Not for the players: Sony e la tutela dell’utente

Analizzando case study riguardanti grandi aziende come Amazon salterà subito all’occhio anche ai meno esperti di pianificazione strategica come uno dei fattori di successo del colosso di Bezos sia la “customer experience”. Locuzioni quali “customer care” o “focus on the customer” lasciano bene intendere quanto l’attenzione, la tutela e il supporto del cliente siano considerati condizioni essenziali per mantenere certe aziende ai vertici del mercato. Questa “customer obsession” — come la chiamano dalle parti di Seattle — ha portato il re dell’e-commerce occidentale a più di 76 milioni di account registrati, a quasi 1 milione e mezzo di venditori attivi nel proprio marketplace e a un fatturato annuo che si aggira attorno ai 60 miliardi di dollari. Se si considera che l’ACSI (American Customer Satisfaction Index, che misura il grado di soddisfazione dei clienti di un’azienda negli Stati Uniti) ha rilevato nei confronti di Amazon il livello di gradimento più alto di sempre, certi numeri di mercato in continua crescita non possono stupire.
Come insegna la teoria economica di base, i comportamenti efficienti di alcune aziende influenzano i competitor, ma Amazon ha determinato un “culture change” anche al di fuori del proprio mercato, inducendo molti produttori e fornitori di servizi a un aumento del grado di attenzione verso il cliente, e alzando al contempo le aspettative di protezione da parte dei consumatori, i quali in certi casi possono permettersi di riporre, in termini di tutela dei propri acquisti,  una fiducia tale da non temere conseguenze negative e tentare l’acquisto anche in presenza di probabili truffe online ai propri danni − seguendo il semplice principio del “tentar non nuoce” −  nelle quali, senza servizi come Paypal, avrebbero perso irrimediabilmente il proprio denaro.
L’assistenza al cliente, che si traduce soprattutto in una garanzia di transazioni sicure e in un efficace e pronto rimedio ai problemi conseguenti all’acquisto, è un parametro non da poco nell’orientamento della scelta di un consumatore. Perché, come i veri amici, anche l’affidabilità di un’azienda si vede nel momento del bisogno.
Per questo chiunque abbia avuto la sventura di perdere o di vedersi sottratto un prodotto Apple, ha provato un sollievo non da poco nel poter andare sul proprio iCloud e bloccarlo in remoto, e questo è uno dei fattori che hanno contribuito − numeri alla mano − a livelli altissimi di customer satisfaction e di customer loyalty  in favore dell’azienda di Cupertino.

Lo stesso sollievo che ho provato io qualche mese fa quando, appena subito un furto, ho avuto la possibilità di bloccare in remoto e in totale autonomia il mio MacBook Air e un vecchio iPhone 4S direttamente dalla sala d’attesa della stazione di Polizia. Possibilità non prevista per la PS4 Pro che figurava tra la merce rubata: in quel caso mi sono limitato a cambiare la password dal mio account PSN e a disconnettere il dispositivo a esso collegato. Non sono un tipo che demorde però e, facendo ulteriori ricerche, leggo su vari thread del forum Playstation che sarebbe possibile richiedere blocco e localizzazione della console al centro assistenza Sony: mi pare una scelta giusta e sensata e decido dunque di aspettare l’indomani per chiamare l’Assistenza Clienti.
Il mattino seguente alla denuncia (che ho sporto in tarda serata) chiamo e chiedo di bloccare la mia PS4 (della quale nel frattempo avevo recuperato i numeri seriali sulla scatola); la signorina del call center mi spiega (piuttosto sgarbatamente) che è necessario che la polizia chiami l’assistenza Sony, alla quale loro stessi avrebbero indicato un numero di telefono ad hoc con un team dedicato a queste situazioni. Resto un attimo basito. Riprendo fiato e domando: «Quindi deve contattarvi telefonicamente la polizia? Ne è sicura?». Lei si dice sicurissima, «è la prassi».
Mi pare assurda la sola idea che la polizia debba alzare il telefono per chiamare l’assistenza Clienti Sony, ma non mi vengono date alternative e non mi resta che provare. Torno in Questura con i seriali della console, sporgo una denuncia integrativa e spiego all’agente quel che mi è stato detto dall’assistenza. Lui mi guarda come se gli avessi appena riferito di aver visto un’orda di Coboldi in piazza Duomo o l’Enterprise sopra lo stadio di San Siro, e mi dice di non aver mai sentito nulla di simile. Gli rispondo che lo so, che pare assurdo anche a me, ma è quel che mi hanno detto e gli chiedo la cortesia di provarci, perché non mi hanno dato alternative. L’agente una persona gentile, si rende disponibile a parlare con chicchessia e mi domanda di chiamare io stesso l’assistenza e passargli l’operatore. Dentro me penso sarebbe meglio una chiamata dalla sede della Questura, cosicché Sony possa magari verificare che sia effettivamente la polizia a chiamare, ma faccio come mi dice lui, al limite ce lo diranno loro e rifaremo la chiamata, penso ancora.
Risponde un’altra signorina: spiego anche a lei la situazione e mi dice di attendere un attimo in linea, per informarsi riguardo la procedura della quale non è a conoscenza.
Dopo circa un minuto di attesa, la stessa signorina mi dice di essersi informata, la procedura è chiarissima: la polizia deve inviare una PEC (!!!) con copia della denuncia e una richiesta di blocco della console alla mail assistenza@playstation.it (alla linea telefonica ad hoc e del team dedicato che immaginavo già come una sorta di intelligence nascosta negli scantinati della sede di Sony, con tanto di Fox Mulder a scartabellare fra cataste di vecchie PSX e EyeToy impolverati, nessun riferimento). Resto un attimo zitto, dentro me sono ancora più basito (F4! F4! F4!): riferisco tutto all’agente che attende paziente di fronte a me. Questi giustamente strabuzza gli occhi, mi guarda con gli occhi che deve aver avuto il generale Zieten quando gli dissero che l’Austria aveva dichiarato guerra alla Prussia: mi dice di passargli la signorina, alla quale chiede conto della situazione.
La ragazza deve avergli ripetuto quanto mi aveva già detto e lui prova a spiegarle che la Polizia è autorizzata a fare uso della propria PEC soltanto per rapporti con enti pubblici e amministrazioni, che gli agenti non possono utilizzarla ad libitum, che per una richiesta di blocco di una console non hanno mai avuto istruzioni specifiche (“e ci mancherebbe”, penso io, e pare pensarlo anche lui). Aggiunge con logica elementare che comunque la denuncia è un atto pubblico, protocollato, che rilasciato al denunciante fa fede per sé, che anche nei casi di furto d’auto il denunciante per prassi porta il documento autonomamente alla compagnia assicurativa senza che questa abbia bisogno di un riscontro ufficiale dal corpo di polizia. La signorina spiega che questa è la procedura e che lei non può farci nulla.

L’agente chiude la telefonata e mi guarda sbigottito: condivido il suo stupore, mi dice che per lui è una situazione senza precedenti. Concordo, ovviamente, e aggiungo che in questa maniera un’azienda crea un danno al proprio utente, rendendogli seriamente difficile la procedura, nonostante tutta la buona volontà. L’agente è comunque una persona paziente e disponibile, mi dice che ne parlerà al suo superiore per sapere se è possibile inviare una simile PEC, e mi invita a chiamare il mattino seguente. Lo ringrazio e vado via.
L’indomani chiamo la Questura a metà mattinata e chiedo di parlare con l’agente che aveva redatto il mio verbale: me lo passano, lui mi dice di trovarsi con l’ispettore, al quale aveva esposto il mio caso. Mi passa l’ispettore, il quale mi dice di non aver mai sentito di una situazione simile: mi spiega che loro non possono assolutamente avanzare una richiesta di blocco di una console a un’azienda privata, perché le loro procedure in tal senso sono abbastanza rigide e la PEC risulterebbe ingiustificata, al di fuori delle loro mansioni, a meno che il privato in questione non dimostri loro che il Ministero dell’Interno, in virtù di un accordo con Sony, autorizza la polizia a mettere in atto una simile procedura. «Altrimenti quanto richiedono resta un loro regolamento interno, che hanno stabilito in completa autonomia senza porsi il problema della fattibilità», mi dice.
Conclude dicendomi in ogni caso di provare a inviare autonomamente la mail con la mia PEC personale − per noi iscritti all’ordine dei giornalisti è obbligatoria, per fortuna − di allegare le denunce e di invitarli a contattare la Polizia loro stessi per un riscontro, se non gli bastasse un atto ufficiale: di fronte a una richiesta di Sony, avrebbero tranquillamente potuto dar conferma della veridicità della denuncia, ma agire in autonomia no, una telefonata erano pure disposti a farla in mia presenza, ma la PEC è un mezzo ufficiale, avrebbero dovuto giustificarne l’uso, e una richiesta di blocco non ha nemmeno finalità d’indagine.

