Xbox Scorpio: più RAM per gli sviluppatori

Manca davvero poco all’apertura dell’E3 che probabilmente vedrà Microsoft tra le protagoniste indiscusse di quest’anno. In questi ultimi giorni le notizie su Xbox Scorpio, la nuova console, si sono susseguite freneticamente e probabilmente continuerà a essere così fino alla presentazione ufficiale.
L’ultima news riguarda l’utilizzo della RAM che, come già sappiamo, consta di 12GB di memoria DDR5, di cui 3GB riservati esclusivamente al Sistema Operativo, tranne per il Dev Kit, riservato agli sviluppatori, il quale, come annunciato su Twitter dal Corporate VP di Xbox, Mike Ybarra, adesso avrà a disposizione 1GB in più da utilizzare per lo sviluppo dei nuovi giochi. Questo – sempre secondo Ybarra – porterà ad un miglioramento sostanziale della qualità generale oltre che a “condividere la migliore versione del loro gioco” da parte dei producer.




Prey – Ottimo Direi

Dopo aver giocato e recensito il primo Prey, datato 2006, abbiamo messo le mani su l’ultima fatica di Bethesda che, dopo abbandonato lo sviluppo di Prey 2, si è lanciata verso un totale reboot del franchise. Il nuovo Prey è un opera complessa e ricca di sfaccettature. Vediamo assieme quali sono i suoi pregi e i suoi difetti.

Total recall

Il mondo come lo conosciamo è fondamentalmente diverso: ci troviamo infatti in una timeline alternativa dove, nel 1963, J.F. Kennedy è riuscito a sfuggire all’attentato di Dallas e ad avviare così una massiccia corsa verso lo spazio. Per questo nel 2032, anno in cui sono ambientate le vicende raccontate nel gioco, siamo su Talos I, una gigantesca stazione spaziale in orbita intorno la Luna, dove le più grandi menti scientifiche sono riunite per portare l’umanità su un livello più alto. Talos I per certi versi potrebbe ricordarvi la Rapture di Bioshock e le somiglianze di certo non si fermano qui: Prey prende infatti spunto da diversi capolavori – videoludici e non – di genere fantascientifico ma, ciò nonostante, riesce a serbare una sua identità, creando una trama avvolgente, ben strutturata e ricca di colpi di scena da maestro.
Proprio la corsa allo spazio ha attirato l’attenzione dei Typhon, una razza aliena avanzata con in dote diversi poteri. Dal loro studio si arriverà alla creazione delle Neuromod, oggetti che permettono a chiunque di acquisire qualunque abilità, se sprovvista, e che ovviamente avranno un grosso peso all’interno del gioco. Ma qualcosa durante i test va storto, e Talos I diventerà vero e proprio palcoscenico della prima invasione aliena.
Toccherà a Morgan Yu trovare la soluzione al problema.
Nulla è ciò che sembra e proprio grazie alla sceneggiatura di Chris Avellone, famoso per aver contribuito alla creazione di Fallout 2 e, soprattutto, di Planetscape: Torment (e al momento al lavoro su System Shock 3), Prey diventerà un bellissimo concentrato di storie personali che si integreranno perfettamente al plot principale, come tanti pezzi di puzzle atti a regalare un finale appropriato a ogni percorso intrapreso. Proprio un punto forte del titolo – e non è cosa da poco – è il coinvolgimento generale: tutto ciò che vediamo e sentiamo è in perfetta armonia e addirittura gli audiolog che, non solo hanno rilevanza ai fini narrativi, ma sono anche molto interessanti, veridici e intrecciati tra loro. È uno dei pochi titoli che spingono ad approfondire e soprattutto rigiocarlo visto, come detto, la presenza di finali multipli che non saranno mai banali.
Siamo abituati a vedere le scelte magari con un cambiamento di colore in una linea di dialogo o gesti ancora più palesi. Qui no, ed è proprio questo a conferire a Prey quel qualcosa in più dal punto di vista narrativo: siamo liberi, soggetti pensanti in grado di usufruire del libero arbitrio, al punto che anche elementi che potrebbero non sembrare importanti – magari inerenti al puro gameplay e al vostro stile di gioco – influenzeranno il corso della storia.

Chi e cosa sono io?

Prey è un titolo complesso sotto diversi aspetti, non solo per una trama stratificata, ma anche per un gameplay ben strutturato e che probabilmente avrà pochi rivali nel corso di quest’anno. Tutto è stato studiato nei minimi dettagli, a cominciare dal level design, tra i migliori visti negli ultimi anni, dove ogni ambiente è ricco di percorsi diversi, ricordando per certi versi i recenti Deus Ex. Possiamo dire che tutto ciò che troviamo in Prey può essere espresso in una sola parola: libertà.
Possiamo approcciare le situazioni come meglio vogliamo, decidere se essere elusivi o andare spediti verso l’obbiettivo, sfruttare l’ambiente per mimetizzarci, nasconderci o addirittura attaccare i nemici e tanto altro. Tutto ciò aumenta non poco il livello di immedesimazione, permettendo non solo di conformare ulteriormente il gameplay alla narrazione ma anche il nostro tipo di approccio, e soprattutto la nostra capacità d’adattamento. Come da titolo, infatti, saremo una costante preda dei Typhon, la razza aliena che sembra aver preso possesso di Talos I, diversi tra loro per tipologia e poteri a cominciare dai Mimic, che possono prendere le sembianze di qualunque oggetto poiché di massa simile. Questo significa che potenzialmente la maggior parte degli oggetti potrà attaccarci, aumentando le possibilità di un attacco cardiaco per lo spavento. Come se non bastasse vi sono gli Spettri, Typhon che hanno preso possesso di esseri umani inconsapevoli, di diversa tipologia e con punti di forza e deboli ben precisi. È da qui che ha inizio la profondità del gameplay di Prey: ogni nemico è infatti scannerizzabile attraverso lo Psicoscopio, permettendoci non solo di studiare il nostro obbiettivo e, di conseguenza, di capire come approcciarlo, ma anche di sbloccare diversi poteri alieni che potremo apprendere grazie alle Neuromod, molto simili per funzione ai plasmidi di Bioshock.
Anche qui si apre un enorme ventaglio di possibilità: lo schema dei poteri è suddiviso in sei sezioni, dove i primi tre raffigurano poteri che potremmo definire classici, come la possibilità di spostare via via oggetti più pesanti, potenziare la salute, la tuta e così via. La parte più interessante riguarda però le potenzialità aliene, grazie alle quali potremo utilizzare i poteri dei nostri antagonisti: onde psichiche, vortici elettrici e di fuoco e addirittura prendere le sembianze di alcuni oggetti come fanno i Mimic. Sbloccare tutte le abilità in una sola run è praticamente impossibile, per cui servirà scegliere con attenzione quale skill sarà in grado di adattarsi al nostro stile di gioco.
Ma in Prey nemmeno il potenziamento del personaggio renderà le cose più facili: innanzitutto, più poteri dei Typhon utilizzeremo, maggiore sarà la probabilità che i sistemi di sicurezza di Talos I ci prendano di mira scambiandoci per per uno di loro. Sarà dunque indispensabile fare attenzione anche a questo aspetto, poiché il gioco non è per nulla semplice: poche munizioni, pochi medikit e nemici estremamente reattivi e cattivi scoraggiano un approccio alla Doom, per cui bisognerà esplorare a fondo la stazione se si vuole sopravvivere. L’esplorazione è direttamente correlata al geniale sistema di crafting, perfettamente contestualizzato, che richiederà la raccolta di materiali diversi, il loro compattamento attraverso dispositivi di riciclo e infine il loro assemblaggio in un altro macchinario per poter creare ciò che serve, ma solo se prima abbiamo trovato gli appositi schemi di realizzazione.
Prey è dunque un RPG in tutto e per tutto, che prende il meglio dai capisaldi del genere e li mescola sapientemente in qualcosa di unico e completo sotto tutti i punti di vista, a parte le fasi incentrate sulle sparatorie: è proprio l’aspetto shooting il punto dolente del titolo, a volte macchinoso e impreciso e davvero frustrante in alcune situazioni. I movimenti non risultano fluidi e davanti a un nemico estremamente rapido usare i proiettili può diventare inutile. Ma come detto ci sono tante strade, e in una di queste è previsto l’utilizzo dell’arma iconica del gioco, il Cannone Gloo, un vero e proprio fucile spara-colla che ci sarà davvero utile in diverse situazioni, come quando dovremo immobilizzare temporaneamente i nemici, assorbire incendi e addirittura costruire muri o scale per arrivare in zone altrimenti inaccessibili. Insomma, quelli di Arkane Studios hanno veramente pensato a tutto e, se aggiungiamo il fatto che è possibile potenziare armi e torrette, riparare oggetti guasti e interagire con la maggior parte degli oggetti di scena, non immagino davvero quale lavoro migliore potremmo aspettarci per quest’anno in questa tipologia di titoli.

