Il dietro le quinte della produzione Nintendo

Ogni anno, le società statunitensi quotate in borsa presentano dei rapporti alla Securities and Exchange Commission (CSR) riportanti nel dettaglio le origini dei minerali utilizzati nei loro prodotti e i relativi paesi di estrazione. Sebbene non sia obbligato a presentare il proprio rapporto negli Stati Uniti, Nintendo lo ha comunque consegnato e sfortunatamente, non è migliorato molto dall’anno scorso.
Infatti i minerali utilizzati dalla casa giapponese per i loro prodotti, sono estratti in concentrazioni elevate in alcune regioni in stato di conflitto dell’Africa. I minerali estratti più comuni sono oro, stagno, tungsteno e tantalio. Queste materie prime vengono estratte da gruppi di schiavi, che poi vendono per finanziare conflitti armati continuando ad alimentare questo circolo vizioso che ha come perno le continue violazioni dei diritti umani.

Questi minerali sono necessari per produrre molti prodotti che usiamo quotidianamente, tra cui varie tecnologie e console di gioco. Dato che i clienti non hanno modo di sapere se il loro Amiibo viene prodotto attraverso il lavoro degli schiavi, spetta alle aziende essere trasparenti riguardo alle loro linee di rifornimento. Ciò significa anche esercitare pressioni sui propri fornitori, che a loro volta devono svolgere la dovuta diligenza assicurando che le fonderie o i raffinatori (SOR) che ricevono minerali siano esenti da conflitti. Spesso, questo viene fatto tramite un sondaggio annuale inviato dalla società ai fornitori, i quali quindi segnalano se i raffinatori sono stati certificati senza conflitti dall’Iniziativa dei Minerali Responsabili (RMI) o da un gruppo simile. Tuttavia, alcune aziende registrano tassi di rendimento dei sondaggi scadenti che, purtroppo, non riescono a reprimere ogni anno. Anche altre società hanno avuto questo genere dilemma etico, come Apple, Sony e Microsoft, ma i risultati dei rapporti CSR andavano dal record stellare di sourcing etico appartenente ad Apple ai bassifondi etici di Sony e alle sue decisioni vaghe e inefficaci nell’affrontare il problema. Nonostante Nintendo in quel momento avesse già re-inviato il proprio rapporto CSR, con una contabilità più dettagliata dei sondaggi sui minerali estratti, la documentazione non fornì i dettagli dei minerali fino alla fine di luglio.



Nintendo, nel 2014, iniziò col piede sbagliato: stando a quanto riportato, si poteva solo certificare che il 47% dei suoi SOR non stavano commettendo violazioni dei diritti umani. Il numero è migliorato nettamente nel rapporto 2015, con il 72% dei fornitori di Nintendo certificati esenti da conflitti. Nel 2016 rallentò con una crescita misera fino al 74%. Nintendo sembra comunque essersi presa l’impegno di ottenere un tasso di rendimento del 100% dai suoi fornitori, un ottimo segno di speranza per l’etica della società.
Sfortunatamente, anche il miglioramento del rapporto del 2017 è stato lieve in cui Nintendo si è limitata a vedere il 76% dei suoi SOR senza conflitti. Dei 339 SOR, 320 erano nell’elenco standard e 256 di questi erano certificati o in procinto di esserlo. Sebbene ci sia un miglioramento, Nintendo punta ai numeri di Microsoft in termini di percentuale di certificazione, che si aggirano intorno all’80-89%. Purtroppo i livelli di certificazione di Sony sono ancora sconosciuti.
Nonostante le promesse della grande N, questa crescita non sembra ancora esserci. Come parte dei report archiviati negli Stati Uniti, le aziende sono tenute a identificare le origini delle materie prime per ottenere la certificazione SOR e in seguito definire le misure di azione per risolvere eventuali problemi. Nintendo, in mancanza di tali requisiti, ha fornito solo la seguente riga per indicare quale potrebbe essere il piano per affrontare il potenziale lavoro degli schiavi nella sua linea di produzione:

«Abbiamo valutato i risultati e condotto interviste dirette con i fornitori e raffinatori ad alto rischio per capire accuratamente la situazione e mirare a risolvere il problema.»



Just Shapes & Beats

Se siete stufi di ascoltare i tormentoni estivi che impazzano in tutte le radio e siete amanti della musica elettronica, dubstep e soprattutto chiptune allora Just Shapes & Beats potrebbe farvi compagnia per un po’ in questa torrida estate.
Sviluppato da Berzerk Studio, team composto da sole 3 persone (Lachhh, Markus ed Etienne), Just Shapes & Beats si presenta come uno stravagante action game che ci impegnerà per circa 3 ore; la scarsa longevità non lascia però scontenti, soprattutto grazie a un gameplay molto elaborato quanto ostico, e per via di una colonna sonora che consta di circa 40 brani composti da alcuni dei migliori artisti del genere, da Chipzel Omnitica passando per Shirobon e molti altri.

La storia è molto semplice, visto e considerato che il gioco attenziona maggiormente il comparto audio, tecnico e grafico. La trama vede come protagonista un piccolo quadrato, che, vedendo il proprio mondo corrotto dal cattivo di turno, un mostro a forma di cerchio rosso, e perdendo un amico a causa di quest’ultimo, decide di andarlo a cercare per vendicarsi superando ogni tipo di insidie, difficoltà e ostacoli. Per far bisognerà superare circa 28 ardui livelli a ritmo di musica rigorosamente elettronica.
Il gameplay è tutt’altro che semplice: il titolo richiede non poca coordinazione e concentrazione per superare tutti i livelli e anche una piccola dose di fortuna. In ogni livello bisogna solamente muoversi e schivare gli ostacoli grazie a uno sprint, il gioco concentra l’attenzione non sui semplici e intuitivi comandi, ma sugli ostacoli che compariranno in maniera spesso casuale sulla mappa.
Il nostro unico scopo sarà quello di sopravvivere a tutti i pericoli che il boss e i suoi scagnozzi rappresenteranno, schivarli e superare ogni ostacolo per raggiungere un piccolo triangolo bianco che segnalerà la fine del livello.
Il gameplay appare a prima vista confusionario, con forme geometriche che vagano per la mappa e che compaiono e scompaiono in men che non si dica, luci e flash ovunque che sembrano distrarre, ma con il pad in mano è tutt’altra cosa. Dopo aver superato il tutorial imparerete a focalizzare l’attenzione sul vostro personaggio e con la coda dell’occhio starete attenti all’ambiente circostante, riuscendo a evitare quasi tutti gli ostacoli.
Il nostro personaggio potrà essere colpito non più di quattro volte per poi finire K.O. e ricominciare dal checkpoint precedente; ogni tre sconfitte ci sarà il Game Over e si dovrà ricominciare il livello da zero.
È presente anche una modalità multiplayer, sia locale sia online, che permetterà di superare, in compagnia di altri tre giocatori, uno dei tanti livelli presenti all’interno del titolo. Avendo a disposizione l’aiuto di tre persone, finire la run sarà abbastanza semplice, fin  troppo. Questa modalità è ottima per chi voglia rigiocare più di una volta un determinato livello, magari in compagnia di qualche amico, o semplicemente per divertirsi un po’ sulle magnifiche note del livello.