Mi lancio in un ultimo tentativo, un’ultima chiamata a Sony: questa volta mi risponde un ragazzo a cui riassumo l’intera vicenda. Lui mi ascolta ma non sa che dirmi. È quasi mortificato per la situazione, mi dice di non poter farci nulla, e mi offre la possibilità di inserire la 2-step verification («Già fatto», dico) o di disattivare la PS4 principale: «Già fatto anche questo», dico. Sta zitto un attimo e mi risponde che, oltre questo, lui non ha altre possibilità, e la sua voce è davvero dispiaciuta. Mi lascio andare in uno sfogo estemporaneo contro Sony, sottolineando come in questo modo l’azienda rende impossibile la procedura, arrecando di fatto un danno all’utente e permettendo al contempo il traffico di console rubate: la mia PS4 dovrà prima o poi essere connessa a internet dal prossimo che vorrà utilizzarla, Sony ha la possibilità di tracciarla e bloccarla. Non prendendo alcuna contromisura, nessuno può avere alcun deterrente a comprarla rubata piuttosto che in un negozio. Lui ascolta, poi farfuglia qualcosa ribadendo quel che lui poteva fare per aiutarmi: capisco bene che non può parlar male dell’azienda per la quale lavora, specie durante una chiamata registrata, e gli dico che lo so, quasi mi scuso per lo sfogo, gli preciso di non avercela con lui che sta solo facendo il suo lavoro, ma che è la persona più vicina a Sony che mi ritrovo al momento, che sono reduce da un’esperienza che comunque non è stata piacevole per me e che da due giorni provo a bloccare la mia console a distanza (non ne avrò alcun vantaggio, ok, ma mi consola in parte il pensiero di rendere ai ladri le cose meno facili). Spero possa far presenti le mie lamentele e il disagio arrecatomi (cosa di cui dubito), lo ringrazio e chiudo.

Ho inviato le denunce e la richiesta di blocco via PEC, ma non ho avuto alcun riscontro, neanche negativo: Sony in questo caso ha non solo arrecato disagio a un utente, impendendogli di bloccare una console che ha regolarmente acquistato e mettendola nella disponibilità di un terzo che usufruirà del suo sistema, ma ha danneggiato in qualche modo se stessa, favorendo un mercato nero che non trova deterrenti né timori sul piano delle conseguenze (mentre, a quanto mi dicevano in Polizia, di prodotti Apple grazie ai servizi disponibili via iCloud se ne ritrovano non pochi).
Una delle distorsioni più grosse del mondo videoludico odierno, sostengo da tempo, sono i giochi in esclusiva, perché è su quello che si gioca la partita fra i pochi grandi operatori presenti sul mercato: la scarsa concorrenza in un mercato che vedo solo tre produttori di console, di cui uno (Nintendo) pare giocare una partita trasversale e un’altro che ha fatto numerosi errori in questa generazione, portano a grandi inefficienze in termini di servizi, e fra queste probabilmente anche quella di cui ho raccontato, portando Sony a non sentire un’adeguata assistenza al cliente come necessaria. Gli utenti PS4 se li è già accaparrati grazie ad altre mosse, di cui le esclusive costituiscono un tassello importante, e forse non conta molto altro. Ma Sony fa da anni suo il motto “For the players“, frase con la quale vuole chiaramente far passare il proprio impegno, la propria dedizione nei confronti dei propri utenti. Esempi di customer service come quello appena illustrato mostrano al contrario un ampio disinteresse nei confronti di problematiche degli utenti che vadano oltre la perdita dell’account: su quello sono molto solerti, ma è abbastanza? La risposta la darà al solito il mercato: come l’esperienza Amazon insegna, se un’azienda comincerà a dare di più in questi termini, l’ago della bilancia potrebbe sforzarsi a favore di chi tutela maggiormente l’utente, di chi, fra le aziende, si mostri davvero più “for the players”.




Dusty Rooms: il viaggio di Link in Majora’s Mask

The Legend of Zelda è una saga che certamente non ha bisogno di presentazioni. È difficile trattare questi titoli nell’ambito del retrogaming in quanto ognuno di esso, che sia uscito negli anni ’90, nella scorsa decade o per una console portatile, è sempre così attuale da poter essere giocato in ogni era videoludica, risultando quasi sempre al passo coi tempi (ne sono esempi i numerosi remake usciti per Nintendo 3DS e Wii U). Oggi entreremo nel profondo di uno dei titoli più strani della saga, un titolo molto discusso e, a oggi, ancora fra acclamazioni e stroncamenti. The Legend of Zelda: Majora’s Mask fu un titolo che, come al solito, riscosse un gran successo commerciale ma lasciò ai fan una certa angoscia, un retrogusto amaro che, in realtà, non è facile da descrivere. Frase molto comune, fra i più appassionati, è: “Majora’s Mask è uno dei titoli più cupi della saga di Zelda“. Ma perché? Cosa c’è dietro agli scenari bizzarri, agli artwork ombrosi e alle tristi storie di Majora’s Mask? Diamo uno sguardo alle tematiche che abbracciano questo spettacolare gioco per Nintendo 64, rilasciato non molti anni fa per 3DS con una nuova veste grafica. Ovviamente, se non avete ancora giocato a questo titolo ma avete comunque intenzione di farlo, vi sconsigliamo di leggere questo articolo e perciò preferiamo lanciare un allarme spoiler.

Le fasi del lutto di Kübler-Ross

Come ogni capitolo prima di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Majora’s Mask ha una storia lineare e ci viene rivelata visitando i luoghi prestabiliti e i loro dungeon. In molti si lamentano del fatto che questo titolo è molto corto in quanto presenta solamente quattro dungeon e un hubworld. È possibile, tuttavia, riconoscere in questi cinque luoghi le altrettante fasi del lutto di Kübler-Ross, psicologa americana che ha studiato a fondo i fenomeni psicologici che avvengono prima della morte. Vediamoli insieme seguendo l’avventura di Link:

  • Negazione: la nostra avventura comincia a Clock Town, un borgo la cui luna ci si sta per schiantare. Nonostante questo grosso problema, nessuno sembra darci peso, appunto, sembrano negare che la luna stia per abbattersi sulla loro città: gli abitanti vivono nella più normale tranquillità, tanto è vero che la città è in fermento per il carnevale che comincerà fra tre giorni, tempo in cui la città verrà spazzata via. Per farvi un esempio, nell’ufficio del sindaco, il capocarpentiere Muto reputa dei codardi quelli che intendono fermare il carnevale per via della caduta della luna e il maestro di arti marziali del distretto est arriva persino a dirci che al terzo giorno taglierà in due la luna con la sua spada.
  • Rabbia: la nostra prima incursione al di fuori di Clock Town è alla palude a sud, zona della tribù dei Deku. Qui il capo tribù sta per giustiziare una scimmietta ritenuta responsabile per la scomparsa della principessa Deku nonostante la sua provata innocenza; il loro capo è semplicemente arrabbiato perché, non sapendo come reagire perde il controllo prendendosela con chi gli capita a tiro.
  • Patteggiamento: nel territorio a nord, lo spirito del goron Darmani prega Link affinché lo possa far tornare in vita per poter aiutare il suo villaggio. Tuttavia, l’unica cosa che il nostro eroe è in grado di fare è alleviare il suo dolore con la canzone della cura (no… Non quella di Franco Battiato!) e far vivere il suo spirito in lui dopo la sua definitiva morte.
  • Depressione: il passo precedente ci insegna dunque che alla morte non c’è scampo; si perde il contatto col mondo e perciò si cade in depressione. Nell’area ovest della mappa troviamo Lulu, una cantate zora che ha perso le sue uova, dunque i suoi figli; verremo a conoscenza della sua storia tramite i ragazzi della sua band mentre lei sta ferma a guardare l’orizzonte in silenzio, senza dirci nulla e, se è per questo, senza reagire di fronte alla scomparsa dei suoi piccoli.
  • Accettazione: l’ultima area da espolare sarà il Canyon Ikana. Nonostante questa sia una zona arida piena di morte è anche una zona in cui si accettano i propri sentimenti e si perdona per raggiungere la pace interiore. Per prima cosa troveremo il compositore Sharp che, quando sentirà la canzone della pioggia, ripensera a suo fratello Flat, anch’esso compositore, e lo perdonerà per essersi concentrato troppo nel ricostituire la famiglia reale con la conseguenza di averlo trascurato. Tuttavia, il simbolo più grande dell’accettazione è la Stone Tower all’interno del canyon; dopo averla scalata duramente finiremo all’interno di dungeon dove recupereremo la freccia luce che sta a simboleggiare l’illuminazione (che viene dal cielo, esattamente dove ci troviamo avendo letteralmente scalato una torre), l’accettazione della morte.

La tematica del lutto ci accompagna per tutto il gioco e il fatto che la quest principale finisca proprio con “l’illuminazione” non è di certo un caso. Il gameplay di Majora’s Mask si ripete costantemente negli stessi tre giorni e ciò simboleggia il lutto stesso: il fatto di essere intrappolati nella stessa situazione non è che un’allegoria di questo triste sentimento e appunto, l’unico modo per uscirne è accettare le nostre perdite o il fatto stesso che si muoia al termine della nostra vita. Tuttavia, premettendo che tutto questo sia vero, sorge una domanda spontanea: quale perdita stiamo elaborando, o meglio, quale perdita sta elaborando Link?

L’elegia del vuoto

Una prima ipotesi ci sorge guardando sia la fine di Ocarina of Time che quella che l’inizio Majora’s Mask: Navi, la fatina che accompagnò Link sia da adulto che da bambino nella precedente avventura, abbandona il nostro eroe una volta riposta la Master Sword nel suo piedistallo mentre, all’inizio del secondo gioco per Nintendo 64 ci viene spiegato che Link, dopo aver liberato Hyrule dal male, è partito alla volta di un viaggio personale e segreto, un viaggio alla ricerca di un amico. Che Link stia cercando di riempire il vuoto lasciato da Navi? Potrebbe essere una semplice spiegazione che giustificherebbe il tutto ma ciò non spiega diverse altre cose che in realtà ci portano a pensare ben altro, ovvero che Link si trovi in uno stadio oltre la vita e dunque in una sorta di purgatorio.