È bello ciò che piace

In mezzo a tutte queste vette d’eccellenza, la parte che fa meno strabuzzare gli occhi è il comparto tecnico che, pur utilizzando il CryEngine, fatica a regalare il cosiddetto “effetto wow”. Nonostante la buona modellazione di oggetti, personaggi e scenari, tutto è un po’ sporcato da texture e shader a volte a bassa risoluzione e luci ed ombre in qualche caso imprecise. Fortunatamente, il motore grafico – che ha fatto le gioie di Crytek – fa un buon lavoro sui particellari: fiamme, scintille, scariche elettriche e persino l’acqua sono ben rese mitigando così le sensazioni provenienti dallo schermo.
Ma a mitigare ancor di più, se non addirittura a far chiudere un occhio su alcune deficienze, è il comparto artistico che, prendendo spunto da quanto visto nei due Dishonored, gode di un sapiente uso di filtri particolari e di colori che rendono il tutto simile a un dipinto a olio, cosa che aiuta molto a non focalizzarsi sui dettagli di minor valore. Proprio questa direzione artistica è in grado di regalarci scorci mozzafiato, grazie anche al miscuglio di elementi diversi, dall’Art déco al Retrofuturismo che, come in Bioshock, rendono Prey un titolo memorabile per gli anni a venire. Anche i nemici sono davvero ben realizzati e, se è vero che siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni, i Typhon sono probabilmente fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi: ombre in perenne movimento accompagnate da suoni sinistri che nel contesto risultano davvero suggestivi.
Un ulteriore elemento distintivo è poi il comparto audio: nel corso dell’avventura saremo per lo più accompagnati dai rumori all’interno della stazione spaziale con una bella distinzione tra le zone in assenza di gravità, quelle in cui è presente e lo spazio aperto. Tutto è campionato con dovizia, anche nella realizzazione dei suoni prodotti dai Typhon nelle loro varie connotazioni.
Ovviamente non mancano le musiche, soprattutto d’accompagnamento, in stile stile retrofuturistico con una punta di post-rock, perfette per introdurci in determinate sezioni o per enfatizzare i momenti più concitati. La colonna sonora è stata affidata a Mick Gordon, già compositore per Bethesda delle OST di Doom e Wolfenstein: the new order. 
Anche il doppiaggio, infine, completamente in italiano – così come tutta la parte testuale – risulta ben realizzato, ben recitato e, soprattutto, studiato con le giuste tonalità nei momenti adatti. Questo fa la differenza soprattutto negli audiolog, davvero piacevoli da ascoltare e che soprattutto invogliano il giocatore ad approfondire non solo il plot principale, ma anche le storie personali dell’equipaggio di Talos I.

Commento finale

Prey è un titolo riuscito in quasi tutti i suoi aspetti: Arkane Studios è riuscita a trasportarci nei meandri di Talos I come se ci avesse portato al cinema a vedere un gran film di fantascienza. Titoli come Bioshock, Half Life, System Shock, Total Recall, Dishonored e tanti altri sono presenti in questo lavoro Bethesda amalgamato in modo sontuoso e che, come dicevamo, conserva una propria, forte identità.
Peccato solo per una fase di shooting poco accurata e per un impianto tecnico non all’altezza di altre produzioni tripla A, difetti che non minano comunque un’esperienza assolutamente positiva.
Questo Prey risulta forse un titolo meno “unico” dell’originale, ma è di certo un’avventura che difficilmente troverà concorrenti all’altezza tra quelli di quest’anno e che probabilmente sarà ricordato come uno dei migliori giochi di questa stagione.




Presentato FIFA 18

Come annunciato ieri, oggi è stato il giorno del reveal di FIFA 18, titolo calcistico Electronic Arts, ormai con una storia trentennale.
Il focus principale è su Cristiano Ronaldo, protagonista della stagione stellare del Real Madrid, che sarà il testimonial del titolo, oltre ad aver dato un grosso aiuto agli sviluppatori, in uno studio mobile EA Motion Capture a Madrid, per introdurre le novità che vedremo il 10 giugno, in una presentazione ancor più corposa.
Nonostante il cambio di partnership, passata da Xbox a Sony, su entrambe le console saranno disponibili diversi pacchetti come FIFA Ultimate Team Icons che aggiunge i calciatori che più hanno fatto la storia oltre all’accesso anticipato per chi preordinerà il gioco.
Infine, giungono notizie anche sulla versione per Nintendo Switch, la quale sarà sviluppata da EA Vancouver, avrà caratteristiche esclusive ma non si avvarrà del Frostbite Engine per limitazioni hardware, dunque sarà alla pari delle versioni PS3 e Xbox 360 che fanno il loro ritorno in campo.
Ufficializzata anche la data di uscita: 29 Settembre in tutto il mondo su Xbox One, Playstation 4, Nintendo Switch e PC.

