Apple presenta iOS 11 e Monument Valley II

Durante il keynote d’apertura della WWDC di Apple, inaugurata ieri a San Jose, insieme alla presentazione del nuovo sistema operativo iOS 11, Craig Federighi (Senior Software Engineer della casa di Cupertino) ha mostrato per la prima volta anche il restyling dell’AppStore e con esso la nuova sezione dedicata esclusivamente ai videogames, nella quale si darà più spazio agli sviluppatori e agli editori, avvicinandosi di più al progetto portato avanti con Apple Music.L’originale e visivamente straordinario puzzle game sviluppato da ustwo Games, dopo essere stato eletto Game of the year, torna dunque a calcare il palco della conferenza con questo secondo capitolo e anche questa volta in grande stile. A quanto pare in Monument Valley II saremo in grado di guidare due personaggi all’interno dell’ambientazione geometrica ispirata palesemente ai lavori di M.C. Escher, per risolvere paradossi e rompicapo visivamente sublimi.

Il gioco è già disponibile in esclusiva per iPhone e iPad su AppStore a € 5,49.
Non sappiamo ancora se l’esclusiva sia temporanea e se lo vedremo presto anche sui dispositivi Android.




Distraint

Ogni creazione artistica racconta sempre qualcosa dell’epoca in cui è scritta: alcune opere portano con sé solo lo spirito del tempo, altre raccontano per scelta la propria contemporaneità. Se è vero che la letteratura ci ha narrato le storie di ogni tempo, il cinema ci ha restituito il ‘900, la musica continua a parlare ai cuori di interi popoli e le arti visive – dalle prime iscrizioni nelle caverne a oggi – hanno immortalato fatti e accadimenti della storia umana, probabilmente tra un secolo (o anche meno) le opere videoludiche contribuiranno a raccontare l’epoca in cui viviamo.
Il fatto che nel 2015 un giovane sviluppatore finlandese abbia prodotto un’avventura grafica a tinte fosche dall’ambientazione horror chiamata Distraint (e quindi intitolata al pignoramento) potrà dirla lunga su questi anni figli della grande recessione e della crisi dei Subprime.

Esecuzione forzata

“Each house is a story of failure — of bankruptcy and default, of debt and foreclosure”
(Sunset Park, Paul Auster)

Se il mio professore di diritto privato leggesse quanto sto per scrivere chiederebbe la revoca della mia laurea ma, semplificando, possiamo dire che il pignoramento è un mezzo con cui si sottrae qualcosa a qualcuno che ha avuto la cattiva idea di indebitarsi. Ogni cosa è pignorabile, anche le action figures che tenete sulla vostra scaffalatura. Ma se vi pignorassero un Funko Pop sarebbe forse più facile farsene una ragione (a meno che non abbiate quello di Clockwork Orange da 12.000 €) che se vi pignorassero la casa in cui abitate. Il pignoramento del proprio focolare è probabilmente una delle peggiori prospettive per chiunque: un’idea da incubo, ideale per un horror. Con la crisi l’aumento delle esecuzioni forzate sugli immobili è stato inevitabile e il game designer Jesse Makkonen si è forse chiesto come ci si deve sentire a non avere più una casa, ma soprattutto si è messo nei passi di chi ha l’onere di togliere la casa a qualcuno, strapparla via con tutto il suo deposito di ricordi, esperienze e momenti vissuti. Invece del cinico affarista privo di remore in simili situazioni, qui abbiamo il signor Price, un uomo dotato di coscienza ed empatia, caratteristiche non ideali quando ci si trova in un simile ruolo. Eppure Price dovrà andare fino in fondo nel suo viaggio tra stanze, corridoi, uffici, androni e soprattutto abitazioni da confiscare. Un percorso che è un susseguirsi di gironi danteschi in una storia dalla struttura vagamente dickensiana, un Canto di Natale fuori stagione che porterà Price a confrontarsi con i propri spettri nel corso di ogni espropriazione (che, per inciso, sono 3, proprio come i fantasmi di Natale del racconto dickensiano) e che lo vedrà in bilico tra i morsi della sua coscienza e la sua voglia di far carriera: intuiamo fin dall’inizio come il nostro protagonista non sia proprio un esempio di cinismo, a differenza dei suoi capi, gli sprezzanti McDade, Bruton & Moore, che appaiono di tanto in tanto a ricordargli le regole del successo. Il fatto che a presiedere ai pignoramenti vi sia un’azienda privata di cui Price è un semplice agente suona come un’incongruenza, visto che di solito quest’attività è di competenza dello Stato: ho pure cercato come vengono effettuate le esecuzioni forzate in Finlandia e in altre parti del mondo occidentale e pare che anche in questi paesi sia competenza di enti o agenzie governative, che non hanno un marchio privato come nel caso in questione. Sotto questo aspetto è dunque necessario fare uno sforzo di sospensione dell’incredulità, e francamente non viene difficile considerando l’ambientazione cupa e straniante e la tecnica di racconto non lineare, che ricorre a improvvisi salti temporali, a scene oniriche che raccolgono i frammenti del franto inconscio di Price e a sequenze surreali che rafforzano il senso d’angoscia trasmesso dal racconto, improntato sulla scia di un simbolismo che sembra unire David Lynch a Silent Hill in un unico titolo.

