller originali del Super Nintendo americano e del Super Famicom. Entrambi vantano un set di tasti completo con levette analogiche pressabili, croce direzionale D-Pad, vibrazione, motion control, bluetooth, batteria ricaricabile, tasto home, tasto screenshot e un connettore USB-C. Sono compatibili con Nintendo Switch, Windows, Mac e Android.

In aggiunta a questi pad, la 8Bitdo sta per lanciare uno speciale accessorio attaccabile a quasi tutti i modelli di smartphone per poterli trasformare nella console portatile perfetta.

Anche se ovviamente non siamo ancora riusciti a mettere le mani su queste meraviglie, sappiamo già che i controller della 8Bitdo sono qualitativamente incredibili e questi, per soli 49,99$, potrebbero risultare una delle migliori opzioni per l’acquisto di un pad wireless.




Speciale avventure grafiche

Speciale avventure grafiche: dal text based game al walking simulator

Siamo fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni 80; le prime sale giochi sono colme di persone in fila per giocare a giochi come Space Invaders, Galaxian, Pac Man, Defender, Berzerk, Tempest e molti altri. È un vero e proprio fenomeno di massa, i videogiochi sono popolarissimi fra gente di ogni età, ogni dove e ceto sociale. Erano giochi semplici con semplici obbiettivi: mangia i puntini, spara agli alieni, ai robot, completa il puzzle, etc… nessuno di questi giochi era molto cervellotico e fra i giocatori c’era, probabilmente, un bisogno di un qualcosa di più complesso, qualcosa di più intelligente. Un po’ prima dell’avvento degli arcade, il gioco da tavola Dungeons & Dragons fu rilasciato nel 1974; giovani da tutto il mondo si immergevano in queste avventure immaginare, in mondi fantastici a bordo di draghi volanti brandendo spade magiche. La peculiarità di quel gioco stava nella figura del dungeon master che, dietro ad un tabellone con regole ed altro, raccontava l’avventura che man mano si srotolava e metteva i giocatori davanti a situazioni e nemici che potevano essere superati con l’ausilio di una buona cooperazione. Il successo di questo gioco da tavolo spinse uno geniale Scott Adams a portare questo tipo di fruizione, cioè tramite narrazione, nel primo gioco testuale su PC: Adventureland del 1978. Seppur l’effetto carisma, tipico del dungeon master, spariva di fronte ad un testo di sole parole sullo schermo di un PC, Adventureland serviva allo scopo perfettamente; il giocatore si immergeva in dei mondi che effettivamente, non poteva vedere, tutto avveniva come quando si legge un libro, dentro la sua testa. Il fattore immaginazione in questi termini è, ad oggi, è semplicemente scomparso; la grafica, anche nei giochi più frenetici di quei anni, era ancora a uno stadio primitivo e gli elementi sullo schermo rappresentavano vagamente ciò che dovevano rappresentare. Già in un semplice Pong, rilasciato nel 1972, gli utenti vedevano due giocatori di tennis, un campo e una pallina ma in realtà, ciò che avevano di fronte, erano soltanto due barrette che facevano su e giù e un quadratino che rimbalzava da una parte all’altra. Nonostante l’avvento delle arcade, e dunque di giochi graficamente sempre migliori, i giocatori usavano ancora la propria immaginazione per definire meglio gli elementi nello schermo, specialmente a casa con console come l’Atari 2600 o computer come il Commodore Vic-20 che producevano una grafica peggiore rispetto alle loro controparti arcade. L’avvento dei giochi text based adventure sfruttava a pieno questa capacità umana basando l’intero gameplay (se così possiamo chiamarlo) sull’immaginazione del giocatore; al giocatore venivano presentate diverse situazioni risolvibili inserendo comandi semplici come “go north”, “pick item” o “kill enemy” tramite l’ausilio della tastiera. Fu così che i text game cominciarono a prendere piede nelle case di alcuni giocatori e compagnie come la Adventure International (fondata dallo stesso Scott Adams) e la Infocom fecero dei text game i loro prodotti di bandiera; giochi come la Serie di Zork, The Count e The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy (tratto dall’omonimo romanzo conosciuto in Italia come Guida Galattica per autostoppisti dalla quale è stato anche tratto un film nel 2005) furono pionieri di questo nuovo genere videoludico in cui tutto si svolgeva nella testa dei giocatori. I text game continuarono a esistere per tutti gli anni ’80, ma questo genere fu eclissato dall’arrivo delle avventure grafiche che poi si sarebbero evolute in punta e clicca.

