Top 5: le migliori uscite di Novembre 2017

Siamo ormai arrivati alle battute finali e fra poco potremmo tirare le somme di questo 2017 videoludico. Nel frattempo, vediamo quali sono stati i cinque migliori giochi di Novembre, selezionati dalla redazione.

Al quinto posto troviamo l’ultima trasposizione di una saga decennale: Football Manager 2018 rappresenta la summa di tutte le ultime novità apportate, avvicinandosi il più possibile a diventare un vero e proprio manager calcistico. Essere un Sabatini o un Mirabelli dipende solo da voi.

Al quarto posto la nuova avventura grafica THQ, Black Mirror: Lontana dalla tematiche dall’omonima serie tv con cui non condivide nulla, è caratterizzata da una forte tendenza al tetro, riprendendo quanto visto nel capitolo originale del 2003. Il remake non riesce a centrare l’obbiettivo fino in fondo, ma con qualche spunto interessante riuscirà a intrattenere il giocatore quanto basta.

Al terzo posto abbiamo il ritorno del Call of Duty vecchia scuola, quindi abbandono di jet-pack e armi laser per portarci alla riscoperta delle battaglie decisive durante la Seconda Guerra Mondiale. Una narrazione che cerca di raggiungere i fasti di film o serie TV quali Salvate il Soldato Ryan o Band of Brothers, e che ci riesce purtroppo solo in alcuni frangenti, ma resta comunque un ottimo ritorno per tutti i fan della serie.

Al secondo posto abbiamo Star Wars: Battlefront II. Il secondo capitolo di Guerre Stellari ha avuto un inizio di mercato tribolato, al punto da dover ritirare le tanto criticate microtransazioni ma ciò nonostante rimane uno dei migliori titoli dedicati alla celebre saga. L’introduzione poi di una campagna single player che va ad intersecarsi tra Episodio VII ed Episodio VIII riesce a unire efficacemente il mondo videoludico e cinematografico, inserendosi efficacemente nel contesto dell’Universo Espanso.

E al primo posto una remastered: Rockstar Games ci aveva deliziato con il suo L.A. Noire, un poliziesco ambientato in una Los Angeles del dopoguerra, con un ottima MotionScan in grado di ricreare alla perfezione le movenze degli attori. Adesso è disponibile per le nuove console con tutti i miglioramenti tecnici del caso, diventando quindi una buona occasione di rispolverare un classico della vecchia generazione.

Ed ecco di seguito le classifiche parziali per ogni redattore:Andrea Celauro

  1. Star Wars Battlefront 2
  2. L.A. Noire
  3. Super Lucky’s Tale
  4. Football Manager 2018
  5. Lego Marvel super heroes 2

Calogero Fucà

  1. Call of Duty: WW2
  2. Star Wars Battlefront 2
  3. Need for Speed Payback
  4. L.A. Noire
  5. Sonic Forces

Dario Gangi

  1. Call of Duty: WW2
  2. Star Wars Battlefront 2
  3. L.A. Noire
  4. Black Mirror
  5. Lego Marvel Super Heroes 2

Gero Micciché

  1. L.A. Noire
  2. Star Wars: Battlefront II
  3. Call of duty: WWII
  4. Football Manager 2018
  5. Lego Marvel Super Heroes 2

Marcello Ribuffo

  1. Star Wars: Battlefront II
  2. Call of Duty: WWII
  3. Football Manager 2018
  4. Need for Speed: Payback
  5. Black Mirror

Gabriele Sciarratta

  1. Football Manager 2018
  2. L.A. Noire
  3. Pokémon Ultrasole e Ultraluna
  4. Super Lucky’s Tale
  5. Lego Marvel Super Heroes 2

Gabriele Tinaglia

  1. Black mirror
  2. Star Wars Battlefront 2
  3. L.A Noire
  4. Super Lucky’s Tale
  5. Call Of Duty: WW2

Vincenzo Zambuto

  1. Call of Duty: WW2
  2. L.A. Noire
  3. Need for Speed Payback
  4. Star Wars Battlefront 2
  5. Super Lucky’s Tale

La classifica finale vede dunque:

  1. L.A. Noire
  2. Star Wars: Battlefront II
  3. Call of Duty: WWII
  4. Black Mirror
  5. Football Manager 2018



Top 7: Le Migliori Soundtrack da Menù del nuovo millennio

Una delle cose a cui si fa poco caso è la soundtrack presente nel menù d’avvio di qualsiasi videogame. Come per la colonna sonora, la musica presente in questo frangente ha un’importanza cruciale in quanto ci introduce al contesto, presentandosi come “un biglietto da visita”, in grado di darci immediatamente un’indicazione sulla qualità di un titolo. Ecco quindi le sette migliori tracce di questo inizio millennio.

#7 Jack Wall – Suicide Mission (Mass Effect 2)

Mass Effect 2, rispetto al capitolo d’esordio, rappresenta un deciso cambio di rotta sotto tanti punti di vista, anche nelle musiche. Le ambientazioni più cupe influiscono anche sulla soundtrack, che abbandona i temi idilliaci ed epici di Mass Effect per temi più drammatici e votati all’azione. Suicide Mission è il tema principale del gioco e il tema del finale, facendo la sua comparsa dal primo secondo della schermata start.
Si avverte subito la differenza con Mass Effect e sarà preludio di una delle avventure migliori di sempre. Jack Wall, per questo tema, si è ispirato a suoni cardine della fantascienza classica, mettendo assieme elementi musicali diversi tra loro, regalando brividi dalla prima schermata

https://www.youtube.com/watch?v=eb6_J1dq1hk

#6 Michael McCann – Main Menu (Deus Ex Human Revolution)

In uno dei migliori reboot degli ultimi anni, una delle eccellenze è il comparto sonoro, gestito dal compositore Michael McCann, che ha dato vita, oltre al tema citato, anche al tema principale del gioco, tra i migliori della storia dei videogiochi, ovvero Icarus. Proprio ispirato a Icarus è il tema presente nel menù, anche se più dolce nei toni, con un misto di elettronica e orchestrale, leggero ed elegante, quasi come un dolce benvenuto, o un bentornato, al rientro a casa.

#5 Jesper Kyd – Ezio’s Family (Assassin’s Creed II)

Benché la saga di Assassin’s Creed sia composta di alti e bassi, quello che è sempre stato di buon livello è il comparto sonoro, sia per il doppiaggio ed effetti sonori sia, ovviamente, per le musiche utilizzate. Scegliere tra i vari AC è stato difficile ma, alla fine, la risposta era scontata: Ezio’s family è ormai diventata iconica, riconducibile immediatamente al brand e base su cui si sono ispirate la maggior parte delle soundtrack dei capitoli successivi. Il danese Jesper Kyd è riuscito a creare un tema che introduce subito l’ambientazione rinascimentale, con note suggestive e perfettamente integrate all’atmosfera del gioco.

https://www.youtube.com/watch?v=eZvhREeVTYo

#4 Main Theme (Transformers Fall Of Cybertron)

Viviamo in un’epoca in cui i film di Micheal Bay dedicati ai robottoni continuano a deludere; per cui, perché non recuperare i titoli High Moon Studios, veri e propri atti d’amore per i Transformers?
Il menù che presenta il pianeta Cybertron devastato dall’ormai secolare guerra tra Autobot e Decepticon è accompagnato da un tema che definire epico è davvero riduttivo. Veniamo accolti da due boati “Hans Zimmer School” e una prima parte che è soltanto la miccia all’esplosione di energia ci apprestiamo a vedere. Lo scontro finale tra Optimus Prime e Megatron sarà accompagnato dallo stesso tema.

#3 EXILE feat Flo Rida – The Next Door/Indestructible (Street Fighter 4)

Diciamoci la verità, i picchiaduro sono ancora legati a soundtrack discendenti dai cabinati, cosa che riempie i vecchi appassionati di nostalgia, ma che rischia di far perdere appeal alle le nuove generazioni.
Proprio alla serie Street Fighter si devono cambiamenti, anche radicali, da questo punto di vista ed è col quarto capitolo che si raggiunge il picco: The next door / indestructible non è solo il tema della intro ma si fa sentire – eccome – anche nel menù. Proposta in due versioni, una giapponese mista ad inglese cantata dagli Exile e una versione statunitense, che vede presente anche la voce di Florida.
Il risultato è un tema energico, in pieno stile Street Fighter, in grado di mettere la carica a partire dalla selezione del personaggio.