La grafica è minimale, una delle caratteristiche principali del gioco sono le forme geometriche che compongono l’intero ambiente, compresi i personaggi, uno stile che ricorda molto giochi come Geometry Dash. I livelli non hanno uno sfondo, il colore nero farà da background, mentre flash, raggi laser, sfere e altre forme fucsia riempiono quasi l’intero schermo, rendendo più difficile l’individuazione del nostro personaggio e soprattutto renderà più arduo schivare tutti gli ostacoli. I principali colori utilizzati sono solamente cinque: nero e le sue sfumature, bianco, turchese, fucsia e giallo. Una scelta singolare, ma intelligente: in un gioco di questo genere, singolarissimo nel suo proporre una modalità quasi da shoot ‘em up senza la componente shooting, troppi colori o colori troppo accesi possono solo essere d’intralcio per la visuale e di conseguenza peggiorare l’esperienza di gioco.
Anche il comparto tecnico è ottimo, durante la mia run non ho riscontrato nessun bug o glitch a compromettere la sessione, solamente un leggero lag in alcune parti di un solo livello e un bug – che credo dipenda da Steam – che riconosceva mouse e tastiera come un giocatore e il pad della PlayStation 4 (collegato con il cavo USB) come un secondo player, per questo, metà del gioco l’ho dovuto affrontare con due avatar controllati da un solo pad (e il gioco è diventato molto più arduo). Ovviamente qualsiasi problema potrebbe intaccare la nostra avventura, rendendola impossibile o troppo semplice, ma non è questo il caso. Il gioco è ben strutturato con livelli sempre diversi tra loro e mai ripetitivi, che offrono un grado di difficoltà diverso da livello a livello. Si possono affrontare missioni “semplici”, che riusciranno in una sola run, o altre molto più ardue, che vi faranno urlare dalle troppe forme a schermo e vi faranno penare per arrivare al tanto agognato “triangolino della salvezza“.

Ma adesso parliamo del soggetto principale del gioco: la soundtrack. Just Shapes & Beats offre ore e ore di ottime canzoni chiptune, che spaziano dalla musica elettronica al dubstep più sfrenato. Da amante del genere le tracce presenti mi hanno fomentato non poco durante la partita, anche perché, per superare alcuni ostacoli si deve seguire il ritmo, potrebbe capitare che a ogni drop della musica si possa incorrere in un’esplosione o in un ostacolo, quindi bisogna prestare attenzioni a tutto, dal nostro personaggio, agli ostacoli, e persino alla musica.
La colonna sonora del gioco si compone di circa 40 brani, dicevamo, composti da alcuni dei più famosi musicisti del mondo chiptune, tra cui i Pergboard Nerds, Chipzel, Tokyo Machine, Noisestorm, e oltre a loro sono presenti anche altri compositori un po’ meno famosi o emergenti, come Plesco, Danimal Cannon e altri artisti.
Il gioco è consigliato a un pubblico che gradisca una simile selezione, ma anche chi si volesse semplicemente mettersi alla prova con un titolo ritmico, dinamico e mai noioso potrà divertirsi sicuramente potendo usufruire anche di una buona rigiocabilità.




I giochi che hanno lasciato l’early access nel 2018

Col passare del tempo, la creazione di titoli videoludici e la nascita di start-up che ne favorissero lo sviluppo è aumentato vertiginosamente. Il tutto, è favorito da una crescita del settore, dovuta a vari metodi usati per raccogliere fondi.
Uno di questi è l’Early Access, usato dagli sviluppatori per riuscire a racimolare i contributi necessari a portare avanti la creazione del loro gioco prima dell’uscita vera e propria. Questo metodo permette di ottimizzare i tempi di sviluppo e, soprattutto, aiuta gli sviluppatori a migliorare la propria creazione grazie ai feedback degli utenti. Sfortunatamente, come ogni “fenomeno” del momento, anche l’early access è colpito dagli “approfittatori”. Infatti, si presentano casi di programmatori che creano giochi per poi abbandonarli dopo aver ricevuto delle donazioni. Oppure, esistono altri casi di videogiochi che si trovavano in un accesso anticipato infinito riducendosi a essere aggiornati periodicamente per miglioramenti infimi. Questo problema è presente prevalentemente nei titoli survival.

Ma tempo al tempo, dopo un paio d’anni, finalmente nel 2017 Ark: Survival Evoled e The Long Dark uscirono dal loro stato di beta.
Tutto questo potrà sembrare del tutto casuale ma, fortunatamente altri titoli che sembravano essere destinati a rimanere incompleti (Rust, The Forest, Subnautica, H1Z1, DayZ) usciranno nel corso del 2018 o sono già usciti in maniera definitiva qualche mese fa.
Questi, sono alcuni tra i titoli più conosciuti per il loro lunghissimo periodo di beta. Tra essi, il primo a esser stato rilasciato è Subnautica (precisamente nel mese di gennaio), annunciato nel 2013 ma, dopo svariati anni di sviluppo e di miglioramenti grazie all’aiuto della community, è diventato un titolo davvero ottimo, che ha riscontrato tantissime recensioni positive. A seguire troviamo Rust, titolo survival che inizialmente era basato sulla sopravvivenza co-op contro gli zombie ma, tutti gli anni di modifiche lo hanno completamente stravolto, privandolo della componente principale (i non morti) e passando quindi a un PvP più tradizionale. Personalmente, tra tutti questi titoli ho avuto il piacere di giocare proprio a quest’ultimo. I passi avanti fatti dal team di sviluppo sono giganteschi: le texture hanno ricevuto un deciso upgrade e i molti bug che affliggevano il titolo sono quasi del tutto risolti, i server sono più stabili, gli oggetti presenti in game sono stati ampliati, e tanto altro mi hanno reso felice d’aver supportato il loro progetto.
Un altro titolo è H1Z1, che è stato diviso in due: mentre la variante Battle Royale mantiene il nome originale, la variante survival sè stata chiamata Just Survive (ancora in attesa del rilascio).
DayZ, con uscita programmata per il 2012, è uno sparatutto dove ci ritroveremo a combattere fino alla morte insieme ai nostri fidati compagni mentre, The Forest, è un grande esempio di cambiamento radicale nei giochi in early access, visto anche l’introduzione del multiplayer che ha portato all’allontanamento dalle idee iniziali del team di sviluppo, che prevedevano un’avventura solitaria all’interno di un’isola abitata da cannibali.
Tutto quello che accomuna questi titoli è, difatti, la loro progressiva crescita grazie ai fondi e alle idee dalla community. Tuttavia, al momento, si presentano titoli di primo piano nella scena videoludica come Fortnite, che sfortunatamente sembrano destinati a rimanere in beta ancora per parecchio tempo, visto il continuo rinvio dell’apertura gratuita della sezione PVE. L’utilizzo dell’early access dunque, è molto importante, principalmente per le case di sviluppo emergenti, visto che i feedback degli utenti possono essere essenziali per creare un buon gioco ma – visto i precedenti – l’importante è non abusare di questa ottima possibilità.




La caduta di Nintendo

Siamo a ormai quasi un anno e mezzo dall’uscita di Nintendo Switch: la risposta del mercato ci autorizza a definirla senza remore un successo, fin dal lancio la console ha registrato numeri di vendita ragguardevoli, un ottimo indice di gradimento degli utenti e anche delle prestazioni medie riguardo i giochi terze parti che hanno smentito le meno ottimistiche previsioni dei detrattori. Tutto bene, dunque, direte. E invece no, perché da marzo le azioni Nintendo hanno cominciato a perdere inesorabilmente valore. Non si tratta di un calo da poco: la grande N ha perso quasi un quarto del suo valore alla Borsa di Tokyo da fine maggio ad adesso. Miliardi su miliardi di Yen.
Attenzione, le vendite di Nintendo Switch continuano ad andare bene, gli ultimi dati – proprio di fine marzo – riportano circa 18 milioni di unità vendute. Perché allora il titolo in borsa cala? Da questo punto di vista la finanza non lascia spazio a equivoci: se il valore è in calo, significa che molti hanno messo in vendita le proprie azioni, perché viene meno la fiducia nella tenuta del prezzo. Non di rado, in simili casi, i grossi produttori pagano lo scotto di scelte avventate: il rilascio di un’update che comporta problemi al software, un’inadeguata (in eccesso o in difetto) fornitura di hardware sul mercato (Nintendo ha corso questo rischio poco dopo il lancio, ma ha tempestivamente provveduto), problemi con il servizio online che oggi possono avere pesanti ripercussioni… le cause di solito riguardano qualche problema legato all’andamento del proprio lavoro.