L’epoca d’oro

Nel 1980 la neonata Sierra (all’epoca On-line Systems) pubblicò Mystery House per Apple II, considerato da molti l’inizio delle avventure grafiche; il nuovo titolo, che di base era un text game, offriva una vera e propria interfaccia grafica abbastanza primitiva, giusto l’input da dare alla mente umana per poter immaginare l’azione (visto che il display non ne aveva e non aveva neppure il sonoro). Lo scopo del gioco era quello di individuare un assassino all’interno della magione vittoriana investigando e costruendo ipotesi sugli oggetti che si andavano trovando man mano per la magione. Sempre in questo periodo, fra il 1980 e il 1984, vennero ripubblicati alcuni vecchi giochi text game con una nuova interfaccia grafica, simile a Mystery House, per i computer più moderni; fu il caso per il già citato Adventureland che, in occasione della sua uscita sul Commodore 64 nel 1982, fu ripubblicato con una cornice un cui era possibile osservare ciò veniva mostrato a testo. Il 1984 fu un anno importante per le avventure grafiche poiché uscì il primo capitolo della rinominata saga della Sierra Entertainment King’s Quest. Se pur ancora era necessario dover inserire i comandi su tastiera, King’s Quest fu un punto di svolta per le avventure grafiche: il testo fu utilizzato esclusivamente per i dialoghi, Sir Graham (il protagonista) era visibile in terza persona e, animato in ogni singolo dettaglio, lo si poteva vedere camminare, aprire le porte, prendere oggetti, etc… Semplici cose come le bandiere che sventolavano in cima al castello nella prima schermata erano un qualcosa di incredibile e mai visto prima. In precedenza non fu mai pubblicato nulla di simile e King’s Quest aprì le porte per un futuro sempre più luminoso per le avventure grafiche. Dal 1986 la Lucasfilm Games decise di cimentarsi sul campo delle avventure grafiche che, nel frattempo, diventavano sempre più popolari. Con l’avventura grafica del 1986 Labyrinth (tratto dall’omonimo film con David Bowie), la Lucasfilm Games (che poi diventerà Lucasarts) si aprì verso quel genere che diventò la loro specialità. Col successivo (e anche un po’ controverso) Maniac Mansion la LucasArts cambiò gli standard per le avventure grafiche a venire. La sua grande innovazione fu la creazione del motore grafico SCUMM, acronimo di “Script Creation Utility for Maniac Mansion”, che, a metà fra un linguaggio di programmazione ed un interfaccia utente, permetteva una migliore interazione con la scena semplicemente scegliendo un’oggetto col mouse, appena implementato per i videogiochi, per poi compiere un’azione selezionandola da uno dei già elencati comandi testuali. Da quel punto in poi per la LucasArts fu tutta una strada in discesa e il motore SCUMM fu usato per tutte le future uscite come Zak McKracken and the Alien Mindbenders, Indiana Jones and the Last Crusade, Loom ma soprattutto i legendari The Secret of Monkey Island, pubblicato nel 1990, e il suo sequel Monkey Island 2: Le Chuck Revenge. La serie di Monkey Island ebbe un impatto per i computer come Super Mario Bros lo ebbe per il mercato delle console; durante la prima metà degli anni 90 si vive quella che viene considerata l’epoca d’oro delle avventure grafiche. La LucasArts produsse meraviglie come Indiana Jones and the Fate of Atlantis, Sam & Max Hit the Road, Day of the Tentacle (che introdusse vere e proprie linee vocali per i dialoghi), The Dig e Full Throttle. La Revolution Software, un nuovo importante operatore, si buttò nella mischia con validissimi titoli come Lure of the Temptrest del 1992, che diede prova del loro motore grafico “Virtual Theater” che fu usato anche per il successivo distopico Beneath a Steel Sky del 1994, e la saga di Broken Sword iniziata nel 1996 e che dura a tutt’oggi. Sierra Entertainment continuava il suo trend positivo con sage del calibro di Gabriel Knight, i numerosi titoli della saga di King’s Quest e il controverso Leisure Suit Larry. L’apprezzamento delle avventure grafiche arrivò anche in Giappone facendo partire un nuovo filone parallelo di avventure grafiche più comuni come “visual novel”. Ricordiamo la popolare saga di Clock Tower, arrivata anche in occidente, e gli spettacolari Snatcher e Policenauts del 1989 e 1995, programmati dall’acclamato Hideo Kojima, creatore della saga di Metal Gear.

