Pro Evolution Soccer 2018: le impressioni dalla Demo

Dopo tanta attesa, Konami ha reso disponibile la demo di Pro Evolution Soccer 2018 – o PES 2018 per gli amici –  anche su PC. Questo è un evento importante, in quanto, negli ultimi anni, questa versione si è rivelata essere un semplice porting dai titoli rilasciati per Xbox 360 e PlayStation 3, nemmeno di ottimo fattura. Questa situazione non ha fatto altro che indispettire gli utenti per Personal Computer, che sono spesso passati a un prodotto più curato come FIFA. Ecco dunque che finalmente Konami sembra aver capito l’importanza di questo mercato e, da ora in poi, anche qui la concorrenza si farà sempre più serrata.

Piccoli passi avanti

La demo testata non presenta grossi contenuti: semplici amichevoli e il co-op 3vs3 le uniche modalità con cui cimentarsi. Tra le squadre presenti troviamo top team come Barcellona, Borussia Dortmund e Inter, squadre sudamericane e tre nazionali come Brasile, Argentina e Germania. Se il 3vs3 si presenta molto divertente, dove è essenziale far gioco di squadra per riuscire a portare a casa il risultato e soprattutto punti esperienza per migliorare l’affinità tra i calciatori, le semplici amichevoli sono un ottimo modo per testare le nuove caratteristiche che la versione 2018 riserva.
Da notare immediatamente è il migliorato sistema di controllo dedicato al primo impatto col pallone, dove il calciatore selezionato, nel caso di una cosiddetta “palla sporca”, proverà a stopparla in qualche modo. Ne conseguono quindi nuove animazioni, più complesse, che rendono sicuramente più veritiero quello che stiamo vedendo. Tutto il gameplay di PES 2018 è un insieme di piccoli, ma ragionati, miglioramenti come ad esempio un rallentamento della velocità di gioco e i contrasti, decisamente più realistici e che rispondono della stazza dei diversi giocatori. Diventa così più facile vedere un Miranda sovrastare un povero Rakitic o Coutinho fare fatica a contrastare Piqué.  Rispetto all’edizione scorsa, dunque, sarà essenziale avere un po’ più di pazienza, anche in vista di un miglioramento sostanziale dell’intelligenza artificiale, sia avversaria che dedicata ai nostri compagni. I primi, da un paio d’anni, godono del cosiddetto Team ID, almeno per i team più blasonati, dove le squadre rispondono realisticamente al nostro modo di giocare, sfruttando le routine comportamentali studiate dalla controparte reale. Anche se a un primo sguardo risulta meno accentuato del concorrente, tutto questo fa sì che ogni partita avrà una sua identità e non sarà mai uguale a un’altra. Giocare contro il Barcellona o contro l’Inter risulta sicuramente un’esperienza diversa, in grado di regalare grosse soddisfazioni una volta segnato un gol.
Un bel lavoro sembra esser stato fatto anche sull’intelligenza artificiale dei nostri compagni, pronti a inserirsi negli spazi o aiutarci in caso di difficoltà. I movimenti del nostro team saranno quindi corali, dove diventa più semplice imbastire azioni d’attacco. Questi movimenti automatici però, hanno un rovescio della medaglia: qualora in fase difensiva cominciamo a faticare, subendo ripetutamente percussioni da parte degli attaccanti avversari, i difensori controllati dalla CPU andranno sì a coprire gli spazi ma in modo da risultare distanti e soprattutto poco reattivi nel caso in cui l’azione cambi lato. A complicare ulteriormente le cose ci pensa il dorsale adibito alla selezione del calciatore, davvero impreciso. Si tratta pur sempre di una demo ma sono situazioni che se non corrette possono inficiare la qualità del titolo finale.
Un’ulteriore novità è riservata ai calci piazzati, dove spariscono le poco eleganti traiettorie, in favore di uno stile molto vicino al titolo Electronic Arts. Sarà la postura a fare la differenza e dovremo essere noi a capire come calciare il pallone e quale traiettoria assumerà. Questa feature è qualcosa che migliora sensibilmente l’immedesimazioni ma, come per FIFA, anche qui serve la giusta dose d’allenamento. Un tocco di classe è dato dalla fisica del pallone, ulteriormente migliorata e – tralasciando piccoli svarioni – sempre pronta a rispondere ai tocchi, più o meno potenti, dati dai calciatori. Da verificare meglio a titolo completo è però la fisica del pallone sui campi bagnati dove la sfera non sembra essere influenzata dalla pesantezza del campo ì, né ben che meno da eventuali zolle o difetti di quest’ultimo.
Purtroppo ci sono da segnalare anche alcuni punti deboli ormai classici della serie: animazioni, sicuramente migliorate, ma dove si notano frame di collegamento tra i diversi movimenti, arbitri abbastanza timidi e soprattutto i portieri, a cui a volte manca il senso dell’orientamento.

La next-gen su PC

Ovviamente la prima cosa che balza all’occhio è il comparto tecnico. Finalmente anche i “PCisti” possono godere dei progressi fatti nella tecnologia digitale degli ultimi anni, trovando un prodotto sicuramente ben realizzato. Il colpo d’occhio generale è davvero molto buono, soprattutto nella riproduzione degli stadi delle migliori squadre, con un’ottima mole poligonale accompagnata da texture in alta definizione. Anche la resa del pubblico è di ottima fattura anche se si presenta meno movimentata rispetto al nuovo FIFA, dove è stato fatto un lavoro apposito per renderlo sicuramente più realistico. Calciatori più famosi perfettamente riprodotti, con quelli dei team legati dalla partnership esclusive davvero eccezionali, non solo per la ricostruzione digitale ma anche per le movenze in campo. Sembrano di molto trascurati invece i giocatori di seconda fascia, poco curati e difficilmente riconoscibili.