Innanzitutto diamo uno sguardo al nome di questa nuova landa che, ricordiamo, non è Hyrule: Termina ci fa pensare proprio a “termine“, “fine“, un luogo dove appunto terminano le nostre avventure. Questo mondo si trova sotto terra ma nonostante tutto c’è un cielo e si alternano giorno e notte (se non altro c’è anche una gigantesca luna che non potrebbe stare di certo all’interno di un pianeta), decisamente un po’ strano per essere un mondo sotterraneo dalla quale accediamo tramite un dirupo altissimo; è strano inoltre come Link possa essere sopravvissuto alla caduta dopo che la serie ci ha insegnato che cadere da punti alti non è sicuramente salutare. Ancor più strano è il fatto che Epona, il destriero dell’eroe, non solo possa essere sopravvissuta alla caduta ma anche aver percorso la stessa strada percorsa da Link (impossibile per un cavallo visto che bisognava sfruttare i fiori Deku) per poi finire al Ranch Romani. Inoltre, rimanendo tema, in questo nuovo mondo troviamo tante persone che abbiamo già visto in Ocarina of Time, come appunto le sorelle Romani (che reincarnano la gioventù e l’età adulta di Talon del precedente gioco), il suonatore d’organetto, la banchiera e molti altri. Non dimentichiamo inoltre la meccanica principale del gioco: le maschere e dunque l’abilità di prendere le sembianze di Darmani, Mikau e il figlio del maggiordomo della famiglia reale Deku, tutte persone morte. Che le persone all’interno del gioco, che per altro hanno le stesse sembianze di molti NPC di Ocarina of Time, possano essere tutte passate a miglior vita e noi ci ritroviamo dunque in una sorta di oltre mondo? Ma ancora più inquetante è l’effetto della Elegy of Emptiness che per altro ci aiuterà a trarre delle conclusioni quasi definitive (seppur assurde). Concentriamoci intanto sul tipo stesso del componimento musicale: “elegia“, un componimento triste, malinconico, dai toni meditativi che nascono principalmente da una condizione di infelicità (come appunto la morte). Tuttavia, quando la si suona con l’iconica ocarina del tempo si formano delle statue che sembrano dei veri e propri monumenti alla memoria, e le abbiamo di Darmani, di Mikau, del Deku e di Link stesso… Ma i primi tre non erano morti? Ciò significa che anche Link è morto?
Per quanto la domanda sia assurda ci sono ben due prove a sostegno di questa assurda teoria, la cui prima potrebbe trovare persino conferma in Hyrule Historia stesso. Lo spirito dell’eroe in Twilight Princess è l’incarnazione dell’eroe del tempo, ovvero il Link di Ocarina of Time e Majora’s Mask, sottoforma di Stalfos (ovvero i guerrieri scheletro tipici della saga che, stando a ciò che dicono i Kokiri in Ocarina of Time, erano in origine persone che si sono perse nei Lost Woods); stando ad un suo dialogo, lo spirito tramanda le sue tecniche al Link di Twilight Princess non solo per l’appartenenza alla stirpe dell’eroe ma anche perché nella sua vita, a quanto pare, “ha avuto dei rimorsi”. Confrontando questo titolo con Majora’s Mask le domande sorgono spontanee: che l’eroe del tempo possa essere morto prematuramente? Oppure, vista la sua forma attuale, che possa essersi perduto nei Lost Woods e sia diventato uno Stalfos (visto che prima di cadere nel dirupo che lo condurrà all’interno della torre dell’orologio di Clock Town è in una foresta molto simile ai Lost Woods) e che dunque non ci sia mai arrivato fisicamente a Termina ma in un altro stadio?
La prossima prova solidifica ancora di più la prima e, dunque, il fatto che Link in Majora’s Mask sia fondamentalmente uno spirito. Nelle prime fasi di gioco l’Happy Mask Salesman ci accoglie dicendo: «sei andato incontro a un terribile destino, non è così?» (in inglese: “you’ve met a terrible fate, haven’t you?”). Questa frase, vista la forma di Link quando incontreremo il venditore di maschere per la prima volta, potrebbe riferirsi a primo acchito al fatto che Link sia diventato un Deku ma non è esattamente così; se permetteremo alla luna di cadere su Clock Town, dopo le animazioni della distruzione della città e dell’annientamento di Link, sentiremo la risata del venditore di maschere e la linea di dialogo sullo schermo che ci indica proprio che il nostro eroe è morto. Dunque: che il significato di questa frase sia collocabile anche all’inizio del gioco e pertanto Link sia già morto?

Vivo Morto X?

The Legend of Zelda: Majora’s Mask potrebbe rappresentare tranquillamente l’accettazione di Link della sua stessa morte, un viaggio attraverso le cinque fasi del suo stesso lutto per poi arrivare alla sua illuminazione e, in un certo modo, andare avanti. Moltissime altre storie di di questo titolo ci insegnano proprio di accettare il nostro destino, che non si può vivere per sempre ma che possiamo farlo tramite i nostri insegnamenti se il nostro spirito non sarà tormentato (le maschere di questo titolo rappresentano proprio questo, il far vivere “uno spirito” in noi per sempre). A ogni modo, nulla di ciò che abbiamo detto è stato mai accolto da Nintendo ma ciò non significa che questo articolo non possa trovare riscontri con la realtà dei fatti; il gioco, proprio per la sua diversità rispetto gli altri titoli della saga, la sua tristezza nelle sue storie e la delicatezza nei suoi temi da spazio a moltissime chiavi di lettura e, con buona probabilità, questa non è l’unica (anche perché ci sono decine di altri elementi che non abbiamo preso in considerazione). Probabilmente è quella che da più senso alla frase “Majora’s Mask è uno dei titoli più cupi della saga di Zelda” e per tanto, chissà, magari questo titolo può essere un ottimo gioco che può aiutarci di fronte alla perdita di un nostro caro, un evento traumatico o capovolgente in quanto, una volta completata la nostra difficile avventura, Termina sarà salva, noi non saremo più soli ma soprattutto non ci troveremo più intrappolati nei soliti tre tristi giorni; sarà l’alba di un nuovo giorno, una vita tutta da vivere e da godere momento per momento.




Square Enix verso il modello “Freemium”

Square Enix negli anni ha sfornato ondate di giochi per il mercato mobile, principalmente la serie “GO” di Hitman, Tomb Raider e Deus-EX, strategici stealth a turni. Ma forse il loro successo, anche se meno discusso degli altri titoli, è stata l’ascesa di Hitman Sniper, un gioco che riprende per filo e per segno i meccanismi proposti per Hitman Sniper Challenge, uno spin-off che era stato rilasciato in maniera promozionale poco prima del lancio di HItman Absolution nel 2012 per sbloccare equipaggiamento speciale tramite i punteggi, derivanti dall’eliminazione di diversi bersagli da un unico spot.
All’inizio di quest’anno la software house aveva dichiarato che Hitman Sniper, aveva raggiunto quota 10 milioni di download, cifra destinata successivamente a salire fino a 15 milioni contestualmente alle vendite su console. Sicuramente il numero più importante nell’intera carriera dell’Agente 47 (anche se non è stato confermato da Square Enix).

Sia i titoli della serie “GO” che Hitman Sniper, sono giochi “premium”, in quanto tali venivano venduti per circa 4,99$. I numeri e il successo avuti da questi titoli, sono la prova che i giochi premium, possono ancora essere venduti nel mercato mobile, e nonostante i risultati siano dalla parte di Square Enix, la casa di Montreal ha comunque dichiarato apertamente la loro intenzione al passaggio verso il modello “Free to Play”. Il direttore Patrick Naud spiega, durante l’intervista condotta da gamesindustry.biz, che ormai è difficile tenere il passo con i titoli free già disponibili sul mercato e che offrono quasi la stessa esperienza di gioco. Continuando dichiara:

«Il prezzo è solo una barriera, il mercato dei giochi premium era già in drastico calo sin da quando abbiamo lanciato il nostro primo titolo “GO”, e questo è davvero molto deludente perché anche se si realizza un prodotto di altissima qualità, è davvero assurda la quantità di opzioni alternative e gratuite che già esistono sul mercato. Il pubblico normalmente prova tutto ciò che è gratuito, al massimo comprano i giochi che hanno un costo, ma solo se sono sicuri che ne valga la pena acquistarli. Stiamo facendo grandi titoli e noi adesso vogliamo un pubblico più ampio che li giochi. In ogni caso puoi comunque avere successo in quello spazio, ma dipende dalle tue ambizioni; c’è abbastanza margine per creare progetti redditizi e credo sia anche più gestibile oltre che meno rischioso e meno duro di prima. Ma, tutto questo ha un tetto, ed è un tetto molto basso e, in effetti, oltre Minecraft non esistono molti titoli che producano la stessa rendita sul mercato occidentale, nulla che si possa paragonare per Square Enix, e si ritorna sempre al fatto che, si può anche fare un gioco perfetto, ma se viene giocato da un pubblico ristretto, non ne è valsa la pena. Fortunatamente però, Hitman Sniper ha preparato bene la squadra di Montreal al modello “Freemium”, un progetto che ha impiegato tre anni per venire alla luce ma che sta dando dei grandi risultati. Anche se al momento ha solo due mappe, il team è sempre al lavoro sul gioco, offrendo nuovi eventi live, sfide e missioni, come i più grandi Free to Play sul mercato.»

Questo non vuol dire che lo studio non si sia dilettato con le microtransazioni. In effetti, Hitman Sniper dispone di una serie di fucili aggiuntivi da acquistare – alcuni che costano fino a 50$, come il Longsword II. Eppure il gioco non li rende essenziali, né ostacola artificialmente il progresso per coloro che non li vogliono acquistare – una mentalità che Naud è determinato a mantenere mentre lo studio passa al freemium.