Nebbie in pixel art

Distraint è un’avventura grafica bidimensionale a tinte fosche in pixel art ideata da Jesse Makkonen, dicevamo, game designer finlandese già autore dell’interessantissimo Silence of the Sleep. Il gameplay è essenziale, trattandosi di un’avventura a scorrimento laterale nella quale l’obiettivo è risolvere enigmi non troppo complessi e che ha al centro storia e ambientazione atte a restituire il senso di angoscia e lacerazione interiore del protagonista. Come in un classico punta e clicca, si dovranno raccogliere oggetti che saranno raggruppati in un inventario dotato di tre soli slot (che non arriverete mai a riempire) e utilizzarli in modo da poter andare avanti.
Parlare di level design sarebbe troppo, trattandosi di un indie game dalla grafica basilare che risulta comunque buona, essendo questo uno speed project (lo stesso Makkonen scrive d’averci impiegato “82 giorni, 620 ore, tazzine di caffè 155/54 litri”) ma sul piano artistico la resa centra in pieno l’intento, grazie anche a piccoli, decisivi innesti come una nebbiolina d’effetti particellari atta ad accentuare l’atmosfera onirica e un effetto grana che contribuisce ad atemporalizzare la storia raccontata. Il sonoro completa questo quadro, insinuandosi in maniera delicata e appropriata e contribuendo in maniera decisiva a restuire un’ambientazione ansiogena e il dramma psicologico del protagonista.

L’elefante nella stanza

«Quel momento segnò la mia rovina: questa è la mia storia, e questi sono i miei rimpianti»
(Distraint)

Distraint è un’avventura grafica che potrebbe anche passare per una visual novel gotica, tanto il peso della trama è maggiore di quello degli enigmi; fosse letteratura sarebbe un racconto horror nemmeno tanto breve (ma neanche lunghissimo: il gioco dura circa un paio d’ore) dal buon ritmo, dai temi solidi e con qualche sbavatura: Makkonen calca probabilmente troppo la mano sugli elementi onirici, preme l’acceleratore del surrealismo e ogni tanto rischia di andare fuori strada. Nel tentativo di rendere più potente il piano simbolico dell’opera, alcune sequenze appaiono sovraccaricate e rischiano di risultare in parte poco funzionali al racconto, che a volte ne subisce il peso: la stessa scena dell’elefante (che resta comunque una delle più intense del titolo) non fa eccezione, e alcuni momenti simili rischiano di non giovare al risultato finale, mentre altri sono inseriti con grande equilibrio nel tessuto narrativo.
Ciò nonostante, Distraint resta un’opera interessante, nella quale l’autore ci restituisce una storia a più livelli, ottimamente resa nonostante gli stretti tempi di produzione, e nella quale il messaggio passa forte e chiaro, portandoci al finale in un climax di angoscia, ambiguità, claustrofobia onirica, ambientazioni surreali in cui non si lesinano i jumpscare.
Un’opera videoludica che denota una certa forza di contenuti e sapienza narrativa, e che piacerà agli amanti dell’horror psicologico e autoriale.