In conclusione

Anche quest’anno lo scontro finale tra PES 2018 e FIFA 18 si fa più acceso che mai. Il titolo Konami ha puntato sul miglioramento di alcune caratteristiche di gameplay e sulla fisica, facendo piccoli passi avanti verso la simulazione ma mantenendo intatta la sua indole. Su PC risulta finalmente un bel titolo da gustarsi anche con gli occhi ma, complice una serie di difetti storici che sembrano non essere spariti, contenuti da valutare a pieno e la necessità di vedere quanto la mancanza di licenze influisca sul titolo, aspettiamo di provare il gioco completo per le dovute conclusioni. In ogni caso il lavoro sembra promettente.




Grid Autosport in arrivo su mobile

È passato molto tempo dall’ultimo Grid. Denominato Autosport, era il terzo capitolo della serie parallela a DiRT ma, mentre a quest’ultima erano riservati soltanto tracciati da rally, Grid era il capitolo dedicato alla pista, riscuotendo, almeno col primo capitolo, Race Driver, un successo strepitoso diventando uno dei migliori giochi guida mai prodotti. Ma i tempi cambiano ed ecco arrivare, grazie a Feral Interactive, la versione mobile di Grid Autosport, con tutti i contenuti aggiuntivi rilasciati fin ora. Il sistema di guida dovrebbe essere molto simile a quanto visto in Real Racing 3, ma con un feeling diverso, un giusto mix tra arcade e simulazione.
Come per la controparte console, la carriera sarà suddivisa in cinque sezioni per altrettante tipologie di gare: drift, formula, endurance, touring e street. Il parco auto consente di scegliere un’ottantina di modelli, molto vari tra loro e 22 tracciati che, contando le diverse connotazioni, arrivano a 100.
Tecnicamente sembra presentarsi molto bene ma sarà un lungo e approfondito test a dirci se finalmente abbiamo un concorrente per Real Racing, anche se ancora non è stata comunicata una data di lancio.




FIFA 18: le impressioni dalla Demo

Come ogni anno, il mese di settembre è dedicato ai calcistici per antonomasia: Pro Evolution Soccer e FIFA. Nella veste 2018, entrambi i titoli presentano grosse novità che analizzeremo nel corso dell’intero mese, cominciando il percorso con la Demo di FIFA 18, uscita su PlayStation 4, Xbox One e PC. Alla fine, dopo anteprime e recensioni ci sarà uno speciale per eleggere, anche quest’anno, il miglior titolo calcistico della stagione.
Al suo secondo anno di Frostbite Engine, il titolo EA implementa alcune feature che arricchiscono ulteriormente il senso di realismo e una rinnovata modalità “The journey” nella quale Alex Hunter, ormai affermato, dovrà confrontarsi con le difficoltà che deve affrontare un calciatore professionista.

Hai voluto la bicicletta?

Partiamo proprio con il viaggio di Alex Hunter, giunto – per così dire – alla seconda stagione. Non è più un pivello arrivato dai bassifondi, bensì un calciatore professionista di prospettiva, cercato da moltissime squadre, non solo in Premier League, ma anche all’estero. Questa è una delle tante novità di questa modalità: non saremo più relegati al solo campionato inglese ma potremmo giocare in squadre blasonate dei campionati più importanti d’Europa. PSG, Bayern Monaco, Real Madrid sono solo alcuni dei club di cui potremo vestire la maglia, aumentando a dismisura la profondità della narrazione e soprattutto la varietà. La scrittura di Tom Watt si arricchirà di ulteriori colpi di scena e momenti drammatici e, come visto nella brevissima demo, situazioni che faranno rischiare la carriera al giovane Alex. “The Journey” è sicuramente un ottimo modo per vedere il calcio da un altro punto di vista, il cosiddetto dietro le quinte di un mondo vasto e pieno di sfaccettature. Anche tecnicamente risulta migliorato, con cutscene più pulite e definite e soprattutto con maggiori dettagli negli spogliatoi  che, nella prima iterazione risultavano davvero vuoti. Da segnalare qualche piccolo calo di frame durante gli intermezzi, ma ricordo che non si tratta di una build finale. Questa seconda stagione de “Il viaggio” sembra davvero migliorata e comincia davvero ad appassionare come se fosse una buona serie TV e, se aggiungiamo la possibilità di personalizzare Alex, più l’incontro con calciatori del calibro di Cristiano Ronaldo, ne vedremo delle belle.

