Il punto sulle Loot Box

Recentemente, Patricia Vance, presidentessa dell’ESRB, equivalente americano del PEGI, ha annunciato un nuovo avviso da piazzare sulle copie fisiche dei giochi che utilizzano il meccanismo delle loot box.

La Vance ha dichiarato:

«In molti ci hanno chiesto di entrare più nello specifico ma, dopo molte ricerche fatte negli ultimi mesi, soprattutto indirizzate ai genitori, abbiamo scoperto che molti di loro non sanno cosa siano le loot box e, anche quelli che ne hanno sentito parlare, non ne capiscono bene il meccanismo. Quindi per noi è importante concentrarci non solo sulle loot box, ma sulle microtransazioni in generale.»

La storia, quindi, tende a ripetersi: negli anni ‘90, quando sui telegiornali scorrevano le immagini di Doom o Mortal Kombat, i genitori pensavano che tali giochi non fossero adatti ai bambini. Per non parlare dei polveroni scaturiti a ogni uscita di Grand Theft Auto, oppure, le ridicole polemiche nostrane, su Mafia e Resident Evil 2. Veniva considerato tutto non adatto per i propri pargoli.
Ma questa volta le proteste vengono direttamente dai giocatori: che si parli delle microtransazioni di Star Wars Battlefront II, scandalo finito addirittura sui giornali, oppure del disegno di legge contro le loot box presentato da Chris Lee, rappresentante statale delle Hawaii e gamer di lunga data, gran parte delle persone facenti parte del settore concordano sulla loro limitazione o, addirittura, abolizione.

Le loot box sono il risultato della continua corsa a una certa assuefazione da gaming: in passato bastava comprare il singolo oggetto, e anche il più agguerrito dei giocatori poteva ritenersi soddisfatto. Mentre con il metodo attuale delle box diventa tutto un’attività casuale votata alla costante ricerca dell’oggetto desiderato. Tale meccanismo viene sfruttato fino all’osso dai produttori di videogiochi, così come testimoniato dal direttore finanziario di Electronic Arts, Blake Jorgensen, che, a proposito di Fifa e della modalità Ultimate Team ha dichiarato:

«Un film al cinema, negli Stati Uniti, può costarti venti dollari, ancora prima di prendere il popcorn, il che va bene. Ma allo stesso tempo un videogioco costato sessanta dollari che viene giocato dalle tremila alle cinquemila ore l’anno ha un valore maggiore. Se continui a spenderci soldi vuol dire che lo fai per divertiti ancora di più. Stiamo puntando sul dare ai giocatori quello che vogliono, e in grandi quantità, piuttosto che concentrarci sullo sviluppo di un nuovo gioco o di qualcosa di diverso.»

Il problema delle loot box viene proprio da dichiarazioni del genere: questa volta non è un fattore dovuto all’ignoranza dei genitori o dei media, ma alla convinzione da parte degli sviluppatori di fare giochi col puro scopo di spremere gli utenti, quando in realtà dovrebbe essere l’opposto.
EA, già sotto l’occhio del ciclone per il caso Star Wars Battlefront II, ha recentemente presentato un brevetto per il matchmaking basato sulla sequenza sconfitta/vittoria. Anche Activision-Blizzard è arrivata a concepire un’idea simile: difatti il loro sistema arriverà a premiare di più chi usa le microtransazioni. Così facendo, le loot box rischiano di scendere nello spinoso territorio del gioco d’azzardo e della ludopatia. È un problema che, se non dovesse venire affrontato seriamente dai produttori di videogiochi stessi, potrebbe passare nelle mani dei governi, com’è successo recentemente dall’indagine condotta dalla commissione che vigila sul gioco d’azzardo in Belgio. E visti gli aggiramenti legali da parte di Activision-Blizzard in Cina o la mancanza di concrete iniziative da parte dell’ESRB, questo scenario potrebbe diventare presto una realtà.




La tutela degli abandonware online

Dopo il baratro nel quale sono sprofondati svariati giochi (vedi Grand Theft Auto Online per PS3 e Xbox 360), lo U.S. Copyright Office sta valutando se aggiornare o meno le disposizioni antielusione del DMCA (Digital Millennium Copyright Act), che impediscono al pubblico di utilizzare liberamente contenuti e dispositivi protetti dal DRM (Digital Rights Management), il cui significato letterale è “gestione dei diritti digitali”.
I file audio o video vengono codificati e criptati in modo da garantire una diffusione più controllata e renderne più difficile la duplicazione, consentendone l’utilizzo più adeguato possibile. Questi aggiornamenti avvengono ogni tre anni attraverso una consultazione pubblica, dove vengono prese in esame svariate richieste.
Una su tutte, riguarda l’abbandono dei giochi online datati e lasciati ormai al loro corso. Infatti, fino a ora, per preservare questi titoli per le generazioni future e per i giocatori nostalgici, l’Ufficio ha adottato norme specifiche, che permettono a biblioteche, archivi e musei di utilizzare emulatori e altri strumenti analoghi per rendere giocabili i vecchi classici. Tuttavia, queste norme sono molto restrittive e non possono essere applicate a giochi che richiedono una connessione a un server online e, di fatto, quando i server vengono chiusi, il gioco scompare per sempre.
Proprio per queste ragioni il MADE (Museum of Art and Digital Entertainment) ha recentemente chiesto allo U.S. Copyright Office di estendere le norme correnti e includere giochi che richiedono una connessione online. Ciò consentirebbe alle biblioteche, agli archivi e ai musei di gestire tali server e mantenere così in vita questa tipologia di giochi.

Questo problema è più che mai attuale, poiché centinaia di giochi multiplayer online sono già stati abbandonati. Difatti, si tratta di circa 319 titoli, molti dei quali sono i noti FIFAThe Sims. Purtroppo, proprio nell’ultima settimana, la Entertainment Software Association (ESA), che agisce per conto di membri di spicco, tra cui Electronic Arts, Nintendo e Ubisoft, si è opposta alla richiesta, affermando  che le modifiche proposte consentirebbero e faciliterebbero un uso illecito dei software in questione e che se questi, ormai datati, venissero supportati ancora al pieno delle loro possibilità, il mercato diventerebbe troppo statico, rallentando la vendita dei nuovi titoli.
Qual è, quindi, la strada giusta da percorrere? È difficile rispondere ma per quanto i nuovi titoli abbiano bisogno della massima attenzione e pubblicità per poter far andare avanti il mercato, non possiamo dimenticare i loro “antenati” dai quali, probabilmente, sono nati.