To The Moon

Che valore hanno i sogni? Che valore hanno i nostri ricordi? Scambiereste un ricordo autentico con il ricordo con un sogno mai realizzato? Probabilmente alcuni oggi accetterebbero lo scambio; di certo non pochi lo fanno nell’universo di To the Moon, nel quale la Sigmund Corporation è riuscita nell’intento di manipolare i ricordi a piacimento e offre questo genere di servizi a clienti in punto di morte (per non causare dissonanze cognitive ai sottoposti), aiutandoli a esaudire i propri desideri irrealizzati. Nel caso in questione, tocca agli scienziati Neil Watts ed Eva Rosalene rendere reale – quantomeno sul piano mnemonico – il desiderio dell’anziano John: andare sulla Luna.Velleità infantile, atavica, anche banale a primo acchito. Vien da pensare al desiderio istintivo del bambino che guarda il mondo con occhio disincantato e dichiara di voler fare l’astronauta, da grande.
Ma non sta ai due esperti giudicare il proprio cliente: entrambi devono limitarsi a connettersi alla memoria di John per risalire alla motivazione primigenia da cui è scaturito il desiderio, e far leva su quella per far sì che diventi reale – almeno sotto forma di ricordo – nella convinzione che non ci sia nulla che non si possa ottenere se animati da una forte motivazione. Ma già dal primo ricordo emerge ben poco, così Neil ed Eva si trovano a dover andare sempre più a ritroso – con non poche difficoltà – fino all’infanzia di John nella speranza di trovare la chiave del problema.

Temi (im)portanti

In questo viaggio al termine dei ricordi, Neil ed Eva si addentreranno nel vissuto più profondo di John, in un intrecciarsi di relazioni umane che va dall’amico più fidato al suo unico, vero amore, River, passando per quelle familiari, relazioni che imprimono il primo marchio nel percorso dell’esistenza. Temi comuni a ogni essere umano, ed è proprio dietro la maschera dell’ordinarietà che si annidano le storie speciali. Tramite una storia di vita senza alcun tratto apparentemente straordinario, Kan Gao riesce a trattare temi profondi e delicati: dicevamo del rapporto tra desiderio e memoria, e su entrambi gli argomenti emergono importanti interrogativi (abbiamo il diritto di non assecondare desideri altrui perché ci paiono ingiusti nei nostri confronti? Il valore dei nostri desideri è superiore a quello dei nostri ricordi?). Proprio sul tema della memoria, il racconto sembra oscillare tra il Gondry di Eternal Sunshine of the Spotless Mind – in cui è al centro il tema della rimozione dei ricordi dolorosi – e il Nolan di Memento e Inception – rispettivamente per il meccanismo del viaggio mnemonico à rebours e per il sistema a livelli in cui si struttura il percorso a ritroso nei ricordi – tralasciandone però la componente filosofica e per calcare la mano su quella emozionale. Certo non è un terreno semplice: John desidera aver innestato un nuovo ricordo per esaudire il proprio desiderio, ma la memoria non è una stanza illuminata a giorno, è anzi zeppa di zone d’ombra, è un terreno scosceso disseminato di crateri, non diversamente dalla Luna, la cui parte oscura è perfetta allegoria di quel subconscio in cui si nascondono i ricordi rimossi. E così è anche per John, come scopriranno i nostri scienziati.
Il tema si intreccia senza forzature a un altro ancor più spinoso e certamente meno noto, quello della Sindrome di Asperger. È una delle scelte più meritevoli di To The Moon, probabilmente il primo videogame a mettere in primo piano una simile patologia, e a ciò si aggiunge il merito di averla trattata con delicatezza inaspettata e rifuggendo ogni banalità, non facendo dei soggetti affetti da simili caratteristiche dei freak ma, al contempo, non puntando su un facile binomio autismo-genialità che, nel caso in questione, avrebbe costituito una comoda scappatoia. Tratti dell’Asperger sono stati del resto rintracciati in uomini di genio del calibro Darwin, Newton, Lewis Carrol, van Gogh, Tesla, Einstein, Syd Barrett ed è curioso trovare una simile patologia – parente stretta dell’autismo, e che comporta difficoltà sul piano sociale e comunicativo – in un videogame, essendo quelli dell’informatica e della produzione videoludica settori che vedono un discreto numero di soggetti interessati.

