Castlevania: Grimoire of Souls per iOS. I perché di tali scelte

Konami ha fatto un po’ di fatica da quando Hideo Kojima ha lasciato la compagnia che ha dato i natali al suo Metal Gear e altre popolarissime serie come Contra, Ganbare Goemon e Silent Hill; sono diversi anni ormai che il popolarissimo developer cerca di trovare una propria identità all’interno della scena videoludica. In fondo, si fa viva quando c’è da lanciare qualche  nuova IP come il recentissimo Metal Gear Survival o l’annuale Pro Evolution Soccer anche se, specialmente per i fatti relativi al licenziamento di Kojima, non sembrano entusiasmare mai i fan. A ogni modo non è che lo storico developer non abbia titoli da sfornare o non sia pronto per un ritorno in grande stile: i fan ebbero un barlume di speranza quando, nel 2015, Konami lanciò un sondaggio che chiedeva agli utenti quali fossero i titoli che più conoscevano e, un primo risultato si vide con l’uscita di Super Bomberman R per Nintendo Switch, un titolo addirittura ripescato dalle IP di Hudson Soft (compagnia che Konami comprò nel 2012).
In questi giorni è apparso un nuovo probabile frutto di quel sondaggio, il ritorno di una delle saghe più amate di sempre: Castlevania: Grimoire of Souls. La popolare saga degli ammazza-vampiri è in stallo da Castlevania: Lords of Shadows 2, un bel gioco ma che, come i precedenti Lords of Shadows e Lords of Shadows: Mirror of Fate, portò la saga in acque sconosciute. Koji Igarashi, lo storico direttore che diresse la saga dopo il leggendario Symphony of the Night, lasciò Konami perché contrario alla loro decisione di metterlo dietro allo sviluppo di titoli mobile distogliendolo, se non altro, dalla sua visione di Castlevania in favore di MercurySteam (gli sviluppatori dietro agli ultimi tre capitoli della saga) che non vedeva di buon occhio.
D’allora Igarashi, similarmente a Keiji Inafune quando lasciò Capcom, lanciò uno dei kickstarter più efficaci della storia, indirizzato verso la creazione di Bloodstained: Ritual of the Night, con l’obiettivo finale di 500.000 dollari; raggiunse 5 milioni in pochissimo tempo e si aspetta il suo rilascio in questo 2018. Konami, visto anche l’interesse dei fan verso il titolo indipendente di Igarashi, ha sicuramente pensato bene di produrre e annunciare Castlevania: Grimoire of Souls (un po’ come ha fatto Capcom con l’annuncio di Mega Man 11, giusto per offrire un’alternativa al malandato Mighty No. 9), annuncio che è stato in grado di far tremare la terra per una frazione di secondo. Anche se le immagini mostrano molti personaggi cari alla saga, un art-style tradizionale, una grafica 2.5D e,  uno “story mode” con la possibilità di un multiplayer in cooperativa (simile forse a quella già vista in Castlevania: Harmony of Despair), Konami ha comunque – e decisamente – smorzato l’entusiasmo generale, annunciando il rilascio per dispositivi iOS. I prodotti Apple, anche se non pensati appositamente per il gaming, sono ottimi dispositivi in grado di restituire un’azione di tutto rispetto, ma è chiaro che quando si pensa a titoli classici come questi non è la prima piattaforma che viene in mente ai giocatori; dunque, perché questa scelta?