Il producer di Layers of Fear: Legacy si racconta

Uscito per Xbox One, Playstation 4 e PC, Layers Of Fear arriva anche su Nintendo Switch in una versione rivisitata, denominata Layers of Fear: Legacy. Ridisegnato per adattarsi alla capacità della console, sarà giocabile sia in modalità portatile che in modalità fissa e comprende anche il DLC inheritance. Il gioco è uno dei primi horror a essere uscito su Nintendo Switch. Dato che il gioco è appena arrivato sulla console ibridaper celebrare la sua uscita, Nintendolife ha intervistato il produttore del gioco Rafal Basaj. Durante l’intervista, il produttore ha spiegato come lo sviluppo di tale versione sia cominciato già nel 2017, ai tempi in cui Switch era poco più di un rumor. Ciò nonostante erano fiduciosi sul potenziale della console. Inoltre, durante lo sviluppo, a quanto pare, si sono stati riscontrati molti problemi per via delle specifiche tecniche della console, sopratutto per la poca memoria disponibile anche sulle cartucce. Fortunatamente è intervenuto il team Nintendo risolvendo ogni tipo di problema.

È stato anche chiesto quanto l’horror sia rappresentato sulle piattaforme Nintendo:

«Nintendo non ha mai avuto tanti giochi horror sulle sue piattaforme, ma quando sono usciti, si è trattato sempre di titoli di qualità. Da Sweet Home, distribuito in Asia per Famicom, attraverso Clock Tower (Super Famicom), a Eternal Darkness: Sanity’s Requiem pubblicato esclusivamente su GameCube, a Luigi’s Mansion. Questo dimostra che Nintendo ha idee su come presentare un horror in grande stile sulle sue piattaforme.  Siamo estremamente felici di poter essere tra quei titoli con il lancio di Layers of Fear: Legacy per Nintendo Switch

In seguito, l’intervista si è spostata sui gusti personali in fatto di horror da parte di Basaj, rispondendo anche in maniera sorprendente:

«Penso che la maggior parte di noi in ufficio, quando si tratta di Nintendo, pensi a Eternal Darkness,  Resident Evil 4 Resident Evil. Ma andando oltre Nintendo dobbiamo menzionare Silent Hill 2, Amnesia, Forbidden Siren, Phantasmagoria, Alone In The Dark e tanti altri. Mentre come titolo poco ortodosso da menzionare qui: Diablo. La maggior parte delle persone nel team è appassionata di horror,  ed è quindi  impossibile citare tutti i titoli.»

Basaj ha avuto modo di raccontare il suo passato da gamer, soprattutto su Nintendo:

«Ho iniziato con Donkey Kong, che ho giocato sul mio Atari ormai morente, ma successivamente le mie attenzioni si sono trasferite a The Legend Of Zelda: A Link To The Past per poi proseguire con l’intera saga. Il titolo migliore per me è The Legend Of Zelda: The Wind Waker, che considero un imbattibile capolavoro ancora oggi, ma ho un posto speciale nel mio cuore anche per Star Fox e la serie Pikmin

Durante l’intervista si è parlato anche degli obiettivi del team:

«L’obiettivo del team è volere che i nostri giochi siano più che solo puro divertimento.  L’horror è sempre stato un mezzo per tenere sotto controllo le tensioni sociali; affrontare le nostre paure, per gestire la realtà della vita. Vogliamo portare questo aspetto al livello successivo, quindi abbiamo deciso di seguire due regole, quando creiamo  nuovi giochi. Per prima cosa, tutto deve partire da un soggetto preciso, di natura psicologica o filosofica. Deve inoltre non solo alleviare le tensioni delle persone, ma anche far riflettere sui problemi presentati nel gioco e confrontarli con le loro visioni del mondo e delle loro vite. Nel corso del nostro lavoro spesso presentiamo dilemmi, scelte difficili e problemi che non hanno risposte giuste o sbagliate, in questo modo possiamo far sì che le persone inizino a discutere del mondo reale che li circonda.»

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World to the West

Arriva su Nintendo Switch l’ultima impresa di Rain Games, la casa che ha prodotto il graziosissimo puzzle platformer Teslagrad (del quale trovate qui la nostra recensione); stiamo parlando di World to the West, un altrettanto curatissimo titolo, che serba una certa continuità narrativa con il titolo precedente, ponendosi però come titolo di avventura dagli elementi molto simili alla saga di The Legend of Zelda. Ci si allontana, dunque, dai puzzle di logica in favore di un gameplay più immediato, esplorativo e, tutto sommato, più approcciabile, anche se non esente da parti cervellotiche; tuttavia, il rimando a Zelda è comunque abbastanza vago in quanto, nonostante la grafica cartoonesca, la mappa divisa in quadranti e la visuale dall’alto, World to the West costringe il giocatore a un ritmo abbastanza diverso, con meccaniche “multi-personaggio” decisamente assente nella famosa saga Nintendo. Sebbene titoli come The Legend of Zelda: Four Sword, Four Sword Adventure e Tri Force Heroes abbiano dato alla saga di Link un’insolita veste multiplayer, World to the West dà al giocatore la possibilità di controllare ben quattro personaggi dalle abilità diverse, tutti in grado di compiere uno specifico compito per una specifica occasione; questa meccanica distanzia nettamente il titolo della Rain Games dalla nota saga Nintendo fra alti e bassi. Ma andiamo per gradi.