«Le persone non si devono sentire in dovere di comprare, lo fanno perché amano il gioco, perché amano le funzioni e vedono magari tutto il potenziale di quell’arma. Quel fucile è stato un’ottima fonte di guadagno per noi»

Naud continua spiegando che la chiave per generare entrate dagli  acquisti in-game è stata proprio quella di garantire che il titolo offra un’esperienza di qualità anche senza di essi. Square Enix Montreal è orgogliosa delle sue meccaniche di giochi per Hitman Sniper e si concentrerà principalmente sul gameplay mentre continuerà a progettare le sue prossime offerte freemium. Naud afferma:

«Nessuno investirà in un gioco se non ne è davvero appassionato. Non giocherai un gioco per settimane o mesi, ne tantomeno ne parlerai con i tuoi amici se non ne fossi appassionato, quindi quello che cerchiamo di fare al meglio, è creare un’esperienza di gameplay a cui le persone possano veramente appassionarsi, ma senza imporre nulla. La cosa più importante è il rispetto dei nostri giocatori: se crei un’esperienza di gioco in cui si sentano molto rispettati, non li perderai mai. Quando guardi il mercato console, ci sono molte aziende che passano al lato “malvagio” del mercato, quindi stiamo prendendo la decisione, a lungo termine, di non diventare a nostra volta “malvagi” e di rispettare sempre la nostra utenza, il che ci aiuterà a garantirci un futuro.»

Spingere lo studio di Montreal verso un modello freemium è stata quasi certamente una decisione dell’editore. Square Enix ha visto grandi guadagni nello spazio mobile nell’ultimo anno, grazie a successi free-to-play come Final Fantasy Brave Exvius e Kingdom Hearts Union X. In effetti, questi titoli hanno più che inciso nei dati finanziari dell’editore all’inizio di quest’anno.

Mentre questi titoli hanno preso d’assalto i mercati dell’Est, l’azienda, deve ancora riuscire ad aver successo in Occidente. Il CEO Yosuke Matsuda l’anno scorso, ha discusso ai microfoni di gamesindustry.biz, del suo desiderio di avere un impatto maggiore sui mercati mobili occidentali, e ha descritto Square Enix Montreal come il “centro” di tale sforzo.

Naud per concludere condivide le sue ambizioni:

«In questo momento, stiamo avendo un forte impatto sul settore in termini di criticità, vogliamo portarlo sul piano finanziario. Square Enix Montreal è in ottima posizione per affrontare questa sfida, e stiamo anche facendo crescere il nostro studio di Londra in modo che possiamo avere più opportunità e avere più tempo per i progetti. Londra sarà focalizzata su opportunità esterne, quindi collaboreremo con i nostri partner su alcune delle nostre IP e stiamo esaminando altri modi per riuscire a fare grossi numeri nel marcato occidentale. Abbiamo avuto i nostri alti e bassi, abbiamo imparato, abbiamo avuto un successo straordinario, ma ora siamo pronti per il prossimo passo, a partire da quest’anno.»




Moonlighter: la storia del suo fortunato successo nel mondo indie

Al giorno d’oggi, sviluppare un gioco in maniera completamente indipendente è abbastanza ostico, soprattutto se si vuole competere con gli altri titoli e si vuole vendere. Moltissime software house non ci riescono, ma fortunatamente sono altrettante quelle che coronano il loro sogno: pubblicare e vendere il proprio prodotto.
È il caso di Digital Sun, un giovane studio che, dopo alcuni progetti in outsourcing, hanno deciso di sviluppare qualcosa da soli: Moonlighter.
La storia di Moonlighter sembra rispecchiare quella dello studio: il protagonista è Will, un giovane commerciante che combatte i mostri per appropriarsi di tesori da riuscire a vendere nel suo negozzietto, ma Will ha un sogno segreto, quello di diventare un eroe.
La pubblicazione di questo gioco è stata resa possibile grazie alla collaborazione e, soprattutto, all’interesse di Square Enix Collective, un programma di Square Enix che ha lo scopo di sostenere e aiutare le piccole software house nello sviluppo dei loro giochi.
Tutto cominciò circa tre anni fa, quando WildFrame, casa madre di Digital Sun, era un piccolo gruppo di sviluppatori che avevano acquistato delle piccole “aziende” per riuscire a esternalizzare il lavoro. Dapprima Digital Sun aveva ricevuto il compito di sviluppare dei semplici cloni di Flappy Bird o alcuni giochini poco impegnativi e innovativi, ma con il passare del tempo hanno imparato a gestire gli incarichi assegnati, riuscendo a guadagnare denaro e imparare a sviluppare i giochi.
La maggior parte dei primi guadagni veniva utilizzata per pagare i dipendenti e le varie spese e solo una piccola parte andava come fondo per il progetto che avevano in mente, mentre la maggior parte dei fondi proveniva dalla campagna Kickstarter, che ha raccolto circa il 25% del costo totale del gioco.
Oltre ai fondi raccolti, ad aiutare lo sviluppo, è stata la conformazione di WildFrame, (che a oggi, comprende quattro società con compiti differenti) e questo ha aiutato tantissimo i ragazzi di Digital Sun che hanno potuto trovare un pubblico più ampio a cui presentare il loro gioco.

Moonlighter è stato pubblicato da 11 bit studios lo scorso 29 maggio per PS4, PC e Xbox One, e già ha raggiunto circa 90.000 download solamente su Steam. Questo traguardo è stato possibile dopo un duro lavoro per ottenere la fiducia non solo da parte dei clienti, ma anche per ulteriori partnership.
Square Enix Collective è stato il primo passo. In questa piattaforma, Digital Sun ha pubblicato le prime idee su quel che sarebbe stato Moonlighter e ha ricevuto risposte estremamente positive. Quindi, quando lanciarono la campagna Kickstarter, avevano già una sorta di fanbase che poteva sostenerli e lo stesso sito di raccolta fondi ha aiutato il progetto a essere pubblicizzato. Ma per fare ciò, ha detto Javier Gimenez, CEO di Moonlighter, il gioco doveva essere a un buon punto dello sviluppo per poter garantire e soprattutto acquisire fiducia dagli investitori.
Tutto questo è stato reso possibile grazie alla collaborazione con 11 bit studios che ha insegnato e preparato il team al marketing e, ovviamente, ha dato dei consigli molto importanti sullo sviluppo di alcune parti del gioco.
L’episodio di Digital Sun con Moonlighter è uno dei tanti esempi di una software house indie che è riuscita a ottenere ottimi risultati dopo un lungo e faticoso lavoro. Gimenez non è d’accordo sul fatto che le altre società indie debbano seguire lo stesso esempio della sua azienda, ma con il successo di Moonlighter, che ha superato di gran lunga le aspettative dell’azienda, dimostra l’importanza di affidarsi a società più competenti e prendere decisioni aziendali intelligenti e mirate.




Altri 10 giochi interessanti dell’E3 2018

Vi avevo descritto ed enunciato, in un precedente articolo, quelli che erano i 10 giochi più interessanti dell’E3. Le pretese di esaustività in certi articoli stanno a zero, perciò mi ero riservato di selezionarne altrettanti.
La fiera di Los Angeles è ormai terminata da tre settimane, ed è un buon momento per chiedersi quali, dei titoli restanti, siano rimasti impressi, e su quali la curiosità permanga ancora.

Two Point Hospital

Annunciato mesi fa e ripresentato al PC Gaming Show, non smette di destare interesse di trailer in trailer: il successore di Theme Hospital (sviluppato da Two Point Studio e pubblicato da SEGA) si presenta ricchissimo, alternando una grande cura dell’impianto gestionale  “classico” della struttura ospedaliera con una serie di situazioni surreali destinate a renderlo soltanto più vario, come hanno mostrato la community manager Lauran Carter e il brand manager Craig Laycock nell’ultimo, spassoso trailer rilasciato proprio ieri.

Ooblets

Sviluppato da Glumberland, Ooblets è un life simulator sulla falsariga di Harvest Moon e Animal Crossing con un tocco di Pokémon, che gode di un art-style giocoso e un immaginario di grande varietà. Vi stupisce che abbia voluto pubblicarlo Tim Schafer con la sua Double Fine?

The Quiet Man

Il titolo richiama alla mente un vecchio film di John Ford, ma il setting narrativo sembra allontanare ogni accostamento. Del gioco si sa pochissimo, tranne quel che ha detto Square Enix, che, dopo averlo presentato nel corso di una conferenza a dire il vero un po’ sottotono, di The Quiet Man dice: «porta i giocatori al di là del suono con un’esperienza cinematografica narrativa e coinvolgente che può essere completata in una sola partita. Il gioco unisce alla perfezione delle scene reali in altissima qualità, delle immagini realistiche in computer grafica e azione al cardiopalma.»
E questo, unito a un trailer assai interessante, ci pare abbastanza per tenerci gli occhi puntati.

Jump Force

I crossover costituiscono sempre un enorme rischio, sempre in bilico tra il grande ed esaltante mash-up e un confusionario potpourri. Ma pare difficile si possa mancare il colpo quando metti insieme in un roboante fighting game alcuni dei più personaggi principali dei migliori manga e anime del momento. Il trailer lanciato nel corso della conferenza Microsoft mostra character da IP come Dragon Ball Z, One Piece, Naruto e dal più recente Bleach, con combattimenti che comprendono anche sessioni 3v3.
Scaldate i palmi delle mani, ci sarà da divertirsi.

Noita

La pixel-art è uno dei trend del momento, in campo videoludico, quasi una moda. Noita sembra accodarsi all’effetto nostalgia con un roguelike dungeon-crawler che richiama visivamente svariati titoli retrò. Ma se vi dicessi che ogni pixel su schermo è in realtà “simulato”? Il gioco fa infatti leva su principi della fisica e della chimica per permettere al nostro protagonista di variare ogni singolo quadratino. Esplosioni, rocce impazzite, fiamme, liquidi, sangue… ogni cosa potrà servire all’interazione con il mondo di gioco. E i risultati sembrano pazzeschi già dal trailer.