Ciò che è curioso, nel caso in questione, è che Nintendo pare non essere incappata in alcuno di questi problemi – quantomeno non in maniera così drastica da comportare una simile inflessione – e che i consumatori sembrano continuare a dar fiducia alla casa di Kyoto. Quale problema hanno sentito allora gli investitori, quelli che hanno dapprima comprato il titolo e l’hanno recentemente messo in vendita? C’è da notare come il valore sia sceso di circa il 32% (circa un terzo, mica roba da poco) dopo la fallimentare presentazione all’E3, nella quale si è scelto di dar molto – troppo – spazio a Super Smash Bros. Ultimate a scapito di altri contenuti, con il risultato che gli annunci che non pochi fan attendevano con ansia non sono mai arrivati.
Alcuni analisti hanno puntato il dito proprio sulla mancanza di un chiaro orizzonte d’attesa: a differenza di Sony e Microsoft, che, pur non fornendo release date, hanno dato agli utenti la possibilità di uno sguardo sui titoli in lavorazione, giocando su un facile marketing, cultura dell’hype e spettacolarizzazione, Nintendo ha puntato su una scelta “specialistica”, probabilmente più concreta, con un deep dive dedicato a un’IP forte, in cui ha mostrato di credere molto. Scelta non apprezzata dal pubblico, e anche da buona parte dei fan. Inoltre, come può anche essere normale in certi momenti del ciclo di vita di una console, le vendite di Switch hanno subito una contrazione, portando alcuni analisti a pensare che il combinarsi dei due fattori sia stato determinante nel crollo del titolo in Borsa:

«-5,27%. Le azioni Nintendo nuovamente massacrate nella borsa di Tokyo. Il Nikkei ritiene che la causa siano l’assenza di informazioni sulla produzione di videogame e le fiacche vendite di Switch, fattori che hanno indotto gli azionisti esteri a disfarsi delle azioni.»

Tatsumi Kimishima, ex presidente di Nintendo, ha dichiarato qualche settimana fa che la grande N ha ancora dei titoli da annunciare entro la fine dell’anno, ma questa rimane allo stato di fatto una dichiarazione di intenti: l’utenza videoludica è molto pragmatica, spesso impaziente e dalla memoria corta, e non pare che una simile prospettiva abbia avuto alcun influsso positivo sul titolo già in discesa.
Parte del problema è dunque da ricondursi alla cattiva gestione della conferenza dell’E3, sul punto pochi dubbi, ma non bisogna dimenticare che il titolo è in calo già dal mese di marzo, i miliardi si perdono già da più di un trimestre. Il mercato di riferimento (la Borsa di Tokyo) gode strutturalmente di buona salute, e questo ci porta a escludere le cause siano congiunturali, legate a una generica sfiducia o alla fiacchezza del mercato: il problema è direttamente legato all’azienda. Il ritmo del ribasso è rallentato nelle ultime settimane, ma la situazione è ancora lungi dall’essere sotto controllo.

I fattori in gioco sono certamente svariati. Diamo per buoni i due che abbiamo già citato sopra, lasciamoli tra le concause e guardiamo agli investitori: alcuni dubbi da parte di quest’ultimi sono certamente legati all’ambizioso obiettivo di vendita per l’anno 2018, alla fine del quale Nintendo ha prospettato di arrivare a 20 milioni di unità, senza però apportare variazioni di rilievo nel prezzo di mercato né introdurre killer app. I più preoccupati riguardo queste previsioni sembrano essere soprattutto gli investitori non nipponici: mentre in Giappone la fiducia nella compagnia pare sostanzialmente invariata, fuori dal paese del Sol Levante molti temono il non ancora consolidato sostegno da parte dei grossi publisher. Un problema in realtà ultradecennale per Nintendo, che restituisce un’idea di un aspetto rilevante del mercato videoludico: la grande N avrà certamente svariati assi nella manica, è certo che Kimishima non menta quando parla di titoli ancora da annunciare. Le IP ancora da sfruttare non sono poche ma, in attesa di un domani in cui queste vengano annunciate, la mancanza di importanti terze parti di rilievo non fa stare tranquilli oggi gli investitori.

Il supporto delle third parties è da tempo un indicatore chiave non da poco per il mercato, e l’incertezza riguardo la presenza di titoli di peso su Switch è un fattore che potrebbe aver inciso sulla fiducia degli azionisti: arriveranno mai titoli come Far Cry 5 Kingdom Hearts III? O il tanto atteso Anthem? E Red Dead Redemption 2?  Se certe assenze pesano relativamente sull’utente che colloca Nintendo Switch in una dimensione ben precisa nel mondo videoludico, vedendola come console alternativa o complementare nell’utilizzo, nella fruibilità e quindi anche nella line-up rispetto alle due rivali principali, lo stesso non si può dire che il mercato più ampio, quello dei casual gamer, quello dove si muovono i grandi numeri, sia della stessa idea.
In un articolo pubblicato alla fine dello scorso anno su IGN, Mattia Ravanelli sosteneva che questo non fosse un problema: ricordo che, se da utente e fruitore mi trovavo completamente d’accordo con questa visione, nutrivo i miei dubbi dal punto di vista del mercato. E non perché Nintendo Switch possa non farcela senza l’ampio parco titoli delle rivali, ma perché senza terze parti cresce la necessità di offrire un differenziale che permetta di tenere una stabilità di medio-lungo periodo. Al primo anno si poteva puntare sul fattore novità e su due killer app come Breath of The Wild Super Mario Odissey: adesso bisogna inventarsi qualcosa. E la risposta non è purtroppo Nintendo Labo che, pur ricevendo numerosi apprezzamenti dalla critica e dai fruitori, non sta restituendo numeri rilevanti in termini di vendite. E anche a questi risultati gli investitori risultano sensibili.

Ovviamente anche le terze parti e un Labo non del tutto incisivo sul mercato sono concause da sommare alle precedenti. Ce n’è anche un’altra da non sottovalutare, direttamente legata al mercato, alla brand reputation e al mindset dell’investitore di Borsa medio.
Quello finanziario è infatti un mercato che si costruisce momento per momento attraverso stime e previsioni, e che subisce smottamenti di ogni natura, anche quelle legate a cause dei natura “storica”. Nintendo proveniva da numeri passati altalenanti, generati soprattutto dai pessimi risultati di WiiU in termini di vendite. Questo gli investitori non lo dimenticano di certo. Dopo aver assistito a un rialzo del titolo conseguente al successo di Pokémon Go, seguito dall’ottimo lancio di Switch l’anno successivo che ha comportato un’ulteriore crescita, molti hanno certamente cominciato a chiedersi quando una simile ascesa si sarebbe fermata, proprio per prevedere il momento migliore e vendere al massimo prezzo. Alcuni analisti hanno previsto un cambio di passo a maggio, e molti hanno semplicemente visto questo trimestre come il momento migliore per una exit strategy.
Nintendo avrebbe potuto farci qualcosa? Probabilmente sì: l’annuncio di un nuovo titolo della serie Yoshi (abbiamo avuto un trailer, ma non abbiamo una release date, né tantomeno un titolo definitivo) o di un Animal Crossing, ma anche l’uscita di Fire Emblem: Tree Houses entro l’anno avrebbero certamente aiutato. Il 2018 potrebbe chiudersi con Labo come unico prodotto inedito degli studi di Nintendo Entertainment Planning & Development, senza alcun nuovo videogame su Nintendo Switch. Probabilmente a Kyoto prenderanno contromisure, organizzandosi per evitarlo.
La chiusura di trimestre fra circa una settimana sarà inevitabilmente deludente per Nintendo, la quale vedrà probabilmente un ulteriore (seppur non drammatico) calo del titolo entro la fine del mese, con vari investitori pronti anche oggi al bail out.