Lontano da casa

Il gioco comincia proprio a Teslagrad, dove prenderemo il controllo di Lumina, una teslamante che, spinta dalla curiosità, attiva per sbaglio un’antica macchina per il teletrasporto finendo per essere spedita anni avanti nel futuro. In questa strana terra, la macchina per il teletrasporto sembra sia inattiva da secoli, e ci sono ben poche speranze di ripararla; cominceremo dunque a muovere i nostri primi passi in questo nuovo mondo accorgendoci che la civiltà dei teslamanti è ormai perduta. Dopo essere caduta in un pozzo, la storia di Lumina verrà messa un attimo da parte per far spazio alle storie dei restanti protagonisti di questa storia. Conosceremo Knaus, un piccolo bambino orfano che si ritrova nel sottosuolo insieme ad altri bambini anch’essi orfani, che crede di trovarsi sulla Luna ma capisce di essere stato ingannato dopo aver trovato un alberello cresciuto grazie a uno spiraglio di luce proveniente dalla superficie; la storia punterà i riflettori in seguito su Miss Teri, un’esploratrice a caccia di tesori che verrà ingannata Lord Tychoon, un magnate senza scrupoli dell’alta società; infine conosceremo Lord Clonington, un fortissimo omone dalle nobili origini e, a detta sua, secondo solo a Lord Tychoon in quanto a ricchezza.
A questo punto, dopo che i quattro personaggi saranno tutti riuniti e capiranno di essere parte di un disegno ben più grande di loro, sarà da lì che partirà la vera e propria avventura; in pratica, dopo i primi capitoli che ci serviranno per imparare a conoscere i comandi dei personaggi semi-individualmente, avremo modo di comandare tutti e quattro a turni alterni. Per switchare da uno all’altro basterà raggiungere uno dei tanti totem, scolpiti in precedenza da un’anziana sciamana, sparsi in giro per il mondo. Attivato un nuovo totem sarà possibile cambiare personaggio o teletrasportarsi uno di quelli attivati in precedenza; questi checkpoint, che fra l’altro rappresentano anche i punti di salvataggio, dovranno essere attivati individualmente per ogni personaggio perciò, qualora sarà necessario che tutti si rechino nello stesso punto, il gruppo dovrà muoversi poco per volta, ripetendo la stessa strada per quattro volte, per far sì che tutti percorrano la stessa strada e attivino i totem necessari di conseguenza.
Gli amanti dei metroidvania, genere in cui il backtracking è una meccanica fondamentale, potrebbero decisamente trovare pane per i loro denti in World to the West; meno interessante però potrebbe esserlo per i giocatori un po’ più casual o, addirittura, per gli amanti della saga di The Legend of Zelda, più in particolare quelli che parallelamente potrebbero non trovare di loro gradimento titoli come Metroid, Castlevania, Shantae, Guacamelee o Axiom Verge.
Il movimento in gruppo non è implementato perfettamente o, per lo meno, come ci si aspetterebbe da un gioco che pone delle premesse simili; per quanto sia divertente scambiare i personaggi e percorrere strade diverse con ognuno di loro, non si crea alcuna complicità: ci si aspetterebbe che tutti e quattro collaborino fra loro, per aprire un cancello o per spostare un masso grazie alle abilità peculiari di ognuno, ma purtroppo in World to the West questa componente è sfruttata molto poco. Sono pochissime le volte in cui qualcuno dovrà mettere compiere azioni di cui gli altri personaggi possano beneficiare, ed è un vero peccato. Vengono sfruttati soltanto degli elementi ambientali adatti a pochi di loro, i cunicoli per Knaus o i campi energetici di Lumina (gli stessi visti in Teslagrad), senza dunque aiutarsi a vicenda. In pratica, ognuno va per la propria strada!

Lascia fare a me

I quattro personaggi hanno abilità diverse fra loro e ognuno può interagire con l’ambiente tramite i 3 comandi base, più o meno comuni a tutti: attacco, corsa e spostamento. Nonostante questo equilibrio nei controlli, i quattro personaggi soffrono di una certa disparità: è normale che in un gioco che pone delle premesse simili qualcuno debba compensare le mancanze di un altro, ma in World to the West le abilità sono distribuite in maniera abbastanza disomogenea. Lord Clonington e Lumina, ad esempio, sono i personaggi più piacevoli da usare in quanto sono in possesso di due o più attacchi, possono muoversi velocemente e possono risolvere con molta facilità molte delle difficoltà ambientali che gli si pongono davanti, come fossati o pareti da superare. L’abilità principale di Miss Teri, che ha comunque la corsa migliore dei personaggi, è il controllo mentale e, per quanto figo possa sembrare, questa caratteristica sarà poco utile senza che ci sia un nemico di cui possa prenderne il controllo; la sua sola sciarpa, che permette il controllo mentale stesso ma può essere usata anche come un rampino in certi punti, si rivela inefficiente dinanzi a un nemico impossibile da controllare come, ad esempio, un guardiano ancestrale; e questo è niente in confronto alle difficoltà di Knaus, la cui corsa funziona principalmente con i suoi pattini di ghiaccio, strumento che non funziona a dovere in assenza di acqua. Knaus può raggiungere i punti più alti solamente in presenza dei suoi specifici cunicoli ma soprattutto, e questo è il difetto più grave, non dispone di un vero sistema d’offesa; la sua pala, con la quale può scavare una buca per poi muoversi sottoterra (esattamente come faceva Bugs Bunny), può solamente stordire i nemici senza ucciderli effettivamente. L’unica cosa che può placare le orde nemiche è la sua sola dinamite che di per sé è molto potente ma, ovviamente, bisogna aspettare l’esplosione mentre il nemico, giustamente, si allontana.

Alti e bassi

Tutto sommato, anche se la disomogeneità di caratteristiche e la mancata cooperazione fra i personaggi minano la nostra esperienza videoludica, non sono elementi così gravi da creare al giocatore difficoltà nella godibilità del titolo; insomma, le abilità sono molto belle e la meccanica di gioco è di per sé validissima e stimolante. World to the West non è assolutamente un gioco frustrante, la difficoltà generale del gioco è ben equilibrata e il titolo risulta molto piacevole; ha una buona longevità, l’avventura continua anche dopo la quest principale alla volta delle batterie che serviranno ad alimentare una speciale zona nel sottosuolo che custodisce la verità sulla civiltà teslamante.
Stavolta, a differenza di Teslagrad, lo storytelling è molto più semplice e si affida ai dialoghi e ai testi come un qualsiasi altro gioco di questo genere. La grafica, dai toni molto accesi e cartoonesca, dà al titolo un bel caratterino frizzante e si adatta bene sia ai tratti umoristici dei dialoghi che alle fasi più cupe della storia; gli ambienti, anche se un po’ vuoti, sono ben caratterizzati, e perdersi è abbastanza difficile anche se alcune volte, nell’intento di proseguire la storia, si finisce per girare a vuoto per molto tempo. La mappa mostra sia tutto l’overworld che il mondo sotterraneo, al quale sono collegati anche i dungeon; tuttavia, anche se è possibile guardare le mappe più o meno contemporaneamente, la scarsa risoluzione non permette di capire dove siano i punti d’accesso per il sottosuolo o e quelli d’uscita per la superfice.
La colonna sonora di World to the West è nettamente superiore a quella di Teslagrad: i brani composti da Jørn Lavoll e Linn Kathrin Taklo toccano diverse sfere emotive grazie a tracce che spaziano dalla musica gitana e world music, alla classica sino a pezzi in stile ambient acustico e sperimentali. Anche il comparto degli effetti sonori è buono anche se è molto strano che Lumina, Knaus e Teri condividano quasi lo stesso mormorio quando saltano da una rupe.
Sfortunatamente,ì, però, come per il precedente titolo di Rain Games, World to the West non è esente da bug e alcuni di loro possono mandare in tilt il sistema di gioco e addirittura richiamare l’errore di sistema facendovi chiudere forzatamente l’applicazione; al di là di qualche piccolo bug fisico, molti degli errori di sistema sembra siano collegati al richiamo di alcuni menù e alla abilità di controllo mentale di Miss Teri. Durante il controllo mentale è impossibile per Miss Teri aprire i forzieri, né può farlo il nemico controllato, perciò sarà necessario abbandonare l’ipnosi, aprire la cesta e riprendere il controllo del nemico; a quanto pare il ripetuto collegamento-scollegamento mentale (con la probabile aggiunta di un’azione) fa crashare il gioco, costringendo a chiudere forzatamente l’applicazione e, dunque, riaprire il titolo dal menù.
Un altro terribile errore si potrebbe presentare alla fine della vostra avventura, un bug che potrebbe bloccare il vostro intero salvataggio compromettendo dunque ore e ore di gioco, perciò prendete queste parole come un vero e proprio avviso. Per scrivere questa recensione abbiamo controllato i comandi dei personaggi: l’abbiamo fatto durante lo scontro con il boss finale e, durante il filmato di chiusura, presi gli spunti necessari, siamo tornati al menù principale tramite il menù di pausa. Dovendo riaccendere la console, ci siamo accorti che il gioco cominciava dal filmato finale e, a metà di quest’ultimo, lo schermo si oscurava totalmente mentre la musica di sottofondo continuava senza che vi fosse seguito all’immagine nera: abbiamo così capito di aver compromesso il nostro file di salvataggio! Perciò, quando arriverete alla fine della vostra avventura, lasciate che il filmato finale proceda tranquillamente fino alla fine per evitare che il vostro file di salvataggio diventi praticamente inutilizzabile. Altri errori di sistema si sono presentati con l’apertura e la chiusura ripetuta di alcune finestre di dialogo e menù (specialmente quello degli animaletti di Miss Teri) e con il controllo mentale di un nemico in prossimità di un totem. Tutti questi bug non sono certamente segno di un gioco ben programmato e Rain Games dovrebbe prenderne nota.