Dunque attendiamo l’EA Play, la conferenza pre-E3 organizzata da Electronic Arts – il 10 giugno alle 21:00 ora italiana – per scoprire ulteriori novità.




In arrivo FIFA18

Dopo la presentazione di Pro Evolution Soccer 2018, domani toccherà al titolo Electronic Arts mostrare le sue novità.
Il primo trailer sarà pubblicato direttamente sul canale YouTube dedicato, accompagnato da un comunicato che elencherà le principali novità del titolo già al suo secondo anno di utilizzo del motore grafico Frostbite Engine.
Nonostante alla presentazione manchino ancora alcune ore sappiamo già qualcosa: grazie all’esperienza maturata con Battlefield 1 avremo certamente delle migliorie grafiche, la telecronaca sarà molto più ricca e varia e infine, abbiamo conferma che la modalità “Il viaggio” godrà di ulteriori implementazioni.




Need For Speed Payback: tutti i dettagli

Come già annunciato oggi è stato il giorno della presentazione del nuovo Need for speed, denominato per l’occasione Payback. Gli si potrebbe tranquillamente affibbiare la denominazione “Playback”, in quanto sembra un ritorno alle origini del franchise sotto molti aspetti.

Ritorno al passato

Partiamo subito dal single player che, per la prima volta dopo tanti anni, sarà completamente giocabile offline, e che offrirù qualcosa di molto vicino a quanto visto in Need for speed: The Run, in cui la trama aveva un forte peso all’interno del gioco. A dire il vero, la qualità delle sceneggiature presentata in questi anni – non solo nei videogiochi ma anche nel lungometraggio – non lascia di certo ben sperare: stando a quanto si vede dal trailer ci si ritroverà in mezzo alle solite crew, ai soliti tradimenti e alle solite vendette. Per lo meno la spettacolarizzazione sarà un punto focale grazie all’utilizzo, come sembra, di molte e lunghe cutscene ricreate direttamente con il motore di gioco, il celeberrimo Frostbite Engine, divenuto il centro della galassia EA.
Saranno tante le missioni a disposizione, tutte ambientate a Fortune Valley, dove potremo impersonare tre personaggi differenti ma uniti da un singolo obbiettivo: vendicarsi de La Loggia, una pericolosa organizzazione che controlla i casinò della città, i criminali e le forze di polizia.

Pimp my ride

Da tempo i fan chiedono a Electronic Arts un ritorno alla personalizzazione completa del mezzo come in Need for speed Carbon, dove le modifiche alle vetture erano davvero minuziose.
Nei diversi titoli usciti da allora non si è mai raggiunto quel livello: alcuni episodi erano addirittura sprovvisti di questa feature. Payback porterà finalmente a compimento questa richiesta, che sicuramente non sarà ai livelli di Carbon, ma che continua un percorso portato avanti dall’ultimo Need for Speed: non solo sarà possibile personalizzare le auto sia meccanicamente che esteticamente, ma sarà possibile anche ricostruirle grazie al ritrovamento di alcuni rottami sparsi per tutta la mappa, un po’ come avveniva con The Crew o Forza Horizon, ma qui su un altro livello.
Anche il parco auto sarà vasto, arricchito da cinque tipologie di veicoli, di cui una probabilmente dedicata a vetture fuoristrada.

Un quarto di miglio alla volta

Ritornano inoltre i classici must della serie: mappa enorme – forse la più grande mai vista in un NFS – completamente esplorabile in cui cimentarsi in diverse prove secondarie, sia online che offline.
Fanno il loro ingresso anche delle vere e proprie scommesse tra i vari utenti, dove sarà possibile giocarsi i propri crediti (non è chiaro se sarà possibile mettere in palio le proprie auto) lanciandosi in una gara dove si potrà moltiplicare il contenuto del proprio portafoglio o rischiare di perdere tutto. Queste gare – così come la campagna principale – saranno contornate dal ritorno in grande stile della polizia con i suoi diversi gradi di pattugliamento e inseguimento atte a rendere il tutto più spettacolare possibile. Già dal trailer è possibile vedere un buon lavoro da questo punto di vista soprattutto dal comparto grafico con ottima mole poligonale, dettagli delle auto ai massimi livelli e ottimo comparto luci.

Come al solito arriveranno anche diverse versioni del titolo come la Deluxe edition che permetterà di avere il gioco ben tre giorni prima la data d’uscita, personalizzazioni esclusive e il Platinum car pack contenente cinque auto personalizzate per il lancio.
Ci aspettiamo altre novità all’E3 di Los Angeles, soprattutto dei gameplay in modo da cominciare a saggiare le novità di un titolo che ha preso un anno di pausa per essere sviluppato al meglio.
Need for Speed Payback sarà disponibile su Playstation 4, Xbox one e PC a partire dal 10 Novembre 2017.




Oggi il reveal del nuovo Need For Speed

Con un’immagine pubblicata sulla propria pagina Facebook, EA ha comunicato che alle 15:00 di oggi verrà presentato il nuovo Need for Speed. Sul titolo si sa veramente poco tranne qualche rumor che lo collocherebbe per le vie di Las Vegas.
Il nuovo NFS torna dopo un capitolo che non ha avuto il successo sperato, per cui ci si aspettano grossi cambiamenti in termini di gameplay, richiesti tra l’altro a gran voce dai fan. L’unica certezza è l’utilizzo del Frostbite Engine, che ha già mostrato i muscoli nel titolo del 2016.
Un’ulteriore considerazione è sul perché fare un reveal così importante a pochi giorni dall’E3, un palcoscenico perfetto per uno dei titoli di punta per Electronic Arts. Probabilmente l’importanza di questa conferenza sta via via affievolendosi.
Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti con un articolo d’approfondimento dedicato all’evento di quest’oggi.




Prey – Quando l’Originalità non Paga (in Senso Stretto)

In queste ultime settimane uno dei titoli che ha attirato maggiormente l’attenzione del pubblico videoludico è certamente Prey. Sviluppato da Bethesda, questo titolo è da considerarsi come un vero e proprio reboot del Prey del 2006, con alle spalle una storia molto diversa da quello che vediamo quest’oggi. Ci sono voluti ben undici anni di lavoro e di gestazione travagliata: il tanto acclamato sequel era stato infatti annunciato nel 2011 e poi cancellato nel 2014, per poi essere ripreso da Bethesda che decise di rilanciare il brand nonostante molti estimatori storcessero un po’ il naso.
Il gioco del 2006 è davvero migliore rispetto alla controparte moderna? Vediamo assieme di cosa si tratta.