Novel, Visual & Sound

Seppur robuste e importanti, le tematiche da sole non potrebbero mai bastare; ragion per cui è il caso adesso di soffermarsi su quello che è un aspetto cruciale di opere atte a raccontare una storia attentamente pensata, dagli intenti autoriali, ovvero il meccanismo narrativo. Come nel caso di molti titoli di non facile inquadramento, si dibatte infatti su dove incasellarla fra chi la inserirebbe nel largo calderone delle avventure grafiche punta e clicca e chi la definirebbe una mera visual novel. Al di là di ogni definizione, possiamo certamente osservare che To The Moon consta di meccanismi propri dei punta e clicca sul piano tecnico ma di un dipanarsi del gameplay che lo avvicina più a quello delle visual novel: gli enigmi sono infatti quasi inesistenti mentre l’interazione con l’ambiente circostante è massima e finalizzata a ottenere ulteriori dettagli sulla trama. Le uniche, piccole sfide di gioco presenti consistono in piccoli puzzle da ricomporre tra un ricordo e l’altro e in una sfida di Whack-a-mole al Luna Park, ma si tratta di divertissment che non hanno rilevanza alcuna ai fini del completamento del gioco, il quale finisce col basarsi sostanzialmente sulla pura narrazione. Ed è proprio su questo piano che il titolo trova la sua forza, nella trattazione sapiente di tematiche importanti, rifuggendo la banalità e mettendo in sequenza eventi con un attento lavoro di regia videoludica che ben scandisce i tempi del racconto, utilizzando una scrittura elegante che riesce a equilibrare la profondità dei dialoghi con vari momenti di leggerezza (fondamentale, in tal senso, è la carica di sarcasmo e ostentato cinismo fornita dal Dr. Watts, a cui è affidata una piccola linea comica). Alcuni limiti del titolo sono però al contempo però rintracciabili proprio in fase di scrittura perché, se da un lato Kan Gao riesce a offrire un racconto raffinato e bilanciato, dall’altro canto questo manca in parte di quello spessore che ci aspetteremmo una volta alzata l’asticella dell’autorialità, non raggiungendo altissime vette di scrittura né offrendo dialoghi o monologhi memorabili.
La parte testuale rimane comunque un punto forte del titolo, che si arricchisce di richiami alla contemporaneità (dal Lorenzo von Matterhorn di How I Met Your Mother a Twilight fino ai vari “Hadouken”, “Kamehameha” e “Hulk Smash” citati da Neil Watts nei momenti di apertura di un varco tra un ricordo e l’altro) e che viene assolutamente completata da una colonna sonora straordinariamente intensa, basata su composizioni di pianoforte capaci di caricare emotivamente testi comunque già solidi e di regalare atmosfere sognanti e trasognate: il leitmotiv del titolo – composto dallo stesso Kan Gao, autore dell’intera soundtrack – vi resterà impresso a lungo, come del resto la dolcezza di Everything’s alright, l’unico brano cantato dalla voce carezzevole di Laura Shigihara.
La grafica 16-bit, che ricorda da vicino vecchi titoli come Secret of ManaFinal Fantasy o Chrono Trigger, essendo il titolo sviluppato con RPG maker, si armonizza perfettamente in quest’impianto, contribuendo all’unicità di un titolo che, nonostante una grafica affatto originale, risulta ormai facilmente riconoscibile dopo pochi secondi di gioco.