Sulla strada giusta, malgrado tutto

Ad ogni modo, dopo un interessante ma acerbo Teslagrad, Rain Games ci consegna un gioco più definito, con più carattere, più accessibile e, tutto sommato, più divertente; è bene dire che questa volta lo studio norvegese ha fatto centro anche se con diverse penalità. La vera sfortuna di questo gioco è solamente quella di non presentare una buona relazione meccanica-ambiente, con un puzzle solving scialbo, talvolta inesistente; tutto questo, unito alla disparità dei personaggi, alla non chiarissima mappa e al backtracking ripetitivo (nonché tempi di caricamento invadenti nel passaggio da un quadrante all’altro), non fa di World to the West uno di quei indie game che sconvolgono lo scenario videoludico, ed è un vero peccato perché ci sono tanti ottimi spunti. Viene da pensare: come mai Rain Games, in un gioco in cui ci sono quattro personaggi che collaborano fra di loro, non abbia inserito nessuna componente multiplayer? Avrebbero potuto realizzare una modalità multigiocatore dividendo i quattro personaggi fra due o quattro giocatori… e invece niente!
Avere quattro personaggi, tutti con abilità diverse, è certamente il punto di forza di questo titolo ma i diversi difetti nell’esecuzione non regalano al giocatore un’esperienza memorabile. L’arrivo su Nintendo Switch, casa dei milioni di fan di The Legend of Zelda, è certamente un vantaggio per World to the West in quanto probabilmente ¾ degli utenti potrebbe prendere in esame l’acquisto di un simile titolo, il cui prezzo è comunque abbastanza accessibile; tuttavia, proprio il trovarsi nella casa della popolarissima saga Nintendo potrebbe rivelarsi un boomerang, in quanto un gioco come questo, che presenta persino parecchi difetti, potrebbe passare inosservato e venire praticamente eclissato dal più popolare Breath of the Wild.
World to the West, come Teslagrad, è certamente un esperienza per i più curiosi, per i giocatori alla ricerca di uno stravolgimento della formula classica. È un titolo un po’ migliore del suo predecessore e, se non fosse per i succitati bug (nulla che una buona patch non possa fixare) potrebbe meritare anche un 7.5 ma, allo stato dell’arte, non ce la sentiamo. Ad ogni modo, il titolo rimane molto valido e godibile e, se siete in grado di accettare la curiosissima meccanica multi-protagonista e i diversi bug presenti nel gioco allora procedete pure all’acquisto di questo titolo.




Sparatoria Florida: il governatore del Kentucky contro i videogiochi

Mercoledì a Parkland, in Florida, un 19enne considerato da tutti un appassionato di armi ha aperto il fuoco in una scuola superiore, uccidendo 17 persone. L’ennesimo attacco sul suolo americano che ha riacceso il dibattito sulle origini di tanta violenza. Lo stesso Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, è intervenuto introducendo un discorso riguardo il «declino della cultura moderna», facendo orecchie da mercante sul vero problema presente sul suolo americano, ovvero la facilità con cui si riesce a reperire armi.

Su questa scia troviamo anche Matt Bevin, governatore del Kentucky, secondo il quale i videogiochi hanno un ruolo cruciale riguardo la «cultura della morte che oggi così facilmente celebriamo», che fondamentalmente è la principale responsabile di incidenti come questo. Bevin in un’intervista per Leland Conway:

«Alcuni videogiochi sono limitati a un pubblico adulto ma tutto il mondo sa che anche i bambini li giocano. Esistono titoli che fanno delle stragi il loro punto di forza, premiando la loro riuscita e l’omicidio di qualcuno che in quel momento chiede pietà. Parlo di videogiochi quotati, anche protetti dal Primo Emendamento.»

Ha poi continuato, riferendosi alla sentenza della Corte Suprema:

«Le reputo spazzatura, come la pornografia: desensibilizza le persone rispetto al vero valore della vita umana, alla dignità delle donne, alla dignità dell’umanità, e stiamo raccogliendo ciò che abbiamo seminato.»

Bevin ha chiesto ai media di assumersi le responsabilità di ciò che rilasciano e continua:

«Perché abbiamo bisogno di videogiochi che incoraggino le persone a uccidere altre persone. Che si tratti di romanzi, che si tratti di Serie TV, che si tratti di un film, chiedo ai produttori di domandarsi quale sia il reale valore dei loro lavori, oltre la speranza di un guadagno. Ma a quale prezzo?»

I videogiochi, così come altri media di intrattenimento, sono dunque per Bevin la causa che ha snaturato la moralità della società moderna. Secondo il governatore, i genitori hanno smesso di educare i propri figli, liberandosi delle loro responsabilità e permettendo ai bambini di «creare le proprie regole senza conseguenze».
Questa però non è la prima volta che Bevin si scaglia contro i videogame in seguito a una strage scolastica. In un video presente su Facebook, in seguito alla sparatoria di Boston dello scorso Gennaio, aveva puntato il dito contro i videogiochi come parte di quell’industria di intrattenimento che «abitua i giovani a una realtà tragica dove la morte è una costante permanente».