Cherokee in space

L’inizio è di quelli che colpiscono. È una giornata come tante altre dove Tommy, il nostro protagonista e nativo americano Cherokee, lotta con il proprio retaggio e le sue origini, nella stazione di servizio insieme a suo nonno Enisi e la sua ragazza, Jen. Un elemento distintivo di Prey è proprio la caratterizzazione di Tommy: un uomo stanco di vivere come un Cherokee e che sogna di potersi godere la modernità e la libertà del XX secolo anche se, in fondo, capisce l’importanza delle radici e la propria cultura in via d’estinzione. Questi pensieri troveranno una brusca interruzione quando una nave aliena rapisce la maggior parte degli abitanti terrestri, compresi lui, Jen e suo nonno Enisi. Le priorità e sogni cambieranno improvvisamente: importerà solo sopravvivere e salvare ciò che si ama di più.
La storia di Prey è permeata prima di tutto da un percorso di crescita del protagonista, un semplice meccanico che si ritrova invischiato in qualcosa molto più grande di lui, che non diventa un mero espediente per andare da un punto A a un punto B ma un’occasione per accettare se stessi con il fardello delle decisioni difficili da prendere. Una volta arrivati sulla nave aliena, dopo esser stati prelevati da un raggio traente, quello che ci appare davanti è qualcosa di atroce: esseri umani fatti a pezzi e ridotti in poltiglia e la paura che ci soffoca e confonde dove l’unica cosa che ci farà andare aventi sarà Jen, che dopo la morte di Enisi, diventerà il nostro faro e unico motivo per continuare a vivere. Ma la morte forse è solo il principio e qui troverà risposta attraverso un piano esistenziale diverso, profondamente legato alle tradizioni Cherokee che sembra far a pugni con quanto vediamo a schermo, ma che invece regala una delle esperienze più originali del mondo videoludico.
Nonostante le premesse e le ottime idee di fondo, però, nella seconda parte dell’avventura si assisterà a una brusca accelerazione delle vicende e a un finale, sicuramente importante e simbolico, ma che probabilmente avrebbe necessitato di un maggiore approfondimento.
Una scena che fa male è quella post-credits, nella quale si assisterà al palese incipit di quello che avrebbe dovuto essere il secondo capitolo che, come sappiamo, non ha mai visto la luce.
Come detto, un punto forte è la caratterizzazione di Tommy, ma trovano risalto anche Jen e soprattutto Enisi, ultimo legame del protagonista alle sue origini. Grazie a lui sarà possibile interagire con l’aldilà, elemento che sarà molto utile in termini di gameplay, come vedremo in seguito.

Non solo preda

Prey si presenta come un FPS senza fronzoli e diretto discendente di Doom ma, a differenza di quest’ultimo, sono state aggiunte alcune feature interessanti che rendono questo titolo almeno peculiare, mouse o pad alla mano. Sono disponibili diverse armi, tutte di natura aliena e quindi una versione fantascientifica delle tipologie che tutti conosciamo. Ogni arma ha una doppia modalità di fuoco, il che approfondisce le fasi di shooting e rende adattabili alcune strategie in base ai nemici incontrati. Capiterà, ad esempio, di utilizzare il classico fucile d’assalto per falcidiare i nemici vicini ma ecco arrivare spari da molto, molto lontano: click destro del mouse e il nostro fucile diventerà automaticamente un fucile di precisione per colpire anche dalla lunga distanza. Probabilmente oggi non gridereste al miracolo vedendo qualcosa del genere ma state certi che un’introduzione di questo tipo amplia di gran lunga le possibilità di fuoco – e quindi d’approccio – alle diverse situazioni.
Ma oltre alle sparatorie c’è di più, a cominciare dai pavimenti anti-gravitazionali che spesso cambiano completamente l’approccio alla battaglia: trovarsi a testa in giù è abbastanza straniante, soprattutto agli inizi diventa difficile non provare un po’ di mal di mare. L’utilizzo dei pavimenti anti-gravitazionali diventa però strategico, dato che dipenderà spesso da noi se utilizzarli o meno. In ogni caso saranno indispensabili per la risoluzioni di piccoli enigmi e sezioni platform che ovviamente non sono il punto centrale del titolo.
Un’altra cosa ad attirare l’attenzione è l’uso dei portali spazio-temporali, che ricordano molto quelli presenti in Portal del 2007 (addirittura gli stessi colori). Sono visivamente suggestivi perché permettono di passare repentinamente da zone del tutto aperte a corridoi e viceversa, molto spesso con differenti centri gravitazionali.
Un altro tocco innovativo è il cosiddetto sistema Anima: come detto precedentemente, Enisi sarà soprattutto una guida spirituale per il nostro protagonista, al quale verranno insegnati i fondamenti delle cultura Cherokee, come in questo caso l’interazione con un piano esistenziale differente. Alla sola pressione di un tasto, la nostra anima diventerà del tutto indipendente dal corpo (sistema ripreso alla larga da Middle Earth: Shadow of Mordor) e quindi utilizzabile per accedere ad alcuni passaggi altrimenti inaccessibili e, grazie a un arco spirituale, sarà possibile colpire i nemici favorendo una bozza di sezione stealth. Ogni colpo consumerà la barra dedicata e sarà possibile ricaricarla assorbendo l’anima dei nemici sconfitti. Il suo utilizzo dipende molto dalla situazione in cui ci troviamo poiché, una volta abbandonato il corpo, esso stesso sarà un bersaglio facile. Proprio l’anima ci permetterà di essere virtualmente immortali in quanto, ricevendo un colpo critico, saremo sbalzati in un limbo dove potremo ricaricare la salute e la barra dedicata a questo potere colpendo determinati bersagli. Proprio un simile sistema è probabilmente l’unico vero difetto di Prey: non c’è una reale sfida in quanto, dopo essere usciti dal limbo, tutto riprenderà come se nulla fosse accaduto. Si ha veramente la sensazione che la morte non abbia conseguenze, dato che i nemici sconfitti rimarranno tali e chi ha perso molta salute continuerà in quello stato. Forse in questo caso sarebbe stato più furbo fare un passo indietro e lasciare il classico sistema dei checkpoint.
Un altro collegamento al mondo spirituale è Talon, un falco che Tommy possedeva durante la sua infanzia e che qui sarà utile (e del tutto indipendente) per distrarre e attaccare i nostri nemici e a indicarci l’obiettivo.
Infine, sarà possibile utilizzare anche delle navette che ampliano ulteriormente le possibilità offerte in termini di gameplay: saranno presenti in zone prefissate, come degli spazio-porti, e serviranno soprattutto per proseguire nel corso dell’avventura.