Un Mobile poco mobile

Sviluppato nel 2011, il gioco è stato oggi riproposto in versione mobile, e per l’occasione è stato risviluppato con motore Unity, con un leggero lavoro sulle grafiche e l’aggiunta di alcuni piccoli sistemi in-game come work log, qualche implementazione nei ricordi e poco altro. A parte queste implementazioni – nessuna di vero rilievo, in verità –  emergono alcuni difetti di questa versione nel sistema di movimento, più lento e farraginoso rispetto a quello del pc, certamente ancora ottimizzabile, così come lo sono i dialoghi, per i quali non è possibile accelerare la velocità di lettura, difetto che spezza non poco il ritmo di gioco e che potrebbe penalizzare non poco un titolo che richiede predisposizione alla lettura e pazienza (specie in relazione agli standard odierni). Nulla che una buona patch non possa migliorare, e già gli sviluppatori hanno annunciato aggiornamenti, soprattutto perché la versione in italiano era stata lanciata sullo store con qualche problema tecnico che gli utenti non hanno mancato di ravvisare.

Dalla Terra alla Luna

Il viaggio dalla Terra alla Luna narrato da Jules Verne è certamente agli antipodi rispetto a quello narrato in To The Moon, tutt’altro che legato alla narrativa avventurosa o alla fantascienza dei primordi, ma certamente ha in comune un tratto concettuale, quello della sfida esistenziale, della battaglia quotidiana per la realizzazione dei sogni che vede al centro la forza di volontà, motore immobile per l’esaudimento di ogni desiderio.
I momenti di riflessione davanti agli interrogativi posti dalla storia si alternano agilmente a quelli in cui sono le emozioni a farla da padrona, in un climax che porterà anche i cuori più duri ad avvicinarsi alla storia d’amore tra John e River non meno che ai grandi messaggi che il titolo vuole veicolare e ricordare, per utilizzare un verbo appropriato, sulla falsariga di quanto sosteneva Edward Morgan Foster quando affermava che “unless we remember, we cannot understand”. 
To The Moon è un titolo certamente raro nel panorama videoludico mondiale: a Kan Gao va il grande merito di aver creato un’opera videoludica che unisce profondità tematica e abilità di scrittura in un quadro di grande armonia, sostenuto da una colonna sonora raffinata, con composizioni che si imprimono nel cuore del giocatore e lo accompagnano con levità fino alla fine della storia. Un piccolo astro luminoso che non si può far a meno di ammirare e che continuerà a lungo a splendere nel firmamento degli indie games.




Old Man’s Journey

I viennesi di Broken Rules le ossa se le son fatte, e non soltanto a suon di giochi mobile. Lo studio indipendente ha infatti alle spalle qualche titolo apparso su Steam – come il premiato Secrets of ­Rætikon – e addirittura un gioco per Wii U, il buon Chasing Aurora, uscito sull’eShop Nintendo nel lontano 2012.
Cosa accomuna Old Man’s Journey ai succitati progetti?
Una direzione artistica sicuramente stupefacente che in questo caso si traduce nella cura di ciascun dettaglio grafico e nella pulizia dei disegni, interamente realizzati a mano.
Una colonna sonora originale, composta questa volta da un ispirato SCNTFC, già autore di numerose OST per altrettanti titoli indie (fra gli altri Oxenfree, Galak-Z e Mr. Robot Exfiltrati0n).
E infine, purtroppo, anche alcune lacune soprattutto per ciò che riguarda la varietà dell’offerta.