Negli Stati Uniti i videogiochi sono assiduamente accusati di avere un ruolo fondamentale in queste stragi, a partire dalla famosa sparatoria di Columbine avvenuta nel 1999 i cui responsabili sarebbero stati dei fan del videogioco Doom. L’assassino della strage alla Virginia Tech del 2007 era solito giocare a Counter-Strike, noto sparatutto, mentre il norvegese Anders Behring Breivik amava Call of Duty. Ma la campagna anti-videogiochi ha toccato il fondo, rendendosi ridicola, per opera dell’avvocato Jack Thompson, che aveva addirittura citato in giudizio Grand Theft Auto IV. Il dubbio che i videogiochi possano avere delle responsabilità ha sfiorato anche Barack Obama, ex presidente degli Stati Uniti d’America che aveva sensibilizzato i centri per il controllo delle malattie a studiare gli effetti dei videogiochi violenti.

Per quanto gli studi siano stati davvero tanti, non si è mai trovata una correlazione tra videogiochi e comportamenti violenti. Che sia invece la facilità con cui un ragazzo, un adulto riesca a procurarsi un’arma all’interno del territorio USA? Perché puntare il dito contro qualcosa che si odia, in questo caso l’industria dei videogiochi, è molto più semplice e veloce che creare una legge che limita la vendita delle armi.

L’industria videoludica non è un mezzo che trasmette violenza. Molto spesso risulta essere un metodo d’intrattenimento culturale in grado di insegnarci qualcosa di importante, raccontandoci una storia e che riesce a spiccare con l’arte e la creatività degli sviluppatori, che con enorme passione provano a plasmare qualcosa che faccia leva sui sentimenti dei videogiocatori.




Xenoblade Chronicles 2

Terzo titolo appartenente alla serie Xenoblade (dopo Xenoblade Chronicles e Xenoblade chronicles X), nonché primo ad approdare sulla console ibrida targata Nintendo, Xenoblade Chronicles 2 è, come i suoi predecessori, un JRPG con elementi che lo distanziano dai classici del genere, in particolar modo un combat system del quale parleremo più approfonditamente a seguire.
Monolith Soft è riuscita a confezionare un’opera mastodontica contando su un team di sole 40 persone, capace di sfornare un gioco che terrà impegnati per almeno 70 ore, necessarie per portare a termine la storia principale, e anche più di un centinaio se si vorrà darsi all’esplorazione e scoprire tutti i segreti presenti nel titolo.

Titani e nuvole

Il gioco è ambientato nel mondo di Alrest, coperto interamente da un mare di nuvole (chiamato così perché è davvero possibile nuotarci dentro) in cui vivono delle creature mastodontiche chiamate Titani, così grandi da essere dei veri e propri continenti abitati da esseri umani (o umanoidi).
Noi vestiremo i panni di Rex, giovane protagonista che vive da solo su un titano (da lui chiamato Nonnetto) più piccolo degli altri, che ricorda vagamente un drago, sul quale ha costruito una casetta.
Per sopravvivere, il nostro eroe recupera oggetti e tesori sperduti nel mare di nuvole usando una tuta da palombaro, per poi vendere il ricavato alla gilda dell’Argentum (luogo di scambio per i recuperatori “marini”): proprio qui parteciperà a una missione di recupero insieme a un gruppo chiamato Torna, il cui obiettivo sarà recuperare un misterioso artefatto chiamato l’Aegis.
Da qui in poi inizia la vera avventura, con numerosi colpi di scena, che ci terrà col fiato sospeso fino alla fine.
Anche se la storia risulta essere ben raccontata e profonda, a volte cade nel ridicolo: assistere a scene pseudoromantiche tra una donna seminuda dalle forme procaci e un bimbo di pressapoco 10 anni smorza parecchio la credibilità e l’immedesimazione, almeno in noi occidentali.

In giro per Alrest

Xenoblade Chronicles 2 è un gioco open world tecnicamente ben realizzato ma con alcune sbavature, che saltano all’occhio soprattutto nella modalità portatile, nella quale la risoluzione e il dettaglio calano bruscamente rispetto alla modalità docked. Il mondo di gioco è molto vasto, con degli scorci davvero notevoli e tanti poligoni in movimento, si potrebbe stentare a credere che giri su una console considerata poco performante come Switch: a tanta meraviglia però a volte si alternano lati negativi, texture in bassissima risoluzione e frame rate ballerino specialmente in posti affollati.
I personaggi principali sono modellati egregiamente, ma il loro design a volte esagerato potrebbe non piacere a tutti, i personaggi secondari invece sono quasi del tutto anonimi, e capita di vedere lo stesso modello ripetuto più volte anche nella stessa città.
A un comparto grafico decisamente buono si affianca un comparto audio all’altezza: le musiche composte in gran parte da Yasunori Mitsuda sono belle e orecchiabili e si adattano bene ai momenti del gioco, anche se a parere di chi scrive non raggiungono l’eccellenza di altri JRPG usciti nello stesso anno (vedi Nier: Automata).
Il doppiaggio in inglese è di buona fattura, ma a volte diventa caotico quando più personaggi parlano durante i combattimenti e ripetono di continuo le stesse frasi che si sovrappongono tra loro: vien voglia quasi di disattivare le voci dalla frustrazione, mentre con il doppiaggio giapponese l’effetto è minore.
I sottotitoli in italiano sono in gran parte buoni, ma alcune parole sono tradotte in maniera discutibile (“ductor” e “gladius” da “driver” e “blade”, ad esempio) e stonano quando i personaggi le pronunciano in inglese mentre noi sullo schermo stiamo a leggere tutt’altro.