#2 Cœur De Pirate – Aurora’s Theme (Child of Light)

Nel sorprendente titolo Ubisoft, spicca tra le tante cose, la soundtrack, realizzata dalla canadese Patrice Martin, in arte Cœur de pirat, una ragazza di soli 26 anni. Tutte le musiche sono bellissime, ma è il tema principale a spiccare, accogliendo il giocatore come un caldo abbraccio. Il tema, sufficientemente epico rispecchia esattamente cosa si percepisce dal gioco e dalla protagonista, la piccola grande Aurora che attraverso questa fiaba, affronterà mille difficoltà fino al lieto fine. Tante emozioni in una sola volta per un tema sofisticato e realizzato da una ragazza di talento.

#1 Nick Arundel – Batman Arkham City Main Theme (Batman Arkham City)

Hans Zimmer ci ha abituati piuttosto bene con la trilogia di Nolan, ma anche la serie videoludica, per molti superiore alla controparte cinematografica, non è da meno. In Arkham Asylum non si ricordano musiche particolari, quel tema speciale che rimane in testa per giorni, cosa che trova rimedio nel sequel, dove avviene un decisivo boost per tutto il comparto audio. Il menù si apre con  un tema epico, arrangiato alla perfezione e di natura orchestrale, che riempie di brividi e per un attimo ci immedesima nei panni del Cavaliere Oscuro.




Top 7: I peggiori porting della storia

Probabilmente diamo fin troppo per scontato, a volte, che un titolo che funziona perfettamente su una macchina debba avere gli stessi risultati su un’altra. Purtroppo molte volte non è così: i porting, spesso appaltati a terzi, risultano in vari casi mal gestiti, indispettendo l’utenza. Vediamo insieme i 7 peggiori risultati.

#7 Bayonetta (PS3)

Bayonetta fu un fulmine a ciel sereno, approdando su Xbox 360, in tutta la sua micidiale bellezza. Ma quando fu il turno della console Sony, le cose non andarono nel verso giusto: risoluzione non all’altezza della controparte Microsoft e problemi di frame rate impallidivano se confrontati con tempi di caricamento su PS3 così tanto lunghi che sarebbe stato possibile giocare un altro gioco al suo interno.
Il porting, affidato a Nex Entertainment, famosi per aver realizzato Resident EVIL: Code Veronica, fu una scelta azzardata, e il risultato ha semplicemente confermato le aspettative.

#6 GTA IV (PC)

Ci sono videogiochi che ancora oggi faticano a dare il loro massimo. GTA IV è arrivato nel 2008 con tantissimi problemi, a cominciare da requisiti di sistema fin troppo elevati, glitch di varia natura, eccessivi problemi di frame rate, caricamenti biblici tanto altro.

#5 Rime (Switch)

Un pessimo porting fresco fresco per la neonata Nintendo Switch. Tutti pregustavamo l’uscita di un titolo che ben si sposava allo stile della “Grande N” ma, evidentemente, l’abbiamo dato un po’ troppo per scontato. I problemi  sono tanti, a cominciare da eccessivi cali di frame rate, bug e compenetrazioni, comandi che rispondono a targhe alterne e via dicendo. Probabilmente una delle più grosse delusioni del 2017.

#4 Dark Souls (PC)

From Software non è rinomata per la qualità dei suoi porting su personal computer e tutto ebbe inizio dal primo capitolo della celebre saga di Miyazaki: Dark Souls. Il titolo si presentò con una risoluzione bloccata a 720p e devastanti problemi di frame rate, risolti da una singola persona con una patch amatoriale di qualche Mb. Ancora oggi la software house, non sembra aver imparato la lezione.

#3 Resident EVIL 4 (PC)

I giapponesi e i PC sono probabilmente la coppia peggio assortita al mondo. Un’altra vittima è stato il povero Resident EVIL 4, afflitto dai peggiori problemi del mondo, a partire dal rendering, e la fantasiosa gestione delle luci e delle ombre. Inoltre, mancava anche il supporto al mouse… questo sconosciuto. Proprio questo faceva pendant con controlli inutilmente complicati e alla quale SourseNext, che si occupo del porting, non seppe porre rimedio.

#2 Pac-Man (Atari 2600)

Stiamo probabilmente parlando di uno dei videogiochi più importanti della storia, famoso in tutto il globo e pietra miliare delle sale giochi, a partire dagli anni ’80. Immaginate quindi l’euforia della popolazione alla notizia che questo titolo sarebbe stato giocabile comodamente a casa, grazie ad Atari.
Sei settimane. È bastato così poco tempo per rendere Pac-Man semplicemente un’altra cosa con cambiamenti grafici e di gameplay di certo peso come i fantasmi, presenti soltanto uno alla volta.

#1 Metal Gear Solid 2: Son of Liberty (PC)

Un’accozzaglia di scelte sbagliate e un inno alla negligenza. MGS 2 lo conosciamo un po’ tutti e c’è il serio rischio che si cada nella retorica. Fortunatamente in pochi l’hanno giocato su PC, assistendo a bug di un certo livello, da sembrare arte contemporanea fino alla ciliegina sulla torta: in Metal Gear Solid 2 era presente un livello particolare, con sezioni sensibili alla pressione e ben gestite dal Dualshock PlayStation 2. Immaginate la situazione con una tastiera… ingiocabile.
Il tutto per un peso complessivo di ben 7GB, in un mondo dove la normalità era di circa 1,5.




Wolfenstein II: The New Colossus – Aerei e Treni sempre in Orario

Gli FPS puramente single player stanno sparendo velocemente di fronte a una massiccia richiesta di modalità multigiocatore che può spingere al massimo la longevità di un titolo. Ma il pubblico ha anche bisogno di storie e, un’IP come Wolfenstein II: The New Colossus, sequel di The New Order, riesce a portarci in un’ucronia che il buon Philip K. Dick avrebbe apprezzato sicuramente.
Dopo aver vinto la Seconda Guerra Mondiale, il Terzo Reich continua la sua espansione sul globo e tra le stelle ma il punto di non ritorno è vicino. Starà a B.J. Blazkowicz e il movimento di resistenza Kreisau a cercare di porre fine al dominio nazista.

Uno specchio oscuro

Dopo l’ottimo lavoro svolto con The New Order, Machine Games è andata oltre, impacchettando un titolo dalle solide basi narrative contornate da un gameplay e un comparto artistico di primissimo livello.
Il finale del titolo d’esordio ci aveva lasciati col cuore in gola, con l’incapacità di capire se ci sarebbe stato un sequel a quanto visto. Fortunatamente le cose sono andate per il meglio, già a partire dalla stesura della sceneggiatura, capace di regalarci moltissimi momenti esaltanti, momenti indimenticabili e colpi di scena da maestro.
Quasi l’intero pianeta è sotto il controllo dei nazisti che, sfruttando la tecnologia mistica dei Da’at Yichud, sono riusciti a mettere in ginocchio tutte le nazioni del mondo. Anche gli Stati Uniti hanno dovuto arrendersi dopo un bombardamento nucleare a tappeto ma, nonostante ciò, il fuoco della ribellione è sempre pronto ad ardere. Tutto questo fa da sfondo alle tante storie personali non solo di Blazkowicz, ma anche dei membri più importanti dell’equipaggio dell’Eva’s Hammer, sottomarino nucleare nazista (rubato nel capitolo precedente) che sarà il nostro hub centrale. La scrittura dunque è molto più consapevole e riesce a ritagliarsi il tempo necessario per approfondire la vita del protagonista, la sua infanzia e le sue paure, scavando a fondo nella sua psiche. Non è solo un elimina nazisti, ma un uomo che sta per diventare padre e che inorridisce al solo pensiero di dover crescere i propri figli in un mondo super classista come quello del Reich. Anche l’antagonista, Frau Engel, svolge un ruolo chiave, fungendo da catalizzatore alle vicende e godendo di una caratterizzazione a tratti “Tarantiniana”. Proprio questo aspetto è quello che emerge maggiormente rispetto al capitolo precedente, con scene che sembrano trarre ispirazione dai successi del regista di  Knoxville: le bellissime cutscene molte volte ci rimangono impresse, evocative e che con prepotenza riescono a mostrarci un mondo crudele e che non lascia spazio ai sentimentalismi. Tutto è raccontato in modo sublime e con scene letteralmente fuori di testa ma che ben si sposano col contesto. Oltre a questo, numerosi saranno i testi che ci racconteranno i “dietro le quinte” alla conquista del mondo e dello spazio da parte dei “crucchi”, approfondendo ulteriormente la lore di questo mondo alla rovescia.
Vista la mancanza del multiplayer, Wolfenstein II si arricchisce di alcune missioni secondarie e soprattutto “missioni assassinio” da sbloccare una volta decifrati i Codici Enigma, presi dai comandanti uccisi. Queste missioni – utili anche per reperire i numerosi collezionabili lasciati in sospeso – si svolgono su mappe già percorse ma con nuovi modi di affrontarle: i comandanti da assassinare in questione saranno più ostici, ma sarà sempre un piacere affrontare certe sezioni.
Insomma, The New Colossus è un’opera da godere appieno, dai titoli di testa sino alla scena dopo i titoli di coda. Coinvolgente, originale, evocativo e soprattutto tutto è funzionale, con nessun elemento fuori posto.
Per dovere di cronaca segnaliamo anche un conto alla rovescia – abbastanza evidente – nel menu principale, che rimanda alla Camera Blindata. Non si hanno molte informazioni in merito: potrebbe essere un nuovo DLC oppure una nuova modalità. Attendiamo dunque informazioni in merito.