Ma andiamo con ordine: il gioco è un’avventura grafica a scorrimento laterale, disponibile su iOS, Android e PC e narra la storia di un vecchio barbuto che riceve una lettera e parte improvvisamente verso una destinazione a noi sconosciuta. Durante il viaggio saremo chiamati a interagire con l’ambiente circostante, spostando letteralmente pezzi del paesaggio disposti in parallasse per far sì che il nostro protagonista possa raggiungere di volta in volta la scena successiva. A questo semplice ma originale meccanismo si affiancano pochi altri puzzle ambientali che non rappresentano mai una seria sfida e, a dirla tutta, risultano spesso ripetitivi. Di tanto in tanto, una scena d’intermezzo svelerà alcuni dettagli del passato del nostro vecchio protagonista finché arriveremo alla tanto misteriosa meta del nostro viaggio.La storia vuole essere commovente e, in parte, ci riesce ma purtroppo non grazie a una sceneggiatura sopraffina, quanto piuttosto a una realizzazione tecnica veramente straordinaria, che trova la sua massima espressione su un iPad dove disegni e curatissime animazioni si susseguono fra le nostre mani, in attesa che le nostre dita interagiscano anche coi piccoli dettagli disseminati su ogni scena – che sembra di volta in volta un dipinto a sé – e grazie anche al costante accompagnamento musicale che riesce a essere evocativo e mai noioso.Purtroppo il titolo soffre di alcuni cali di framerate – e il dispositivo Apple sul quale l’abbiamo giocato è piuttosto recente – anche se i momenti nei quali l’azione è concitata rappresentano davvero delle eccezioni all’interno di un gioco dall’atmosfera altrimenti calma e sognante. A questi aspetti non meramente positivi, si aggiunge il peso di una scarsa longevità – due ore di gioco – durante le quali purtroppo non abbiamo riscontrato una varietà di gameplay tale da ritenerci soddisfatti.

Il titolo è disponibile a 5,49 € nella versione mobile e a 7,99 € su Steam.




Una nuova avventura di Link su mobile?

Secondo il Wall Street Journal, Nintendo e DeNA starebbero sviluppando una nuova avventura della saga di The Legend of Zelda per il mercato mobile.
In base alle fonti, il colosso Giapponese, si starebbe occupando anche dello sviluppo di Animal Crossing, sempre per mobile, che dovrebbe precedere l’uscita del nuovo Zelda (che potrebbe anche essere una versione mobile di Breath of The Wild) tra qualche mese.

Nintendo e DeNA non vogliono rilasciare alcuna voce ufficiale al riguardo.




Fire Emblem Heroes

Nintendo alla ribalta, questa volta sul mercato mobile, con uno dei suoi titoli di punta, Fire Emblem Heroes, nuovo episodio della nota saga sviluppato dal team di Intelligent Systems.
Tentativo sicuramente più riuscito – in termini di mercato – rispetto al precedente Super Mario Run, che ha fatto guadagnare alla compagnia di Kyoto molto meno di quanto previsto, complice il prezzo di 10 euro per avere accesso al gioco completo, cifra non ritenuta congrua da molti utenti, considerando che solo il 5% di chi lo ha scaricato ha deciso di pagarla. Di fatto, studi su questo tipo di mercato hanno dimostrato che gli utenti finali apprezzano di più il “free to play” ed eventualmente acquistare “in game”, piuttosto che pagare per avere subito il gioco completo, o a conclusione di livello come nel caso di Super Mario. Fire Emblem Heroes va valutato come standalone, non avendo nulla a che spartire con gli altri capitoli della saga congegnati per le console domestiche: è anche per questo che ci troviamo dinanzi ad una storia molto semplice e poco strutturata. Di contro però vengono rilasciati spesso aggiornamenti che includono nuovi eroi ed eventi a tema.