È probabile che Konami non voglia semplicemente lanciare titoli per l’utenza che conosce e desidera ancora dei nuovi Castlevania ma, da quel che sembra, una mossa del genere evidenzia la volontà di raggiungere più giocatori possibili. Ogni persona fisica con un cellulare, in fondo, è un potenziale giocatore e, in un’epoca in cui il mercato cinese si apre verso il gaming, in grado di diventare in pochissimo tempo leader nel settore, è chiaro che Konami voglia ricavarsi uno spazio in questo nuovo scenario rinnovando, nel processo, la sua immagine; se non altro, anche se non nel modo in cui potremmo pensare, Konami è stata molto presente nella scena mobile in questi ultimi anni ed è possibile che il loro core business si stia spostando piano piano in quel determinato settore. Può dunque essere che Castlevania: Grimoire of Souls non sia “il loro Mega Man 11” poiché non vogliono semplicemente consegnare qualcosa ai fan della saga storica ma anche far conoscere la saga a chi non l’ha mai presa in considerazione, soprattutto in un paese come la Cina in cui le saghe classiche sono semi-sconosciute.
Tuttavia, Konami sa ancora che i giocatori che vogliono un loro ritorno in pompa magna si trovano principalmente fuori dalla scena mobile ed è per questo che titoli come Metal Gear Survive e Super Bomberman R non sono mancati, assenti nell’App Store e Google Play e che probabilmente, mai ci saranno. Gli iPhone e gli iPad non sono le “migliori console di gioco” (anche se i comandi su touch screen possono essere quasi sempre sostituiti da un bel controller fisico bluetooth) ma ciò non significa che non potremmo vedere questo titolo in altre piattaforme. Nintendo Switch, per esempio, ha accolto positivamente molti titoli già presenti su mobile (come Sparkle 2) e il processo contrario non è neppure un’assurdità al giorno d’oggi (basti pensare alle versioni mobile di Minecraft o Playerunknown’s Battleground). Ci sono ancora pochissime informazioni su questo nuovo titolo Konami: anche se stiamo parlando di un titolo mobile, le immagini sembrano promettere bene (ricordando molto Castlevania: The Dracula X Chronicles per PSP) e il solo fatto di rivedere Simon Belmont, Alucard, Soma Cruz, Charlotte e Shanoa e altri, scartando così lo stile e i personaggi dell’universo alternativo di Lords of Shadows, è certamente un buon punto a loro favore.
Qualsiasi saranno le scelte di Konami, tuttavia, sappiamo che queste non saranno mai fatte senza logica e se hanno deciso di puntare su mobile avranno certamente dati di mercato a supporto delle loro azioni anche se, comunque, non esclude a prescindere un rilascio per console o PC più in là. Ci auguriamo, inoltre, che questo non sia l’ultimo revival delle saghe storiche Konami e che potremo presto vedere presto dei nuovi Contra, Gradius, Ganbare Goemon, Zone of the Enders o Suikoden su console, PC o mobile (tutto pur di poterli rigiocare).




Game Jam: The Movie

Uno dei concetti alla base della game theory, e del gioco sin dai primordi, è quello di sfida: che ci sia o meno dello storytelling dietro un’attività ludica, è la volontà di superamento dell’ostacolo a muovere l’engagement. La motivazione generata dalla gara e da una meta da raggiungere incrementa il potenziale creativo e l’ingegno, ed è per questo che oggi metodi come la gamification trovano considerevole spazio anche in ambienti business, per assolvere a finalità che con il puro entertainment non hanno nulla a che fare.
Un altro concetto non meno importante alla base del gioco è quello di cooperazione: seppur meno irrinunciabile rispetto al primo (giocare in single player è un’attività nata ben prima dei solitari con le carte), l’attività in co-op è alla base delle attività ludiche di gruppo, degli sport di squadra e di buona parte del gaming moderno, e oggi ne sono studiati i benefici in termini di team building soprattutto nei contesti aziendali.
Non deve stupire, quindi, se uno dei momenti di maggior creatività nella produzione videoludica odierna sia rintracciabile nelle Game Jam. Nate come forma specialistica degli hackaton (dall’unione dei termini “hack” e “maraton”, maratone dedicate in cui vari sviluppatori univano le forze per trovare soluzioni comuni e innovative, come fu il primo caso di hackaton che unì vari sviluppatori in ambiente OpenBSD), le Game Jam sono sessioni collettive di professionisti o appassionati dotati di  capacità tecniche e creative che, richiamando il concetto musicale di jam session, si trovano a mettere insieme le proprie competenze per creare un videogame in un lasso determinato di tempo.
Negli anni, queste manifestazioni che hanno raccolto team di sviluppo in ogni dove sono cresciute al punto da richiamare migliaia di partecipanti, aspiranti developer con idee alla base o semplicemente gente che voleva mettersi alla prova. Nelle Game Jam si sono alternati grandi fallimenti e idee geniali, sviluppatori che riuscivano a concretizzare idee straordinarie in un tempo brevissimo e altri che invece non riuscivano a finire il progetto iniziato. Spesso i team hanno già una coesione di base, ma non è raro trovare gente che unisca le forze in vista di una singola jam senza aver mai lavorato assieme, solo perché ci sono le giuste competenze da unire e provare può valerne la pena.