10, 100, 1000 nazisti

Se credete che The New Colossus sia solo una bella avventura grafica vi sbagliate di grosso. Quanto visto in The New Order è stato potenziato portando il gunplay su livelli eccelsi. Tutto tende alla freneticità, non bisogna mai star fermi poiché esser circondati da decine di “soldaten” nazisti è un attimo, con elementi “vecchia scuola” come la ricarica della salute non automatica e che va ripristinata attraverso medikit o cibo che troveremo in giro. La salute di BJ è proprio un punto focale in quanto, per almeno tre quarti della campagna, sarà limitata al 50% con problematiche derivanti che potete immaginare. L’utilizzo della Exosuit Da’at Yichud permetterà a Blazkowicz di ottenere un’armatura del 200% che per lo meno mitiga un po’ le difficoltà del caso. Wolfenstein II non è un gioco semplice: l’alternare fasi stealth a quelle shooting a scena aperta sarà fondamentali se si vuole salvare la pelle. I comandanti sono la chiave in quanto, ad allarme scattato, possono richiamare rinforzi più volte rispetto al capitolo precedente, e quindi sono il primo bersaglio da eliminare, qualora possibile. I soldati con cui ci troveremo a combattere sono abbastanza vari e vanno dai semplici “soldaten” ai “supersoldaten”, esseri modificati geneticamente e corazzati in grado di brandire armi pesanti. Non mancano droni e creature meccaniche partorite dalle idee più folli della Germania Nazista.
Il feeling con le armi è superbo, dandoci i giusti feedback con ogni arma utilizzata regalando soprattutto appagamento: proprio questo aspetto è l’elemento più riuscito – a parte qualche imprecisione nello sporgersi − e ci invoglia a proseguire con gioia, facendoci divertire come bambini al Luna Park. A dir la verità le armi a nostra disposizione non sono poi tante  e, personalmente, ho sentito molto la mancanza di un buon fucile di precisione. Sono potenziabili utilizzando i kit che potremo trovare lungo il nostro percorso, sbloccando anche un’abilità secondaria per la nostra arma. Torna con prepotenza anche l’Akimbo, ovvero la possibilità di utilizzare armi su entrambe le mani, anche diverse tra loro: l’utilizzo di due armi contemporaneamente riduce sensibilmente la precisione ma aumenta a dismisura il rateo di fuoco, diventando una macchina sterminatrice per eccellenza. Questo risulta utile soprattutto nelle boss fight – forse uno dei pochissimi punti deboli del titolo – dove saremo di molto facilitati nei movimenti, visto che non dovremmo fermarci a lungo per prendere la mira.
A un certo punto della trama entrano in scena dei gadget tecnologici che potremmo scegliere  – almeno all’inizio – tra tre a disposizione. Ci permetteranno di sfruttare poteri specifici che preferisco non svelare, ma che saranno utili per la navigazione, grazie anche all’eccellente level design,  e imbastire nuove strategie.
Torna anche lo schema delle abilità sbloccabili solo al raggiungimento di determinati obbiettivi sul campo di battaglia. Questi potenziamenti miglioreranno l’arsenale, ci renderanno più resistenti e così via, aumentando a dismisura la già ottima varietà di questo titolo.

Adolf approved

Il salto di qualità è evidente sotto tutti i punti di vista, e quello tecnico non fa eccezione. L’Id Tech 5 è al suo massimo splendore, regalando scorci mozzafiato e un attenzione al dettaglio maniacale. A colpire, prima di tutto, è la direzione artistica: quando si tratta di nazisti, tutto tende alla magniloquenza aristocratica e all’asetticità delle sue basi militari. Il colpo d’occhio è eccezionale ed è impossibile non rimanere colpiti dal lavoro svolto dai ragazzi di Machine Games. Il contraltare è un’America devastata per la maggior parte, visibile soprattutto in una Manhattan che richiama le atmosfere di Fallout. Tutto questo è arricchito da un comparto tecnico di primo ordine, dove spiccano effetti luce e particellari, oltre all’uso di ottime texture (la maggior parte delle volte) e shader. Il motore grafico è molto scalabile e personalizzabile grazie alla miriade di impostazioni, rendendolo adattabile per qualsiasi macchina. Anche le animazioni risultano ottime, non solo le nostre, ma anche quelle dei nemici, che non brillano per elevato Q.I. digitale, ma sono comunque in grado di metterci in difficoltà, aggirandoci e prendendoci alla sprovvista. Forse i modelli non sono proprio perfetti, ma di fronte al colpo d’occhio generale, è qualcosa che si nota poco.
In un titolo come questo l’audio non poteva essere da meno: il doppiaggio italiano si attesta su livelli cinematografici per quanto concerne i personaggi principali, in grado anche di replicare cadenze linguistiche in maniera credibile, con un alternarsi di accenti inglesi, tedeschi e francesi. Il lavoro svolto è assolutamente all’altezza dell’originale, dando in questa occasione lustro alla scuola italiana di doppiaggio. Anche le musiche sono azzeccate, sia quelle d’accompagnamento, in grado di enfatizzare i diversi momenti di gioco, sia la colonna sonora, rigorosamente di matrice teutonica, che risulta molto orecchiabile nonostante la sua durezza.

In conclusione

Wolfenstein II: The New Colossus è probabilmente il miglior first person shooter dell’anno. Una narrazione che vanta colpi brillanti e un end game di buon livello, offrono al giocatore ottimi spunti per approfondire il titolo, rigiocandolo magari più volte. La voglia e la passione di Machine Games nel confezionare un titolo d’elevata fattura trasuda da ogni pixel, portando anche un gunplay che magari non vanta un grosso arsenale, ma che è in grado di distinguersi come pochi, invogliando a cercare più soluzioni con molti elementi “vecchia scuola”. The New Colossus è un titolo da non farsi scappare, rimanendo, nel frattempo, in attesa dell’ultimo capitolo di questa trilogia.




Top 7: al volante dei migliori racing game

Ci troviamo in un bel periodo: Project CARS, Forza Motorsport e Gran Turismo ci regalano l’imbarazzo della scelta, e mai come ora tutti i titoli motoristici hanno raggiunto questo livello qualitativo. Ma è davvero così? Quali sono davvero i migliori racing game? Scopriamolo insieme.

7. Assetto Corsa (2014)

Nonostante sia appena entrato tra i grandi del settore, il simulatore italiano ha già la sua grande dose di appassionati, e si può ben capire il perché: Kunos ha lavorato strenuamente alla raccolta dei dati reali di ogni vettura e questo, unito alla scansione precisa dei circuiti, rendono Assetto Corsa il simulatore di guida più preciso sul mercato. Ha molto carisma e questo ha spinto alcune case come Ferrari, Porsche e Lamborghini, a proporre la prova dei suoi modelli reali attraverso questo titolo.

6. Project Gotham 4 (2007)

Oltre ai Forza Motorsport, Microsoft poteva vantarsi anche della serie Project Gotham Racing che con il quarto capitolo ha raggiunto la piena maturità. Oltre a essere tecnicamente eccelso, l’ingresso delle moto ha segnato profondamente il titolo, portando una varietà difficilmente riscontrabile nella concorrenza.  Meteo dinamico, 130 vetture perfettamente riprodotte e diverse innovazioni per il multiplayer hanno portato Project Gotham a essere uno dei migliori esponenti dell’epoca.

5. Need for Speed: underground 2 (2004)

Se c’è un videogioco che i fan richiedono a gran voce a Electronic Arts è un remake di Underground 2, probabilmente uno dei migliori titoli arcade usciti finora. Il titolo era contraddistinto da un incredibile varietà e libertà essendo a conti fatti un open world con la possibilità di poter modificare le proprie auto in ogni singolo dettaglio. È un titolo che ha influenzato molto il panorama automobilistico nel settore tuning, contribuendo a espandere quanto si era visto col primo Fast and Furious.