Crisi e ripresa

Verso la metà degli anni 90 l’interesse dei giocatori verso i punta e clicca stava diminuendo in favore dei nuovi giochi con grafica tridimensionale. La Lucasarts, per riconquistare il parere dei fan e della critica dopo un poco rilevante The Curse of Monkey Island, investì diverse risorse in quello che fu Grim Fandango, una delle più belle avventure grafiche mai realizzate. Uscito nel 1998, programmato dalla mente geniale di Tim Schafer, Grim Fandango mostrava una grafica eccellente per i tempi, una storia degna dei migliori film noir, un doppiaggio magistrale con battute degne di Monkey Island e una colonna sonora jazz/bebop di altissimo calibro. Nonostante i numerosissimi premi della critica soltanto 500.000 copie circa furono vendute e purtroppo fu la prova che le avventure grafiche erano in crisi. Dopo un altro (ingiustamente) fallimentare Escape from Monkey Island e dopo la successiva cancellazione di Sam & Max: Freelance Police nel 2004 la Lucasarts dichiarò di non volersi più dedicare allo sviluppo di nuove avventure grafiche. In tempi recenti però, con l’arrivo della ormai nota software house Telltale Games, il genere appare di nuovo in più forte che mai. La Telltale rilanciò un genere ormai infiacchito e riprese brand della Lucas come Sam & Max e lo stesso Monkey Island, puntando ad una struttura ad episodi che le ha garantito il successo con giochi tratti da famose IP quali The Walking Dead, Game of Throne e Batman, dettando le regole delle avventure grafiche moderne. Negli ultimi anni si è assistito a una rivisitazione del genere sia in ambito 3D, come ci dimostra la storia della Telltale o l’ultimo capitolo della saga di Broken Sword: The Serpent’s Curse, sia in ambito 2D con giochi come Machinarium o Whispered World. In un mondo dove le visual novel, come la super celebre Ace Attorney, hanno successo in occidente e il grande gigante del settore Tim Schafer torna sotto i riflettori con Broken age dopo un finanziamento su Kickstarter senza precedenti non ci stupisce più se il già citato Scott Adams ha prodotto il suo ultimo gioco nel 2013, The Inheritance… ovviamente un text game! E indovinate un po’, quest’ultimo gioco ha anche una grossissima innovazione: il sonoro! Insomma, mentre le storie continuano ad appassionare i giocatori, il futuro delle avventure grafiche pare ancora tutto da scrivere e, ovviamente, tutto da giocare.




Undertale

Uscito originariamente su Steam nel 2015, e poi ancora nel 2016 per Linux, Undertale fa una nuova apparizione su PS4 e PS Vita. Undertale, come in molti forse sapranno, è un RPG indie concepito dalla sola mente di Toby Fox, grande appassionato di questo genere che ha passato gli anni delle superiori sfornando piccoli giochi utilizzando RPG Maker e semplici programmi per modificare i codici di gioco sfornando anche quello che fu Earthbound: Halloween Hack, hack di Earthbound (secondo titolo della serie RPG targata Nintendo, Mother) che i suoi più stretti fan considerano il prequel spirituale di Undertale. Dalla prima apparizione di Undertale su PC si sono formate numerosissime fandom composte da devotissimi appassionati che lo hanno esplorato, giocato e rigiocato più e più volte elevandolo a qualcosa di magnifico e inarrivabile.

«In this world it’s kill or to be killed»

Undertale non è soltanto un gioco, è un titolo che esce dallo schermo: ti parla e forse ti porta anche a farti riflettere. È apparentemente breve ma, ogni volta che si ricomincia, provando le tre campagne principali (neutrale, pacifista e genocida) il gioco ti mette spesso davanti a qualcosa di nuovo e qualsiasi scelta presa, risposta data o nemico ucciso influenzerà il tuo gioco e persino i tuoi salvataggi futuri! I personaggi di Undertale non sono solo semplici character dietro uno schermo, non sono solo nemici che in un qualsiasi altro gioco elimini senza pensarci: ogni personaggio di Undertale ha una personalità, dei sentimenti, amore verso qualcosa, odio verso qualcosa, sicurezze, insicurezze, volontà, storie, elementi che spingono il giocatore a pensare fuori dagli schemi. Per ottenere il finale “migliore” bisognerà essere praticamente… buoni! La vera difficoltà in Undertale sta proprio nel risparmiare ogni nemico convincendolo a evitare lo scontro con i comandi “act“; potrete dunque fare dei complimenti al vostro nemico o accarezzarlo, insomma, sarete alla ricerca dell’animo gentile di quei personaggi che, per ironia della sorte, vengono etichettati come mostri e vi verranno posti davanti. Ovviamente il giocatore può decidere anche di attaccare i nemici ma questo non solo a rischio e pericolo dell’intera sorte del gioco, dunque per il finale e la già citata influenza nelle campagne successive, ma per l’umore generale dei giocatori stessi. Si potrà restare più volte con l’amaro in bocca, specialmente durante la prima (molto probabile) campagna neutrale, quando non si hanno ancora ben chiare le meccaniche di gioco e si uccide qualcuno che magari non se lo merita proprio ma alla fine, poiché bisogna agire in fretta, lo si manda di fronte al proprio fato senza che lo meriti. Ed è proprio questa la magia del gioco in questione: in Undertale non si crea un rapporto fra il personaggio controllato e gli NPC, ma fra la persona del giocatore stesso e gli NPC. Nella sua finzione, Undertale è spaventosamente reale e il suo “superare la quarta parete” stupisce di continuo, soprattutto perché lo fa in maniera intelligente. Questa meccanica funziona al meglio soprattutto nella campagna genocida e l’intero tono del gioco, prima allegro e tuttavia spensierato, si farà cupo e malvagio e vi farà veramente star male, non solo a causa di ciò che state facendo, ma perché poi ne pagherete le conseguenze… per sempre! La psicologia dietro al gioco è davvero impeccabile.