Ma attenzione: quel che abbiamo scritto finora non deve affatto portarci a concludere che Nintendo sia in crisi o o che il suo business sia traballante. I fattori che abbiamo analizzato hanno contribuito a un calo drastico del titolo in un dato frangente, sì, ma certi momenti nell’andamento azionario di una grande compagnia sono in parte fisiologici e vanno messi in conto, specie se si tratta di un’azienda che opera scelte di mercato non canoniche come la casa di Kyoto: le scelte degli shareholder si basano sulle informazioni disponibili nel momento storico di riferimento, e basterebbero delle contromosse strategiche a risollevare in breve tempo la situazione e compensare alle perdite.
Ci sono tutti i motivi per ritenere la strategia della grande N ancora solida, il potenziale in termini di IP è ancora consistente, ribadiamo, e il gradimento del pubblico nei confronti di Switch è ancora alto. Super Smash Bros. Ultimate deve ancora dispiegare i propri effetti sul mercato (sarà il titolo da trovare sotto l’albero di Natale), come del resto i due Pokémon Let’s Go che usciranno a novembre: tutto porta a puntare gli occhi sull’ultimo trimestre del 2018, insomma. Pur rallentate, le vendite della console continuano a un buon passo, e la fine dell’anno potrebbe riservare ancora qualche sorpresa in termini di IP. Anche in assenza di queste ultime, gli ultimi mesi del 2018 saranno certamente quelli con i migliori risultati.
Seppur non indolore, il calo del titolo Nintendo in Borsa è quindi da considerarsi figlio di piccoli errori e varie concause ma anche il frutto di una congiuntura fisiologica, che poteva essere in qualche modo messa in conto nel ciclo economico aziendale, e che sarà certamente gestibile con adeguate contromisure strategiche.
Finché l’andamento a ribasso sarà contenuto entro una determinata finestra temporale, la strategia Nintendo nell’era Switch potrà ancora considerarsi un successo, dato che già adesso, a 21 mesi dall’uscita, il buio periodo di mercato dell’epoca WiiU sembra essere ormai un brutto ricordo.




Bandai Namco ha tre nuovi marchi registrati in Europa

Bandai Namco ha appena registrato tre nuovi marchi della serie Taiko: Drum Master in Europa.
In particolare i giochi sono: Drum Master (29 giugno), Drum Session! (13 luglio) e Drum ‘n’ Fun!  (13 luglio).
Il primo marchio non ha bisogno di presentazioni, mentre il secondo dovrebbe riferirsi a Taiko Drum Master: Drum Session! uscito su PS4 nel 2017 sia in Giappone che in Asia con i sottotitoli in inglese. Il terzo marchio si riferisce probabilmente al prossimo titolo per nintendo Switch: Taiko Drum Master: Nintendo Switch Version! , che uscirà il Giappone il 19 luglio, e in Asia  con una patch per i sottotitoli in inglese il 9 agosto.




Dusty Rooms: il viaggio di Link in Majora’s Mask

The Legend of Zelda è una saga che certamente non ha bisogno di presentazioni. È difficile trattare questi titoli nell’ambito del retrogaming in quanto ognuno di esso, che sia uscito negli anni ’90, nella scorsa decade o per una console portatile, è sempre così attuale da poter essere giocato in ogni era videoludica, risultando quasi sempre al passo coi tempi (ne sono esempi i numerosi remake usciti per Nintendo 3DS e Wii U). Oggi entreremo nel profondo di uno dei titoli più strani della saga, un titolo molto discusso e, a oggi, ancora fra acclamazioni e stroncamenti. The Legend of Zelda: Majora’s Mask fu un titolo che, come al solito, riscosse un gran successo commerciale ma lasciò ai fan una certa angoscia, un retrogusto amaro che, in realtà, non è facile da descrivere. Frase molto comune, fra i più appassionati, è: “Majora’s Mask è uno dei titoli più cupi della saga di Zelda“. Ma perché? Cosa c’è dietro agli scenari bizzarri, agli artwork ombrosi e alle tristi storie di Majora’s Mask? Diamo uno sguardo alle tematiche che abbracciano questo spettacolare gioco per Nintendo 64, rilasciato non molti anni fa per 3DS con una nuova veste grafica. Ovviamente, se non avete ancora giocato a questo titolo ma avete comunque intenzione di farlo, vi sconsigliamo di leggere questo articolo e perciò preferiamo lanciare un allarme spoiler.

Le fasi del lutto di Kübler-Ross

Come ogni capitolo prima di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Majora’s Mask ha una storia lineare e ci viene rivelata visitando i luoghi prestabiliti e i loro dungeon. In molti si lamentano del fatto che questo titolo è molto corto in quanto presenta solamente quattro dungeon e un hubworld. È possibile, tuttavia, riconoscere in questi cinque luoghi le altrettante fasi del lutto di Kübler-Ross, psicologa americana che ha studiato a fondo i fenomeni psicologici che avvengono prima della morte. Vediamoli insieme seguendo l’avventura di Link:

  • Negazione: la nostra avventura comincia a Clock Town, un borgo la cui luna ci si sta per schiantare. Nonostante questo grosso problema, nessuno sembra darci peso, appunto, sembrano negare che la luna stia per abbattersi sulla loro città: gli abitanti vivono nella più normale tranquillità, tanto è vero che la città è in fermento per il carnevale che comincerà fra tre giorni, tempo in cui la città verrà spazzata via. Per farvi un esempio, nell’ufficio del sindaco, il capocarpentiere Muto reputa dei codardi quelli che intendono fermare il carnevale per via della caduta della luna e il maestro di arti marziali del distretto est arriva persino a dirci che al terzo giorno taglierà in due la luna con la sua spada.
  • Rabbia: la nostra prima incursione al di fuori di Clock Town è alla palude a sud, zona della tribù dei Deku. Qui il capo tribù sta per giustiziare una scimmietta ritenuta responsabile per la scomparsa della principessa Deku nonostante la sua provata innocenza; il loro capo è semplicemente arrabbiato perché, non sapendo come reagire perde il controllo prendendosela con chi gli capita a tiro.
  • Patteggiamento: nel territorio a nord, lo spirito del goron Darmani prega Link affinché lo possa far tornare in vita per poter aiutare il suo villaggio. Tuttavia, l’unica cosa che il nostro eroe è in grado di fare è alleviare il suo dolore con la canzone della cura (no… Non quella di Franco Battiato!) e far vivere il suo spirito in lui dopo la sua definitiva morte.
  • Depressione: il passo precedente ci insegna dunque che alla morte non c’è scampo; si perde il contatto col mondo e perciò si cade in depressione. Nell’area ovest della mappa troviamo Lulu, una cantate zora che ha perso le sue uova, dunque i suoi figli; verremo a conoscenza della sua storia tramite i ragazzi della sua band mentre lei sta ferma a guardare l’orizzonte in silenzio, senza dirci nulla e, se è per questo, senza reagire di fronte alla scomparsa dei suoi piccoli.
  • Accettazione: l’ultima area da espolare sarà il Canyon Ikana. Nonostante questa sia una zona arida piena di morte è anche una zona in cui si accettano i propri sentimenti e si perdona per raggiungere la pace interiore. Per prima cosa troveremo il compositore Sharp che, quando sentirà la canzone della pioggia, ripensera a suo fratello Flat, anch’esso compositore, e lo perdonerà per essersi concentrato troppo nel ricostituire la famiglia reale con la conseguenza di averlo trascurato. Tuttavia, il simbolo più grande dell’accettazione è la Stone Tower all’interno del canyon; dopo averla scalata duramente finiremo all’interno di dungeon dove recupereremo la freccia luce che sta a simboleggiare l’illuminazione (che viene dal cielo, esattamente dove ci troviamo avendo letteralmente scalato una torre), l’accettazione della morte.

La tematica del lutto ci accompagna per tutto il gioco e il fatto che la quest principale finisca proprio con “l’illuminazione” non è di certo un caso. Il gameplay di Majora’s Mask si ripete costantemente negli stessi tre giorni e ciò simboleggia il lutto stesso: il fatto di essere intrappolati nella stessa situazione non è che un’allegoria di questo triste sentimento e appunto, l’unico modo per uscirne è accettare le nostre perdite o il fatto stesso che si muoia al termine della nostra vita. Tuttavia, premettendo che tutto questo sia vero, sorge una domanda spontanea: quale perdita stiamo elaborando, o meglio, quale perdita sta elaborando Link?