4. Colin McRea Rally (1998)

Colin McRea Rally ha certamente segnato un’epoca, facendo saggiare a tutti i videogiocatori degli anni novanta lo spirito dei rally, derapate in mezzo al fango e salti spettacolari. Tutto questo dall’interno dell’abitacolo, una vera gioia per gli occhi e che spingevano questo titolo ai vertici della qualità tecnica. Anche la supervisione del compianto Colin McRea è stata fondamentale, portandolo il più vicino possibile alla controparte reale. Si doveva faticare tanto per portare l’auto al limite, redendo questo titolo più vicino al simulativo che all’arcade, e, per l’epoca, era una novità.

3. TOCA Race Driver (2002)

Prima di Grid, Codemasters ci dilettava con la serie TOCA, una delle migliori serie automobilistiche mai create. Il Race Driver, targato 2012, ha avuto il merito di rendere la carriera qualcosa di nuovo, inserendo una vera e propria trama, dove impersoneremo Ryan McKane che, dopo un grave trauma, cercherà di scalare le vette del motorsport. Tutto era stato costruito con minuzia, diventando un prodotto dalla qualità invidiabile e mettendo delle basi importanti per i successivi racing games.

2. Forza Motorsport 7 (2017)

L’ultima fatica di Turn10 approda su una nuova generazione di console con risultati strabilianti. Tecnicamente il titolo non ha nulla da eccepire, mostrando i muscoli in tutte le condizioni climatiche. La ricerca del dettaglio è maniacale, creando vetture che sfiorano il fotorealismo. Grande varietà, e soprattutto una modalità multiplayer tra le migliori presenti, rendono Forza 7 la summa di tutto il meglio che i racing game Xbox abbiano prodotto.

1. Gran Turismo 2 (1999)

Se Gran Turismo ha lanciato i racing games moderni, è con il secondo capitolo che ha posto le basi per tutti i titoli di guida che conosciamo oggi.
650 Vetture e così tante piste, non si erano mai viste prima, con così tante cose da fare che i giochi moderni impallidiscono. Era la killer application per eccellenza, con la sua suddivisione in due CD di cui uno interamente dedicato a eventi singoli e split-screen e l’altro dedicato interamente alla modalità Gran Turismo. È la pietra di paragone della nostra infanzia e il principio di tutto.




Life is Strange: Before The Storm – Episodio 2: Il Mondo Nuovo – …Ma non Diverso

Siamo già arrivati al secondo episodio di Before the Storm, prequel del tanto acclamato Life is Strange. Il Mondo Nuovo si discosta un po’ da quanto siamo stati abituati a vedere, con una narrazione più ragionata, ma anche con qualche scelta non proprio azzeccata. Manca solo un capitolo alla conclusione e la domanda che comincia a sorgere è: le scelte intraprese, come influenzeranno una storia che ha già un finale?

The Rachel show

Le vicende, come di consueto, cominciano da dove si era concluso il precedente capitolo, Svegliati: le conseguenze di quanto avvenuto si fanno sentire e già da subito potremo cambiare le sorti della narrazione. Rachel e Chloe ormai sono legate e il destino dell’una influenzerà, in qualche modo, quello dell’altra. Proprio in questo capitolo lo sviluppo del loro rapporto sarà una chiave fondamentale, in una Arcadia Bay all’ombra di un devastante incendio e ignara di quanto stia per accadere.
Proprio il fuoco è un elemento centrale: non è solo riferito alla devastazione fisica dei boschi della cittadina, ma ha un ruolo simbolico, riferito, forse, alla stessa natura di Rachel Amber. Come abbiamo visto, lei è l’incarnazione della perfezione, la ragazza modello della porta accanto ma, appena scalfito la superficie, è semplicemente qualcuno che fatica ad accettare quanto le accade attorno, sopratutto in famiglia, cercando di scappare con la sua nuova ancora di salvezza, Chloe. La caratterizzazione della Amber raggiunge nuovi, alti, livelli, aggiungendo altre caratteristiche alla sua personalità, assolutamente complessa e capace di instillare dubbi sulla sua lealtà. Come al solito, prima della storia ci sono i personaggi e Life is Strange, proprio con Rachel, è in grado di raccontarcela in modo sontuosa, facendo provare empatia (magari con qualche escamotage narrativo), ma anche dispiacere per chi conosce bene il suo destino.
Ricordiamo però che la protagonista è Chloe e, uno dei problemi, che forse nemmeno gli sviluppatori si aspettavano, e che viene completamente sovrastata dalla co-protagonista. Sia ben chiaro, Chloe Price è un bel personaggio e funziona benissimo all’interno del contesto di prequel ma non riesce mai a raggiungere le vette carismatiche della Amber, tanto che, alle volte, alla sua comparsa in scena, si tiri un sospiro di sollievo.
Chloe si trova in una sorta di limbo, non capisce più qual è il suo posto nel mondo e soprattutto la definizione del rapporto con Rachel Amber, di cui comunque, possiamo decidere le sorti. In questo capitolo, verremo a scoprire alcuni dettagli su di lei, il come sono iniziati alcuni casini nella quale è entrata ma, nonostante ciò, rimaniamo ancora in attesa di un paio di eventi cardine che palesano la vera natura de Il Mondo Nuovo: un capitolo di transizione, tra lo scoppiettante inizio e probabilmente, devastante emotivamente, finale.

Casa Amber

Un altro elemento distintivo di questo capitolo è la conoscenza della famiglia Amber e dei suoi segreti. Evitando di fare spoiler, un evento che sembrava del tutto innocuo nel capitolo d’esordio, pare essere divenuto perno di tutte le vicende con, proprio sul finale, una rivelazione stile L’Impero Colpisce Ancora. A dir la verità, tutto ciò, ha lasciato un po’ l’amaro in bocca in quanto, facendo un minimo d’attenzione, questa verità si poteva tranquillamente intuire.
Le scelte importanti ci sono, alcune anche di un certo peso morale, in grado di farci stare inermi per qualche istante, prima di prendere la decisione. Ma anche qui, cominciano a sorgere piccoli dubbi: per quanto Before the Storm, fino a ora, sia un prequel assolutamente riuscito, non si può fare a meno di notare come le vicende, in ogni caso, abbiano già un epilogo. Le decisioni intraprese poi, come si legano al contesto dell’originale Life is Strange? Sarà probabilmente L’Inferno è Vuoto, terzo e ultimo capitolo, a rispondere a questa domanda.
Come capitolo di transizione, comunque, da segnalare qualche “riempimento” di troppo in cui saremo costretti ad esempio a recuperare pezzi per la nuova vettura di Chloe ma senza alcuna finalità narrativa. Ma possiede anche momenti memorabili, uno su tutti la recita teatrale e ciò che succede dopo, con una regia in grado di esaltare tutte le emozioni provate ed espresse dai personaggi.
Per le considerazioni tecniche del titolo rimando direttamente alla recensione di Svegliati, ma da notare sicuramente è una maggiore ottimizzazione, regalando un frame rate molto più stabile e senza cali di sorta. La componente audio ritorna con prepotenza, con brani memorabili e al momento giusto, con un doppiaggio ormai su livelli cinematografici.

In conclusione

Il secondo episodio di Life is StrangeBefore the Storm, paga leggermente il suo stare nel mezzo, ma riesce comunque a mettere tanta carne a fuoco, sviscerando sapientemente il legame instauratosi tra Rachel Amber e Chloe Price. Peccato solo per qualche momento di riempimento di troppo che, in ogni caso, non rovina eccessivamente l’esperienza di un secondo capitolo che va assolutamente giocato, in attesa dell’epilogo finale che tutti sappiamo, ma che tutti aspettiamo.




Top 5: I migliori giochi di calcio

Viviamo un’epoca di duopolio targato FIFA e Pro Evolution Soccer, il cui lotta, si manifesta sempre in maniera accesa tra i sostenitori di uno o dell’altro titolo. Ma la storia del calcio nei videogiochi ha visto susseguirsi una miriade di alternative ai due, a volte con ottimi risultati.

Al quinto posto troviamo il titolo di calcio definitivo per AmigaSensible World of Soccer fu un titolo rivoluzionario con tantissime squadre e giocatori presenti, con tanto di valutazione, in grado di diversificarne le caratteristiche. Possiamo considerarlo l’antesignano dei giochi di calcio moderni.