Le game jam hanno prodotto veri e propri obbrobri accanto a giochi interessanti fino a titoli che poi sono approdati sui principali store mondiali: non si può non pensare a SuperHot, la cui idea vide luce durante la 7 Day First Person Shooter Game Jam (7DFPS) prima di approdare su Greenlight e diventare il gioco straordinario che è oggi, vantando anche una versione VR su tutte le principali piattaforme di gioco.
Le Game Jam sono state anche culla di idee bizzarre come Surgeon Simulatorcreato durante la Global Game Jam 2013, o Goat Simulator, ideato invece durante una jam interna di Coffee Stain Studios, che avevano appena finito lo sviluppo di Sanctum 2: lo avrebbero mai detto che simulare la vita di una capra gli avrebbe fruttato 12 milioni di dollari contro gli appena 2 entrati con ogni capitolo di Sanctum? Non è strano che quindi appuntamenti come la Global Game Jam, Indie Game Jam, Ludum Dare e Nordic Game Jam siano diventati importanti banchi di prova per sviluppatori indipendenti, ma anche momenti  interessanti per i grossi publisher.

Piccoli universi con una vita limitata, nei quali si concentrano ogni volta storie, idee, creatività e sinergie che vale la pena raccontare.
A farlo sono stati Scott Conditt e Jeremy Tremp, registi, e anche produttori con la loro CineForge Media, di Game Jam: The Movie, documentario che narra in meno di un’ora il lavoro di 12 team in gara per un premio durante i due giorni di una Game Jam.
Uscito nel marzo 2018, il documentario distribuito da Devolver Digital Films è diviso in due parti: la prima si concentra sulla vera e propria Game Jam, con interviste agli sviluppatori e un focus sul loro lavoro. Emerge quel senso della sfida che mette in moto la creatività durante queste manifestazioni, l’ansia di non farcela, la paura di non finire in tempo. Ma è anche il momento in cui il brainstorming produce il massimo, dove le varie competenze si fondono e dove, dall’intersezione di concetti di game design a concept di visual art e intelligenti soluzioni  di coding, arrivano le idee dalle quali nascono i giochi. I team si mettono a nudo e non nascondono timori e a volte un senso di inadeguatezza, ma esce fuori inevitabilmente anche il narcisismo di ognuno, il compiacimento riguardo un’idea di base che sembra azzeccata e su cui è possibile fare del proprio meglio, la volontà di puntare sulle proprie abilità migliori, chi in quella di creare efficaci ambienti in VR chi invece nell’abilità nel sound design.
La seconda parte segue invece i soli team vincitori della Game Jam, i due che si sono meritati il passaggio all’IndieCade. Si tratta di un percorso interessante per chi non abbia mai visto come funziona la long road di un videogame verso la pubblicazione, emerge l’importanza di aver un buon publisher perché il gioco emerga dal mare magnum degli indie game quotidianamente rilasciati sul mercato e quindi è messo in luce il peso di un buon pitch con chi dovrebbe comprare l’idea: gli sviluppatori, tutti giovanissimi e spesso non forti di grandi doti comunicative o di marketing, hanno l’occasione di esporre i propri lavori ad aziende del calibro Sony e Oculus, e devono  farlo in soli 5 minuti. 300 secondi, una media che si ripete ovunque, di certo non solo all’IndieCade, chi frequenta questi eventi lo sa bene. I grossi publisher sono in cerca di prodotti di loro interesse, ma sanno che ne troveranno ogni volta 1 su 500, bene che vada: vale la regola della prima pagina che attuava Aldo Busi quando selezionava i romanzi per Mondadori, se la prima pagina non funzionava il testo veniva scartato. Il metodo non era forse efficace, ma di certo risulta  e risultava efficiente e, piaccia o meno, è così che funziona il mercato, al punto che l’incaricato di Cartoon Network spiega che incontrare gli sviluppatori è importante al pari del gioco: su un prodotto, del resto, il publisher vuole sempre avere una voce in capitolo, e avere a che fare con lavoratori affidabili, elastici e disponibili a effettuare variazioni per la miglior riuscita del prodotto sul mercato diventa fondamentale. Probabilmente per questo il team di Terrasect è riuscito poi a pubblicare il proprio Wizards: 1984, prodotto VR ancora presente sugli store mobile: il gioco era inizialmente concepito in maniera diversa, sono state necessarie varie modifiche sostanziali perché il publisher accettasse di distribuirlo.
In entrambe le fasi, il Virgilio d’eccezione è Jess Conditt, sorella di uno dei registi e Senior Editor di Engadget, che ha il compito di spiegare i retroscena dell’indie development e di chiarire alcuni aspetti che altrimenti risulterebbero meno intellegibili ai non addetti ai lavori.