Un deciso passo avanti

FIFA 18 presenta diverse novità in termini di gameplay, non solo dedicate al gioco in senso stretto ma anche strutturalmente. Un’innovazione che balza subito all’occhio è la possibilità di decidere prima dell’inizio della partita le tre sostituzioni disponibili: direttamente dal menu della gestione della squadra possiamo scegliere chi sostituire con chi in modo da snellire i tempi di gioco. Si avrà così, nel corso della partita e solo durante le pause, la possibilità di effettuare una sostituzione veloce indicata dall’icona in basso a destra. Una volta premuto il grilletto destro del vostro joypad ecco che si avvierà istantaneamente la cutscene della sostituzione senza dover mettere in pausa il gioco. Questo è un elemento importante soprattutto nelle modalità online in quanto possono venir annullate le strazianti pause che possono inficiare il ritmo della partita. Qualora non decidessimo i cambi in ogni caso la CPU ci suggerirà quale scelta effettuare e starà a noi scegliere se procedere o meno.
Scesi finalmente in campo, notiamo subito delle differenze: il ritmo di gioco è decisamente diminuito e anche la fisica del pallone ha subito una vistosa variazione, risultando più pesante. Questo porta a un gameplay molto più ragionato, in cui il centrocampo diventa fulcro essenziale delle nostre giocate. Galoppate sulla fascia ridotte al minimo ma controlli migliorati sui giocatori  portano il titolo EA su un altro livello rispetto alla concorrenza: si ha davvero l’impressione del controllo totale, e l’abilità col pad sarà decisiva se si vogliono ottenere risultati. A complicare ulteriormente le cose, le squadre si arricchiscono di un’IA più evoluta e soprattutto più caratterizzata in base alla squadra contro cui giocheremo: il nuovo Real col suo rinnovato tiki-taka, il catenaccio juventino, la forza dell’Atletico di Madrid cambieranno drasticamente il nostro modo di approcciarci alle partite contro la CPU. Diventa fondamentale studiare un minimo l’avversario e modificare opportunamente le nostre strategie di gioco. A questa caratterizzazione delle squadre, si unisce anche il cosiddetto Real Player, il nuovo sistema di scan Electronic Arts, che replica al dettaglio le movenze dei calciatori più famosi, distinguendoli letteralmente dalla massa. Ecco quindi Cristiano Ronaldo correre con la sua caratteristica postura ed esultare con il suo urlo dopo un gol; Robben che dopo una lunga falcata rientra per provare il tiro e Neymar  un vero funambolo che non sta mai fermo. Tutto ciò porta a un livello superiore il titolo, aumentando la verosimiglianza alla controparte reale.
Fortunatamente le nuove animazioni sono disponibili, in generale, al resto dei giocatori, con soluzioni più varie per tiri, cross e passaggi.
Ovviamente non parliamo di un titolo perfetto: almeno in questa demo risulta difficile non notare qualche sbavatura del comparto animazioni e soprattutto nei contrasti, a volte un po’ innaturali.
Resta comunque da vedere il gioco finito, in uscita il 29 Settembre, in cui potremmo vedere se queste ottime premesse saranno confermate.

Tutti allo stadio

Tutte le novità apportate l’anno scorso con il FrostBite Engine sono state ulteriormente migliorate: tutto risulta più definito già a partire dalla demo, con una migliore gestione dell’antialiasing che regala una maggiore pulizia generale. Il nuovo sistema di scan ha inoltre permesso una gestione maggiore dei dettagli sui volti dei giocatori più blasonati; la verosimiglianza è ormai vicina al fotorealismo, anche se la differenza tra che gode di questa feature e chi no risulta più netta: calciatori di secondo piano ma anche, almeno per adesso, giocatori di un certo livello come Gonzalo Higuaìn sono ancora molto indietro rispetto ai loro omologhi reali.
Una delle novità visive più acclamate è la nuova gestione del pubblico e delle atmosfere da stadio. Le partite risultano così più coinvolgenti con un pubblico sempre in movimento e che non si limiterà solo ad alzarsi o sedersi. Se, ad esempio, una nostra bordata finirà sugli spalti, la parte del pubblico in traiettoria si affretterà a prendere il pallone, ammassandosi in prossimità della sfera. E ancora le esultanze, diverse da stadio a stadio e tanti piccoli dettagli rendono il tutto più emotivo.

In conclusione

La demo di FIFA 18 ci lascia con ottime impressioni. Le novità sono tutte chiaramente visibili e innalzano di molto il livello qualitativo. Partite senza dubbio più reali grazie alle nuove movenze di calciatori e team, unita al nuovo pubblico negli stadi arricchiscono di molto l’atmosfera generale, avvicinandosi così a una partita trasmessa in TV. Anche Alex Hunter e il prosieguo del suo viaggio ci hanno incuriosito, esplorando zone nascoste del calcio e che senza dubbio, non vediamo l’ora di approfondirle.
Restiamo dunque in attesa del gioco completo e, di conseguenza, della recensione finale.




Annunciato il Ferrari 70th Anniversary Pack per Assetto Corsa

Il 19 Settembre sarà il giorno del nuovo DLC per Assetto Corsa in occasione dei 70 anni celebrati dalla Ferrari. In questo contenuto aggiuntivo – di cui ancora non si conosce il prezzo – saranno presenti sei tra i modelli più popolari del cavallino rampante, più uno deciso dalla community. Il primo modello ufficiale ad esser stato presentato è la Ferrari 250 GTO, la massima espressione della tecnologia Ferrari degli anni sessanta e vettura più costosa al mondo, essendo stata battuta all’asta per ben 38 Milioni di Dollari. Le altre vetture (ma in attesa di conferma) dovrebbero essere: la Ferrari 330 P/4, 288 GTO, 312/67, F2004 e la recente 812 SuperFast, oltre alla contemporanea vettura di Formula 1, la SF70H, votata dalla community.
Oltre a questo DLC sarà presente il consueto aggiornamento, più una vettura gratuita che, secondo indiscrezioni, sarà l’Alfa Romeo 33 Stradale.