L’elegia del vuoto

Una prima ipotesi ci sorge guardando sia la fine di Ocarina of Time che quella che l’inizio Majora’s Mask: Navi, la fatina che accompagnò Link sia da adulto che da bambino nella precedente avventura, abbandona il nostro eroe una volta riposta la Master Sword nel suo piedistallo mentre, all’inizio del secondo gioco per Nintendo 64 ci viene spiegato che Link, dopo aver liberato Hyrule dal male, è partito alla volta di un viaggio personale e segreto, un viaggio alla ricerca di un amico. Che Link stia cercando di riempire il vuoto lasciato da Navi? Potrebbe essere una semplice spiegazione che giustificherebbe il tutto ma ciò non spiega diverse altre cose che in realtà ci portano a pensare ben altro, ovvero che Link si trovi in uno stadio oltre la vita e dunque in una sorta di purgatorio.

Innanzitutto diamo uno sguardo al nome di questa nuova landa che, ricordiamo, non è Hyrule: Termina ci fa pensare proprio a “termine“, “fine“, un luogo dove appunto terminano le nostre avventure. Questo mondo si trova sotto terra ma nonostante tutto c’è un cielo e si alternano giorno e notte (se non altro c’è anche una gigantesca luna che non potrebbe stare di certo all’interno di un pianeta), decisamente un po’ strano per essere un mondo sotterraneo dalla quale accediamo tramite un dirupo altissimo; è strano inoltre come Link possa essere sopravvissuto alla caduta dopo che la serie ci ha insegnato che cadere da punti alti non è sicuramente salutare. Ancor più strano è il fatto che Epona, il destriero dell’eroe, non solo possa essere sopravvissuta alla caduta ma anche aver percorso la stessa strada percorsa da Link (impossibile per un cavallo visto che bisognava sfruttare i fiori Deku) per poi finire al Ranch Romani. Inoltre, rimanendo tema, in questo nuovo mondo troviamo tante persone che abbiamo già visto in Ocarina of Time, come appunto le sorelle Romani (che reincarnano la gioventù e l’età adulta di Talon del precedente gioco), il suonatore d’organetto, la banchiera e molti altri. Non dimentichiamo inoltre la meccanica principale del gioco: le maschere e dunque l’abilità di prendere le sembianze di Darmani, Mikau e il figlio del maggiordomo della famiglia reale Deku, tutte persone morte. Che le persone all’interno del gioco, che per altro hanno le stesse sembianze di molti NPC di Ocarina of Time, possano essere tutte passate a miglior vita e noi ci ritroviamo dunque in una sorta di oltre mondo? Ma ancora più inquetante è l’effetto della Elegy of Emptiness che per altro ci aiuterà a trarre delle conclusioni quasi definitive (seppur assurde). Concentriamoci intanto sul tipo stesso del componimento musicale: “elegia“, un componimento triste, malinconico, dai toni meditativi che nascono principalmente da una condizione di infelicità (come appunto la morte). Tuttavia, quando la si suona con l’iconica ocarina del tempo si formano delle statue che sembrano dei veri e propri monumenti alla memoria, e le abbiamo di Darmani, di Mikau, del Deku e di Link stesso… Ma i primi tre non erano morti? Ciò significa che anche Link è morto?
Per quanto la domanda sia assurda ci sono ben due prove a sostegno di questa assurda teoria, la cui prima potrebbe trovare persino conferma in Hyrule Historia stesso. Lo spirito dell’eroe in Twilight Princess è l’incarnazione dell’eroe del tempo, ovvero il Link di Ocarina of Time e Majora’s Mask, sottoforma di Stalfos (ovvero i guerrieri scheletro tipici della saga che, stando a ciò che dicono i Kokiri in Ocarina of Time, erano in origine persone che si sono perse nei Lost Woods); stando ad un suo dialogo, lo spirito tramanda le sue tecniche al Link di Twilight Princess non solo per l’appartenenza alla stirpe dell’eroe ma anche perché nella sua vita, a quanto pare, “ha avuto dei rimorsi”. Confrontando questo titolo con Majora’s Mask le domande sorgono spontanee: che l’eroe del tempo possa essere morto prematuramente? Oppure, vista la sua forma attuale, che possa essersi perduto nei Lost Woods e sia diventato uno Stalfos (visto che prima di cadere nel dirupo che lo condurrà all’interno della torre dell’orologio di Clock Town è in una foresta molto simile ai Lost Woods) e che dunque non ci sia mai arrivato fisicamente a Termina ma in un altro stadio?
La prossima prova solidifica ancora di più la prima e, dunque, il fatto che Link in Majora’s Mask sia fondamentalmente uno spirito. Nelle prime fasi di gioco l’Happy Mask Salesman ci accoglie dicendo: «sei andato incontro a un terribile destino, non è così?» (in inglese: “you’ve met a terrible fate, haven’t you?”). Questa frase, vista la forma di Link quando incontreremo il venditore di maschere per la prima volta, potrebbe riferirsi a primo acchito al fatto che Link sia diventato un Deku ma non è esattamente così; se permetteremo alla luna di cadere su Clock Town, dopo le animazioni della distruzione della città e dell’annientamento di Link, sentiremo la risata del venditore di maschere e la linea di dialogo sullo schermo che ci indica proprio che il nostro eroe è morto. Dunque: che il significato di questa frase sia collocabile anche all’inizio del gioco e pertanto Link sia già morto?

Vivo Morto X?

The Legend of Zelda: Majora’s Mask potrebbe rappresentare tranquillamente l’accettazione di Link della sua stessa morte, un viaggio attraverso le cinque fasi del suo stesso lutto per poi arrivare alla sua illuminazione e, in un certo modo, andare avanti. Moltissime altre storie di di questo titolo ci insegnano proprio di accettare il nostro destino, che non si può vivere per sempre ma che possiamo farlo tramite i nostri insegnamenti se il nostro spirito non sarà tormentato (le maschere di questo titolo rappresentano proprio questo, il far vivere “uno spirito” in noi per sempre). A ogni modo, nulla di ciò che abbiamo detto è stato mai accolto da Nintendo ma ciò non significa che questo articolo non possa trovare riscontri con la realtà dei fatti; il gioco, proprio per la sua diversità rispetto gli altri titoli della saga, la sua tristezza nelle sue storie e la delicatezza nei suoi temi da spazio a moltissime chiavi di lettura e, con buona probabilità, questa non è l’unica (anche perché ci sono decine di altri elementi che non abbiamo preso in considerazione). Probabilmente è quella che da più senso alla frase “Majora’s Mask è uno dei titoli più cupi della saga di Zelda” e per tanto, chissà, magari questo titolo può essere un ottimo gioco che può aiutarci di fronte alla perdita di un nostro caro, un evento traumatico o capovolgente in quanto, una volta completata la nostra difficile avventura, Termina sarà salva, noi non saremo più soli ma soprattutto non ci troveremo più intrappolati nei soliti tre tristi giorni; sarà l’alba di un nuovo giorno, una vita tutta da vivere e da godere momento per momento.




Ubisoft vorrebbe allontanarsi da esperienze di gioco “finite”

In un’intervista rilasciata nel suo blog,  Lionel Raynaud di Ubisoft ha spiegato il motivo per cui la compagnia francese vorrebbe tenere impegnati i giocatori, smettendo di proporre esperienze di gioco  che siano “finite”, in favore di titoli costruiti attorno non più a una lunga storia, ma una narrativa più frammentata in diversi archi più piccoli.
Secondo Raynaud, lo studio non vuole che i loro giochi non abbiano più nulla da offrire dopo aver portato a termine la storia principale e questo, significa creare un’esperienza che sia abbastanza ricca da spingere il giocatore a ritornare a giocare anche dopo il finale principale.
Ubisoft aveva anche espresso opinioni simili alla conferenza E3 di quest’anno, come riportato da VentureBeat, dove è stato spiegato come in Assassin’s Creed: Odyssey i giocatori non potranno semplicemente portare a termine la storia, e che le loro decisioni porteranno sempre a nuovi conflitti e avventure.