Prey ottimo direi

Prey utilizza lo stesso motore di Doom 3 e Quake 4 ma qui ulteriormente potenziato. L‘id Tech 4 regala degli ottimi scorci, e con modelli poligonali ricchi di dettagli: personaggi, ambienti, nemici e soprattutto le armi aliene con le loro continue animazioni, portano questo titolo ai vertici della qualità grafica non solo su PC, ma anche su Xbox 360.
Una nota di merito va al comparto degli effetti speciali, davvero ottimi, soprattutto se si pensa all’anno di uscita di questo videogioco: molto spesso capiterà infatti di essere abbagliati da quanto vediamo su schermo, non solo per il buon sistema di luci, ma anche grazie al contorno di esplosioni, scintille, dissolvimento dei nemici e ancora una volta nell’uso e nella visione delle armi.
Il lato artistico mostra, invece, un po’ il fianco a eccessive somiglianze con lo stesso Doom 3, soprattutto negli ambienti, molto simili tra loro, e su alcuni nemici – ma solo alcuni – per niente ispirati. Piccole macchie in un mondo che comunque risulta credibile e in una società aliena che basa la propria tecnologia sulla biomeccanica e su alcuni espedienti puramente fantascientifici che, come abbiamo visto, oltre che funzionali, sono alche molto interessanti da vedere.
In un titolo di questo livello non può ovviamente mancare un comparto audio eccellente a cominciare dalle musiche, create da Jeremy Soule, già famoso per aver composto brani per i vari lungometraggi di Harry Potter e dei vari The Elder Scrolls. Ognuno di essi avvolge sapientemente la situazione che stiamo vivendo, dalla caotica alla più drammatica, aggiungendo quel qualcosa in più al percorso di Tommy. Anche il doppiaggio si attesta su ottimi livelli (inglese con sottotitoli) non solo riguardo i protagonisti ma anche riguardo le varie voci aliene dei nemici e dei comprimari. La qualità si vede anche da questi dettagli em se ancora non bastasse, ogni suono alieno – che siano armi, i passi sui pavimenti anti-gravitazionali e persino la semplice apertura di una porta – è stato campionato apposta, proprio in nome della credibilità citata poc’anzi.

Commento finale

Il Prey del 2006 è un agglomerato di storie tristi, non solo per la trama ricca di tragedie, ma anche per la sua realtà commerciale e di sviluppo che ha visto nella cancellazione del sequel il suo apice.
Prey appartiene a un’epoca profondamente diversa da quella odierna, un tempo dove c’era ancora spazio per qualcosa di nuovo non solo in termini di gameplay ma anche di narrativa, mischiando generi diversi magari a un primo sguardo in contrasto ma proprio per questo dando vita a un risultato originale e accattivante. Nonostante l’alta qualità raggiunta in tutti i settori, Prey fu un flop commerciale e questo non fece altro che mettere una pietra tombale sull’intero progetto che, come sappiamo, è stato ripreso in questi anni da Bethesda.
In conclusione, è davvero migliore del titolo del 2017? Probabilmente sì: la voglia di osare di Human Head Studios, il team di sviluppo originale, rende il Prey del 2006 sicuramente più memorabile. Il Prey di Bethesda è senza alcun dubbio uno dei migliori giochi che potrete giocare quest’anno, eccelle in molte cose, gli puoi voler bene ma in fondo non lo ami. Consiglio a tutti di recuperare il primo Prey, capostipite di un’epoca che di lì a poco avrebbe visto l’entrata in scena di titoli come Bioshock, Mass Effect, Gears of War, Dead Space e altri entrati di diritto nella storia dei videogame.Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10




Leak di Life is Strange 2: prologo?

Sviluppata dalla Dontnod Entertainment, Life is Strange è stata con un bel metacritic di 85 una delle avventure grafiche di maggior successo dell’ultimo periodo incentrata attorno alle vicende di Maxine Caulfield, studentessa che scopre di possedere l’abilità di riavvolgere il tempo.
Dagli screenshots emersi su Imgur vien da pensare alla possibilità che si tratti di un prequel (questa volta sviluppato da Deck Nine) del quale il personaggio principale sarebbe Chloe Price e che ci racconterebbe come Chloe e Rachel Amber siano diventate amiche dopo che Maxine (finora migliore amica di Chloe Price appunto) partì senza dare più notizie alla volta di Seattle.

https://imgur.com/a/0UGL0

Changing ChloeLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksQuesti gli screenshots. Vi lascio sperando di avere nuove informazioni al più presto magari proprio durante l’E3.

Life is Strange – Prequel Leaks




The Surge – Attenzione, Il Potenziale C’è! Al Prossimo Giro Però

Dopo Lords of The Fallen, The Surge è da considerarsi come il titolo di maturità per Deck 13. Nonostante l’evidente richiamo al titolo originale, questo soulslike si distacca abbastanza da avere una propria identità, anche se non tutto va nel verso giusto.

In un mare di ruggine

In un futuro prossimo il mondo è in pericolo: riscaldamento globale, cambiamenti climatici, crisi finanziaria e altri fatti poco piacevoli, rendono C.R.E.O. Industries l’unica in grado a mettere una pezza a quanto sta accadendo. Tutto parte dai suoi Esoscheletri, non solo in grado di migliorare le abilità umane ma anche di rimettere in piedi gli infermi, come il nostro protagonista, Warren. Il progetto per salvare il mondo ha inizio ma, già al nostro risveglio, capiamo che non tutto è andato nel verso giusto.
Già a partire dall’incipit si può intuire come la trama non sia il punto forte del titolo: i richiami ad altri film e videogiochi di fantascienza sono palesi, ma sono aggrovigliati in modo da non intrattenere il giocatore, al punto che, passata qualche ora, potrebbe non importarvi più di raccogliere gli audiolog in giro per la mappa per conoscere ulteriori dettagli sulla storia. Anche i personaggi di certo non aiutano: Warren, il nostro protagonista, nonostante si trovi fin da subito invischiato in una situazione fuori controllo, con zombie armati di esoscheletri pronti a ucciderlo in qualunque momento, appare assolutamente avulso da quanto stia accadendo, come se stesse partecipando forzatamente alla trama. I comprimari sono addirittura peggio sceneggiati, e anche sulla storia di questi pare si sia fatto abbastanza per mantener vivo il disinteresse: non pare rilevante il perché si trovino lì e, nonostante i dialoghi a scelta multipla, non sembrano aver nulla da dire, a parte consegnare alcuni incarichi secondari che, se completati con successo, porteranno il nostro inventario ad arricchirsi.
Si ha come la sensazione che molte cose siano soltanto abbozzate: ad esempio, potremmo attaccare dei npc pacifici o delle guardie non ostili, che ovviamente risponderanno come si deve ma, dopo il reset del gioco, dopo una morte o dopo essere entrati nel MadBay, l’hub centrale, tutto tornerà come prima, come se nulla fosse successo. Quindi niente sistema di reputazione, il che ci permette di fare ciò che vogliamo senza conseguenze. Anche riguardo il MadBay ci sono buchi di sceneggiatura non da poco: cos’è? Perché quando ci entriamo tutto il mondo di gioco si resetta? Perché respawniamo lì? Domande a cui non troveremo risposta: quest’hub sembra essere presente semplicemente “perché deve essere così”, senza nessuna contestualizzazione nella trama o nella lore.
È un vero peccato, perché bastava davvero poco a creare una storia che legasse in qualche modo il nostro peregrinare da una zona all’altra del mondo di gioco. Il paradosso è che The Surge finisce proprio quando le cose cominciano veramente a farsi interessanti.