Hitman 2

È arrivato così, alla fine del PC Gaming Show, zitto zitto: dopo una prima stagione di buon successo, l’Agente 47 ritorna sviluppato dalla solita IO Interactive ma questa volta pubblicato da Warner Bros. Interactive Entertainment, includendo modalità d’assassinio in cooperativa e almeno 6 location diverse sin dalla release.
Imperdibile.

The Sinking City

I videogame tratti dall’opera letteraria di H.P. Lovecraft non hanno alle spalle una storia fortunata, pochi quelli davvero riusciti sul piano autoriale, e difficilmente hanno avuto un buon successo commerciale. Con questa avventura in terza persona, gli ucraini di Frogwares vogliono fare meglio dei predecessori, offrendo un titolo open world molto esplorativo e ampiamente focalizzato sull’investigazione.

We Happy Few

Sviluppato da Compulsion Games e pubblicato da Gearbox Publishing, questo controverso titolo è ambientato alla metà degli anni ’60, in un’ucronia che vede un diverso esito della seconda guerra mondiale. Nell finzionale icttà di Wellington Wells (anch’essa distopica, ça va sans dire), buona aprte degli abitanti è dipndente da una droga allucinogena che li obnubila, rendendoli facilmente manipolabili. Il gico comibina caratteersithce RPG, survival e alcuni elementi roguelike in un prospettiva in prima persona e con forte attenzione alla narrativa. Elementi che ce lo fanno sembrare molto, ma molto appetibile.

Babylon’s Fall

E arriviamo al classico last, but not least”: Babylon’s Fall sembra collegarsi ad Attack on Titan, come suggerisce il riferimento all’impero Helos. Nel trailer abbiamo una cronologia degli eventi che porta fino allo scontro armato fra due giganti. Insomma, le informazioni non sono tante: ma a pubblicarlo è Square Enix e, soprattutto, a svilupparlo è PlatinumGames. Vorremmo negare fiducia Kamiya e al team che ha creato Nier: Automata e la saga di Bayonetta?




Dusty Rooms: qualcuno sa cos’è il Nuon?

Abbiamo già trattato su Dusty Rooms alcune delle console più strane o sottovalutate e che – certamente – non sono rimaste nella mente dei giocatori (o lo sono rimaste per i motivi sbagliati). Oggi, non sappiamo dirvi se ciò di cui stiamo parlando è effettivamente una console, ed è anche per questo che nessuno ne ha memoria. Il Nuon, sviluppato da VM Labs di Richard Miller, non era propriamente una console ma bensì una tecnologia costruita all’interno di alcuni lettori DVD per leggere una serie di  giochi 128-bit e, con alcuni film, avrebbe permesso l’accesso a menù esclusivi. Questo esperimento durò pochissimo, tanto è vero che il Nuon non appare mai nelle liste delle peggiori console mai costruite. Ma come mai i giocatori non ne sentirono mai parlare e, soprattutto, di cosa si trattava?

(La tecnologia Nuon fu presentata al mondo come “Project X”)

Contenuti ancora più speciali

La VM Labs, come già accennato, era stata fondata da Richard Miller, che a un certo punto fu vicepresidente di Atari, e con lui, dopo l’esperienza nella leggendaria compagnia americana, si portò dietro diverse persone che lavorarono al Jaguar. Come per il 3DO, la tecnologia del Nuon sarebbe stata venduta a terze parti per far sì che potesse essere prodotta e commercializzata. Davvero un bel quadretto! Le stesse persone che portarono alla luce il fallimentare Atari Jaguar, seguivano le stesse orme che portarono Trip Hawkins all’insuccesso. A primo acchito sembrava che VM Labs non aveva idea di ciò che stesse facendo ma per i tempi che stavano per arrivare era una mossa interessante poiché, anche se le compagnie produttrici di hardware non avrebbero guadagnato nulla dalla vendita dei giochi, la tecnologia proposta non era per niente proibitiva e, probabilmente, era il momento giusto.
La tecnologia Nuon fu ceduta a Samsung, Toshiba e RCA e messa all’interno di alcuni lettori DVD, formato che nei primi anni 2000 era pronto a esplodere; era più o meno la stessa mossa che fece Sony per la sua PlayStation 2, ovvero offrire una console ai giocatori e un lettore DVD a coloro che erano interessati soltanto al nuovo formato, con l’incentivo però di ulteriori menù extra accessibili solo dai lettori Nuon. Tuttavia, i menù esclusivi non erano nulla di ché infatti, non solo quello che venne proposto fu raggiunto in poco tempo da tutti i lettori DVD concorrenti, come lo zoom durante l’azione, lo storyboard interattivo e la selezione dei capitoli con anteprime in movimento, ma vennero prodotti solo quattro film con le migliorie Nuon: questi sono Le Avventure di Buckaroo Banzai nella Quarta Dimensione, Indiavolato, Il Dottor Dolittle 2 e Il Pianeta delle Scimmie di Tim Burton. Già nei primi 2000, nonostante il formato DVD fosse nuovo di zecca, il blu-ray era già in fase di sviluppo e dunque nessuno si volle concentrare su una sorta di DVD+ che ben presto si sarebbe rivelato obsoleto e non avrebbe offerto nulla sul piano dell’innovazione; pertanto la 20th Century Fox, che fu l’unica a interessarsi alla tecnologia, non si scomodò più di tanto per far sì che il Nuon spiccasse nel mercato e dunque rilasciò solamente quattro film per niente eccezionali (diciamo che un X-Men o un Fight Club avrebbe potuto attrarre giusto qualche curioso in più). Perciò, sia gli spettatori più casual che quelli più esigenti, avrebbero lasciato perdere questa nuova tecnologia per i propri film. Tuttavia, cosa proponeva la console in termini di gaming?

TKO!

Questa macchina, letteralmente a metà fra una console di gioco e un lettore DVD, sarebbe entrata in competizione con PlayStation e prestissimo con PlayStation 2 e dunque aspettarsi una bella line-up di titoli era più che giustificato; in ogni caso, al di là del fatto che addirittura alcuni Nuon non avrebbero avuto un lettore di giochi, furono rilasciati solamente otto titoli dal 2000 al 2003, anno in cui la produzione venne interrotta. Molti molti di essi erano disponibili anche per PlayStation e le vere esclusive non furono nulla di speciale:

  • Space Invaders XL: da come ci si può aspettare, non era altro che una riproposizione del popolare titolo arcade, giusto con qualche ghirigori e qualche modalità in più; un gran titolo per mostrare le capacità 128-bit del Nuon!
  • Crayon Shin-Chan: basato sull’adorabile omonimo manga, finì praticamente per diventare il gioco più raro e criptato al mondo! Questo gioco uscì esclusivamente in Corea del Sud e perciò, per via del region locking (che è più severo per ciò che riguarda i DVD), è possibile giocare a questo titolo esclusivamente con un Nuon sudcoreano… di marca Samsung!
  • Merlin Racing: un titolo a metà fra Mario Kart 64 e Diddy Kong Racing e, come quest’ultimo, ha una modalità storia. Nulla di ciò che ci viene presentato è degno di nota: personaggi per niente interessanti, gameplay disastroso (massimizzato dal terribile controlle per Nuon) e mediocrità generale.
  • Freefall 3050: un virus ha infettato il mare e perciò la civiltà si è trasferita in degli edifici fluttuanti. Nonostante il trasferimento delle città nel cielo, il crimine continua a dilagare e perciò gli agenti di polizia agiscono saltando degli edifici nel vuoto sparando ai criminali in volo. Il gameplay è molto arcade e le sezioni d’azione terminano in poco tempo; tuttavia, un po’ come per il gioco di Shin-Chan, questo titolo non è compatibile con tutti i controller Nuon e dunque per giocarci dovrete ritrovarvi  con quello adatto.
  • Tempest 3000: così come Tempest 2000 (a sua volta sequel del classico arcade Tempest) finì per diventare il titolo più popolare per Atari Jaguar, il suo sequel finì per diventare il titolo più interessante nella libreria Nuon (interessante è anche il fatto che lo svilupparono le stesse persone). Il gameplay rimase pressappoco lo stesso del gioco precedente: azione frenetica, addicting e accompagnata da della musica techno eccezionale. Nonostante dei lievi rallentamenti, Tempest 3000 potrebbe seriamente rappresentare l’unico motivo per comprare un lettore DVD Nuon.
  • Iron Soldier 3: un altro sequel di una serie di giochi per Atari Jaguar. Anche questo titolo presenta un gameplay interessante e valido; tuttavia è anche disponibile per PlayStation perciò, semplicemente, non vale la pena giocarlo qui.
  • The Next Tetris: una versione del popolare gioco russo che si concentra sulla modalità cascata. Anche questo disponibile per PlayStation, PC e Sega Dreamcast.
  • Ballistic: il titolo in bundle con i modelli Samsung. Il gioco presenta un gameplay simile ad Actionloop o Zuma (noi, un po’ di tempo fa, abbiamo messo le mani su Sparkle 2, gioco molto simile); ancora nulla di che per una console a 128-bit e, ancora una volta, disponibile anche su PlayStation e Game Boy Color.
(Tutti i giochi sopracitati in un montaggio video dell’utente YouTube Applemctom)

Si o Nuon?