Nintendo registra nuovi marchi

Nintendo, questa settimana, ha registrato vari marchi, tra cui quello GameCube. Come ben sappiamo, la grande N, da un anno a questa parte sta recuperando vecchie “glorie” riproducendole in formato ridotto, affiancate dai migliori titoli rilasciati durante il loro periodo d’oro.
Ecco i marchi registrati dal colosso:

  • GameCube
  • Fire Emblem: Three Houses
  • Torna: The Golden Country
  • Sky Skipper
  • Fitness Boxing
  •  NES e Nintendo Entertainment System
  • Game Boy
  • Nintendo 3DS

Visto il successo di NES e SNES Classic, vedremo quindi anche un GameCube Classic? Oppure la società si è decisa a portare i titoli di quest ultimo sulla virtual console? Attenderemo ulteriori notizie a tal proposito.




Bloodstained: Curse of the Moon

Koji Igarashi è stato l’innovatore di Castlevania, saga che dopo Castlevania: Dracula X/Rondo of Blood per Super Nintendo e Nec PC Engine, si mostrava datata al cospetto delle nuove generazioni di console a 32-bit. Grazie a lui la serie si è potuta catapultare verso il nuovo millennio senza perdere la propria identità utilizzando un innovativo sistema di overworld ispirato a Super Metroid (è proprio in ragione del mash-up degli elementi delle due saghe espresso per la prima volta proprio in un Castlevania che abbiamo il termine “metroidvania“); a lui dobbiamo tutti i migliori titoli della serie come Castlevania: Aria of Sorrow, Portrait of Ruin, il multiplayer Harmony of Despair ma soprattutto il rivoluzionario Symphony of the Night, a oggi l’unico di questi titoli a essere stato sviluppato per una console casalinga (purtroppo). Con l’inizio della nuova decade Koji Igarashi, conosciuto soprattutto come Iga, fu distolto da Konami dalla sua amata serie e messo dietro allo sviluppo di progetti a cui non voleva prendere parte come alcuni giochi mobile o addirittura quelli per il fallimentare Kinect di Xbox 360; nel frattempo Castlevania si avviava verso una nuova era di giochi, quelli del reboot Lords of Shadow sviluppato da MercurySteam, accolti positivamente da molti ma stroncati pesantemente dagli appassionati di vecchia data.
Iga abbandonò Konami nel 2014 e, ispirato da Keiji Inafune e dal suo kickstarter di successo per Mighty No. 9, aprì il suo progetto indipendente per gli appassionati di tutto il mondo: Bloodstained: Ritual of the Night venne finanziato in pochissimo tempo, superando il record posto precedentemente dal suo ispiratore, e da allora i fan della saga di Castlevania pregano affinché il tempo scorra più velocemente per arrivare a quel “tardo 2018”, periodo previsto per l’uscita di questo titolo. Il progetto poneva un obiettivo a 4.500.000$ per un titolo prequel in stile retrò per PC e console ed è stato rilasciato da pochissimo a un prezzo eccezionale: stiamo parlando di Bloodstained: Curse of the Moon, gioco della Inti Creates con le fattezze di un titolo per NES, sia nella forma che nella sostanza. Finalmente, a partire da questo gioco, i fan della saga avranno finalmente ciò che chiedevano a Konami da almeno otto anni, con lo stile inimitabile di Iga e sfide impervie da affrontare; la scelta di partire con un gioco simil-8-bit non sembrerebbe la più saggia delle idee (giusto per non sfruttare i binari della nostalgia) ma in fondo stiamo parlando di un sideproject e, in ogni caso, anche se non si tratta del prodotto principale, il risultato è più che positivo. È possibile reperire questo titolo sia su PC che per tutte le console; noi oggi prenderemo in esame la versione per Nintendo Switch.

Praise the moon!

La maledizione della luna scese su Zangetsu per mano dei demoni; passò la sua vita a vagando in lungo e in largo per sterminarli tutti e liberarsi di tale fardello. Una sera, però, sentì la presenza di un demonio superiore e così Zangetsu partì alla volta di quest’ultimo per eradicare questa terribile dannazione una volta e per tutte. Nella sua via incontrò altri che, come lui, furono corrotti dalla maledizione della luna: Miriam (che sarà la protagonista del gioco principale), Alfred e Gebel e insieme collaborarono per mettere fine alla maledizione utilizzando i poteri della stessa. Diversamente dal titolo principale che si pone come un metroidvania, questo è strutturato come un Castlevania tradizionale, ovvero stage by stage, e dunque con livelli chiusi con inizio e fine senza alcuna componente di backtracking; il gameplay generale ricorda principalmente Castlevania III: Dracula’s Curse, per l’intercambiabilità dei personaggi durante l’azione, e Rondo of Blood per via dei tragitti ramificati che possono nascondere, talvolta, delle belle sorprese. I personaggi, come ci si aspetterebbe da un gioco che pone delle simili premesse, hanno caratteristiche comuni ma anche pregi e difetti, e chi è fan della saga Konami può ricollegare immediatamente ognuno dei personaggi ad altri di Castlevania: in Zangetsu è possibile riconoscere le qualità dell’Alucard di Symphony of the Night dal momento che, come lui, usa una spada ed è supportato da un buon assetto di armi secondarie (ed altre abilità, sempre molto simili alla controparte Konami, se faremo “determinate scelte”); Miriam è la classica Belmont e perciò usa una frusta, la cui lunghezza permette di mantenere una buona distanza coi nemici, e un bel assetto di armi secondarie, ha il salto più alto del team ed è l’unica che può fare delle scivolate verso il basso (premendo giù e salto); Alfred è un mago e, esattamente come Sypha Belnades, può contare sul suo utilissimo assortimento di magie (utilizzabili con i punti magia, comuni anche agli altri per ciò che riguarda l’utilizzo delle loro armi secondari) anche se il suo attacco principale è molto lento e perciò può rimanere indifeso di fronte agli attacchi nemici per non poco tempo; infine, Gebel ha le stesse caratteristiche dell’Alucard di Castlevania III, dunque ha un colpo che spara 3 proiettili, che non possono sfondare i muri, e la sua unica abilità secondaria è la trasformazione in pipistrello che gli permette di esplorare certe sezioni in lungo e in largo.

What a horrible night to have a curse.