Un documentario breve ma di certo interesse nel suo raccontare un percorso che oggi riguarda tutti gli sviluppatori non affermati, e che in questi anni è diventato rilevante nell’industry, dato il crescente peso degli indie game sul mercato videoludico.
E che non dà spazio soltanto ai vincitori: alcuni lavori che trovano voce solo nella prima parte del film andrebbero tenuti d’occhio e con loro alcuni giovanissimi developer che dimostrano di avere un a buona base di idee. Del resto, la storia del settore ci ricorda che anche quando i risultati non sono immediati, in certi casi si può intravedere già del talento su cui investire.
A tal proposito, mi pare utile ricordare in chiusura quel che fecero Edmund McMillen e Tyler Glaiel alla Global Game Jam Creators del 2009. I creatori di Super Meat Boy all’epoca si limitarono a creare un idle clicker dal titolo AVGM (Abusive Video Game Manipulation), gioco che oggi può essere recuperato nella The Basement Collection che raccoglie i lavori del primo McMillen e il cui gameplay consiste soltanto nel premere un interruttore per spegnere e accendere la luce in una stanza vuota, con l’obiettivo di ottenere ogni volta nuovi oggetti dopo un certo numero di click. Il gioco è semplicissimo ma, come ha spiegato lo stesso McMillen, nasceva da un esigenza di risposta a un certo tipo di prodotti quelli che creano nel giocatore l’esigenza della ripetizione di determinati comportamenti, che si traducono in tempo investito per ottenere degli item digitali, in una “manipolazione della volontà” che induce, infine, a spendere denaro per risparmiare quel tempo e ottenere gli stessi vantaggi.
Vi ricorda qualcosa? McMillen analizzava questo fenomeno già quasi un decennio fa, e ha definito infatti AVGM come «a commentary on the formula that’s used in most massively multiplayer RPGs and a lot of online games that are on Facebook and stuff like that like Pet Society and Farmville – especially Farmville – where you are basically rewarded with digital items for time spent and clicks».
Una realizzazione semplice di un’idea intelligente e reazionaria, insomma, ideale per i tempi brevi di una Game Jam, e non è un caso, infatti, che gli oggetti che appaiono su schermo siano sempre raccapriccianti.