Verso l’Elysium

Xenoblade Chronicles 2 ha sicuramente tanti lati positivi, ma il migliore in assoluto è il combat system, molto profondo e sfaccettato: per comprenderlo fino in fondo ci vorrà tanta pratica, ma alla fine regalerà molte soddisfazioni.
Avremo a disposizione un party di 3 personaggi che saranno i nostri Ductor, ognuno dei quali potrà scegliere 3 Gladius (entità che rappresentano le proiezioni in forma umanoide dell’arma che sta impugnando il loro Ductor); ogni Gladius avrà a disposizione un moveset unico appartenente all’arma che rappresenta. Non solo, avrà anche un elemento che lo contraddistingue (aria, acqua, terra, fuoco, ghiaccio, elettricità, luce, oscurità), tre mosse normali che a volte possono infliggere stati alterati (fiaccamento, atterramento, lancio e schianto) e una mossa speciale appartenente all’elemento del Gladius.
I nemici saranno più vulnerabili agli attacchi quando si trovano in uno stato alterato, e quando colpiti da una mossa speciale (che si carica eseguendo gli attacchi normali) si aprirà un diagramma che ci indicherà gli elementi delle mosse speciali da eseguire in seguito per eseguire una combo. Se si riuscirà  a completare una combo di mosse speciali, si verrà e formare una sfera appartenente all’elemento dell’ultima mossa speciale eseguita, la quale girerà attorno al mostro, eseguendo altre combo con elementi differenti si creeranno altre sfere, che potranno essere distrutte eseguendo un attacco a catena (quando le tre barre nella parte alta a sinistra dello schermo si illumineranno). Più alto il numero di sfere distrutte, più grande sarà il danno arrecato al mostro.
Un combat system così complesso (mi sono sforzato di semplificarlo il più possibile) potrebbe scoraggiare i neofiti, ma con la pratica tutto diverrà più semplice e divertente.
Ci sono 38 Gladius rari da collezionare, molto più forti di quelli comuni, e che possono essere scoperti durante la storia principale oppure portando a termine qualche missione secondaria, o ancora tramite degli oggetti lasciati cadere dai mostri o trovati dentro qualche scrigno.
Ogni Gladius può essere potenziato tramite un albero delle abilità che sbloccherà i potenziamenti una volta soddisfatti determinati requisiti, come ad esempio eseguire un certo numero di mosse speciali oppure guarire gli alleati e via dicendo.
Oltre alla storia principale, ci saranno tantissime missioni secondarie da affrontare, mini giochi e tanti mostri da combattere, alcuni dei quali di livello molto superiore al boss finale. Insomma una quantità non indifferente di cose da fare e centinaia di ore necessarie per farle tutte.

Conclusioni

Monolith Soft ha sfornato un gioco mastodontico e spremuto come un limone l’ibrida targata Nintendo, la quale può fregiarsi di un’altra killer application che offre centinaia di ore di gioco, un comparto grafico e sonoro di tutto rispetto, un combat system complesso e gratificante e una storia appassionante e profonda, i cui difetti non inficiano, se non in minima parte, la godibilità del titolo.




Kamiya spiega perché Bayonetta 3 sarà esclusiva Switch

Il direttore di Bayonetta 3, Hideki Kamiya, ha spiegato su Twitter un’interessante storiella. Più specificamente, ha parlato del brand di Bayonetta e degli eventi che hanno portato il terzo capitolo a essere un’esclusiva Nintendo Switch.
È certamente interessante sapere che Bayonetta 2 è nato come progetto multipiattaforma, ma tweet rilasciati e ordinati in sequenze numeriche da 1 a 15 spiegano in linea generale la genesi di Bayonetta 3: 

«C’è qualcosa che voglio dire a tutti voi. Riguarda Bayonetta 3. (1/15)»

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«La nostra è una casa che sviluppa e crea giochi firmando contratti con publisher e ricevendone i fondi per coprire i costi di sviluppo. (2/15)»

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«Per Bayonetta 1, abbiamo firmato un contratto con Sega e abbiamo ricevuto dei fondi da loro, quindi abbiamo proposto un design per il gioco e siamo entrati in fase di produzione. Tutti i diritti appartengono a Sega. (3/15)»

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«All’epoca, la nostra azienda era appena stata fondata e non eravamo adeguatamente attrezzati per lo sviluppo multipiattaforma quindi, dopo averne discusso con Sega, abbiamo deciso di sviluppare il gioco esclusivamente per Xbox 360. (4/15)»

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«Tuttavia, successivamente, uno dei partner commerciali di Sega ha finito per creare una versione per PS3, per volere di Sega. Più recentemente, hanno anche deciso di sviluppare una versione Steam, che è stata rilasciata lo scorso anno. Sega possiede i diritti su tutte queste versioni. (5/15)»

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«Quando abbiamo iniziato a creare Bayonetta 2, inizialmente abbiamo ricevuto fondi da Sega per sviluppare il gioco per più piattaforme, ma il progetto è stato interrotto a causa di circostanze sfavorevoli da parte del nostro finanziatore. Nintendo quindi è intervenuta per continuare a finanziare il gioco, permettendoci di completarlo. (6/15)»

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«Così i diritti appartengono a Sega e Nintendo. I proprietari dei diritti hanno deciso che il gioco sarebbe stato sviluppato per Wii U. (7/15)»

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«Nintendo è stata così gentile da finanziare anche Bayonetta 1 per Wii U, e ci ha persino permesso di usare la traccia vocale giapponese, che abbiamo creato per la versione Wii U, anche nella versione PC di Bayonetta 1. (8/15)»

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«Sono estremamente grato a Nintendo per aver finanziato il gioco e a Sega per aver permesso loro di utilizzare l’IP di Bayonetta. (9/15)»

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«Per quanto riguarda Bayonetta 3, è stato deciso sin dall’inizio che il gioco sarebbe stato sviluppato utilizzando i finanziamenti di Nintendo. Senza il loro aiuto, non avremmo potuto avviare questo progetto. (10/15)»

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«Tutti i diritti appartengono ancora a Sega e Nintendo. I proprietari dei diritti hanno deciso che il gioco sarebbe stato sviluppato per Switch. (11/15)»

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«Il game development è un business. Ogni azienda ha i propri contesti e strategie. Questo significa che a volte i giochi vengono fatti, a volte  vengono cancellati. (12/15)»

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«Ma credo che ogni singola persona coinvolta sia impegnata a offrire la migliore esperienza possibile. Lo so, almeno per me è uno degli obiettivi principali ogni volta che mi metto al lavoro. (13/15)»

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«Non posso esprimere quanto sono contento di avere tra le mani il progetto di Bayonetta 3 e intendiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per renderlo il migliore possibile. Questo è tutto ciò che possiamo fare e lo consideriamo la nostra più grande missione. (14/15)»

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«Ci è voluto un po’ prima che la produzione di Bayonetta 3 partisse, ma ora che è iniziata spero che si trasformi in una esperienza meravigliosa per tutti voi. (15/15)»

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D’altra parte, Bayonetta 3 ha richiesto un po’ di tempo per vedere la luce: il progetto è iniziato direttamente con il supporto di Nintendo, e per questo è esclusiva di Switch.

Il primo capitolo di Bayonetta è stato lanciato per PS3 e Xbox 360 nell’ottobre del 2009. Bayonetta 2 è stato rilasciato a settembre 2014 e Bayonetta 3 è stato annunciato lo scorso dicembre durante i The Game Awards.