In questo scenario pressoché familiare torna anche la “fisica” classica della serie Konami (come il salto non orientabile in aria o il balzo all’indietro quando si viene colpiti). Questi elementi potrebbero essere senz’altro positivi per dei veterani ma i nuovi giocatori, specialmente quelli che di recente si avvicinano al retrogaming, potrebbero identificare queste caratteristiche come difetti, soprattutto se congiunti alla difficoltà generale del titolo; pertanto, prima di cominciare l’avventura, il gioco permette uno “style” per veterani, con le caratteristiche sopraelencate, e uno per casual in cui le vite sono illimitate e l’essere colpito non fa sobbalzare all’indietro (non c’è alcuna penalità nella scelta di questa modalità). La concezione di vita è ben diversa da quella proposta in Castlevania III in cui, come in questo titolo, si avanzava in team: ogni personaggio ha una sua barra della vita e dunque la vita può ritenersi persa quando a tutti i personaggi vengono abbattuti; ciò significa che più saranno i personaggi nel nostro team, più lunga sarà la singola vita. La sfida che ci viene posta nei livelli, molto bilanciata grazie all’assortimento dei character disponibili, è idilliacamente quella di una volta e tutto ciò rappresenta un paradiso per gli appassionati della saga Konami: nessun passo o nessun salto può essere fatto se non dopo un’analisi più o meno accurata dell’ambiente e ogni nostro avanzamento potrà rivelarsi un successo o un fallimento; saranno tante le volte in cui, a volte persino a carambola, perderemo tutti i personaggi ma, da buon titolo retrò, la difficoltà riesce a farci arrabbiare quel tanto che basta per farci riprovare quel livello ancora una volta con più dedizione e caparbietà per poi, alla fine, superarlo, senza mai gettarci nell’abisso della frustrazione.
In Bloodstained: Curse of the Moon, come abbiamo accennato, il percorso è ramificato ma non sempre la strada più astrusa si rivela quella con più sorprese; nel 95% dei casi, gli oggetti speciali per aumentare la vita massima, i punti magia massimi, l’attacco e la difesa si trovano sempre in punti comunicanti della mappa e perciò lo scegliere un percorso anziché un altro dipende, per lo più, dalle abilità dei personaggi del team. Il consiglio stesso del gioco è quello di seguire il percorso più rapido, segnalatoci sempre da uno scheletrino che lo indica al giocatore negli incroci, ma seguirlo non è sempre possibile; potrebbe servirci una scivolata di Miriam o un passaggio in volo con Gebel e quando loro non ci sono, in realtà, siamo costretti a prendere il percorso più lungo. Ad ogni modo non è sempre detto che questo sia il più cattivo poiché magari ci sono meno nemici o abbiamo la possibilità di racimolare qualche punto in più per racimolare vite extra o qualche cuoricino per riempire la barra della vita. Inoltre, soprattutto nei primi tre livelli, il nostro team si andrà formando livello dopo livello e perciò non sempre ci ritroviamo con le abilità adatte per passare attraverso certi punti.
Il gioco base non è lunghissimo, nove livelli in tutto (come ogni tostissimo gioco per NES è possibile completarlo in una sola seduta), ma grazie a i finali alternativi, la modalità boss rush e alle campagne principali differenti verrà incentivata di non poco la rigiocabilità: c’è la modalità normale, che è il gioco base, la nightmare, che continua letteralmente la storia della prima campagna (passando, comunque, dagli stessi nove livelli), e la ultimate che è uguale alla prima ma con Zangetsu a pieni poteri (chi giocherà, ovviamente, capirà). Completare gli stessi nove livelli più volte potrebbe sembrare ripetitivo ma il gioco sorprende così tanto che saremo, inevitabilmente spinti a completare il gioco nei modi più diversi possibili; al di là della semplice scelta di prendere un percorso alternativo, ci sono altre decisioni da compiere come se portare con noi o meno un determinato personaggio a bordo del team oppure, in fase di reclutamento, uccidere quest’ultimi a sangue freddo!

Un capolavoro vintage moderno

Visivamente abbiamo un bellissimo capolavoro che ricorda un gioco per NES ma, come avviene per Shovel Knight o Axiom Verge, nulla di ciò che vediamo potrebbe girare originariamente per una macchina 8-bit in quanto le loro palette di colori, livelli di scorrimento e la memoria generale (che permettono livelli vasti e dettagli grafici, per l’epoca, impossibili) non consentivano simili stravaganze.
Azzeccatissime le ambientazioni, che richiamano sempre i più classici film horror e l’immaginario dei romanzi gotici inglesi, bellissimi gli sprite dei nemici ma soprattutto spettacolari quelli dei personaggi principali che richiamano in tutto e per tutto lo stile di quelli Castlevania; i contorni rossi di Zangetsu, blu di Miriam, gialli di Alfred e grigi di Gebel servono a dare un’aura di personalità ai (non-parlanti) personaggi di questo gioco e, per noi, ritocchi del genere sono veramente dei tocchi di classe, in puro stile Konami. Gli artwork usciti col gioco sono curati da Ayami Kojima, che ha curato le illustrazioni di moltissimi altri titoli della saga di Castlevania, e da Yoshitaka Amano, illustratore che ha collaborato più volte con Square-Enix per diversi progetti, e ovviamente richiamano quello stile tipico della saga madre che prende sia dall’anime che dagli stili di pittura più classici.
La colonna sonora, composta da Michiru Yamane, compositrice storica della saga, Ippo Yamada (Mega Man X2, Azure Strker Gunvolt, Mighty No. 9) e Jake Kaufman (Shantae and the Pirate’s curse, The Legend of Kay, Shovel Knight) è un pieno ritorno alle sonorità rock/metal/neoclassiche tipiche della saga storica e, come ci si può aspettare da una tale line-up, il risultato è semplicemente strabiliante. Un deciso passo avanti rispetto alle colonne sonore scialbe e inutilmente atmosferiche messe nei giochi del reboot Lords of Shadow. Insieme a degli effetti sonori di qualità, fra cui alcuni campionamenti vocali usati quando verremo colpiti, possiamo sentire con chiarezza un massiccio uso dei chip sonori più comuni nelle macchine 8-bit come quello del NES, del Game Boy e forse anche del VRC6, chip sonoro montato all’interno della cartuccia di Castlevania III per Famicom.
Duole dire però che il gioco, momentaneamente (visto che nella title screen si legge “ver 1.1”), non è in italiano, e l’inglese inserito nel gioco è molto artistico e delicato e dunque, molte volte, le didascalie e i dialoghi non risultano direttamente fruibili a chi non abbia una buona conoscenza della lingua inglese; siamo a un livello molto classico, non arcaico ma comunque non vicino a quello moderno, adatto a chi abbia un background nella letteratura inglese classica (dal Frankenstein di Mary Shelley all’Heart of Darkness di Joseph Conrad, per intenderci). Comunque sia, gli elementi della trama, al di là della barriera linguistica, sono molto criptici e con buona probabilità, anche se c’è ben poco storytelling, questo titolo ci prepara semplicemente a ciò che sarà il futuro Bloodstained: Ritual of the Night; magari adesso la storia non ci è chiara ma con la release del gioco principale probabilmente tutto prenderà forma.

Castleplagio?

È inutile sottolineare ancora quanto siamo rimasti soddisfatti da Bloodstained: Curse of the Moon che con un prezzo di lancio di 9.99€ risulta quasi regalato; tuttavia c’è un problema non da poco. Col conteggio Word di questo articolo il termine “Castlevania” (prima di questo) appare ben 14 volte, mentre “Bloodstained” solamente 4: e questo pare sintomatico dell’anima poco originale del titolo. È vero che il progetto nasce principalmente per dare ai fan della famosa saga Konami ciò che per circa 8 anni non è stato ancora consegnato però forse Koji Igarashi sta semplicemente sviluppando un “Castlevania con un altro titolo”. Questo gioco ha senz’altro un forte carattere e una personalità ben definita, però ogni tanto sembra essere ai limiti dell’autoplagio, portando un carico di innovazione prossimo allo zero; da qui si nota forse troppo l’intento di questo titolo (e, si presagisce, anche del prossimo Bloodstained: Ritual of the Night) a soddisfare più un bisogno nostalgico piuttosto che quello di portare qualcosa di nuovo sul tavolo. A ogni modo, parliamo di un sideproject di un progetto più grande: ciò che è stato presentato qui si attesta comunque a livelli altissimi e la presentazione retrò generale può anche giustificare, in qualche modo, l’assenza di particolari innovazioni; dunque, amanti di Castlevania e non, lasciatevi consumare l’anima da questo fantastico gioco e date un sostanzioso assaggio a ciò che sarà il prossimo Bloodstained: Ritual of the Night. Curse of the Moon è un titolo solidissimo e Konami dovrà fare più di un Castlevania Grimoire of Souls per contrastare questo fenomeno imminente, che si rivela in conclusione davvero spettacolare!




Bulb Boy

Avete presente quei giochi da giocare quando siete soli a casa? Possibilmente di notte, con le luci spente e nel pieno silenzio? Bene, Bulb Boy, della compagnia polacca Bulbware, è esattamente quel tipo di gioco, un titolo in grado di spaventarti  con animazioni, un crescendo sul piano dell’intensità ed elementi ambientali così bizzarri tanto da farti rimanere basito, inorridito ma al contempo affascinato! In compagnia del solo testone luminoso di Bulb Boy ci siamo addentrati in questa particolarissima avventura grafica per Nintendo Switch: cosa c’è dietro a questo oscuro titolo dalle fattezze ludico-cartoonesche ma allo stesso tempo orripilante, oscuro e incredibilmente bello? Scopriamolo insieme, e dato che ci spaventa farlo da soli… teniamoci per mano!