E un simile esempio di creatività, libera, riottosa e provocatoria, ci pare già abbastanza per poter auspicare che il mondo delle Game Jam continui a crescere e proliferare, portando sempre più autori indipendenti all’attenzione dei moderni videogiocatori.




La realtà virtuale potrà ridare la vista a ciechi e ipovedenti?

Il giornalista londinese Alex Lee ha una rara malattia genetica che gli causato una riduzione della vista e, quando giocava ai videogiochi, vedeva molto sfocato. Ma un volta indossato un visore VR per provare L.A. Noire di Rockstar Games, si è accorto di vedere meglio di quanto avesse fatto negli ultimi cinque anni. «È stata una sorpresa», ha dichiarato; «ho potuto vedere meglio con la realtà virtuale rispetto alla vita reale».
Secondo Michael Crossland, professore di oftalmologia dell’Università di Sydney, la realtà virtuale potrebbe aiutare i non vedenti perché gli schermi, essendo molto vicini agli occhi, incorporando immagini grandi, luci brillanti e testo in grassetto, aiutano gli ipovedenti a vedere in maniera più nitida.

Una manciata di aziende attualmente, si sono messe al lavoro per trovare modi specifici per sfruttare questa funzionalità, in modo di ridare la vista a ciechi e ipovedenti. RaayonNova, con sede a New York, sta già lavorando sul progetto di lenti a contatto intelligenti con un sistema di controllo motorio funzionante, nonostante alcuni problemi dati dalle attuali teconologie. Ogni obiettivo del visore possiede uno schermo incorporabile proprio sopra la cornea, con funzionalità specifiche per aiutare i non vedenti, come un display incorporato che utilizza il colore per dirigere chi lo indossa, per ingrandire i segnali stradali o avvisare la persona quando è vicina a un pericolo.

Proprio a tal proposito, il fondatore Aleksandr Shtukater, commenta:

«Riteniamo che le applicazioni AR e VR siano destinate a sostituire gli smartphone in futuro. La nostra soluzione consiste nel collegare il dispositivo al senso della vista in modo discreto e proiettare le informazioni direttamente sulla retina, in modo efficiente e non invasivo”

RaayonNova spera di lanciare le lenti nel 2019, e potrebbero essere gli unici dispositivi di questo tipo sul mercato, se ce la farà.

«In futuro, una mamma potrà monitorare il suo bambino a distanza e cambiare inquadratura della telecamera, avviando magari anche una conversazione con il figlio, il tutto mentre lavora in ufficio. Anche un individuo pigro, o stanco dopo tante ore di lavoro, potrà ordinare da un ristorante cinese online prima di tornare a casa, attraverso una lente a contatto intelligente.”

 

Le dimensioni contano

Anche i normovedenti hanno bisogno di aiuto: Secondo Hans Streng, l’amministratore delegato di Luxexcel, azienda olandese che produce lenti a contatto stampate in 3D, il 60% degli americani ha bisogno di correzione oculare. Luxexcel ha recentemente stretto una partnership con Vuzix per realizzare lenti graduate stampate in 3D basate sul funzionamento degli occhiali Vuzix Blade AR, che sovrappongono informazioni come direzioni, mappe e previsioni del tempo sul mondo.

Un’altra società che sta lavorando per i non vedenti è l’Istituto Fraunhofer in Germania, che si propone anche di riuscire a ridurre le dimensioni dei visori Goggles VR. Negli ultimi dieci anni, Uwe Vogel, responsabile dei microdisplay e dei sensori, ha promosso dei microdisplay OLED per VR e AR:

«I visori per la realtà virtuale sono sempre più popolari, ma fino a ora sono stati creati solo modelli pesanti e di grandi dimensioni. Ci si aspetta che i microdisplay cambino, e che sia possibile produrre visori ergonomici e leggeri;  in questi anni, i nuovi display OLED raggiungono frame rate molto alti, con risoluzioni estremamente elevate con l’estensione Full HD.»