Al quarto posto troviamo un altro titolo per Amiga e primo gioco di calcio di massa: Kick Off 2. Molti concorrenti copiarono letteralmente il lavoro ideato da Dino Dini, diventando un esempio e aprendo la strada a molte innovazioni come l’Aftertouch, ovvero la simulazione del tiro ad effetto.

Al terzo posto abbiamo Fifa 98: Road to World Cup, titolo Electronic Arts che ebbe un successo strepitoso (forse il primo della serie) e subito associato a Song 2, celebre canzone dei Blur FIFA 98 permise a tutti noi di partecipare alla Coppa del Mondo di Calcio, in Francia, offrendo tantissime squadre nazionali, con cui seguire il sogno di alzare il trofeo più prestigioso.

Al secondo posto troviamo Pro Evolution Soccer 6 che, dopo le ottime basi poste col quinto capitolo, è riuscito a portare un’esperienza calcistica ricca sotto tutti i punti di vista. Un ritmo di gioco più lento ha permesso di creare azioni di gioco più ragionate e, come modalità, una Master League completa e varia, ha riempito i cuori di tutti gli appassionati.

E il vincitore della nostra top è FIFA 12, gioco che ha sancito una volta per tutte la vittoria sul concorrente. L’ingresso in campo del Player Impact Engine ha segnato un radicale cambiamento nelle dinamiche delle partite e se aggiungiamo altre novità come il Tactical Defending, che ha cambiato per sempre il modo di porsi alla fase difensiva, capiamo come FIFA 12 sia un titolo che ha stravolto le regole del calcio digitale.




La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra – …delle Microtransazioni, dell’Avidità e dell’Endgame

Sono passati tre anni da quando Talion e Celebrimbor sono comparsi nel mondo videoludico con La Terra di Mezzo: L’Ombra di Mordor. Il titolo ebbe un notevole successo e fu una gradita sorpresa: meccaniche già viste ma affinate e un sistema innovativo come il Nemesi hanno portato una ventata di aria nuova negli action/RPG. Con L’Ombra della Guerra, assistiamo alla grossa evoluzione del tutto, portando il lavoro di Monolith a livelli eccelsi.

Il Signore della Luce

Dopo il finale – forse un po’ deludente – de L’Ombra di Mordor, non vedevamo comunque l’ora di vedere l’evoluzione dei protagonisti e della storia. Se c’è una cosa che ha contraddistinto il primo capitolo è stata appunto la narrazione, capace di prendere il meglio della saga letteraria de Il Signore degli Anelli di Tolkien e della trilogia cinematografica, creando qualcosa di nuovo e perfettamente amalgamato al tutto. L’Ombra della Guerra si basa sul Legendarium, opera tolkieniana che narra le vicende poste tra Lo Hobbit e la famosa trilogia, facendo da collante tra le saghe più conosciute.
La trama riprende immediatamente quanto visto nel precedente capitolo, con il forgiare di un nuovo anello in grado di contrastare il potere assoluto di Sauron. La storia si sviluppa in maniera più complessa e soprattutto più consapevole, con la possibilità di approfondire la vita di Celebrimbor e trame parallele che danno ulteriore profondità alla trama. Il risultato è una narrazione che ha fatto un salto di qualità sotto tutti i punti di vista, arricchita dalla caratterizzazione dei due protagonisti e di buoni comprimari, sia umani che non umani. Entrano in scena più personaggi e la caratterizzazione degli Uruk nemici diventa più varia e complessa, aumentando a dismisura le potenzialità del sistema Nemesi, creando di volta in volta piccole quest all’interno di altre quest secondarie. Se alla lunga tutto questo può risultare un po’ ripetitivo, affrontando elementi di secondo piano già vissuti, al contempo rende il mondo di gioco dinamico, variando di volta in volta in base alle nostre azioni.
In questo capitolo non basterà solo conquistare piccoli avamposti: intere fortezze, con annessi Uruk potentissimi, saranno necessarie per costituire un esercito in grado di contrastare i Nazgul e il Signore Oscuro. È un processo molto complesso, che consta nella Possessione, e quindi nel forzare l’alleanza con i capitani Uruk, controllando a sua volta il loro esercito. A un certo punto il titolo diventa un gestionale vero e proprio, con controllo dei nuovi sottoposti e la valutazione dei loro punti di forza, scegliendo alla fine chi schierare contro chi e dando il via alla conquista della fortezza, resa davvero epica, con veramente tanti NPC su schermo e combattimenti su larga scala. La loro conquista libererà l’intera zona dalle grinfie di Sauron e, tutto ciò, determinerà un climax finale che ci porterà poi alla “lunga attesa” per il vero finale.
E a proposito di finali, è da menzionare il tanto citato e criticato endgame: una volta terminata la campagna principale si avvieranno le fasi della Guerra delle Ombre, una lunga serie in cui dovremmo difende le nostre fortezze. È una lunghissima ripetizione delle stesse azioni, in cui si dovrà di volta in volta rafforzare i nostri eserciti per fronteggiare i nemici e che, insinua nel giocatore il maligno pensiero che tutta questa sezione sia stata aggiunta successivamente, con la tentazione di utilizzare le microtransazioni per velocizzare queste fasi. Se è vero che se ne può fare a meno se si è armati di buona pazienza, queste diventano posticce in virtù del fatto che le Guerre non fanno altro che sbloccare il vero finale, quindi una parte fondamentale del titolo. Il problema delle Guerre delle Ombre risiede appunto nel suo scopo: proprio quel finale reale, conclusivo non soltanto per il titolo in sé, ma anche per questa mini saga videoludica, era qualcosa che poteva tranquillamente essere messa prima, subito dopo il termine della campagna, una volta conquistato e salvaguardato le nostre fortezze. Come anticipato precedentemente, la funzione della conquista è propedeutica alla “missione finale”, per cui gestire intere fasi in cui si ripete in continuazione un processo che si è già portato a termine nella sezione principale del gioco diventa frustrante, restituendo una sensazione di mancato progresso. Tutto diventa fine a se stesso e, se può andar bene come modalità accessoria, non va bene in questo contesto, dove il suo termine arriva con la visione di un filmato di un paio di minuti.
Questa sezione dunque non fa altro che minare quanto fatto di buono precedentemente, dove tutto funziona quasi alla perfezione. Le lunghe fasi delle Guerre delle Ombre, poste in questo modo, non fanno altro che portare “ombra” sui bei ricordi lasciati da questo titolo.

Chi la fa, l’aspetti

L’ombra di Mordor fu in grado di portare elementi già visti (Batman Arkham e Assassin’s Creed su tutti) in salsa nuova, migliorandone addirittura alcuni aspetti. Qui si assiste a un ulteriore evoluzione del gameplay, a partire dalla vastità delle mappe in cui possiamo esercitarlo: queste sono molto grandi e soprattutto varie nel clima (dinamico) e negli elementi architettonici. Come nel precedente capitolo possiamo scegliere il nostro approccio alle missioni e all’intero mondo che possiamo esplorare liberamente: modalità stealth o “attacco totale” avranno delle ripercussioni sulla nostra durata di vita in quanto, una volta allarmati i nemici, ci ritroveremo a combattere contro decine e decine di nemici, animali feroci e capitani con abilità straordinarie. Fuggire o perire dipenderà da noi, ma la morte sul campo di battaglia avrà delle grosse ripercussioni: chi ci ucciderà, che sia capitano o un soldato semplice, aumenterà di livello o diventerà a sua volta capitano, dando il via alla rivalità del sistema Nemesi, che influenzerà la condotta dei nostri nemici. Questo sistema sarà influenzato anche al contrario: qualora eliminassimo un capitano, questo si ripresenterà, magari tendendoci un’imboscata e “ricordandosi” addirittura come è terminato lo scontro precedente, rinfacciandocelo. È un sistema che già nel primo capitolo è riuscito a portate una ventata di aria fresca al mondo videoludico e ne L’Ombra della Guerra, viene riproposto alla massima potenza. Assisteremo a vere e proprie sottotrame che via via si creeranno automaticamente una volta combattuto con i capitani e trappole, scherni e tradimenti, saranno l’ordine del giorno.
Il Nemesi dunque è la spina dorsale del gioco, di cui una vertebra importante è il sistema di combattimento che viene riproposto con molte migliorie, a cominciare da una più ampia libertà di movimento – anche se alle volte un po’ impreciso – e una maggiore possibilità di attacchi e combo dalla diversa utilità. L’enorme menù delle abilità ci permetterà di avanzare di livello e acquisire caratteristiche uniche, sfruttando la prestanza umana di Talion e i poteri mistici dello spettro di Celebrimbor, diventando una macchina di morte. Non tutti i poteri saranno a disposizione: ognuna delle sezioni principali possiede più sottosezioni che possiamo attivare ma, il più delle volte, l’una escluderà l’altra. Questo sistema permette di adattare il personaggio al nostro stile e di renderlo del tutto unico. Ad aiutarci in questo viene introdotta anche la personalizzazione: come in un vero e proprio RPG: Talion potrà essere potenziato da armature, spade, pugnali e mantelli che aiutano le fasi stealth, con il loro punteggio numerico e con caratteristiche particolari che possono essere sbloccate e potenziate una volta completato un determinato obbiettivo. Possono essere collegati a delle gemme potenziabili anch’esse, regalando benefit passivi come il recupero di salute o la possibilità di far più danni.
Oltre a questo, si avrà la possibilità di arricchire il nostro inventario con corazze o armi leggendarie, facenti parte di set veri e propri, potentissime e con proprietà uniche.
Insomma, Monolith ha reso la sua Terra di Mezzo estremamente variegata e dinamica: è un titolo molto complesso, capace di regalare profondità e decine, se non centinaia, di ore di gioco.