Comprare un lettore Nuon, viste le sue limitazioni coi controller e con la compatibilità dei giochi stessi, comporta un rischio anche se non troppo grande (visti i prezzi abbordabili). È possibile trovarne alcuni sullo store americano di Amazon, ma andare alla ricerca dei giochi, ovviamente, è un altra ardua impresa; se siete interessanti vi consigliamo inoltre, se andrete per qualche mercatino dell’usato, di controllare bene i lettori DVD in vendita in quanto alcuni potrebbero inaspettatamente presentare il marchio Nuon e i proprietari, essendo le sue caratteristiche così criptiche, probabilmente non hanno idea del loro utilizzo (si stima infatti che molti dei lettori venduti siano stati comprati senza avere una chiara idea delle sue capacità). Tuttavia esistono dei siti dedicati al Nuon ed è possibile riscoprire questi otto titoli con un emulatore. Come per i computer MSX, eticamente, non arrechiamo nessun danno a nessun developer o produttore in quanto nessuno di questi titoli è reperibile per un sistema recente né nuoceremo alla VM Labs che, dopo Nuon, sembra sia scomparsa nel nulla.




EA Sports: ed è di nuovo polemica sui sistemi di looting nei videogiochi

Nonostante le recenti polemiche dei consumatori riguardanti le loot-box, Daryl Holt, vice presidente di EA Sports, secondo un’intervista rilasciata per la nota rivista online gamesindustry.biz, ha affermato che il loro modello, adottato per l’acquisizione di loot-box, sia ineccepibile.
Fino a quando non si verificarono problemi con le loot-box di Star Wars Battlefront II, questo “meccanismo” non era mai stato molto criticato, come per FIFA, in cui è fortemente presente un sistema di “lootaggio”, tranquillamente alimentato dagli acquisti online dei giocatori.

Daryl Holt, ai microfoni di gamesindustry.biz durante il Gamelab Barcellona, dice infatti:

«È un tipo di gioco differente, è questo l’aspetto che devi approfondire quando parliamo della scelta del giocatore come parte del nostro mantra “prima il giocatore“. Gli viene semplicemente data la scelta su come vogliono competere. Posso guadagnare loot-box in FIFA Ultimate Team semplicemente giocando. Posso anche batterti se hai una squadra migliore, perché sono migliore di te a FIFA, io non mi preoccupo di quello che è il mio punteggio come squadra.»

Ma in ogni caso, la polemica nata per i “bottini” di Battlefront 2 ha alzato un polverone, facendo anche dubitare della sostenibilità del modello di “looting” adottato da EA.

«Il nostro modello è assolutamente sostenibile. Certamente ha cambiato il nostro modo di fare, quando sentiamo informazioni dagli altri giocatori o dall’industry, nel modo in cui tutti reagiamo e ci adattiamo a esso. Per esempio, la divulgazione delle probabilità di vincita dei pacchetti nei nostri giochi EA Sports è una cosa molto importate, così possiamo avere una comprensione totale al riguardo, come comunichiamo, come ci occupiamo del servizio dal vivo e come testiamo le cose e implementiamo il feedback su tutti i prodotti. Per quanto riguarda EA Sports e Ultimate Team, la modalità di looting è molto popolare: funziona come dovrebbe e offre ai giocatori la possibilità di giocare nel modo in cui vogliono giocare, il che ritengo sia prezioso finché riusciamo ad assicurarci che non sia un danno per la fruibilità del gioco.»

Ma il punto di vista di EA sulle loot-box, nonostante tutto, rimane in contrasto con quanto stabilito dalla Commissione per il gioco d’azzardo belga, che ha accusato aspramente tale meccanismo, indipendentemente dal valore reale degli oggetti o dalla possibilità di scambiarli al di fuori del gioco. Tutto ciò è una violazione della legislazione sul gioco d’azzardo.

In seguito a questa decisione, EA ha risposto, affermando:

«Crediamo fortemente che i nostri giochi siano sviluppati e implementati eticamente e legalmente in tutto il mondo.»

Holt sostiene che il loro sistema di looting non sia in alcun modo equiparabile al gioco d’azzardo:

«Sai cosa potresti ricevere, hai informazioni dettagliate su quello che acquisti; non è affatto un gioco d’azzardo. Oltretutto  non esiste una valuta reale per i pacchetti acquistati in gioco. C’è una netta disconnessione tra ciò che viene detto, ciò che viene chiesto e ciò che viene pensato, rispetto a ciò che accade realmente nel settore. Non sappiamo cosa potrebbe accadere in futuro; possiamo solo continuare a proporre la migliore esperienza per i nostri giocatori.»

Indipendentemente da ciò che EA crede sia o non sia gioco d’azzardo, la Commissione per il gioco d’azzardo belga, ha stabilito che il sistema di looting adottato, viola la legislazione e che alla fine, verranno prese contromisure. Per ora, il ministro della giustizia belga Koen Geens, si incontrerà con le parti interessate del settore, per iniziare un dialogo. Peter Naessens, direttore della Belgian Gaming Commission, ha recentemente dichiarato in una intervista di gamesIndustry.biz:

«Prenderemo tutte le misure preparatorie per la stesura dei rapporti di polizia, ma di certo non sarà “domani”. Deve passare un certo lasso di tempo per il Ministro della Giustizia.»

Insomma, la situazione non è delle più rosee riguardo tutte le software house che hanno ormai adottato il meccanismo di looting. EA probabilmente è solamente la prima a finire nell’occhio del ciclone  e, probabilmente, ne seguiranno altre. Anche Activision, per esempio con le “casse rifornimenti” dei suoi ultimi Call of Duty, che permettono di trovare armi uniche e più potenti, di certo non è da meno. Sono del parere che il sistema di loot-box non sia del tutto deleterio, purché non vada a intaccare il portafoglio. Sarei più propenso a un sistema meritocratico del meccanismo delle “casse premio”, in questo modo, chi gioca molto o gioca bene avrebbe veramente meritato il riconoscimento e non chi ha più fondi sul conto. A meno che, come per Overwatch, le casse non diano altro che oggetti di valore puramente estetico senza influire sulla giocabilità del titolo.




eSport e Olimpiadi sempre più vicini

Si parla ormai da mesi della possibilità di introdurre gli eSport all’interno dell’evento sportivo più antico e famoso al mondo; c’è chi è contrario perché, così facendo, si andrebbe a “imbrattare” lo spirito delle olimpiadi stesse, chi è favorevole e reputa che i videogiochi competitivi vadano trattati alla stregua delle competizioni sportive, chi pensa che sia tutta una trovata commerciale, chi no, e così via. È sicuramente un tema che ha fatto, fa e farà discutere e potrebbe persino cambiare le sorti di come il videogioco viene considerato dal pensiero comune. Ma mentre se ne continua a parlare,  c’è chi sta facendo effettivamente qualcosa, a partire dall’Olympic Council of Asia che inserirà ufficialmente gli eSport all’interno dei Giochi Asiatici di Hangzhou 2022.

Nel frattempo anche il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) sta iniziando a prendere seriamente la cosa, avendo organizzato un meeting con il GAISF (Global Association of International Sports Federations), ma anche giocatori professionisti, sponsor, publisher, organizzatori, media e rappresentanti del Movimento Olimpico, per esplorare le sinergie, costruire dei punti in comune e impostare una piattaforma per la futura unione tra gli eSport, l’industria del gaming e appunto, il Movimento. Il meeting si svolgerà all’interno del Museo Olimpico di Losanna, in Svizzera, il prossimo 21 luglio. Verranno trattati anche delle particolari tematiche, come “Il mondo degli eSport”, “Cosa definisce il Movimento Olimpico?”, “Un giorno nella vita di un giocatore professionista” e “Parità dei sessi in tutti gli sport”.
Qualunque sia l’esito della riunione, che comunque rappresenta un passo molto importante nella storia dei giochi olimpici, gli eSport non potranno sbarcare alle Olimpiadi prima di Parigi 2024 (anche se vederli per la prima volta a Tokyo 2020 sarebbe stato il massimo). Non resta che incrociare le dita.

 




42: Quando il videogioco si fa duro

Noi tutti siamo a conoscenza della trasposizione cinematografica di molti videogiochi che, tra alti e bassi – soprattutto questi ultimi – hanno contribuito a fornire una visione diversa del mondo del gaming. Sono migliaia le trasposizioni in diverso formato, tra fumetti, romanzi e… porno. Esatto, proprio lui. Inutile far finta che non esista: una delle industrie più grandi al mondo non poteva esimersi dalla sua visione del gaming, rendendo videogiochi preferiti, eroi ed eroine dei nostri sogni, entità su cui il nostro occhio si posa con maggiore attenzione. Queste vere e proprie parodie sono dei concentrati di trash allo stato puro, un modo per divertirsi in allegrie e allenare uno dei due arti superiori. Del resto la notizia che la nostrana Valentina Nappi parteciperà all’adattamento hard di Final Fantasy VII, interpretando Tifa, non è che l’ultima trovata di un settore in piena espansione.