Prima di vedere il risultati del terzo capitolo, gli utenti di Switch potranno godersi una remastered di Bayonetta e Bayonetta 2, che saranno rilasciati in bundle il 16 febbraio 2018.




Sparkle 2

Preparate i vostri  riflessi e siate pronti ad affrontare complicatissimi rompicapo, arriva Sparkle 2, un puzzle game veramente originale che vi terrà letteralmente attaccati allo schermo come un’ape al miele! Già rilasciato per PC, iOS, Android, Xbox One, PS4 e persino PS3, questo titolo dal carattere molto forte, dai toni fantasy/epici, è stato sviluppato da 10Tons ed è di recente arrivato su Nintendo Switch, una console in cui titoli del genere, rivolti ad un pubblico principalmente casual, possono riscuotere un successo inaspettato.

Alla ricerca delle 5 chiavi

Che ci crediate o no, Sparkle 2 ha una storia… eh già! A quanto pare, tanto tempo fa furono create 5 chiavi per custodire qualcosa di molto prezioso, qualcosa di inimmaginabile: toccherà a noi dunque andare alla ricerca di queste chiavi, usando tutto il nostro ingegno e avvalendoci delle magie a nostra disposizione. Davanti a noi un lungo sentiero, che tal volta si ramifica in incroci che ci porteranno in certi luoghi misteriosi, nel quale ogni giorno dovremmo affrontare un puzzle, ogni giorno sempre più intricato, ogni giorno sempre più vicini ad una delle chiavi.
Il gameplay è decisamente molto simile a quello di Actionloop o Zuma, che a sua volta richiama molto quello di Puzzle Bubble: un serpentone di sfere colorate verrà incanalato in un corridoio al termine del quale ci sarà una buca che risucchierà tutto il campo da gioco se più sfere cadranno al suo interno, facendoci perdere così la partita. Per evitare tutto ciò dovremmo utilizzare il nostro Orb Swift, una sorta di fionda per lanciare delle sfere e crearne dunque una serie di tre o più dello stesso colore; una volta creata la serie le sfere scompariranno e, se riusciremo a concatenare più serie di diverso colore in successione, il serpentone sarà presto disfatto e potremmo procedere dunque al livello successivo.

Sparkle 2 si differenzia principalmente per i suoi power-up che appariranno di tanto in tanto nel campo di gioco e che, attivati lanciando una sfera, sprigioneranno una magia particolare, un raggio gelato che spazzerà via grossa parte delle sfere, indipendentemente dal loro colore, o una pioggia di comete che libererà il campo dandoci un attimo di tregua; inoltre, un po’ come in un RPG, alla fine di ogni livello il nostro Orb Swift si potenzierà e piano piano riusciremo a ottenere dei power-up permanenti come una sfera speciale ogni 10 sfere, un gameplay meno frenetico ma più lungo o degli effetti speciali per una serie di un determinato colore. La versione per Switch offre inoltre sia la modalità di controllo offerta in mobile, dunque tramite touch screen, sia quella offerta nelle versioni console, ovvero mirando col control stick e lanciando la sfera con un tasto, dando modo di giocare così a una versione decisamente più completa di ogni altra sua apparizione precedente. Il titolo di 10Tons offre al giocatore una campagna principale di ben 92 livelli rigiocabile, se non altro, in modalità difficile e “nightmare”, ma se non vi va di rimettervi alla ricerca delle 5 chiavi ancora una volta potrete comunque passare altre ore con le modalità Survival, ovvero una modalità infinita (il classico dei giochi puzzle), una Challenge mode che vi permetterà di rigiocare dei singoli livelli a diverse difficoltà, e la modalità Cataclysm, le cui sfere arriveranno di continuo senza darvi un attimo di tregua. Sparkle 2 ci vuole dunque spingere a pensare sempre in fretta e, per quanto statico, fuori dagli schemi, vuole regalare così al giocatore un gameplay avvincente, che ci porterà a divorare un livello dopo l’altro senza freno, con una learning curve molto gradevole che permette di familiarizzare gradualmente col gameplay e con le novità che verranno introdotte nei livelli (come l’aggiunta di un nuovo colore o un nuovo power-up), e dunque offrendo una difficoltà congrua con l’avanzare del gioco, rendendo il titolo molto accessibile ad appassionati dei puzzle game e non.

In un mondo fantastico dove tutto può accadere

Sparkle 2, per essere un puzzle game, presenta uno stile molto definito e la sua presentazione è singolare e ben riuscita: la grafica e le tonalità dei colori sono ben definite, il campo di gioco chiaro e mai confusionario e il design delle sfere, anche se sono delle semplici forme geometriche, è ben realizzato, queste restituiscono in tutto e per tutto quel senso di magia che il titolo ci propone, sono veramente… belle! Mai succederà che in un livello potremo confonderci o assistere a dei bug che rovineranno l’esperienza; Sparkle 2 fila liscio come l’olio e, durante le ore di gioco, ci sentiremo veramente immersi nel mondo fantastico proposto in questo titolo. Insieme ai campi di gioco, alle sfere e alla mappa ci sono anche alcune semplici cutscene che appariranno quando arriveremo in dei luoghi specifici, che consistono, più che in delle cinematiche, in immagini fisse con semplici animazioni (come delle foglie che volano o qualche fulmine all’orizzonte) accompagnate da una calda voce narrante che ci descriverà lo scenario che ci troveremo davanti, nonché il nostro stato d’animo, e ci comunicherà se in quel luogo specifico è presente una chiave oppure no.
Il comparto sonoro, dalla voce narrante alla colonna sonora, è veramente ben curato e molto professionale, quasi quanto quello di un gioco prodotto da una grande casa produttrice. Alla composizione c’è Jonathan Geer, veterano che aveva già lavorato al precedente Sparkle e che è apparso in altri videogiochi come Owlboy, Heart Forth, Alicia e Cook, Serve, Delicious!; le sue musiche restituiscono quel senso di epico presente in questo titolo e riescono perfettamente a richiamare immagini come foreste, cavalieri e calderoni magici che ribollono, tipiche dello stile fantasy. Presentissima è l’influenza dello stile di Danny Elfman, quel fare pomposo seppur pacato e misterioso che tanto può piacere agli amanti delle colonne sonore di Edward Mani di Forbice, Batman o Nightmare Before Christmas.