Otis: l’abbattimento delle barriere tra serie TV e spettatore

L’interattività, si sa, è alla base del videogioco e, salvo rari casi, unico media a detenerlo. Si è sempre parlato di interattività anche nel cinema o serie TV, portando il pubblico a scegliere determinate situazioni, creando così delle storie del tutto personali. Negli ultimi anni tanti sono stati gli esperimenti in tal senso ma finiti ben presto nel dimenticatoio.
L’ultimo tentativo è stato fatto con Otis, una serie in questo momento online con un episodio pilota, della durata di circa sette minuti, con uscita prevista per il 2018. Otis si presenta come un crime drama dove è possibile letteralmente switchare tra i tre personaggi principali tramite i tasti A, S e D, osservando le loro vite e in che modo esse si intreccino. Facendo un esempio pratico è assimilabile al cambio istantaneo tra Michael, Trevor e Franklin in GTA V in cui, utilizzando i tasti digitali sul pad, potevamo interagire con ognuno di essi senza che questi interrompessero la loro “vita” di tutti i giorni. Se per un puro videogioco è un’innovazione che porta varietà in termini di trama e gameplay, per una serie TV le cose si fanno più complicate, ma andiamo con ordine.
L’intento degli ideatori è quello di portare al pubblico una storia unica per ognuno di noi, non portando delle ramificazioni di trama dovute a delle scelte di dialogo, come per le avventure grafiche, ma con qualcosa di nuovo e di difficile produzione, sulla base del mito biblico di Caino e Abele. Le difficoltà di produrre e dirigere qualcosa del genere sono immense e, a detta di Casey Stein, uno degli ideatori, tutto doveva essere meticolosamente studiato con l’ausilio di un cronometro per fare in modo che tutti i pezzi di puzzle coincidessero senza perdere frame importanti di storia. Infatti, ad un primo sguardo, sembra che le singole storie siano girate in maniera indipendente, ma dopo una manciata di secondi e qualche switch, capirete le difficoltà del caso. Questo significa che bisogna vedere l’episodio almeno un paio di volte per capire bene il tutto; siamo noi ad editare continuamente la puntata e decidere che ritmo deve prendere. Personalmente non mi sono mai trovato davanti ad una cosa così peculiare e diciamo che bisogna prenderci la mano; ma una volte entrati nel mood, le classiche storie vi sembreranno fin troppo “guidate”. Pensate a quante storie ci siamo persi in tutti questi anni, quanti dettagli non ripresi e magari quanto tempo guadagnato. Una serie come True Detective sarebbe finita in una puntata in quanto, con questo stratagemma, avremmo potuto capire subito l’intera situazione. Ed è proprio qui che sorgono delle perplessità; se da un lato questa nuova esperienza porta effettivamente qualcosa di nuovo, scegliendo noi cosa vedere e quando, da un lato può venir meno il trasporto emotivo creato da una determinata storia, sceneggiata con un percorso ben stabilito fino al climax finale e goduto grazie all’empatia generata col protagonista. Può essere, comunque, considerata una strada parallela alle classiche storie monodirezionali che siamo abituati a vedere e che troveranno ulteriore sviluppo in seguito.
In basso, potrete trovare il link che porta al pilota di Otis.

https://nukhu.com/otis/




Life is Strange: Before The Storm – Episodio 1: Svegliati – Una Parola è Troppa e due sono Poche

Life is Strange è oggi conosciuta come una delle migliori avventure grafiche degli ultimi anni, avvalendosi di molti premi e sicuramente una delle migliori sorprese del 2015. Con uno stile peculiare e soprattutto una caratterizzazione di personaggi e ambienti di molto sopra la media, il titolo – o per meglio dire – la serie Dontnod Entertainment è riuscita a creare una storia tangente il Teen drama ma lontano dalle banalità che purtroppo siamo abituati a vedere ultimamente: tante, belle, storie personali, tanti intrecci e soprattutto messaggi di fondo che rimangono impressi, magari per alcuni scontati, ma narrati con una tale forza, che difficilmente potrete trovare lo stesso in opere simili. In attesa della seconda stagione, prevista per il 2018, Deck Nine Games – sviluppatore in questa occasione – ci porta di nuovo ad Arcadia Bay, cittadina protagonista delle prime vicende, ma due anni prima. Before the Storm è infatti un prequel, dove approfondiremo la natura di Chloe ma soprattutto quella  di Rachel Amber, perno del primo Life is Strange.