Per il PC di Sauron

Tagliamo subito la testa al Caragor: L’Ombra della Guerra è un bel vedere ma discretamente ottimizzato, anche per PC performanti. Il frame rate è alquanto altalenante, soprattutto per le cutscene, e, di tanto in tanto, si può vedere qualche pop-up o glitch di troppo. Sulla versione console fortunatamente tutto ciò non si presenta – o quasi – mostrando i muscoli e diventando un piccolo gioiellino: tutte le mappe sono ricche di dettagli, con tanti NPC a schermo e contornate da una componente artistica di alto livello. Tutto segue quanto descritto sui libri o quanto visto al cinema, risultando subito riconoscibile e con una propria identità. Ottima la modellazione di personaggi e le loro animazioni con una perfetta caratterizzazione estetica degli Uruk, siano essi capitani o reggenti. Qualche modello in più tra le file dei soldati semplice non avrebbe guastato ma, già così, tutto risulta abbastanza credibile. Completano il tutto la buona resa delle texture in generale e shader con annessi filtri che regalano una buona pulizia su schermo, anche per quanto riguarda la vegetazione. Anche le luci fanno un buon lavoro, sia di giorno che di notte, e l’effettistica risulta abbastanza gradevole. Peccato, come detto, per qualche imprecisione coi comandi e di conseguenza delle movenze del personaggio che, a tratti, ricordano i pomeriggi passati urlando contro Altair, Ezio Auditore e tutti gli altri.
Anche la parte audio si fregia di tutti i miglioramenti apportati da questa generazione con buoni effetti in ogni situazione e ottime musiche che rimandano alla trilogia cinematografica.
Il doppiaggio denota un miglioramento qualitativo, non solo per i protagonisti ma anche per la miriade di Uruk presenti, tutti in qualche modo diversi e col loro modo di comunicare. Peccato solo per un mixaggio audio non proprio perfetto che a volte vi costringerà ad alzare il volume in alcuni frangenti.

In conclusione

La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra è la naturale evoluzione de L’Ombra di Mordor, diventando un titolo complesso e capace di intrattenere il giocatore per tante ore. Le vicende narrate acquistano un sapore particolare per chi ha giocato il primo capitolo e, soprattutto per i fan di Tolkien, inserendosi in maniera perfetta alle storie già narrate. È un gioco dalla sua personalità, ricco di momenti memorabili, capace di instillare nel giocatore la voglia di approfondire quanto più le trame e gli scorci offerti per le vie di Mordo. Peccato solo per la gestione dell’end game, mal posta, sia per scopi che per intrattenimento, ma, comunque, può bastare il sistema Nemesi per rimanere soddisfatti.




Gran Turismo Sport

The real driving simulator. Probabilmente questa definizione sta un po’ stretta a un titolo che ha fatto la storia dei racing game ma che, negli ultimi anni, anche per via di una concorrenza sempre più aggressiva, ha cominciato a faticare, non riuscendo più a sostenere i ritmi sempre più accelerati dell’era digitale moderna. Gran Turismo Sport si presenta ufficialmente come uno spin-off dedicato interamente – o quasi – alle competizioni e-Sport, sfruttando anche l’importante partnership con la FIA, la Federazione Internazionale dell’Automobile. Anche se a molti potrà sembrare Gran Turismo 7 Prologue, il titolo si discosta abbastanza da ciò per cui questa saga è divenuta un cult nel mondo videoludico, differenze che, se mal gestite, potrebbero far storcere un po’ il naso. Ma andiamo con ordine.

E quindi!?

Partiamo subito dal menù. Benché a un primo impatto risulti molto elegante e pulito, non appena si comincia a navigare cominciano i problemi: tutto sembra disorganizzato, con modalità sparse e scritte fin troppo piccole per essere lette (chi scrive ha 10/10 di vista). Nonostante ciò, questo menù formato desktop, è già un elemento in grado di farci capire la passione di Kazunori Yamauchi per il mondo delle auto, con didascalie sulla storia e aneddoti sul mondo del motorsport. Uno degli elementi caratteristici dei Gran Turismo è sicuramente lo Showroom, forse il fiore all’occhiello del franchise ma in cui, ancora una volta, non è possibile esplorare i modelli in libertà, come avviene per esempio per Forza Motorsport. In ogni caso si presenta come una vera e propria enciclopedia dell’automobile, ognuna con la propria descrizione, con canale YouTube ufficiale della casa costruttrice interessata annesso. Abbiamo modo di vedere la vettura in diversi modi, sfruttando temi dinamici pre-renderizzati o all’interno di uno studio fotografico. Non manca nemmeno un intero spazio dedicato alla storia di Gran Turismo, un vero e proprio museo associato a eventi storici di un certo peso. È uno Yamauchi che inneggia a se stesso? Può darsi, ma per tutti gli amanti di questa saga avere la possibilità di osservare elementi dei capitoli precedenti in una una sorta di collezione d’epoca, è di certo un colpo dritto alla nostalgia.
Una delle novità annunciate, e richiesta a gran voce dai fan, è l’editor, che già a partire da questa demo, risulta ben realizzato: è possibile creare livree completamente da zero, sfruttando non solo classiche forme geometriche e numeri ma anche uno sconfinato numero di sponsor e altri elementi da gara che possono rendere la nostra vettura assolutamente unica. Oltre alle auto, è possibile personalizzare il casco e la tuta del nostro pilota. Tutto risulta molto completo e profondo e probabilmente diventerà una delle modalità più utilizzate dagli utenti. Tutto questo si presenta quindi come un vero car porn a tutti gli effetti ed elemento distintivo, capace di interfacciare nella maniera  più passionale l’uomo all’auto.
Tra le modalità presenti – una volta trovate – abbiamo la classica modalità arcade, dove cimentarsi in gare singole scegliendo l’auto tra le presenti o tra quelle possedute nel nostro garage, e selezionando una tra le tre difficoltà disponibili che andrà ad influenzare la quantità d’esperienza e crediti acquisiti. Possiamo cimentarci in una gara a tempo, una prova personalizzata, una gara di derapata e lo schermo condiviso per giocare con un amico.
Si arriva così alla Campagna, in cui possiamo imparare le basi della guida e partecipare a delle Missioni, in cui completare obbiettivi specifici. L’Accademia di guida prende il posto delle storiche Licenze, con una struttura abbastanza simile; in questo contesto dovremo cimentarci via via in percorsi di guida più complessi sino alla totale padronanza della vettura. Le prove a disposizione sono tantissime e, una volta completate, sbloccheranno premi in denaro e punti esperienza. Le missioni riprendono quanto iniziato da Gran Turismo 4, una serie di prove ambientate in contesti particolari che, al loro completamento, sbloccheranno punti esperienza e denaro. Infine, per la campagna, troviamo Esperienza di guida sui circuito, utile per familiarizzare con le piste presenti e affinare le tecniche di guida.
Ma il punto focale è – o comunque dovrebbe essere – Sport, vero e proprio hub centrale delle competizione online. Fanno il loro ingresso una sorta di patenti atte a descrivere il livello del giocatore e la sua correttezza. Viene tutto classificato in base a un ranking, dalla E alla S, dove, la Classificazione Pilota, migliora via via con l’ottenimento di risultati positivi mentre, la Classificazione di Sportività, è influenzato dalla condotta del giocatore, il numero di urti, uscite di piste, etc. All’interno del menù Sport troviamo le Gare Quotidiane, eventi in cui sfidare piloti dal nostro stesso livello e aumentare il nostro prestigio. Almeno in questa demo gli eventi a disposizione erano soltanto tre e accessibili solo dopo aver aspettato anche decine di minuti. Le vetture che andremo a utilizzare saranno penalizzate o potenziate in base alle media delle vetture presenti e si dovrà seguire un rigido regolamento in cui, la maggior parte delle volte, vieterà di modificare mescola delle gomme e addirittura l’assetto. Nonostante ciò il comparto multiplayer sembra già pronto e maturo, senza problemi particolari per questa demo. I veri problemi sorgono quando si cerca di identificare la vera natura di questo titolo, in bilico tra single e multiplayer, rischiando di non accontentare nessuno.