1000 modi per morire

Fortunatamente i pregi sono altri e diciamolo subito: The Surge è un gioco cattivo, tanto.
Rispetto al titolo From Software, ogni nemico base può farvi molto ma molto male, a tal punto che ogni combattimento diventa una vera sfida. È proprio questa la parte più riuscita del titolo: ogni scontro ha qualcosa da dire e bisognerà essere molto tattici se si vuole sopravvivere. Tutto è all’insegna della familiarità nei colpi, tra leggeri e pesanti, la schivata simil Bloodborne, eccezion fatta per la parata, la cui posa non consente al personaggio di muoversi e che, a colpo ricevuto, consumerà una delle tre barre presenti, quella della stamina; la barra della salute e la barra dell’energia completano il quadro, dove quest’ultima può essere impiegata, una volta raggiunta una certa carica, per eseguire colpi finali, ricaricare la salute con appositi iniettabili e potenziare gli attacchi del Drone, che sarà una risorsa utile non solo come aiuto offensivo ma anche per aprire alcune porte altrimenti inaccessibili. È possibile anche potenziarlo lungo il corso dell’avventura e sceglierne il tipo d’attacco una volta selezionato il bersaglio. La sua utilità diventa fondamentale qualora ci si ritrovi davanti un gruppo di nemici; grazie al drone potremo colpirli e attirarli singolarmente, sfruttando la basilare IA dei nemici. Proprio il sistema di targeting si presenta innovativo: è possibile distinguere e selezionare i diversi punti da colpire, tra arti, testa e corpo colpendo solo quel singolo punto. Diventa importante studiare un minimo l’avversario, capire se ci sono parti non ricoperte dall’armatura e quindi vulnerabili oppure, al contrario, selezionare una parte dell’equipaggiamento, danneggiarla e, attraverso un colpo finale, ricevere un loot. I cadaveri li rilasciano abbastanza spesso e sarà possibile visionarli ancor prima di raccoglierli. Ogni nemico rilascia rottami da utilizzare per potenziare la batteria nucleare, le armi e le armature e addirittura crearle, ma solo se abbiamo a disposizione gli schemi ingegneristici. Oltre ai rottami, per poter costruire servono determinati oggetti: ogni pezzo d’equipaggiamento utilizzato consuma una certa quantità di energia quindi è essenziale potenziare la batteria nucleare per poterne utilizzare uno migliore. A livello estetico, l’equipment in sé non è personalizzabile, soprattutto durante i potenziamenti, essendone modificabili solo le caratteristiche.
Sono presenti anche dei perks attivi e passivi: quelli attivi, chiamati iniettabili, permettono soprattutto di ricaricare la salute o, per esempio, di potenziare gli attacchi, mentre quelli passivi possono aumentare le nostre statistiche ma, ogni qualvolta inseriti nel nostro equipaggiamento, consumeranno anch’essi l’energia della batteria.
Come nei Souls si perderanno tutti gli scarti tecnologici in nostro possesso in caso di morte e, ovviamente, anche qui sarà possibile recuperarli, ma con sostanziali differenze: abbiamo un tempo limite, dopodiché gli scarti verranno persi del tutto. Per aumentare il tempo a disposizione basta eliminare qualche nemico che si interpone tra noi e i nostri scarti.
Insomma, come potete aver capito è un titolo complesso e che migliora piccoli aspetti dei classici soulslike, a cominciare dalla possibilità di mettere in pausa il gioco, ed è fornito di menu molto chiari e intuitivi fino agli scontri con i boss. Anche i boss infatti regalano quel qualcosa in più a livello di gameplay e bisognerà studiarli con attenzione, abbastanza da rimanere uccisi diverse volte prima di sconfiggerli. A dir la verità i pattern d’attacco non sono molti ma il sapere che ogni colpo potrà eliminarvi senza pietà non rende più facile conoscerli. Tutti hanno un punto debole ma non sarà visibile immediatamente e, a differenza di altre boss fight, qui non è importante solo quando colpire, ma anche dove. Nonostante ciò, i boss si presenteranno solo come grossi ostacoli da superare. Non c’è emozione nell’affrontarli, nessun brivido particolare, manca quel “non so che” perché un titolo di questa categoria possa fare il salto di qualità.
Anche le mappe, in qualche modo, hanno qualcosa da dire nel bene e nel male: abbastanza grandi e articolate, con tanti passaggi di collegamento e le classiche scorciatoie tra il nostro hub e alcune zone d’interesse, necessitano di un’attenta esplorazione, in quanto è possibile trovare oggetti rari o nuove aree che non pensavamo esistessero. Una caratteristica fondamentale è che alcuni accessi saranno disponibili solo quando il nostro personaggio sarà a un livello tale da potervi accedere e, di conseguenza, spostarsi tra le varie mappe liberamente, in stile Dead Space. Ma anche qui, per ogni Yang esiste anche un Yin corrispettivo: la grandezza e l’articolatezza delle mappe porta a una certa dispersività, disorientando il giocatore e diventando non di rado frustrante, specie a causa della grande somiglianza fra molti ambienti che spesso mancano di elementi distintivi.