Storyline

In Fire Emblem Heroes incontreremo personaggi già visti nei precedenti capitoli della saga, come Marth, Alphonse, Daraen, Chrom e tantissimi altri Eroi. La narrazione ci guiderà attraverso diversi campi di battaglia per scontrarci con gli eroi degli altri mondi chiamati a raccolta dalla principessa dell’impero Embliano, Veronica, che lotta per distruggere il regno di Askr e conquistare il mondo.
A questo punto spetta ai Guardiani di Askr il compito di sconfiggere e redimere gli eroi che si sono legati, con un contratto ingannevole, alla causa della principessa Veronica.

Il potere dell’invocazione

Dalla nostra parte, i nostri personaggi avranno un potere che permetterà di invocare gli eroi in aiuto per sconfiggere gli eserciti che marciano per la conquista del mondo.
Grazie, infatti, alle battaglie che si affronteranno nel corso del gioco, si otterranno, in cambio, tra i vari oggetti e bonus, anche delle sfere che potranno essere utilizzate appunto per richiamare gli eroi.
Il sistema delle invocazioni è molto semplice: basterà entrare nel menù apposito e iniziare l’invocazione spendendo 5 sfere per il primo eroe; se deciderete di richiamare 5 eroi in una sola sessione di invocazione, risparmierete ben 5 sfere.

Gameplay

Il gioco è ben sviluppato, il livello di difficoltà cresce in base alla nostra esperienza ed è molto scorrevole: difficilmente ci troveremo a fermarci nel corso della nostra avventura.
Pur essendo, come dicevamo, una versione semplificata rispetto agli altri capitoli della stessa saga, Fire Emblem Heroes possiede comunque lo stesso combat system strategico e molto intuitivo che caratterizza l’intera serie.
Le schermaglie avverranno in un campo di battaglia di 8×6 caselle, che cambierà ambientazione in base alla storia e che potrà essere caratterizzato da ostacoli e strettoie. Il combattimento si svilupperà a turni tra il giocatore ed i nemici, la nostra squadra potrà avere al massimo 4 eroi che converrà selezionare in base alle abilità speciali e alla tipologia. Ogni qual volta sconfiggeremo un nemico, il personaggio che ha inferto il colpo di grazia guadagnerà esperienza per poter aumentare il proprio livello e potenziare le proprie caratteristiche. Purtroppo l’unico punto sfavorevole potrebbe essere la modalità multiplayer PVP presente nelle arene, che non prevede un vero e proprio scontro “live” diretto giocatore contro giocatore, come di consueto, ma piuttosto non sarà altro che uno scontro contro squadre, casuali, preimpostate si dai giocatori, ma dirette da una IA (intelligenza artificiale) che ne deciderà le azioni.

In Conclusione

Fire Emblem Heroes è dunque uno di quei giochi che, grazie al sistema del consumo di energia per ogni battaglia affrontata, riesce a tenerci incollati per molto tempo, finché non dovremo smettere per attendere circa 4 ore e avere di nuovo il pieno di energia da spendere. Forse proprio perché il tempo di gioco viene scandito da queste lunghe pause comandate è un ottimo espediente ad esempio per trascorrere un po di tempo tra pausa caffè e lavoro. Gli appassionati della saga Fire Emblem sicuramente troveranno molto interessante questo capitolo, ma sono sicuro che anche per chi vi si avvicina per la prima volta potrebbe risultare una bellissima esperienza.




Fez su iOS

La storia di Fez è una storia travagliata, come quella del suo creatore Phil Fish, che già nel 2013 ne aveva dato per “altamente probabile” il porting per il famoso sistema operativo mobile. Verso la fine dello stesso anno lo sviluppatore minacciò di lasciare il mondo della programmazione ma Polytron confermò che l’idea non era stata abbandonata. Quattro anni dopo, ovvero poche ore fa, il seguente trailer spunta su Vimeo:

Che sia davvero questa la volta buona?
Non ci resta che aspettare, anche se il 2017 è ancora lungo.