«You’re new to the underground, aren’tcha»

La storia vede un bambino cadere in una voragine in cima al monte Ebott per poi finire all’interno di un mondo popolato da strane creature catalogate come mostri. La premessa ci spiega che in passato mostri e umani convivevano pacificamente ma una terribile guerra, finita con la vittoria degli umani, sciolse i rapporti fra queste due specie; gli umani finirono col relegare i mostri all’interno del monte Ebott, creando una barriera magica inoltrepassabile dai mostri. Durante il nostro viaggio per uscire da questa dimensione – visto che apparentemente non sussiste alcun problema per gli umani nel superare la barriera magica – andremo alla scoperta della storia di questo mondo, dei rapporti avuti con gli umani e di cosa rende diversi questi ultimi e i mostri. In tutto questo faremo la conoscenza dei singolarissimi personaggi del gioco come Sans, Papyus, Undyne, Alphys e molti altri, personaggi che ci arricchiranno nella nostra esperienza e ci riempiranno di amore ma soprattutto di “determinazione“.

«It’s a beautiful day outside, birds are singing, flowers are blooming»

Il comparto audio-visivo è sempre in una soglia fra il tipico e atipico ma accompagna perfettamente quella che è l’interezza del gioco. La grafica si rifà principalmente a ciò che è stato Earthbound per SNES, il gioco a cui Toby Fox si è ispirato maggiormente, e oscilla fra un 8 bit e un 16 bit. Coloratissimi gli scenari, particolare, come già detto, ogni personaggio del gioco e spettacolare ogni singolo dettaglio grafico e testuale del gioco. L’audio è azzeccatissimo, una colonna sonora, composta dallo stesso Toby Fox, che accompagna magistralmente ogni singola situazione del gioco, specialmente durante la campagna genocida del gioco, quando la musica, dalle dolci melodie luminose, si trasforma nella colonna sonora ideale per il vostro incubo peggiore. Per ciò che riguarda il gameplay vero e proprio, dunque del sistema di battaglia, Undertale ci offre un ibrido, tanto strano quanto affascinante, fra un Resident Evil Gaiden (per Gameboy), per ciò che riguarda l’attacco vero e proprio, e un bullet hell in stile Toho per ciò che riguarda la difesa; che si scelga di attaccare o usare i comandi “act”, durante i turni di difesa dovremo muovere il nostro cuoricino (rappresentante la nostra anima) attraverso dei labirinti di proiettili più o meno semplici, ma questi sono comunque ben strutturati e mai noiosi o frustranti, come accade spesso in questo tipo di giochi.

Il gioco, sia su Steam che su PS4, è disponibile solo in inglese, perciò al momento, a meno che non venga annunciata una patch contenente nuove localizzazioni, vi conviene essere ferrati con la lingua inglese. Undertale è un titolo che non richiede grandi requisiti minimi, perciò anche i computer più deboli possono supportare la “poca potenza” di cui questo gioco necessita.
Undertale è un gioco che agisce direttamente sul proprio stato d’animo, che ricorda che in fondo, anche se lo facciamo in un videogioco e dunque senza conseguenze, uccidere è sempre un gesto sbagliato. Undertale forse ci spinge in questo senso, proprio nella società reale, a essere persone migliori e benevole qualsiasi sia il nostro fine e anche che non esiste un tasto reset per poter cancellare i propri errori. Se non altro Undertale è l’unico gioco – per quel che si sa – posseduto da Papa Francesco, regalatogli dallo youtuber Matthew Patrick (meglio conosciuto come Mat Pat), a capo del canale “the game theorists“, durante un meeting della associazione Scholas occurrentes nel quale fu chiamato come rappresentante di You Tube e della comunità dei videogiocatori.
Gioco profondo, unico, insostituibile e affatto bisognoso di sequel, Undertale è senza dubbio uno dei migliori titoli indie mai concepiti e probabilmente raggiunge una qualità che difficilmente verrà lambita da nessun altro sviluppatore, indipendente o meno.