Déjà vu

Sul piano tecnico, il gioco si presenta abbastanza bene, con modelli poligonali per i personaggi più che buoni, come del resto gli oggetti equipaggiabili e gli oggetti di scena, e buoni filtri che regalano all’occhio una pulizia generale niente male; meno felici le texture, di qualità altalenante. Trovano risalto anche l’utilizzo degli effetti speciali, bellissimi da vedere soprattutto in aperto combattimento che lo trasformano in un balletto coreografico pieno di luci, scintille e onde d’urto.
Le poche cutscene sono ben realizzate anche se con qualche calo di frame di tanto in tanto mentre le parti giocate rimangono fluide, ancorate ai 60fps anche nei momenti più concitati. Sono previsti diversi setup grafici che rendono il gioco adattabile a tutte le macchine.
Purtroppo, il lato a colpire meno è proprio la realizzazione artistica: per quanto si sia cercato di dare un’identità visiva al titolo, non si può fare a meno di notare eccessive somiglianze con quanto visto in altri titoli – cinematografici e non – tanto da perdere interesse per i dettagli, che sono anche tanti ma che non invogliano a soffermarsi. Tutto sa già visto, soprattutto per via delle Exosuit, e non ci sono scorci mozzafiato e memorabili come nei titoli FromSoftware.
Fortunatamente il comparto audio rialza un po’ l’asticella con ottimi effetti sonori, dai singoli colpi fino ai vari suoni dei mezzi meccanici sparsi per tutta la mappa. Tutto è stato riprodotto con qualità e attenzione al dettaglio.
Anche la musica trova nel suo utilizzo, o meglio nel suo non utilizzo, una scelta azzeccata in quanto la maggior parte delle volte saremo circondati solo dai rumori ambientali che aumentano in maniera drastica l’immedesimazione di trovarsi in una landa distrutta, desolata e ostile.
Il doppiaggio, inglese, è probabilmente la cosa che colpisce meno nella parte sonora: non c’è enfasi, come se si sia fatto il proprio e basta. Ricordo che ci troviamo in una base distrutta, tossica, con macchine assassine eppure, a detta dei personaggi, sembra di trovarsi all’interno di una libreria il giovedì pomeriggio.

Commento finale

The Surge è a conti fatti un titolo riuscito a metà: se, da un lato, l’idea di portare un soulslike nel mondo della fantascienza è ottima, allontanando l’ombra di Dark Souls, dall’altro il gioco risulta povero di idee, e quelle che ci sono a volte sono poco approfondite. Se i combattimenti posso essere definiti buoni tutto il resto è segnato dal compromesso, non solo narrativo ma anche artistico portando questo titolo nel limbo dei giochi di cui non si avrà memoria. Il titolo ha paradossalmente una sua identità, è subito riconoscibile, ma nonostante ciò riesce a risultare al contempo anonimo. Le potenzialità ci sono tutte e magari in un secondo capitolo, dove si sarà ascoltato il parere della critica, troveremo un vero rivale dei titoli FromSoftware.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10




Assetto Corsa: Ready to Race (DLC) – Soldi Spesi Bene, Molto Bene

Sono ormai diversi i DLC e gli aggiornamenti rilasciati finora per Assetto Corsa. Il simulatore di guida italiano, apprezzato da critica e pubblico, è stato in costante evoluzione soprattutto grazie al parere dei fan, diventando un titolo finalmente maturo (almeno nella parte guidata).
Ready to Race è solo l’ultimo dei tanti contenuti aggiuntivi e, proprio come i Porsche Pack, contiene solo nuove auto, spaziando dalle track-car ai mostri protagonisti del WEC e di Le Mans.
Varranno la cifra richiesta?

Dalla strada alla pista

Partendo dalle stradali, la prima vettura a essere ammirata è la Toyota Celica ST185, divenuta famosa per aver vinto ben cinque campionati del mondo rally tra il 1992 e il 1994, tra mondiale piloti e costruttori. Dalla sua apparizione, il nome Celica è stato sempre un marchio distintivo per Toyota, vantando tecnologie all’avanguardia come un avanzato sistema a quattro ruote sterzanti ed essendo la prima al mondo ad avere una trazione integrale a due varianti. La vettura è estremamente reattiva ai cambi di direzione e vigorosa nell’accelerazione, e il modello è perfettamente ricreato, regalando la sensazione di stare al volante di una vettura che ha fatto la storia dei rally. È molto facile ritrovarsi in sottosterzo, per cui bisogna dosare bene il gas in entrata in curva, cosa che la rende di difficile approccio per i neofiti.
Se la Celica può ancora essere considerata una vettura mansueta, la McLaren 570S è invece una vera belva: 570 CV, 1300 Kg di peso, o-100 in 3,2 secondi. Il nuovo corso McLaren comincia da lei, a cominciare dal nuovo design e dalle nuove doti telaistiche che la differenziano molto dalla sua antesignana, ovvero la Mclaren MP4-12C.
Rispetto a quest’ultima, infatti, la 570S è molto più reattiva, più brutale in accelerazione e in frenata; si avverte subito anche la sua leggerezza nei rapidi trasferimenti di carico, il che rende questa vettura una degna rivale della Ferrari 488 GT-B.
La Mclaren P1 GTR invece è la vera punta di diamante della casa britannica: è una versione elaborata della P1 ma da usare esclusivamente in pista in quanto non rispetta nessun regolamento del codice della strada, e soprattutto nessun regolamento sportivo. La potenza incrementata a 1000 CV e un peso ridotto di 50 Kg rispetto alla versione standard, rendono questa vettura spaventosa, basta davvero un piccolo tocco d’acceleratore per ritrovarsi molto più lontano dal punto da cui si era partiti. È probabilmente la vettura più difficile da portare al limite del DLC in quanto è ben di più di una semplice hypercar e, paradossalmente, anche di una vettura da gara; anche usare il sistema DRS può diventare pericoloso, e basta una minima oscillazione di troppo per finire fuoristrada, specie quando ci mette del suo l’algoritmo del vento – di cui parlerò in seguito – introdotto nel DLC.
La vettura è comunque splendida, con ogni dettaglio perfettamente ben reso a cominciare dagli interni, ricchi di fibra di carbonio, tasti e schermi LCD. Peccato solo per le texture delle livree, a bassa risoluzione e in verità un po’ bruttine a vedersi, ma questa è purtroppo ormai una consuetudine per le vetture Kunos.
Dopo questa super dose di adrenalina torniamo alla normalità (si fa per dire) con la Lotus 3-eleven, vettura intrisa dello spirito di Colin Chapman, fondatore di Lotus, che ha sempre lavorato per avere le auto migliori al mondo, macchine dal basso peso ma dalla grande potenza. È la vettura più divertente di questo add-on e sembra di trovarsi alla guida di uno sciame d’api: l’auto non sta mai ferma ed entra in curva con la sola forza del pensiero. Anche qui il modello è ben ricreato ma un po’ sporcato da aliasing intorno alle prese d’aria e sullo spoiler posteriore mentre gli interni sono perfetti. Provate a usare questa vettura al Nordschleife: non ve ne pentirete.