Presenze inquietanti

Una sera Bulb Boy, tolta la dentiera al Nonno, accudito il cane volante (che c’è? Non ne avete mai visto uno?) e spento il televisore va a dormire; poco dopo essersi messo a letto, la sua casetta viene inglobata da una forza malefica, riempiendo la casa di mostri di ogni tipo; anche se parecchio impaurito, Bulb Boy si arma di coraggio e decide di andare alla ricerca del suo caro cagnolino e del generoso nonno all’interno della sua abitazione invasa dagli orribili mostri. Il gioco si pone come un punta e clicca, nel quale è possibile procedere una volta risolto un puzzle all’interno di una stanza nella quale ci si muove tridimensionalmente; le atmosfere generali ricordano anche titoli come Limbo, ma anche alcuni contesti che vedono certe situazioni da risolvere “in fretta” e con un po’ di abilità, oltre che il solo ingegno. La particolarità di Bulb Boy è che, a seconda dell’enigma da risolvere, può smontare la sua luminosa testa per farla semplicemente rotolare o attaccarla in altri corpi come pesci o ragni (non a caso si chiama “Bulb” boy: la sua testa è una sorta di lampadina da montare e smontare dappertutto); grazie a questo aspetto, il gioco offre la giusta (insolita) varietà, con enigmi da risolvere che risultano sempre molto vari e un gameplay che si rinnova, di conseguenza, molto spesso. A ogni modo, ci capiterà spesso, nelle sezioni flashback (che si avvieranno solitamente fra una stanza e l’altra), di controllare il cane e il lentissimo nonno ma queste sezioni durano molto meno rispetto alle parti ambientate nel presente: onestamente nulla di che ma riescono a dare al gioco qualche sfumatura di profondità in più. Il puzzle solving del titolo varia da semplici interazioni con oggetti a schermate ravvicinate in cui è possibile azionare determinati meccanismi con maggior precisione e dettaglio; in entrambe le situazioni avremo comunque modo di utilizzare degli oggetti che troveremo per casa e completare al meglio i puzzle che ci vengono posti. A tal proposito, che il compimento del puzzle risieda nell’attivare determinati elementi in un ordine preciso o in fretta, le soluzioni sono tanto orride quanto facili; per quanto bizzarro possa essere il risultato delle nostre azioni, la soluzione è spesso troppo ovvia e il fattore sfida generale del titolo è veramente basso e lascerà solamente una sensazione d’orrore e non tanto la soddisfazione di avere risolto un puzzle tosto (come in un punta e clicca della Lucasarts o in Chuchel).
Bulb Boy, tutto sommato, è programmato bene, anche se per un attimo abbiamo creduto di aver corrotto il nostro file di gioco: c’è stato un momento in cui, nella stanza col mostro a forma di pollo arrosto (che c’è? Esistono, e sono pericolosissimi!) il protagonista  non interagiva con gli elementi ambientali necessari per procedere nella stanza e perciò cadevamo sempre fra le grinfie del pennuto trapassato. Per risolvere il problema, abbiamo dovuto cancellare il salvataggio (che non cancella l’intero file ma ci riporta all’inizio di una stanza, cancellando dunque i soli progressi che attivano i checkpoint intermedi) ma il problema continuava a sussistere; a questo punto abbiamo semplicemente resettato l’applicazione e, finalmente, Bulb Boy è tornato ad interagire con gli elementi che componevano il puzzle di quella stanza e siamo così riusciti a procedere nella nostra avventura. Si tratta fortunatamente di un piccolo bug, risolvibile con molta facilità, nulla che guasti la nostra esperienza ma comunque abbastanza sgradevole; speriamo che arrivi prima o poi una patch per risolvere questa minuscola imperfezione.

Hai paura del buio?

Bulb Boy si presenta come una sorta di incubo cupo, verdastro e bizzarro ma con una nota cartoonesca che concede alla grafica un tratto distintivo molto forte e al gameplay una sorta di humor bizzarro (seppur molto spaventoso). Come il nome del protagonista ci suggerisce, la testa del nostro protagonista brilla di luce propria e ci permette di illuminare le buie stanze della sua casa; gli effetti di luce − accentuatissimi visto che si gioca quasi al buio − sono veramente sublimi e, in qualunque posizione ci troviamo o in relazione a come ci muoviamo, le ombre si sposteranno in base a come sono disposti gli oggetti nella stanza restituendo in tutto e per tutto la profondità dell’ambiente. Inoltre, è possibile scegliere la luminosità della testa del protagonista e perciò, a seconda di come la regolate, sarà possibile visualizzare più parti della stanza stando fermi; anche questa è un’aggiunta veramente interessante che potrà mettere alla prova il vostro coraggio (e la vostra vista).
Il character design, si mantiene sempre sul bizzarro, i mostri, che riescono a trasmetterci una sorta di paura, hanno sempre quella nota di “non pauroso” che, grazie alle atmosfere e i toni generali del gioco, riescono a inquietarci al punto giusto, un po’ come succede per la paura per i clown… no, tranquilli, qui non ce ne sono (ci mancavano solo i clown per farlo diventare L’uomo senza sonno)! Le animazioni, nonché le interazioni con gli oggetti dell’ambiente, sono sempre molto bizzarre: Bulb Boy non attiverà mai un interruttore con un dito o farà quello che pensiamo possa fare e perciò il gioco ci sorprenderà di continuo quanto ci inquieterà. Per questi motivi il fattore paura funziona e anche in maniera originale: fortunatamente non ci vengono proposti i soliti jumpscare ma il gioco ci inquieta con un suo senso persecuzione dalla quale nasconderci. Non ci troviamo mai senza un’idea su come risolvere un puzzle o sconfiggere un mostro all’interno di una stanza ma siamo sempre sotto costante paura e ansia, un’inquietudine da “paura del buio” che, bisogna ammettere, funziona molto bene. Inoltre, quando il nostro Bulb Boy viene ucciso, le animazioni sono orrende e spesso e volentieri il nostro volto si deformerà con una forte nota di inquietudine; provare per credere!
La colonna sonora di questo titolo si mantiene su un ambient molto dark e tetro, ideale per un gioco del genere; non ci saranno grossi temi memorabili ma giusto delle tetre melodie e accordi che accompagneranno il nostro protagonista attraverso le buie stanze della sua casa e i suoi brevi ricordi. Una particolare menzione va fatta ai terrificanti effetti sonori; i personaggi (quasi) umani non spiccicheranno una parola riconoscibile in nessuna lingua e i versi dei mostri sono veramente spaventosi, ben eseguiti e mai scontati. Un vero peccato, tuttavia, che pochi elementi del comparto sonoro sono davvero memorabili.

Sarà abbastanza luminoso?

Bulb Boy è un titolo più che ok: la sua bella giocabilità, che sorprende ad ogni interazione, e il suo particolarissimo art-style sono sicuramente buone ragioni per comprare, per i soli 7,99€ del prezzo di lancio, questo bel titolo sull’e-Shop di Nintendo Switch. Tuttavia, nonostante tutti questi bei fattori, l’esperienza è semplicemente troppo facile e troppo corta e perciò risulta difficile consigliare questo titolo sia ai neofiti del genere che ai veterani. Il gioco ha certamente i suoi punti di forza ma la sua giocabilità, seppur molto pulita, non offre né nulla di nuovo né nulla di interessante e il suo art-style, che è sicuramente bellissimo, potrebbe risultare trito e ritrito se messo a paragone con altri titoli dalle stesse tonalità come Little Nightmares e Limbo. Bulb Boy è sicuramente un titolo molto interessante e di certo non merita di passare in secondo piano, è solo che, in un certo senso, risulta difficile trovare un target per questo titolo. Consigliamo questo titolo agli amanti delle avventure grafiche? Agli appassionati dei videogiochi e film horror? I casual gamer? Gli hardcore gamer? Gli indie gamer? Per dirvi la verità non lo sappiamo, ma di una cosa siamo certi: il prezzo non è per nulla proibitivo, perciò mettetelo nella vostra wishlist e, qualora vi trovate qualche spicciolo in più o sarà in offerta, prendete in considerazione l’acquisto di questo titolo.