Card Thief - Bird

Card Thief

Un solitario che è un gioiello

Tornano i berlinesi di Tiny Touch Tales a due anni di distanza dal loro Card Crawl, dungeon crawler costruito intorno a un mazzo di carte (sì, le classiche 54 carte da gioco solo “leggermente” rivisitate) che aveva conquistato il mondo mobile grazie alla stupenda grafica e al suo concept davvero originale. Proprio questa passione per le carte da gioco sembra essere rimasta immutata, tanto che Arnold Rauers, game designer di TTT, ha deciso bene di deliziarci con questo splendido omaggio al classico di Looking Glass, Thief, inventandosi un gioco che è un solitario e uno stealth RPG strategico al contempo .

In Card Thief tutto il gameplay ruota attorno alla ricerca del percorso ottimale che il nostro protagonista – una carta raffigurante il ladro – deve intraprendere attraverso una griglia di 3×3 carte che rappresenta sia il livello di gioco, sia gli oggetti e i personaggi che lo popolano, e che mano a mano vengono sostituite in maniera del tutto casuale dalle altre carte presenti nel mazzo, le quali raffigurano nemici, ostacoli, tesori e carte abilità e d’ambientazione (come le carte-torcia) che influenzano, grazie alle loro caratteristiche, anche le altre presenti sulla griglia, aggiungendo o togliendo bonus e rendendo più o meno impervio il percorso da intraprendere per raggiungere il tesoro e la botola, carta che arriva sempre alla fine di ogni mazzo.

Il gioco offre tante possibilità di pianificazione strategica grazie alle sue meccaniche ben bilanciate, ai suoi 4 livelli accessibili dopo aver sbloccato i precedenti, i quali aggiungono sempre nuove abilità e nuove carte-nemico o carte-trappola, oltre alle varie modalità aggiuntive come il “colpo quotidiano“.

Un gioiello da lucidare

Sebbene le meccaniche siano un tantino ostiche da approcciare, e sebbene il tutorial non si possa definire di certo esaustivo, il gioco riesce comunque a conquistare il giocatore grazie alla sua grafica accattivante, ad animazioni e suoni ricercati e ben realizzati. Tutto sommato si potrebbe affermare che faccia leva proprio sulla qualità di queste caratteristiche per farsi avvicinare dal giocatore e poi rapirlo con la profondità di un gameplay ben studiato e bilanciato, ma che purtroppo si rivela nella sua complessità soltanto dopo aver giocato diverse partite.

Fortunatamente la formula scelta è quella di un premium e il prezzo di 1,99 € (solo su App Store di Apple, al momento) lo rende accessibile e meritevole di essere provato. Card Thief  è un gioco che, una volta compreso bene, coinvolge e crea dipendenza ma che probabilmente alla lunga risulta davvero soddisfacente soprattutto per il giocatore completista o per quello che tiene più alla classifica punteggi, per via dei suoi contenuti non proprio longevi.




‘Tempest’ in arrivo sui sistemi iOS e Android

L’action RPG Tempest, già in early access su Steam, ha finalmente una data di uscita anche per la versione mobile: dal 18 aprile infatti i possessori dei device iOS e Android potranno rispolverare i loro costumi da Pirata e solcare i mari di questo chiacchierato open world. In Tempest infatti si dovrà interpretare il ruolo del capitano della propria nave pirata, affrontando battaglie, costruendo, migliorando e personalizzando il proprio vascello, in solitaria o nelle missioni cooperative; anche se il gioco non è un MMO si potranno sfidare in combattimento altri giocatori grazie al PVP online.

La unreleased è già disponibile su Android.