Solo in pista

Sono tante le Audi presenti in questo DLC, cominciando dalle TT, presenti in due versioni: VLN e Cup. La prima è nata su richiesta dei clienti che volevano avere l’opportunità di guidare in gara una vettura dei Quattro Anelli. Il risultato è appunto la TT RS VLN: sostanziali modifiche aerodinamiche, motore potenziato e tante altre modifiche hanno trasformato una tranquilla coupé in una vettura da corsa vera e propria. Sorprendentemente è molto divertente, soprattutto se si gareggia con vetture della stessa categoria. Il suono del motore è qualcosa di oscenamente bello, vigoroso, potente e, se avete delle ottime cuffie, difficilmente vi staccherete da questa vettura.
Come approccio è abbastanza permissiva, non si scompone facilmente e questo spiega il perché sia così adatta ai classici piloti della domenica.
La TT Cup, invece, si basa sull’ultima versione della coupé tedesca: anche qui la vettura ha subìto un drastico miglioramento grazie all’utilizzo smodato di fibra di carbonio e al re-design della carrozzeria. Le differenze con la versione VLN sono evidenti, a cominciare dalla maggiore potenza e dal sempre presente sibilo del turbo e del classico suono della valvola Wastegate. Nonostante la maggiore esuberanza del motore sembra comunque abbastanza pigra, forse dovuto ad un rapporto peso/potenza mal ottimizzato.
Ben di tutt’altra pasta è la R8 LMS, che rispetta le nuove norme del GT3, il campionato turismo riservato alle supercar. La R8 è una delle vetture migliori del campionato e forse la migliore GT3 presente su Assetto Corsa. Il modello è eccezionale: ogni piccolo elemento aerodinamico è perfettamente riprodotto così come dettagli dei fari e soprattutto degli interni. Il V10 di derivazione Lamborghini si fa sentire parecchio e le sue doti dinamiche rendono la R8 almeno una spanna superiore alle concorrenti.
Poi, è un sogno è trovarsi al volante della Maserati MC12. Costruita appositamente per partecipare all’ormai defunto campionato FIA GT, la MC12 presenta, nei suoi 5 metri e 14 centimetri, tutta la purezza e la maestosità di un marchio che ha fatto la storia delle corse. Dotata di motore ereditato dal V12 della Ferrari Enzo, che consta di 630 CV e cambio costruito da Maserati stessa, è una vettura indubbiamente vincente, e questo DNA è ben impresso anche all’interno dell’abitacolo che non sembra per nulla quello di una vettura da corsa: alcantara ovunque e ogni dettaglio è costruito con classe, niente di abbozzato, nemmeno le saldature. Anche all’esterno la MC12 appare diversa da tutte le altre per via di una maggiore eleganza nelle linee, che ricordano vetture d’altri tempi, al cui si aggiunge il suono del motore accompagnato da piccoli cigolii che come in un orchestra ci accompagnano durante il nostro giro in pista. L’importante non è il tempo sul giro, ma come lo si vive.

La classe Regina

Ultime, ma non per importanza, le vetture LMP1 protagoniste degli ultimi anni assieme alla Porsche 919 rilasciata con i Porsche Pack.
Con i cambiamenti regolamentari del 2014, l’Audi aggiorna la sua R18 e-Tron Quattro, aumentando cilindrata, migliorando aerodinamica e telaio e scegliendo un solo motore elettrico, invece dei due usati dalla concorrenza. Proprio questa vettura segnerà l’ultima vittoria per Audi Sport alla 24 Ore di Le Mans. Purtroppo in-game c’è da segnalare una mal gestione dei giri motore nel caso in cui, superati i 5.500 giri/minuto, la power-unit (unione di motore termico e motore elettrico) comincia a danneggiarsi al punto che difficilmente si riesce a terminare un giro senza ritirarsi. Ci aspettiamo un fix nei prossimi giorni, dato che al momento è molto difficile godersi questa vettura. A parte questo, risalta subito all’occhio la differenza tra questa e le concorrenti: il suo motore diesel ha talmente tanta coppia che potrebbe stracciare le texture dell’asfalto, ma farete fatica a sentirlo dato che sarete riempiti dai vari sibili del motore elettrico e dal sistema K.E.R.S., adibito al recupero dell’energia cinetica per ricaricare le batterie. Il modello dell’Audi R18 è uno dei più difficili da realizzare: non ci sono superfici piane e tutta la carrozzeria è un groviglio di canali e appendici atte a generare la deportanza, necessaria a tenere incollata a terra questa vettura. Inutile dire che anche l’abitacolo è sublime, con il risaltare dei numerosi sistemi elettronici presenti al suo interno.
Anche Toyota ha modificato la sua TS040, con risultati abbastanza deludenti, ma almeno, a differenza dell’Audi, non ha problemi a essere strapazzata in pista: il suo motore a benzina rende, infatti, questa vettura completamente diversa dalla pari livello tedesca, presentandosi più nervosa e tendente al sovrasterzo. Ci si ritroverà spesso al bloccaggio delle ruote anteriori facendo della TS040 la vettura più difficile da portare al limite assieme alla P1 GTR. Le LMP1, quindi anche la Porsche 919, sono vetture estremamente sensibili ai cambiamenti di temperatura, turbolenze aerodinamiche e come vedremo tra poco, alla forza e alla direzione del vento.

L’aggiornamento 1.14

Come sempre arriva anche un corposo aggiornamento (gratuito) per Assetto Corsa: la versione 1.14 porta, infatti, oltre ai soliti fix per le vetture e aggiornamenti di dati statistici, alcune novità interessanti in termini di intelligenza artificiale, la quale affronterà in maniera diversa le traiettorie in pista e modificherà l’incidenza degli spoiler in maniera indipendente, da vettura a vettura. Questo è un grande passo avanti e porta le gare in singolo a un maggiore livello di realismo e imprevedibilità. Grazie a questo update si vedranno, infatti, delle vere e proprie battaglie e soprattutto più errori come fuoripista o bloccaggio delle ruote in frenata: ognuno pensa a sé e ognuno cerca in tutti i modi di sopravanzare l’altro.
Come ripetuto più volte nel corso di questo articolo, è l’algoritmo del vento la vera novità, che potrà sembrare una cosa di poco conto, ma che invece può influenzare il comportamento della vettura in pista anche in maniera drastica. Si sente soprattutto nelle vetture LMP1, dove l’enorme vela di collegamento tra abitacolo e spoiler posteriore crea un vero e proprio spostamento della vettura in direzione del vento. Bisogna stare attenti sia in aperto rettilineo che in frenata da questo punto di vista.
Infine, sono stati apportati diversi cambiamenti per la gestione della zavorra nei campionati e nel multiplayer e aggiornamento dei nuovi pneumatici V10 per quasi tutte le vetture.

Commento finale

Il DLC Ready to Race porta tra le nostre mani vetture completamente diverse tra loro ma capaci ognuna di regalare qualcosa, un’emozione unica magari conferita dallo sfarfallio della turbina dell’Audi TT VLN o dalla cattiveria pura – quasi “ansiogena” – della McLaren P1 GTR. Tutte le vetture sono sublimi, ottimamente realizzate e, considerando il prezzo di 7,99 € a cui viene venduto il DLC, anche a buon mercato. Assolutamente consigliato a tutti gli amanti della guida e di Assetto Corsa.