The Chloe show

Svegliati è il primo di tre capitoli che usciranno prossimamente. Sin da subito si può notare un cambio stilistico che incide soprattutto sui dialoghi, più incisivi, diretti e sicuramente più conformi alla ben più temeraria e ribelle Chloe, rispetto alla timida Maxine che abbiamo conosciuto in precedenza. Nonostante questo, e l’assenza soprattutto del riavvolgimento temporale, Before the Storm è un Life is Strange in tutto e per tutto, dove protagoniste diventano le storie, prima dei singoli personaggi. Proprio come la serie ci ha abituato, il tutto è un intreccio di parole, pensieri, ansie e paure di ragazzi e ragazze che sognano un futuro quanto più roseo a dispetto delle difficoltà.
Molte delle domande fatte nell’opera originale troveranno subito risposta in questo primo episodio a cominciare da Rachel Amber, figura divenuta quasi mitologica nel corso dell’avventura. Grazie all’ottima scrittura sapevamo già molto, ma vederla e interagire con lei è tutt’altra cosa: una ragazza modello, bellissima, intelligente, affascinante, forse troppo bella per essere vera. Nelle circa tre ore della nostra vita passata insieme a lei notiamo però tutte le fragilità di una ragazza che si appresta a diventare donna, ignara del destino che l’attende. Ma è proprio il rapporto tra lei e Chloe il vero protagonista di questo prequel e che probabilmente verrà sviscerato più avanti: un rapporto basato su bisogni diversi ma reciproci, che comincia quasi per caso ma che segnerà profondamente la vita di entrambe. Chloe e Rachel risultano una coppia meglio assortita – e forse più bella da vedere – rispetto a Chloe e Max proprio perché, come vedremo meglio tra poco, è un rapporto più vero e scaturito da una sola e singola scelta. Decisioni che si scontreranno anche con vecchie conoscenze, più o meno simpatiche, per le vie di Arcadia Bay. Anche qui, personaggi che abbiamo imparato a conoscere mostreranno qualcosa di nuovo, arricchendo il puzzle della loro caratterizzazione.
Anche l’avere tre capitoli a disposizione, rispetto ai cinque precedenti, aiuta a condensare le vicende eliminando il più possibile i cosiddetti tempi morti. Il risultato è che già a partire da Svegliati assistiamo a tante vicende diverse, tutte con il proprio peso e momenti che non annoiano.

Ne uccide più la lingua che la spada

Uno degli elementi distintivi di Life is Strange, nonché della tipologia di gioco in questione, è la serie di dialoghi a scelta multipla, che possono più o meno, influenzare la direzione che prenderanno alcune vicende.
Se però, nell’opera originale, potevamo contare quasi su un checkpoint volontario, sfruttando il potere di Max, qui le cose si fanno più complicate in quanto, come nella realtà, si sceglie una volta sola. Se siamo abituati a farlo con titoli Bioware, ad esempio, in un titolo come questo ogni decisione ha un reale peso specifico non solo in base al carattere del nostro interlocutore ma anche al contesto. Bisogna prestare attenzione a ciò che viene detto, a quando viene detto e soprattutto al “come”. Ne consegue così un’attenzione per i dialoghi che raramente si vede in altre opere, con una scrittura sapiente e calibrata. Proprio riguardo l’attenzione al dialogo è riservata una feature particolare, novità introdotta con questo capitolo e  – possiamo dirlo – peculiarità di Chole: alcuni dialoghi di un certo peso, che influenzano in maniera più determinante il corso della storia, diverranno delle vere e proprie boss fight in cui bisognerà prestare ancora maggiore attenzione alle parole pronunciate dal nostro rivale per ritorcergliele contro.
Oltre alla scorpacciata di linee di testo, è presente l’ormai rodata esplorazione dell’ambiente, sempre in terza persona, che in questo frangente diviene ancor più importante: trovare oggetti, carpire frasi dette da terzi e, novità, vie alternative, diventano tutti elementi che influenzeranno le vicende. Quindi, non è importante soltanto cosa dite, ma anche cosa fate e come. Questo porta a una rigiocabilità infinita, cercando di studiare tutti gli intrecci possibili in un’Arcadia Bay mai così viva.
Come Maxine, anche Chloe possiede un suo diario e, ovviamente, l’immancabile cellulare: se sul diario troveremo tutti i suoi pensieri dedicati ai fatti accaduti e persone incontrate, gli sms del telefono saranno ulteriori linee di dialogo utili ad approfondire i rapporti tra i vari personaggi. Questi stessi messaggi, scambiati in maniera del tutto automatica, saranno influenzati nei toni dagli avvenimenti che abbiamo contribuito a influenzare.
Cambia anche la questione obiettivi: se per caso dimentichiamo cosa fare, basterà premere il grilletto destro del vostro joypad per trovare l’informazione scritta a penna, sulla mano di Chloe. Resta inspiegabile come una mancina riesca a scrivere sulla stessa mano che sta utilizzando, ma son dettagli di poco conto.

Dì che sei un artista

Life is Strange e, di conseguenza, Before the Storm, non verranno certo ricordati per un impianto tecnico d’eccellenza. Se sulla direzione artistica intrapresa da Dontnod Entertainment, e portata avanti da Deck Nine Games non c’è nulla da eccepire, è sulla qualità visiva che questo titolo mostra il fianco. Bellissimi dialoghi aiutano a focalizzarsi su ciò che si dice, questo è vero, ma fa storcere il naso pensare alle poco eleganti animazioni, facciali e non e a texture talvolta davvero pessime. Non stiamo certo parlando di un tripla A, sia ben chiaro, ma è impossibile non rimanere indifferenti di fronte ad alcune lacune tecniche che, un titolo del 2017, non dovrebbe avere. In ogni caso, anche se quasi impercettibile, troviamo un miglioramento di alcuni filtri, rispetto al titolo originale, tra cui un miglior antialiasing e filtro anisotropico oltre ad un leggero miglioramento di definizione generale. Ma è davvero troppo poco per portare questo titolo, almeno tecnicamente, su livelli decenti.
Ciò che manca visivamente, fortunatamente viene compensato a livello uditivo con musiche che spaziano tra diversi generi e sempre adatte al contesto. Come per Life is Strange con protagonista Max, la colonna sonora risulta naturale, ben amalgamata al contesto al punto da rendere immagini e musica una cosa sola. Se il resto degli effetti sonori possiamo classificarli come normali, menzione d’onore va ai doppiatori/doppiatrici che hanno fatto davvero un buon lavoro per un titolo assai complesso come questo. Nonostante il cambiamento di doppiatrice per Chloe, Rhianna DeVries riesce a regalarci la ragazza che abbiamo imparato ad amare, se non di più, riuscendo a utilizzare la perfetta tonalità nelle situazioni in cui è richiesto. Anche Rachel Amber è resa molto bene, forse diversa da come l’avevamo immaginata, ma sempre intrigante e difficile da leggere. Ne risultano così personaggi reali, con una vita reale e soprattutto, reazioni audio-visive reali.