La fine di Sirio il Dragone

Se esiste “X”, allora su Internet esiste pornografia basata su X. Se non esiste ancora, verrà creata. Questa è in sostanza la regola numero 34 di Internet, ed è davvero difficile da controbattere. Basta fare un giro su alcuni siti tematici – non vi diciamo che dovete farlo, ma che potete – per accorgersi di quante versioni amatoriali e non di un determinato prodotto esistano, a cominciare appunto da quello videoludico.
Diciamoci la verità su: tutti noi, sia maschietti che femminucce, abbiamo fantasticato su alcuni celebri personaggi. Basti pensare a Miranda Lawson di Mass Effect 2 e al suo “lato B”, o la giunonica Lara Croft e l’ammiccante Bayonetta, per passare dall’indimenticabile Mai Shiranui e delle tante poco vestite combattenti dei vari Tekken o Dead or Alive. Tutte loro – metterei qualche personaggio maschile, ma preferisco lasciar decidere voi donne – sono entrate nei nostri desideri più reconditi, trovando na naturale traslazione nel porno.
Era il lontano 1993, e il primo film a luci rosse che vagamente parodiava un videogioco fu Prince of Persia, con protagonista Tanya Summers alla ricerca delle perle, simbolo di autorità, in grado di far riunire il proprio paese divenendo così regina. Ovviamente, del gioco Ubisoft non vi è nulla, ma è stato un primo tentativo di sfruttamento del brand. La storia avrà un lieto fine e potete immaginare tranquillamente voi stessi come farà a ottenere le sue preziose perle.
E Super Mario? Immancabile. Super Hornio Brothers è uno delle poche parodie pornografiche a esser ufficialmente riconosciute, avendo anche a disposizione una pagina ufficiale IMDB e Wikipedia. In questo film abbiamo niente meno che Ron Jeremy interpretare Squeegie Hornio che, insieme a suo fratello, dovranno salvare la Principessa Perlina (Peach) dalle grinfie di King Pooper (Bowser). Come da tradizione, Nintendo ci mise del suo, acquisendo i diritti di distribuzione (è assolutamente vero), rendendone impossibile la pubblicazione. Visto la sua rarità dunque, è considerato il Sacro Graal dei collezionisti, non solo di film porno, ma di quelli Nintendo.
Ma non poteva mancare nemmeno Grand Theft Auto, che con Vice City Porn ha reso disponibile la verità celata dalle auto molleggianti.

Venendo ai giorni nostri

Di pari passo con l’evoluzione dell’industria videoludica, anche quella pornografica si è data da fare. Prima o poi le mani non potevano che posarsi su Tomb Raider e sull’iconica Lara Croft, regina di tutte le fantasie sconce dei ragazzini da 20 anni a questa parte. Tante sono state le parodie, ma una si è distinta per qualità: Tomb Raider XXX: A Exquisite Films Parody del 2012, con Chanel Preston nei panni della protagonista, accompagnata da un cast d’eccezione come Nicole AnistonKagney Linn Karter ed Evan Stone. Lara farà di tutto per sconfiggere la Natla Technologies e recuperare i tesori perduti. Detta così sembra perfino meglio dell’ultimo lungometraggio con Alicia Vikander.
Anche in tempo di guerra si trova tempo per “sfogarsi” e nel 2012 arriva un titolo che è tutto un programma, Call of Booty: Modern Whorefare (i titoli sono la cosa migliore). Anche CoB vanta un cast di tutto rispetto, Flower Tucci, Bobbi Starr e Gracie Glam anche se un po’ tutto molto casareccio. Insomma, anche qui vi è semplicemente uno sfruttamento del brand. Niente a che vedere con Cock of Duty: A XXX Parody, di casa Brazzers, con Monique Alexander, Jasmine Jae e Stella Cox, accompagnate da Danny D che, da ora in poi sarà protagonista di questo articolo.
Quando si ha voglia si possono sfornare piccole chicche di qualità, e Brazzers su questo fronte è in prima linea. Cominciamo con la parodia di Overwatch, uno dei brand maggiormente sfruttati, in cui Aletta Ocean nei panni di Widowmaker sfiderà sino all’ultima goccia di sudore un fortunato Reaper, interpretato da Mr. Danny D. Brazzers, che con questo Oversnatch, ha realizzato i sogni di moltissimi fan; è una tendenza, quella del colosso del porno, che si sta facendo sempre più marcata, producendo parodie di tutto ciò che riguarda la sfera nerd. Continuando abbiamo anche Metal Rear Solid: The Phantom Peen, parodia dell’ultimo lavoro Kojima in casa Konami. Boss (Charles Dera) e Hushy (Casey Calvert), se le daranno di santa ragione, realizzando tutte le fantasie della sexy cecchina e, infine, un piccolo capolavoro: stiamo parlando di  The Bewitcher: A DP XXX Parody prodotto da Digital Playground, per festeggiare i 10 anni del brand. Ella Hughes, Olive Glass e Clea Gaultier, insieme all’ormai immancabile Danny D, saranno chiamati a ridar vita a un villaggio desolato, nella sola maniera che la natura ci ha insegnato. Geralt of Vulvia ci saprà fare, quasi quanto la sua versione originale. 

Come potete aver capito, il mondo videoludico è ormai transmediale, sempre sulla cresta dell’onda  e con milioni, se non miliardi di fan in giro per il mondo. Basta unire dunque l’utile al dilettevole, l’industria pornografica sta semplicemente prendendo la palla al balzo, sfornando sempre più parodie dei titoli più famosi. Di materiale ce n’è in abbondanza: Assassin’s Creed, Mass Effect e Dragon Age, Life is Strange, God of War e tanti altri. Aspettiamo dunque di vedere cosa sfornerà la geniale e perversa mente del mondo a luci rosse.




Dusty Rooms: la tragedia di Sonic X-Treme

Oggi il Sega Saturn è decisamente una delle console più gettonate fra i retrogamer e sta vivendo una seconda vita grazie a internet e alla condivisione di informazioni riguardanti tutti quei giochi oscurati dalle più popolari Sony PlayStation e Nintendo 64, molti dei quali mai arrivati dal Giappone. Tuttavia, in molti concordano nel dire che uno dei più grandi fattori che ha sancito il fallimento di quest console, insieme ad altri fattori riguardanti il complesso hardware e le pubblicità poco convincenti, è stato quello di non avere un titolo dedicato a Sonic, la mascotte che riuscì a dar filo da torcere a Mario e Nintendo. Nel Sega Saturn è possibile trovare Sonic Jam, una compilation contenente i quattro titoli per Sega Mega Drive ottimizzati per la nuova macchina, Sonic 3D Blast, essenzialmente un porting del titolo per la precedente console 16-bit, e Sonic R, un discutibile gioco di corse (senza veicoli) con i personaggi della saga; nessuno di questi titoli fu mai posto come principale della saga da lanciare, se non altro, contro Super Mario 64 e il nuovo Crash Bandicoot. Poteva mai Sega pensare di lanciare la sua nuova console senza un gioco di Sonic? Ovviamente no. Sonic X-treme sarebbe dovuto diventare non solo il nuovo titolo principale del porcospino blu ma anche la killer-app che avrebbe lanciato il Saturn una volta per tutte, ma purtroppo il gioco non uscì mai. Ma come mai Sega cancellò un progetto così grande e perché la loro console 32-bit rimase senza un gioco dell’iconico porcospino?

Verso il 3D

La storia di Sonic X-Treme comincia nel 1993: Sonic è in capo al mondo con ben tre titoli principali (Sonic the Hedgehog, il suo sequel e Sonic CD), altri due giganteschi titoli in uscita (Sonic the Hedgehog 3 e Sonic & Knuckles) e un’infinità di spin-off su Mega Drive, Master System e Game Gear. Yuji Naka, ideatore del personaggio, e Hayao Nakayama, presidente di Sega in quel periodo, chiamarono il Sega Technical Institute, lo studio di Sega negli Stati Uniti che si occupò della saga dopo il primo capitolo insieme al Sonic Team, chiedendo un nuovo rivoluzionario titolo del porcospino blu basato sulla serie a cartoni animati della ABC per una nuova console Sega (che ai tempi non aveva chiaro quale sistema, fra 32X e Sega Saturn, lanciare). Lo studio americano non aveva idea di cosa proporre in Giappone, soprattutto per il mancato sviluppo di Sonic & Knuckles. Sega Technical Institute si divise letteralmente in due: una parte rimase negli Stati Uniti per completare l’ultimo titolo 2D di Sonic per Sega Mega Drive mentre l’altra andò in Giappone per proporre nuove idee per un titolo principale. Furono proposte 3 idee:

  • Sonic 16: titolo 2D e proponeva un insolito gameplay basato sullo stealth. Un gioco decisamente interessante, ma nulla a che vedere con il velocissimo gameplay dei giochi precedenti e perciò venne scartato. A ogni modo, molte parti della sceneggiatura, apparse su internet più tardi, vennero prese come spunto per essere utilizzate più in là con il progetto di Sonic X-treme.
  • Isometric Game: al di là di non avere neanche un vero nome, questo progetto non superò mai lo stadio concettuale e non venne presentato alcun gameplay. Di questo progetto ne presero gli asset, alcuni anni più tardi, per Sonic 3D Blast ma quel sistema di gioco, un po’ sperimentale, non poteva mai andare oltre lo stato di spin-off.
  • Sonic Mars: fra i tre progetti questo era considerato il più valido in quanto era concepito totalmente in 3D e sul 32X ma Yuji Naka, anche se approvò il progetto, non era totalmente impressionato da ciò che vide. Fu l’unico progetto a passare allo sviluppo ma alcune dispute interne, insieme all’insuccesso dell’ultimo add-on per Mega Drive, portarono all’abbandono del capo programmatore e al momentaneo alt generale. Chris Senn, che lavorò all’eccellente Comix Zone, fu messo a capo del progetto: scartò il tema del cartoon ABC e interruppe un’altra volta lo sviluppo in attesa che Sega definisse meglio il successore del Mega Drive. Come i precedenti 3 progetti, anche questo, fu cancellato.