Qualcosa manca

Un puzzle game come questo, tuttavia, dovrebbe avere delle caratteristiche che a oggi dovremmo considerare imperative, primo fra tutti il multiplayer. È vero, Sparkle 2 ci offre tante modalità che possono offrire diverse ore di longevità, ma il gameplay, seppur molto avvincente, si fa alla lunga ripetitivo, dopo un po’ potremmo annoiarci a giocare da soli; il multiplayer è un elemento che spezza del tutto la monotonia dei giochi puzzle e Sparkle 2 purtroppo ne è sprovvisto. Anche la modalità survival acquista poco significato poiché non esiste alcun elemento di competitività, né contro altri, con una tabella dei migliori punteggi online, né contro se stessi, tentando di battere il proprio miglior punteggio, dato che il titolo non ha un sistema di punteggi e dunque, dopo la campagna principale, che dura comunque per parecchie ore, anche se ci sono buoni elementi per continuare a giocare, ci saranno comunque pochi stimoli per affrontarli. È un vero peccato, anche perché in passato altri titoli simili, come Actionloop, presentavano una bella modalità multiplayer e offrivano dunque nuovi stimoli per giocare diverse partite a colpi di intuito con gli amici. Inoltre, come già detto, sono presenti due metodi di controllo, ma si tenderà spesso a giocare solamente con uno di questi, rendendo difficile il giocare con l’altro sistema; sembrerebbe un problema da poco ma, in realtà, chi si troverà meglio a controllare la fionda tramite touch screen, rischia di limitare la propria esperienza a Sparkle 2 come “portable only” e dunque difficilmente vorrà attaccare la console al dock per giocare sullo schermo di casa. È consigliabile dunque imparare a giocare con i controlli da console ed evitare così dolori al braccio e torcicollo dovuti a uno sguardo allo schermo spesso appoggiato sulle nostre gambe perché, ahimè, il display di Switch si estende per larghezza, è una console dura da tenere con una mano sola ed è per questo che titoli come Sparkle 2 si riveleranno difficili da fruire; tuttavia, anche se il gioco non lo permette, sarà possibile tenere lo schermo verticalmente, assumendo dunque una postura più comoda e continuare a giocare come se niente fosse, senza alcuna particolare difficoltà.

Un’occasione in parte mancata

Abbiamo dunque un bellissimo gioco, con un bel gameplay molto accessibile, con un bello stile grafico e sonoro, tanta longevità, prezzo abbordabile sullo store ma con alcuni difetti. Tirando le somme, Sparkle 2 è decisamente un gioco molto valido, che può risultare curatissimo sotto molti aspetti ma al quale è stata dedicata poca attenzione sotto altri. L’assenza di multiplayer e di un sistema di punteggio rende Sparkle 2 un gioco a ¾ (dire che è un gioco a metà non sarebbe corretto) ed è un vero peccato perché con qualcosa in più Sparkle 2 avrebbe potuto dare filo da torcere anche a Puyo Puyo Tetris e dimostrare che un prodotto destinato al mercato mobile non è affatto da buttare. Si potrebbe finire il titolo senza stimoli, o alla fine dell’avvincente campagna principale o gradualmente durante quest’ultima, dipende dal tipo di approccio del singolo giocatore.
In ogni caso, Sparkle 2 riuscirà a darvi quel senso di quasi dipendenza tipica dei puzzle game il che, unito anche alla bellissima atmosfera all’interno del titolo, lo rende già un vincitore all’interno della sua categoria. Dategli una chance, non vi deluderà!




Secondo Nintendo la durabilità di Labo sarà parte del divertimento

Sin da quando è stato annunciato, Nintendo Labo ha attirato subito l’attenzione,  essendo qualcosa di sorprendente e che probabilmente solo le menti nipponiche potevano sviluppare. Non è passato molto tempo però prima che i fan cominciassero a chiedersi quanto resistenti fossero questi nuovi “dispositivi”.
Shinya Takahashi, General Manager di Nintendo, ha spiegato perché il team abbia usato proprio questo materiale e come sia divertente utilizzarlo:

«Quando abbiamo iniziato con il prototipo di un “robot”, abbiamo realizzato che il processo di trial-and-error per ottenere il prodotto finale era estremamente divertente. Questo ci ha portati a sviluppare Nintendo Labo come qualcosa con cui le persone avrebbero potuto divertirsi in ogni suo aspetto, non soltanto giocando con il prodotto finito, ma anche, in seguito, effettuando delle riparazioni e  conoscerne le meccaniche»

Secondo Takahashi, l’idea del cartone viene dalla cultura giapponese, dove i bambini essendo abituati a giocare con costruzioni costituite da questo materiale, si divertono anche a ripararli nel caso esse si rompano.
Nonostante il prezzo si aggiri intorno ai 70-80 euro, è importante notare che nella confezione è compreso anche il gioco.
Nintendo ha infine dichiarato che offrirà dei kit sostitutivi per chi romperà le citate periferiche, senza però annunciarne il prezzo.




Lunga vita a Nintendo Switch!

Secondo il direttore e capo del reparto creativo di Nintendo, Shigeru Miyamoto, Switch sarà la console più longeva del colosso nipponico. Miyamoto, ha anche affermato che i team di Nintendo potrebbero ritrovarsi a sviluppare i propri titoli per più dei soliti 5-6 anni del normale ciclo di vita.

Shigeru  ha inoltre affermato che:

«La strategia di marketing che sta andando avanti è quella di infondere il desiderio di acquistare Nintendo Switch tra un’ampia base di consumatori in tutte le regioni del Giappone, degli Stati Uniti ed Europa.
La nostra massima ambizione è che Nintendo Switch non sia solamente di proprietà di ogni famiglia, ma di ogni singola persona. Il più grande vantaggio di  Switch è che può essere trasportato e utilizzato facilmente per un gameplay competitivo tramite connessione wireless locale.»

Successivamente, il direttore creativo ha parlato degli utilizzi delle funzionalità uniche di Nintendo Switch.

«Quando pensi a cosa può essere fatto con un dispositivo come Nintendo Switch, che può essere utilizzato in movimento, ti rendi conto che ha molte funzioni non disponibili su nessun altro hardware fino ad oggi.»

Inoltre, secondo quanto riportato dal direttore generale dell’EDP (Divisione Pianificazione e sviluppo) di Nintendo Shinya Takahashi, all’interno del colosso nipponico la “Grande N”, sta “allevando” sviluppatori che siano in grado di creare un prodotto che possa piacere il più possibile e che tutti i fan dei videogame possano apprezzare.
Miyamoto ha parlato dell’accordo tra Illumination e Nintendo sul film di Super Mario. Infatti, Shigeru, ha pensato a lungo a un film d’animazione, e ha riferito che dopo una lunga ricerca, è stata proprio la Universal Parks & Resort (che lavora con Nintendo sulla creazione di attrazioni per i suoi parchi a tema) a presentargli la Illumination.

Secondo voi, quanto sarà longevo il Nintendo Switch?