Ma come saranno gli schermi digitali in futuro?  Secondo Vogel, il trucco non consiste solo nell’aumentare risoluzione e frequenza dei fotogrammi, ma anche mantenere il il consumo energetico più basso possibile.
Fraunhofer ha lavorato a questo progetto decennale con LOMID 2020, un progetto finanziato dall’UE che mira a rendere i microdisplay compatti, economici e performanti rispetto ad altri sul mercato, con risoluzione migliore rispetto ai display per smartphone. Questo periodo è concentrato su una lunga serie di test su persone classificate legalmente come cieche. I nuovi display utilizzano la tecnologia OLED-on-CMOS per immagini luminose ad alto contrasto, più grandi, nitide e con una densità di pixel maggiore rispetto alla concorrenza.
Anche gli smartglasses potrebbero avere un ruolo fondamentale: specialmente se con ottica compatta e con fotocamera integrata, i non vedenti potranno muoversi e interagire in sicurezza nell’ambiente circostante.




Satellite Reign gratis per 48 ore

Humble Bundle ha reso disponibile per le solite 48 ore Satellite Reigngioco indie strategico prodotto e distribuito da 5 Lives Studios. Il gioco è ambientato in un mondo cyberpunk con meccaniche da GDR,  oltre al classico multiplayer online si può contare sulla coop sia online che in locale.




Croteam annuncia Serious Sam 4: Planet Badass

Croteam, sviluppatore indipendente croato, ha annunciato ufficialmente, su piattaforma Steam, Serious Sam 4: Planet Badass. Un teaser ha mostrato le immagini del gioco con veste grafica migliorata rispetto l’ultimo episodio Serious Sam 3: BFE ma Il rilascio di ulteriori dettagli, avverrà durante la conferenza E3 2018 di Devolver Digital a Giugno. Qualche informazione in più però possiamo carpirla dalla descrizione del titolo presente su Steam:

“Il famosissimo Serious Sam si appresta a tornare più grande e brutale che mai, e non su un unico livello desertico. Planet Badass  farà il suo debutto all’E3 2018.”

Sembra dunque che Serious Sam 4 – anche da quanto si evince dal trailer – sarà caratterizzato da ambienti molto più grandi rispetto a quanto vociferato da precedenti rumor.
Tra le nostre speranze vi è quella di una maggiore attenzione verso la componente narrativa, visto che Jonas Kyratzes (uno degli autori dietro l’acclamato The Talos Principle) sta proprio lavorando su questo nuovo titolo. La pagina di Steam elenca anche una co-op locale, cross-play tra le piattaforme, un editor dei livelli e il supporto di Steam Workshop. Non sono state ancora annunciate versioni console, ma conoscendo il franchise, sembra probabile un’imminente arrivo anche per quest’ultime.




Ubisoft annuncia la data della sua conferenza per l’E3 2018

l’E3 2018 arriverà tra pochi mesi e, mentre possiamo cominciare a scommettere su cosa verrà mostrato e chi saranno i protagonisti, Ubisoft ha confermato i dettagli del luogo e la data in cui annuncerà i suoi prossimi progetti.
La compagnia francese ha annunciato che parteciperà alla fiera losangelina con una conferenza, l’11 di giugno alle ore 22 (ora italiana) all’Orpheum Theatre di Los Angeles, lo stesso luogo in cui ha tenuto le conferenze a partire dal 2014.
Ubisoft ha dichiarato che verranno rilasciati ulteriori dettagli nei prossimi giorni, ma possiamo immaginare che si parlerà di The Division 2, Watch Dogs 3, e possibilmente nuove informazioni su Beyond Good & Evil 2; inoltre non sono escluse ulteriori sorprese.
In basso il tweet con l’annuncio.