The almost real driving simulator

Una volta scesi in pista possiamo gestire molti parametri pre-gara, come il tipo di aiuti e soprattutto la gestione dell’assetto. Nulla di particolarmente approfondito, ma capace di adattare l’auto al nostro stile di guida e, eventualmente, alle condizione del tracciato.
Il modello di guida di Gran Turismo Sport è sicuramente il fulcro del titolo, ma lascia anche spazio a qualche perplessità: si presenta come un’evoluzione di Gran Turismo 6 e, se da un lato può accontentare un buona parte di pubblico, risultando particolarmente immediato, con un tocco di profondità per quanto basta, dall’altro, si rischia di allontanare videogiocatori del settore navigati e in cerca di qualcosa di più appagante. In un mondo che ha visto l’entrata in campo di numerosi racing game, GT Sport è quello col modello di guida meno rifinito e soprattutto non in grado di differenziare come si dovrebbe le diverse vetture presenti, particolarmente nella stessa classe di vetture. Fa specie – all’alba del 2018 – guidare alla stessa maniera vetture GT3 di conformazione completamente diversa come Audi o Jaguar, praticamente allo stesso modo, inficiando , non solo sul realismo ma anche nell’immedesimazione. Non stiamo parlando di un Arcade, ma sembra mancare di profondità, necessaria e ormai base di qualunque racing game moderno. Portare l’auto al limite sembra fin troppo semplice, anche senza aiuti di guida attivati, e il tutto fa fatica a restituire sensazioni particolari, come quel “pizzicorino” di cui parla James May, ex co-conduttore di Top Gear.
Interessante e molto utile invece, è la possibilità di attivare, attraverso la croce digitale, sotto-menù in cui sono indicati classifiche e tempi, un radar ma, soprattutto, la possibilità di regolare in tempo reale controllo di trazione e bilanciamento dei freni.
La fisica continua a essere l’elemento meno convincente: il peso delle vetture non risulta verosimile, fin troppo leggero e con reazioni quantomeno curiose agli urti. Anche le dinamiche di guida risultano “forzate”, come se il controsterzo non fosse una conseguenza di un nostro errore ma ci sia soltanto perché deve esserci, dando così l’impressione di essere “simulativo”. Molti elementi risultano dunque posticci, mancano di amalgama e naturalezza con una ciliegina sulla torta data dai sorpassi usando altre vetture avversarie come sponda; un piccolo revival dall’originale Gran Turismo.
Grande mancanza di questi tempi è il meteo dinamico ma con la possibilità di scegliere, prima della gara, l’orario di partenza; inoltre non c’è stato modo di provare il modello dei danni che comunque, a gioco finito, dovrebbero esserci.

L’evoluzione dà i suoi frutti

Dal punto di vista tecnico, GT Sport ha fatto un bel salto avanti rispetto alle prime demo proposte. La modellazione delle auto appare sublime per quanto concerne lo showroom mentre, colpiscono meno in gara, dove si notano elementi altalenanti e qualche piccolo difetto, soprattutto nelle zone arrotondate. Anche gli interni, benché modellati squisitamente, fanno fatica a emergere, risultando spenti, probabilmente per un utilizzo di shader non proprio azzeccato. Quello che colpisce maggiormente però è il sistema di illuminazione, tra i migliori in circolazione e che mostra i muscoli soprattutto durante i replay, vicini al fotorealismo. Meno d’impatto i tracciati, di qualità altalenante. Diversi settaggi disponibili per HDR e risoluzione 4K checkerboard, permettono a chiunque di adattare il gioco all’hardware in possesso.
La gestione della telecamera risulta abbastanza limitata: all’interno, qualora volessimo vedere attraverso gli specchietti o soltanto osservare caratteristiche degli interni, essa si disancorerà dall’orizzonte in maniera fin troppo brusca, dando l’impressione di essere una camera secondaria. Anche all’esterno non è possibile gestirla, non possiamo ad esempio girare intorno al modello  e vedere chi ci affianca. Le diverse visuali sono del tutto classiche anche se, quella più esterna, forse un po’ troppo lontana dalla vettura.
Le soundtrack – anche se andrebbero disattivate in gara – sono una raccolta di tutti i brani presenti nei precedenti Gran Turismo più qualche inedito, mentre l’audio generale e soprattutto delle vetture fatica a lasciare il segno. Il miglioramento è evidente ma siamo ancora lontani dalle produzioni concorrenti.

In conclusione

Gran Turismo Sport si appresta ad arrivare e questa demo, quasi in veste definitiva, ci ha lasciato qualche perplessità: i pochi contenuti in singolo e il numero risicato di vetture (160 nel titolo finale) tradiscono la sua natura in favore di campionati e-sport il cui interesse da parte del pubblico è tutto da verificare. Servirà sicuramente una prova approfondita del gioco per valutare il tutto ma, con la concorrenza spietata, capace di far uscire un titolo nuovo ogni biennio, forse è arrivato il momento di cambiare qualcosa in casa Polyphony Digital.




Project CARS 2 – Gas a Martello e giù il Piedino

Dopo due anni di intenso sviluppo, Project CARS 2 si presenta come un titolo sicuramente più maturo del suo antesignano, sviluppato grazie al crowdfunding. Una maggiore  disponibilità economica ha permesso di portare grossi miglioramenti al gioco, portandolo a rivaleggiare con i pezzi grossi del settore come Forza Motorsport 7 e Gran Turismo Sport.
Slightly Mad Studios è quindi riuscita a portare a termine l’evoluzione del suo racing game?

Oggi Go Kart, domani chissà

L’offerta videoludica di Project CARS 2 si può suddividere in tre tronconi: la carriera, gli eventi single player e il multiplayer.
Ovviamente il percorso che ci porterà a essere il miglior pilota del mondo è il fulcro del titolo, dove saremo chiamati a partecipare a uno dei tanti campionati base disponibili e firmare un contratto con una scuderia. Al contrario del precedente capitolo, tutto risulta meglio strutturato, facendo in modo di far provare al giocatore un reale senso di progressione e accrescimento personale. Prima di arrivare a guidare i bolidi di maggior prestigio come LMP1 e Hypercar, si dovrà partire infatti dal basso, accumulando esperienza e sbloccando via via tornei più prestigiosi. Una volta conclusi i tornei principali, si sbloccheranno, di volta in volta, nuovi eventi speciali e tornei inerenti alle diverse case costruttrici, che ampliano ancor di più l’esperienza. Se tutto questo invoglia ad andare avanti, diventando sempre più un pilota provetto, è il contorno che stona alquanto: qualche email del team, nessun filmato particolare minano un po’ l’esperienza, abbassando il livello di immedesimazione. Questa, come anche il single player vero e proprio, è ampiamente personalizzabile in modo che ogni videogiocatore possa cucirsi addosso l’intero titolo: scelta delle prove da effettuare prima della gara, meteo e orario con inoltre non solo l’IA degli avversari ma anche la loro aggressività in pista e il livello di danni subiti dalla vettura. L’esperienza è quindi personalizzabile su misura e chiunque, dallo sprovveduto al pro, può approcciare Project CARS 2 come meglio crede.
Anche il multiplayer gode di tutti questi settaggi e si presenta come una delle esperienze più complete del settore. Oltre alle classiche gare e campionati sono disponibili modalità di condivisione sui vari social, trasmissioni streaming e partecipazione ad eventi ufficiali, dove si sfidano i migliori piloti al mondo. Utilissima anche la modalità Test Privato, in cui possiamo guidare ogni auto su ogni circuito, che serve, non solo a migliorare l’affinità con i vari tracciati ma anche per sviluppare nuovi e più precisi assetti che potremo salvare e utilizzare successivamente.
Tutto questo però deve anche essere sorretto da una grande varietà di contenuti e il secondo capitolo fortunatamente ci riesce dando la possibilità di salire a bordo di 182 vetture appartenenti a 38 brand diversi compresa, da quest’anno, anche Ferrari. Si passa da vetture di tutti giorni a super leggere, passando ai mostri del Gruppo C degli anni ’80 e ’90. Per i tracciati siamo su livelli altissimi in fatto di varietà: 63 tracciati con ogni variabile pensabile; questo porta il numero all’incredibile cifra di 146 piste disponibili, tra cui alcuni realizzati dalla fantasia degli sviluppatori e il resto scannerizzando le piste ufficiali con l’utilizzo di droni e laser, come Mount Panorama o il circuito de La Sarthe.
L’offerta è dunque varia e appagante: gli eleganti menù ci accompagnano in ogni evento in modo chiaro e soprattutto intuitivo. Una volta entrati in gioco ogni nostra fantasia motoristica può essere esaudita.