Malgrado tutto, Sonic Mars mise il team di sviluppo sul giusto binario, ovvero sul Sega Saturn, e un nuovo definitivo progetto fu avviato… e ancora una volta cancellato! Sonic Saturn non uscì mai dallo sviluppo né fu mai annunciato ufficialmente ma alcuni concept art e immagini dei prototipi confermarono la grafica 3D, l’idea per un bonus stage che fu usato, più in là, per Sonic 3D Blast e uno stile molto realistico e un po’ più serioso dei precedenti titoli (i fan si accorsero inoltre che alcune piastrelle dei pavimenti furono usate più tardi per Sonic R). A questo punto, per l’ennesima volta, il Sega Technological Institute dovette non solo ricominciare da capo ma dividersi ulteriormente: un primo team capitanato da Chris Senn e Ofer Alon (che chiameremo più in la “Team-A“) avrebbe sviluppato i livelli mentre un secondo capitanato da Chris Coffin (che chiameremo “Team-B“) avrebbe sviluppato gli scontri contro i boss, utilizzando un motore preesistente per 32X, ed entrambi sarebbero stati supervisionati da Mike Wallis. Finalmente esisteva un assetto definito per poter sviluppare il titolo definitivo di Sonic per Sega Saturn ma questo schema, prima o poi, si sarebbe rivelato poco efficace.

(La demo di Sonic Mars su 32X)

Uno sviluppo faticoso

Quello che si creò dalla divisione in due team… furono ulteriori divisioni! All’interno dei gruppi di lavoro si crearono altri piccoli sottogruppi e mantenere una comunicazione costante fra i due team era molto difficile per il numero generale dei dipendenti e le suddivisioni; nonostante tutto, entrambi i team stavano facendo un bel lavoro e i primi risultati stavano venendo fuori. Il Team-A aveva sviluppato un motore su un computer Mac che animava i personaggi, resi con un 3D prerenderizzato simile a Donkey Kong Country, e produceva una prospettiva “fish eye” (in italiano diremo a grandangolo) che davano ai livelli una rotondità mai vista prima (che avremmo visto molto più tardi in giochi come Super Mario Galaxy). L’ambiente girava intorno a Sonic e questa sarebbe stata la caratteristica chiave del nuovo titolo Sega. A un certo punto dello sviluppo sarebbero stati introdotti dei livelli specifici per altri personaggi: Knuckles sarebbe stato protagonista di alcuni livelli con una prospettiva top-down (simili a quelli di Contra 3: the Alien Wars), Tails avrebbe affrontato dei livelli simili a quelli che sarebbero stati i suoi in Sonic Adventures per Dreamcast e per Tiara, un nuovo personaggio femmina introdotto in Sonic Mars, stavano programmando dei livelli classici in 2D. Il motore grafico, prima prodotto su Mac e poi utilizzato su Windows, restituiva un azione fluidissima su computer ma i programmatori sopravvalutarono le capacità del Saturn; il prototipo, a detta dei programmatori che ci lavorarono, girava fra i 3 e i 4 FPS sulla console e perciò dovettero ricorrere a un aiuto.
A questo punto il Team-A aveva bisogno di supporto e fu così che coinvolse la casa produttrice Point of View. La nuova compagnia propose al team un loro motore mostrando l’immagine di un Sonic poligonale sopra una superfice a scacchi e una sfera in aria; Chris Senn non fu totalmente impressionato dalla loro tecnologia e non aveva intenzione di scartare il motore alla quale aveva lavorato tanto perciò lasciarono perdere la loro offerta. Tuttavia, su consiglio di Ofer Olan, la Point of View fu coinvolta nel progetto preesistente per migliorare il motore del Team-A e farlo funzionare meglio su Saturn e così, da una costola del suddetto team, si formò un Team-C capitanato da Chris Senn (uscendo definitivamente dal suo team originale).

(Il motore dei livelli del Team-A e Team-C)

L’ira dal Sol Levante

Nel Marzo del 1996 Hayao Nakayama programmò un volo per gli Stati Uniti per controllare il lavoro del Sega Technical Institute. Il Team-C, malgrado tutto, riuscì a ottimizzare il motore per il Saturn, lavorando giorno e notte fino all’arrivo del presidente di Sega. Chris Senn e Ofer Alon si diressero al meeting per trovare un Nakayama furioso che camminava verso il senso opposto; stupiti dalla reazione del presidente capirono che il meeting era già avvenuto e il Team-A aveva presentato una versione vecchissima del loro lavoro, una di quelle che girava fra i 3 e i 4 FPS. Tuttavia, Nakayama fu soddisfatto dal lavoro del Team-B, e decise che il gioco doveva essere sviluppato tramite quel motore (che non aveva la caratteristica chiave del motore del Team-A poiché basato sulle boss fight); Chris Senn e Ofer Alon tentarono in tutti i modi di mostrare al presidente la versione più recente del loro lavoro ma egli aveva già lasciato l’edificio mettendo così un punto definitivo al lavoro del Team-A e Team-C sollevando allo stesso tempo i due programmatori e Point of View dai loro incarichi.
Il progetto si avviò verso una fase più definitiva: il Team-B, il cui capo Chris Coffin sarebbe diventato il nuovo lead programmer, avrebbe condotto il resto del progetto (che assunse la nuova denominazione “Project Condor“) e questo sarebbe dovuto essere pronto per Natale, in tempo per competere contro Super Mario 64 e Crash Bandicoot. A questo punto della storia c’è un evento che coinvolge il motore grafico di Nights into Dreams… ma non si sa esattamente cosa sia successo; tutti i fatti riguardanti questo progetto sono state fornite da Chris Senn nel suo sito Sonic X-treme Compendium (oggi offline) ma da questo punto in poi egli non è più presente e perciò il prossimo evento è un po’ avvolto nel mistero. Essendo stata fissata una data per Natale, il Team-B aveva bisogno immediatamente di mezzi per completare il loro gioco. Avrebbero chiesto dal Giappone il motore per Nights into Dreams… ma, apparentemente, senza alcun permesso da parte di Yuji Naka che sviluppò il popolare gioco per Saturn; il noto creatore di Sonic bloccò immediatamente i lavori mettendo un punto ai progressi fatti col suo motore grafico. Si dice anche che il motore di Nights non fu mai utilizzato in sé ma bensì plagiato, scatenando ugualmente l’ira di Yuji Naka. A ogni modo, di tutte le versioni, questa è l’unica versione trapelata su internet e, a oggi, è possibile scaricare l’immagine per poterla provare sul proprio Sega Saturn o su un emulatore. La iso è giusto una sorta di tech demo e perciò si può giusto correre per delle collinette, attraverso un fiume, collezionare una cinquantina di anelli e non c’è alcun nemico.

(La tech demo giocabile, realizzata col presunto motore di Nights into Dreams…)

La fine

Project Condor, ancora una volta, dovette ripartire da zero. Erano solamente rimasti alcuni modelli di grafica 3D e Chris Coffin doveva immediatamente fare qualcosa. Lavorò giorno e notte insieme al veterano della saga Hirokazu Yasuhara per poter arrivare alla scadenza e il gioco, arrivati a questo punto, assunse una grafica puramente 3D e cominciava a prendere una forma deliziosa; sfortunatamente, proprio per l’assiduo impegno che stava dedicando al progetto, si beccò una grave polmonite ad Agosto e i dottori dissero che se avesse continuato sarebbe potuto persino morire. Chris Coffin dovette annunciare a Mike Wallace che il gioco non sarebbe stato pronto per il tempo stabilito e così il progetto fu cancellato definitivamente. Sega, in vista del Natale del 1996, decise di fare un porting di Sonic 3D Blast per Mega Drive e Nights into Dreams… divenne il titolo più venduto per Saturn. Chris Senn tentò di salvare il progetto chiedendo a Sega di poter continuare lo sviluppo per un rilascio su PC ma le sue richieste non furono ascoltate. Più in là, vedendo un interesse dei fan riguardo a Sonic X-Treme, annunciò Project-S, un gioco indipendente ispirato a ciò che sarebbe stato questo gioco ma purtroppo cancellò il tutto nel 2010.

(La fase finale del progetto)

Cosa rimane

Finita l’esperienza di Sonic X-Treme, il Sonic Team si potè concentrare su Sonic Adventure per la futura Dreamcast. La lezione era stata imparata e il nuovo titolo Sega uscì senza problemi dovuti alla comunicazione o alla programmazione. Tuttavia, nel 2010, venne rilasciato Sonic Lost World per Nintendo Wii U, 3DS e Windows, titolo non scelto a caso poiché, appunto, presenta dei mondi rotoscopici e sferici proprio come il gioco che non uscì mai (appunto “Lost World“). Non sapremo mai come sarebbe stato Sonic X-Treme ma vorremo comunque porre una domanda: avrebbe potuto questo titolo salvare il Sega Saturn? La concorrenza era spietata e sia Crash Bandicoot che Super Mario 64 erano giochi incredibilmente belli; per poter mettere il Saturn in un piano di rilevanza Sega avrebbe dovuto mettere un gioco competitivo e, vista la programmazione frammentaria, probabilmente Sonic X-Treme sarebbe stato pieno di difetti e troppo differenziato. Bisogna anche ammettere che la mancata uscita di questo titolo ha permesso però a Saturn, molti anni dopo, di spiccare come console da collezione: grazie alla mancanza di un vero gioco di Sonic, molti Developer (interni ed esterni) hanno provato a far spiccare la loro IP per dare alla console Sega un identità diversa dalla competizione e dunque oggi abbiamo una libreria di giochi con una varietà impressionante. Solo su Saturn possiamo trovare Nights into Dreams…, Panzer Dragoon Saga, Virtua Fighter 2, Fighters Megamix, Guardian Heroes, Radiant Silvergun e molti altri. Sotto questo aspetto la mancata uscita di Sonic X-Treme potrebbe persino rappresentare un bene per la console ma è ovvio che la cancellazione del progetto non ha potuto dare all’hardware un vero volto per coloro che volevano saperne di più sulla console. Chissà se almeno, verso la fine, il gioco sarebbe stato davvero all’altezza della competizione; purtroppo non lo sapremo mai.