In conclusione

Il primo episodio del nuovo Life is StrangeBefore the Storm, riesce nell’intento di amalgamarsi perfettamente nella storyline di Arcadia Bay. Tutto risulta naturale e le vicende di Chloe Price e Rachel Amber vi terranno incollati allo schermo fino all’uscita del prossimo episodio. Proprio la caratterizzazione della Amber esce con prepotenza da Before the Storm, una ragazza fino a qualche settimana fa misteriosa ma che nonostante tutto continua ad esserlo, diventando un personaggio dalle mille sfaccettature, sola in un mondo dove è amata da tutti. A dispetto di un comparto tecnico antiquato ma di un comparto audio che fa la voce grossa, questo nuovo Life is Strange è un titolo da non farsi scappare se avete amato le vicende di Maxine Caulfield.




Annunciata partnership tra PES 2018 e l’Inter

Konami ci ha ormai abituati alle esclusive dedicate alle singole squadre, oltre alla tanto pubblicizzata Champion’s Legue. Così dopo Barcellona, Borussia Dortmund, Liverpool, arriva la prima squadra italiana ad usufruire di queste nuove feature: l’F.C. Internazionale Milano. Il roster così si arricchisce – nonostante l’ormai classica mancanza di licenze – di una delle squadre più titolate al mondo, con tantissimi trofei nazionali e internazionali, nonché unica squadra italiana ad aver centrato il cosiddetto Triplete, ossia la vittoria di campionato nazionale, coppa di lega e Champion’s Legue nella stessa stagione calcistica.
In PES 2018 dunque, oltre al Meazza perfettamente riprodotto, vanterà una riproduzione fedele dell’intera squadra, oltre a tre campionissimi che faranno parte del roster Leggende: Javer Zanetti, Francesco Toldo e Dejan Stankovic. La riproduzione non si limiterà soltanto alle fattezze digitali ma si estenderà anche alle caratteristiche tecniche di ogni singolo calciatore, dalle movenze con e senza palla sino ad elementi più peculiari.
Appuntamento dunque al 14 Settembre quando PES 2018 arriverà su PC, Xbox One e Playstation 4.




Guillemot pessimista su Vivendi

Nell’ultimo periodo si è parlato tanto dell’acquisizione di Ubisoft da parte di Vivendi,  società francese attiva nel campo dei media e delle comunicazioni. Molti sembrano felici di questo passaggio multi milionario tranne Yves Guillemot, CEO della software house interessata. È un periodo molto intenso per Ubisoft, vista l’uscita di Mario+Rabbits per Nintendo Switch e l’imminente rilascio di Assassin’s Creed Origins, che potrebbe segnare, nel bene o nel male, il futuro di questo franchise. Ed è proprio in questo periodo che le perplessità di Guillemot si fanno più aspre: secondo il suo pensiero acquisire una software house imponente come Ubisoft non porterà benefici a nessuno dei due. I tempi, la gestione, i ripensamenti, sono pratiche completamente diverse da comuni aziende e se Vivendi non sarà in grado di capirlo potrebbero esserci grossi problemi.
Il CEO di Ubisoft fa notare come, da quando Vivendi non possiede più quote di Activision, il valore delle azioni della società statunitense si è quadruplicato, portando un netto miglioramento in tutti i settori dello sviluppo di un videogioco.
È un tema prettamente economico ma possiamo immaginare che qualunque sarà l’esito finale di questa acquisizione le conseguenze non saranno limitate al solo mercato videoludico.




Top 7: le peggiori boss fight dei videogames

Le boss fight dovrebbero essere il punto più alto in un videogioco, la summa di tutto il lavoro svolto e l’apoteosi del gameplay. Eppure a volte qualcosa non va per il verso giusto, e i supernemici diventano dei corpi estranei rovinando soprattutto il finale. Ed ecco a voi le peggiori boss fight del mondo videoludico.

#7 Joker – Batman: Arkham Asylum

Joker, antagonista principale di Batman in Arkam Asylum, riesce a essere se stesso per tutto il gioco fino quando, decide di diventare un Hulk vestito da pagliaccio. Le doti di Joker sono per lo più i sotterfugi e un’innata scaltrezza, eppure Rocksteady, che ha lavorato in maniera quasi perfetta sul gioco, decide di mandare tutto a rotoli regalando un personaggio completamente snaturato. Oltre a questo, nemmeno il combattimento in sé riesce a mitigare le cose, essendo praticamente un’arena nella quale far fuori orde di nemici come si è fatto per tutto il gioco, mentre lo scontro con Joker, che dovrebbe essere il fulcro, dura tutto sommato una manciata di secondi che non lasciano il segno.