Cliff Bleszinski accusa Epic Games di furto del personale

In molti sicuramente saprete di chi si sta parlando, ma per chi non lo conoscesse, Cliff Bleszinski possiede una certa fama per aver preso parte allo sviluppo delle saghe di Gears of War e Unreal. Dopo ben 20 anni di carriera presso Epic Games, nel 2012 decise di ritirarsi per prendere una pausa dalla professione di game designer, ma tornò a lavorare due anni più tardi fondando la Boss Key Productions insieme ad Arjan Brussee (uno degli  executive producer dietro Battlefield Hardline). LawBrakers, primo titolo prodotto dalla compagnia, non fu proprio un buon trampolino di lancio, ma il nuovo titolo attualmente in accesso anticipato, Radical Heights, potrebbe rappresentare la sua redenzione.
Premesso questo, lo scorso dicembre Brussee ha lasciato Boss Key in favore della stessa Epic Games, dedicandosi a un progetto al momento segreto. Non si sa precisamente quanti altri dipendenti abbiano fatto lo stesso, ma Bleszinski sembra averla presa sul personale, a giudicare dai suoi ultimi tweet.

https://twitter.com/therealcliffyb/status/984933986312114176

Implicitamente, starebbe asserendo che la casa creatrice di Fortnite vede Radical Heights come un possibile terzo partecipante nella gara tra battle royale, insieme a PUBG, e che quindi voglia assumere i suoi sviluppatori per “difendersi”.

https://twitter.com/therealcliffyb/status/984934521157181441

William McCarroll, uno dei dipendenti che ha da poco lasciato Boss Key, ha preso le difese di questi ultimi, ritenendo che hanno tutti avuto le loro buone ragioni per andarsene.

La situazione tra le due case di produzione sembra farsi sempre più tesa.

 




Location-based VR: Star Wars: Secrets Of The Empire

La realtà virtuale con location dedicata probabilmente è il modo migliore per sperimentarla, senza investire in visori e PC costosi. È stata già applicata al nuovo gioco di The Void, Star Wars: Secrets Of The Empire, che sembra avere  tutti gli ingredienti per avere successo: ha un prezzo di 30$ a partita e luoghi appositi dove provarlo, accanto alle destinazioni turistiche più famose d’America.
Ma parliamo del gioco. Consiste nell’infiltrarsi insieme ad altri quattro giocatori in una base imperiale su Mustafa ricoperta di lava, la casa di Darth Vader.

È possibile guardare un breve video introduttivo con il personaggio di Diego Luna già visto in Rogue One, e scoprire che la missione consiste nel recuperare un’arma segreta; il proprio equipaggiamento, che consiste in uno zaino per PC, dell’abbigliamento tattico e un visore simile a Oculus Rift. Chi ha provato la realtà virtuale classica sa che è faticoso impostare bene tutti i sensori e la calibrazione prima di giocare, ma in questo caso con location dedicata, non è necessario preoccuparsene. In seguito si verrà condotti nella stanza di partenza, dove il droide K-2SO spiegherà il piano.

Per i primi cinque minuti, si noterà un’enorme reattività, in cui saremo vestiti come gli Stormtroopers e, ogni volta che qualcuno si muoverà, dalla testa, alle mani e alle gambe, tutto verrà tracciato perfettamente.
Nel corso del gioco si verrà trasferiti da una stanza all’altra e a volte, sarà necessario eliminare altri stormtroopers oppure, ci si ritroverà a risolvere enigmi. Per tutto il tempo ovviamente, si dovrà interagire con i compagni di squadra.
Secrets of the Empire è una bella esperienza, specialmente per i fan di Star Wars. Ma come si inserisce nel resto del mondo questa tecnologia?
Questo genere di realtà virtuale sembra essere pronta a sfondare, data la possibilità di muoversi liberamente nel proprio spazio, senza preoccuparsi di impostare i sensori, circondati da oggetti di scena ed effetti speciali che aggiungono autenticità al mondo virtuale esplorato. Questo modo di sperimentare la realtà virtuale è ancora giovane: IMAX VR sta installando le sue basi su più zone, ma ancora troppo poche. Nomadic ha effettuato alcuni test pubblici in Asia per le sue nuove esperienze immersive di realtà virtuale, anche se nonal livello di The Void. Importante è anche la posizione strategica di questa attrattiva, come Disneyland, Disney World, Downtown Disney e Disney Springs; infatti questi posti sono estremamente frequentati, il che aumenta la possibilità che i fan provino qualcosa di nuovo e soprattutto coinvolgente.