Terra, acqua, fango e ghiaccio

La varietà che si respira tra i menù è poi percepita anche in pista: in gara potremo ritrovarci in una miriade di situazioni diverse, a cominciare dal meteo dinamico che può determinare un dolce trionfo o una bruciante sconfitta. Questo elemento è probabilmente il migliore presente su piazza e unito al preciso lavoro e studio su tutti i tracciati disponibili, grazie al Live Tracking 3.0, le piste risentiranno di ogni piccolo cambiamento di temperatura e condizione climatica, diventando il più delle volte un altro avversario con cui competere. Le piste sono letteralmente vive e influiscono ovviamente sulla dinamica della nostra vettura. Durante la pioggia – come avvenuto per Forza Motorsport 6 – si formeranno pozzanghere che non saranno un semplice abbellimento ma che avranno una loro profondità, mettendo a rischio, una volta prese, una gara. L’aquaplaning è quindi una realtà, e una variabile in più da gestire.
Project CARS 2 punta a essere un simulatore: quindi niente vie di mezzo, visibile già dalla sconfinata possibilità di impostazioni che possiamo regolare sulla vettura. Quello che impressiona di più è il comportamento e la fisica degli pneumatici, uno dei fiori all’occhiello della produzione: la loro temperatura e mescola influenzerà in modo sostanziale l’andamento dell’auto per cui, il loro monitoraggio è necessario se si vogliono evitare brutte sorprese.
Una volta scesi in pista, dunque, molto dipenderà da noi, dalla nostra capacità di adattamento e dalla nostra pazienza. Affondare subito il colpo, facendo un sorpasso, può a volte risultare controproducente, non solo per il rischio di incidenti, ma anche per il rischio di un eccessivo consumo di gomme e stress meccanico.
Anche gli avversari non staranno di certo a guardare e tenteranno non solo di sorpassarvi, ma cercheranno di dare battaglia a chiunque sia in pista, provando traiettorie diverse e commettendo anche errori. Il loro comportamento, migliorato sicuramente rispetto all’originale Project CARS, è sicuramente stimolante ma anche causa di fin troppi trapianti di fegato: non si capisce come in alcuni frangenti, soprattutto in piste strette come Monaco, gli avversari ci infilino senza motivo, mentre magari stiamo facendo un tornante a 50 KM/h, danneggiandoci reciprocamente. Non sono previsti rewind di alcun tipo per cui potrete accettare la resa e ritirarvi oppure riavviare la gara. Migliorata – finalmente – anche la gestione delle penalità, più oneste, e la risposta ai comandi su Joypad.
Il lavoro fatto sulle vetture è di ottima fattura per la maggior parte, dove spiccano i modelli stradali, e vetture a ruote coperte da gara. Portare le auto al limite – con tutti gli aiuti di fabbrica o disattivati –  sarà una bella sfida, ma fortunatamente appagante. Risulta incredibile invece come alcune vetture appaiano completamente ingovernabili in certe condizioni, come se non fossero completamente ottimizzate ai cambiamenti del clima, ed è davvero un peccato, visto che alcune gare saranno pesantemente influenzate da questo fattore. Si spera in qualche aggiornamento futuro, per sistemare tali mancanze.
Una delle novità introdotte riguarda anche la possibilità di guidare su piste sterrate e innevate, con l’ingresso di nuove tipologie di auto come le RallyCross: sono vetture da rally ulteriormente potenziate ed estremamente divertenti da guidare. Anche qui, il comportamento delle vetture risente in maniera credibile al tipo di terreno per cui, guidando ad esempio una super car su ghiaccio, saremo a volte costretti a togliere le mani dal volante per pregare, visto che ogni drastico cambiamento di direzione ci porterà verso le barriere. È fondamentale dosare perfettamente gas e freno oltre alle sterzate, se si vuole arrivare in fondo vivi. Sullo sterrato – un po’ più permissivo – la musica è quasi la stessa, ma saremo più liberi di fare qualche derapata controllata, sporcando con orgoglio la nostra vettura.

Bello e possibile

È bello poter parlare di un titolo che fa sfoggio della potenza tecnica e che, al contempo, è anche usufruibile dalla maggior parte dei PC in commercio. Se c’è una cosa che quest’anno non si può criticare a Slightly Mad Studios è il lavoro sull’ottimizzazione, che rende Project CARS 2 uno dei titoli migliori da questo punto di vista. Il Madness Engine, già utilizzato dai tempi di Need for Speed Shift, ha raggiunto la sua piena maturità, regalando una delle migliori esperienze visive del momento. I modelli delle auto sono deliziosi, modellati fino ai minimi dettagli, sia all’esterno che all’interno. Soprattutto dentro le vetture si apprezza la cura con cui si è cercato di ricreare il più fedelmente possibile la strumentazione, volante, bocchette d’areazione, che ci proiettano all’interno del nostro bolide preferito. Da segnalare qualche piccola sbavatura in qualche modello, probabilmente importato dal precedente capitolo con e texture a volte non all’altezza, soprattutto per quanto concerne le livree. Ottimo lavoro invece per i vari shader utilizzati: tutti i materiali rispondono in maniera realistica al contesto e alle varie condizioni climatiche. Comparto luci davvero ottimo e filtri che fanno il loro lavoro regalano un gioco pulito e di qualità.
Uno dei punti forti è la resa del clima variabile che, come detto, spazia da sole a tempeste di pioggia e neve. Tutte le piste rispondono egregiamente al cambiamento di temperatura e aderenza, grazie anche al Live Tracking 3.0, caratteristica che aiuta a determinare una verosimile risposta fisica del veicolo. Anche tutti i tracciati godono della bellezza del motore grafico, con tanti dettagli su pista anche se con elementi altalenanti, soprattutto nei circuiti cittadini. La fisica risulta aggiornata e più credibile, anche se alcune volte gli esiti degli impatti non risultano proprio realistici. I danni alle auto sempre di buon livello: ogni vettura è completamente distruttibile, a differenza della concorrenza.
Grande lavoro e soprattutto, grande passo avanti rispetto al capitolo precedente, è stato fatto nel campionamento del suoni delle vetture, non solo per i vari rombi di motore, ma anche per i suoni contestuali come ghiaia depositata sul fondo della vettura, fruscii aerodinamici, etc.
L’audio è avvolgente e contestualizzato anche alla visuale che stiamo utilizzando: se stiamo all’interno del casco del pilota, tutto diventerà ovattato, regalando un ottimo senso di immedesimazione. Musiche dei menù che riprendono quando visto nei titoli precedenti, con un misto di orchestrale e rock creano un’atmosfera quasi aulica ma che, tutto sommato, funziona.
Gioco completamente tradotto in italiano tranne le voci, tra cui quella del nostro ingegnere di pista, utile a comunicarci distacchi dagli avversari e altre informazioni utili. Il tutto avviene – qualora non si conosca bene l’inglese – per mezzo di sottotitoli che a volte, possono distrarre dalla guida.

In conclusione

Project CARS 2 riesce nell’intento di evolversi e migliorarsi, diventando un acerrimo concorrente per gli altri racing game. Tutto è stato rinnovato, a partire dalla carriera, completa e contornata da una grandissima varietà di situazioni, offerte in primis dall’impressionante meteo dinamico e dal Live Tracking 3.0. Ogni gara sarà una storia unica e un evento il più fedele possibile alla controparte reale. Una gioia per gli occhi e per le mani degli appassionati, ma anche un perfetto titolo per cominciare a saggiare l’ebrezza della velocità.
Purtroppo, una mancanza di reale coinvolgimento durante la carriera e qualche piccola distrazione – per così dire – sugli impatti e intelligenza artificiale, mina leggermente l’esperienza, ma il titolo Slightly Mad Studios rimane comunque uno dei migliori esponenti di genere del momento.