#6 Rodrigo Borgia – Assassin’s Creed II

Non capita tutti i giorni di prendere a pugni il Papa: ciò che spinge le azioni di Ezio Auditore in Assassin’s Creed II è cercare vendetta nei confronti di Rodrigo Borgia. Quando finalmente si arriva al dunque, quindi l’inizio della Boss Fight, cominciano a spuntare anche buone premesse, visto che bisogna utilizzare tutto ciò che si è imparato nel corso del gioco, con addirittura due frutti dell’Eden in campo.
Purtroppo finisce tutto con una scazzottata da bar, con uno scontro che risulta abbastanza ridicolo, visto che alla fine, si tratta di picchiare un povero vecchio.

#5 Razziatore umanoide – Mass Effect 2

Se la missione suicida è tra le parti finali di un videogioco migliori della storia, non altrettanto si può dire del vero boss finale. Il Razziatore umanoide è una rivelazione agghiacciante, ma il combattimento in sé risulta abbastanza deludente, troppo facile e sicuramente dimenticabile. Spara ai condotti e riparati è in sostanza il riassunto della battaglia, contornato da qualche Collettore tanto per non rendere le cose troppo facili… Inoltre sembra incredibile, visto la potenza dei Razziatori, che basti sparare a qualche condotto d’alimentazione per chiuderla qui. Insomma, probabilmente è il punto più basso della saga di Mass Effect.

#4 Lady Comstock – Bioshock Infinite

Sorpresi? Bioshock Infinite è quasi un capolavoro e, per chi conosce il suo contesto, trovarsi improvvisamente a sparare contro zombie e un fantasma non è di certo una gran cosa. Per quanto poi risulti relativamente spiegato tutto ciò, non si può fare a meno di notare come il tutto risulti fuori luogo e soprattutto estenuante, diventando un mero espediente per riuscire a carpire i segreti di Zackary Comstock e procedere così nella narrazione.
Sta di fatto che la boss fight risulta per lo meno impegnativa e questo mitiga un po’ la cosa ma il senso di inadeguatezza è lampante e porta il tutto quasi al disagio visivo.

#3 Lord Lucien – Fable II

Come dicevamo, il boss finale è quello che si attende di più, la ciliegina sulla torta, eppure in Fable 2 , trovandosi di fronte a un nemico di una certa potenza, basta un colpo per farla finita. Nessuna sfida e nessun senso di gratificazione: tutto si risolve senza lasciare traccia, talmente scialbo che il gioco avrebbe potuto concludersi senza la boss fight. Eppure, come vedremo, c’è di peggio.

#2 Star Destroyer – Star Wars: il potere della Forza

Sarebbe difficile pensare di far combattere uno Jedi contro un’incrociatore imperiale a chilometri di distanza: fare il mimo, portando una nave di quelle dimensioni a precipitare da quella distanza non fa sentire super potente ma abbastanza interdetto, in quanto lo scontro è paragonabile a quando Micheal, in GTA V, deve fare yoga, schivando una manciata di laser e distruggendo un po’ di caccia. Nemmeno la visuale aiuta in quanto ciò che dovrebbe risultare epico diventa soltanto una parodia creata dall’Asylum.

#1 Brumak contaminato – Gears of War II

Premi un tasto e vinci. Il secondo capitolo di una delle saghe migliori negli ultimi anni è famoso per i miglioramenti apportati e per la non boss fight finale. I colpi del Martello dell’alba in Gears of War II lasciano soltanto l’amaro in bocca visto la mancanza di sfida e l’impossibilità di morire.
È una boss fight che non ha senso di esistere visto che poteva essere tranquillamente sostituita da una cutscene: sarebbe stato più dignitoso.




Death Note

Negli ultimi anni, Hollywood ha cominciato a prestare attenzione al mondo di manga e anime, “prodotti tipici” della creatività giapponese. Mancanze di idee, probabilmente, ma sta di fatto che noi tutti abbiamo sempre avuto la curiosità di vedere dei live action, magari sui nostri eroi preferiti. Non è facile però, vuoi perché la narrazione si sviluppa su decine di volumi, vuoi per lo stile, forse troppo orientale e unico per essere concepito dagli studi di Los Angeles. Del resto ricordiamo tutti il primo – e fortunatamente unico – adattamento cinematografico di un certo Dragon Ball, denominato per l’occasione Evolution: tralasciando qualche nome preso dal manga originale, il film rovescia i canoni su cui si poggia la storia, snaturando (volontariamente?) i personaggi, costruendo una trama dalle fragilissime basi. Un po’ meglio è andata a Ghost in the Shell, pellicola con protagonista Scarlett Johansson, uscita proprio quest’anno: il film, pur subendo molte – ma molte – semplificazioni, è comunque riuscito a ritagliarsi una propria identità, dando senso alla parola adattamento. Nulla di trascendentale, per carità, ma sicuramente un passo avanti verso una costruzione più accurata rispetto l’opera originale.
Ora è il turno di Death Note: targato Netflix, questo film è un interessante esperimento di produrre qualcosa di diverso, magari un po’ di nicchia, ma sicuramente con un grande bacino di appassionati.
Per quei pochi che non lo sapessero, Death Note è un manga del 2003, scritto da Tsugumi Ōba e disegnato da  Takeshi Obata, che riscosse molto successo, non solo in Giappone ma nel mondo intero, divenendo in breve tempo un vero e proprio cult. Le vicende si svolgono attorno a Light Yagami il quale, venuto in possesso del Death Note – un quaderno speciale dove, se scritto il nome di una persona, questa stessa morirà entro breve tempo – decide di ergersi a paladino della giustizia. Andando avanti nella storia non tutto andrà per il verso giusto e, personalmente, vi consiglio di recuperare se non il manga, almeno l’anime.
Cos’è la giustizia? Cos’è la fede? E soprattutto, cosa vuol dire adattamento? Scopriamolo insieme in questa recensione.