 




Nuovo Bioshock in arrivo?

Dopo l’arrivo delle remastered e dei rumor che indicavano un grosso ritorno su un importante franchise da parte di 2K Games, sembra che un nuovo capitolo di Bioshock sia in dirittura d’arrivo. Secondo quanto affermato da Jason Schreier, giornalista di Kotaku, questo progetto è affidato a un “reparto segreto” della software house, il che – mettendo assieme tutte le tessere del puzzle – farebbe pendant con un’altra notizia, ovvero il rientro del figliol prodigo Shawn Elliot, sviluppatore della famosa saga. Tutto quindi fa presuporre che un nuovo Bioshock potrebbe arrivare nel giro di quanche anno.
Che arrivi qualche annuncio “a sorpresa” al prossimo E3?




La visione di Bethesda per Nintendo Switch

Nintendo Switch è la console che ha venduto di più nel primo anno di vita, riscuotendo molto successo, soprattutto per aver cambiato la visione delle console portatili e casalinghe da parte delle aziende. Infatti, fino a qualche anno fa, il mondo ha visto alcuni tentativi di portare una console ibrida sul mercato ma che non hanno avuto il successo sperato. La di questo tipo di console è dunque cambiata, anche tra il pubblico: a tal proposito, i colleghi di Dualshockers hanno intervistato Pete Hines, vice presidente senior al marketing di Bethesda Softwork, in occasione dell’imminente uscita di Wolfestein II: The New Colossus (del quale vi riportiamo la nostra recensione) per Nintendo Switch. Hines alla domanda se volevano o meno portare, alcuni titoli Bethesda, come già fatto per The Elder Scrolls V: SkyrimDOOM, Hines risponde:

«Dipende. Dipende se pensiamo o meno sul fatto che il gioco sia adatto alla piattaforma tecnicamente, e se pensiamo che sia qualcosa che il pubblico vuole su Switch. In questo modo, non è letteralmente diverso da qualsiasi altra piattaforma che guardiamo o da qualsiasi altro gioco che facciamo. Spero che sarà un mix di entrambi. Se ci sono cose che la gente vuole che pubblichiamo su Switch, è una buona idea e potrebbe funzionare. Se si tratta di cose nuove che pensiamo siano perfette e funzionino su Switch, lo faremo anche noi. »

Successivamente gli è stato chiesto se Bethesda svilupperà titoli in esclusiva per Switch, come fatto da Ubisoft con Mario + Rabbids Kingdom Battle:

«Non lo so,  vedremo. Tutta questa roba arriva sempre dall’idea degli sviluppatori e ciò che pensiamo sia una buona idea per il saggio e la piattaforma .»

Infine gli è stato chiesto se i titoli verranno lanciati in contemporanea sia su Switch che su altre piattaforme; Hines risponde che, se lo fosse, sarebbe un’ottimo obiettivo per la software house, concludendo con:

«Questa è sempre la nostra preferenza, ma nel caso di The Elder Scroll V: Skyrim e DOOM, beh, questo non era possibile. Invece per il caso di Wolfenstein II: The New Colossus, abbiamo avuto bisogno di più tempo e non avevamo intenzione di tenere le altre piattaforme in attesa di Switch. Dal mio punto di vista, ogni volta che avremo la possibilità di farlo sia su Switch, che su altre piattaforme contemporaneamente, lo faremo . »