Partiamo proprio dall’ultima domanda: che cos’è un adattamento? In generale è la capacità di sceneggiatori e registi di saper produrre contesti cinematografici, quanto meno simili a opere esistenti, come libri, opere teatrali, fumetti, videogiochi e in questo caso, manga; praticamente il 70% di tutto ciò che vediamo al cinema ultimamente. Ovviamente non tutto quello che è scritto su carta stampata è fruibile sul grande schermo: adattare alcune situazioni, alcuni contesti e personaggi, per fare in modo che tutto rientri nelle classiche due ore di pellicola è ormai una prassi, ma soprattutto una necessità. È normale che ci siano differenze e un esempio su tutti, visto che siamo in un portale di videogiochi, può essere considerato l’Animus di Assassin’s Creed: vedere Michael Fassbender per un paio d’ore steso su un lettino non avrebbe fatto lo stesso effetto, ovviamente. Ma l’adattamento, alle volte, diventa una scusa, un dito dietro al quale nascondersi quando i pareri della critica cominciano a non essere così favorevoli; e  questo pare proprio il caso di Death Note.
È inutile girarci in torno: il Death Note di Netflix è una delusione sotto tutti i punti di vista. Ma andiamo con ordine.
Il progetto è stato affidato ad Adam Wingard, regista emergente che ha cercato di fare il possibile per salvare quanto meno la faccia. Sì, perché la regia è tra gli elementi meno agghiaccianti presenti nel film, una regia da mestierante, con qualche piccolo guizzo di tanto in tanto. Il problema vero arriva da tutto il resto, dalla sceneggiatura alle prove attoriali, fino al casting. Adattamento significa, in questo caso, traslare le vicende dal Giappone agli Stati Uniti: niente quindi Light Yagami ma Light Turner, Misa che da Idol diviene una cheerleader di nome Mia e i soliti problemi da liceo che abbiamo imparato a conoscere in centinaia di serie americane. Fin qui nulla di strano. I veri problemi sorgono quando i personaggi principali diventano mere parodie vuote in un contesto che risulta sin da subito sbagliato. Nella sceneggiatura scritta a tre mani, Light Turner (Nat Wolff) si presenta come uno dei tanti ragazzi disagiati e isolati dal contesto socio-scolastico, ma dotato di grande intelligenza. Già si può evincere come ci sia qualcosa di sbagliato in tutto ciò, segnalato anche da un netto distacco dall’atmosfera aulica del manga/anime e l’interpretazione che di certo, non aiuta. Nat Wolff è fin troppo sopra le righe, mai convincente e soprattutto privo di carisma. Non riusciamo a empatizzare con lui e capire il suo punto di vista contorto, probabilmente per un errato – ammesso che ci sia stato – studio del personaggio di Light Yagami. Senza soffermarci su Mia (Margaret Qualley), pressoché inutile e fastidiosa, sia come personaggio che come recitazione, da segnalare è la prova del vero antagonista di Light, o Kira se preferite: Elle. È vero; cambiare etnia a un personaggio che fa della sua caratterizzazione esteriore uno dei sui pregi è sicuramente una mossa al dir poco azzardata. Ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: Keith Stanfield, nei panni di uno degli investigatori migliori al mondo, ne rappresenta discretamente i comportamenti, almeno fino a quando pensa di essere diventato qualcun altro e comportarsi nella maniera più sbagliata possibile. Questo forse è in sintesi una delle caratteristiche del film: ci prova, ma pur provandoci non riesce, mettendosi il bastone tra le ruote da solo.
Se le interpretazioni a dir poco scadenti non lasciano il segno e una scrittura confusionaria che cerca di prendere qualcosa dall’opera originale si perde nei meandri del nonsense, cosa resta? Probabilmente la voce di Ryuk (caratterizzazione pessima, sia esteriore che psicologica) prestata da Willem Defoe, è l’unica nota positiva del film. In lingua originale si può apprezzare lo sforzo di un attore che ci ha creduto, riuscendo, almeno in parte, a rendere meno ridicolo lo Shinigami.
Inutile dire che le tematiche sono state completamente travisate: quello che per Light Yagami è un compito offerto dal destino, per Light Turner e Mia diventa quasi un gioco di coppia, immerso in un teen drama di cui si poteva fare volentieri a meno.

Il Death Note di Netflix è un fallimento su tutta la linea: scelte di sceneggiatori, casting e  attori, non rendono giustizia a un’opera che ha segnato una generazione, aprendo dibattiti su cosa sia giusto e sbagliato o la funzione di Dio. In questo caso la parola adattamento viene utilizzato come scusa, divenendo un Dragon Ball Evolution 2 dimenticabile, con così tante pecche che si fa fatica a trovare qualcosa da salvare. Nulla dell’opera originale, se non qualche nome, è stato utilizzato e questo forse è il male minore: anche se immaginiamo un mondo dove Death Note non sia mai stato creato, questo film non si salverebbe nemmeno.
«Questo mondo fa schifo». E Light Turner, a suo modo, ce lo ha ricordato.