Shika Arcades: Sozu.S1

Creato dalla società britannica Shika Arcades, il Sozu.S1 è un arcade stick per il Super Nintendo. Realizzato in legno di bambù, non è solo un semplice controller, ma anche un’opera d’arte. Progettato con precisione e rifinito a mano, il Sozu.S1 è disponibile in due combinazioni di colori: duotone e natural. Ogni arcade stick è costruito interamente a mano, quindi nessun controller è uguale a un altro.

Specifiche tecniche

Nella parte superiore del controller sono presenti sei pulsanti azione e tre interruttori che consentono di modificare la disposizione dei pulsanti, con i pulsanti Start e Select e nell’angolo in basso a sinistra e uno simile a una moneta da 100 Yen. Sul lato inferiore del Sozu.S1 sono presenti quattro piedini in gomma, che conferiscono al controller una buona stabilità. Il cavo che collega il controller alla console è coperto da una treccia rossa super resistente.
I pulsanti di Sozu.S1 sono precisi e resistenti, ma ogni volta che vengono premuti, si percepisce un rumore molto fastidioso. È possibile attivare con il semplice tocco di un interruttore un sistema che consente di rimappare i controlli, utile se si desidera un layout dei pulsanti diverso per alcuni giochi.

Prezzo e compatibilità

Questo controller è disponibile a un costo di circa 450 euro. Considerando il prezzo si suppone che questo controller sia compatibile con il maggior numero di sistemi possibile ma,  in realtà, è compatibile solo con il Super Nintendo (o nella sua versione giapponese Super Famicom). A sua discolpa, la società ha dichiarato che il suo obiettivo era quello di creare il miglior controller possibile per SNES e che se fosse stato stato compatibile con altri sistemi, il suo costo sarebbe aumentato ulteriormente.




Come Nintendo potrebbe essersi sbarazzata della timeline ufficiale di Zelda

The Legend of Zelda è una delle saghe più amate della storia dei videogiochi, se non la più amata; la devozione dei fan verso questa serie è senza precedenti e questo amore è continuamente versato su ogni nuovo episodio, quasi sempre impeccabile. Tuttavia, tal volta i fan possono rivelarsi delle bestie feroci: per anni, sin dai primi Zelda apparsi su NES, SNES, Gameboy e Nintendo 64, hanno speculato che la saga seguisse una sua timeline e, dunque, che tutte le storie fossero collegate. Una volta Miyamoto, in un intervista per la rivista Nintendo Power nel Novembre 1998 (volume 144), non diede una risposta esaustiva quando i giornalisti gli chiesero la collocazione temporale di Ocarina of Time, che di lì a poco sarebbe uscito, rispetto agli altri giochi; la sua risposta gettò il fandom nella confusione più assoluta poiché egli disse che Link to the Past, che fu presentato come il prequel del primo titolo per NES, adesso si collocava dopo Zelda II: the Adventure of Link. Le connessioni fra alcuni giochi sono da sempre state poverissime e, a tutt’oggi, sono poche le prove che le trame dei singoli titoli siano il proseguimento (o i prequel) di alcuni precedenti; è vero anche che quando si sono presentate le prove di una continuazione di trama queste sono state molto evidenti (vedi l’intro di The Wind Waker o di Majora’s Mask) ma ogni volta che usciva un nuovo gioco i fan cominciavano da capo: e via con le speculazioni spesso assurde e poco credibili.
La pressione della timeline è esistita sin dal primo gioco e così Nintendo diede una volta per tutte la spiegazione definitiva: nel 2013 esce Hyrule Historia, una vera e propria enciclopedia cartacea della saga in cui, per la prima volta, viene stabilita una timeline ufficiale. Tuttavia in molti si accorsero che questa era “leggermente” imprecisa e la stessa Nintendo comunicò di prendere queste spiegazioni con le pinze; chiaramente la grande N gettò la spugna sull’argomento e le correzioni, argomentazioni e obiezioni sulla timeline ufficiale continuano a tutt’oggi.
Noi non siamo qui necessariamente per discutere se la linea temporale sia corretta o meno ma siamo qui per parlare invece di come Nintendo potrebbe aver messo finalmente un punto a tutti questi dibattiti con l’ultimissimo The Legend of Zelda: Breath of the Wild per Switch e far si che i fan vedano i giochi della saga come loro li hanno sempre visti (ve lo diremo alla fine). In questo articolo verranno svelati alcuni risvolti di trama, decisivi soprattutto per Ocarina of Time, perciò lanceremo uno spoiler alert; gli altri, relativi a Breath of the Wild e ad alcuni titoli della saga della famosa serie Nintendo, non rovineranno necessariamente la vostra esperienza con il resto dei titoli però vogliamo comunque avvisarvi dei possibili spoiler. Inoltre vi consigliamo di guardare bene l’immagine qui sotto: questa è la pagina della timeline ufficiale della saga contenuta in Hyrule Historia e tante delle sue diramazioni e titoli verranno citati più volte.

Timeline e multiverso

Innanzitutto, dando uno sguardo linea temporale di Hyrule Historia, ci accorgiamo che questa in realtà, non è una timeline! Bensì questa è più una spiegazione del multiverso della saga. Per quanto da Skyward Sword, che segna l’inizio della saga, ci sia una linea del tempo lineare, arrivati a Ocarina of Time questa si divide in tre universi: una con Link che torna nel passato, l’altra che prosegue le vicende della Hyrule della Zelda adulta che rimanda l’eroe indietro nel tempo e una terza intitolata “The hero is defeated”, che diventa realtà se Link viene sconfitto. Al di là del fatto che pensiamo che quest’ultima possa avviarsi da qualunque punto della saga (sia dalla fase lineare che divisa) questa però è la prova del che esistono tre universi distinti e separati che poi proseguono, ognuno, per una propria linea temporale.
Questo è un concetto proprio della fisica quantistica, preso e ripreso più volte sia da scienziati che scrittori, e si basa su un concetto non semplicissimo (trattato già in Bioshock e Dark Souls). Proveremo a spiegarlo in poche parole: ogni evento o scelta nel nostro universo crea un universo alternativo in cui la possibilità scartata prende luogo. Vi facciamo un esempio: nel nostro universo Hitler è stato sconfitto e ha perso la Seconda Guerra Mondiale ma, secondo questo principio, ne esiste un altro in cui il dittatore tedesco abbia sconfitto le potenze mondiali e tutti, in questo universo, girano con capigliature e baffi orrendi. Stamattina eravate indecisi se bere del latte, del caffè, del tè o mischiare latte e caffè o latte e tè ma alla fine vi siete decisi nel mangiare uno snack ipercalorico al volo perché eravate in ritardo per la scuola o per il lavoro? Congratulazioni! Avete creato ben 5 universi paralleli in cui voi compiete le scelte scartate. E che dire di quelle in cui potevate mangiare lo snack e una di quelle 5 di quelle possibili bevande? È una di quelle situazioni in cui Mario direbbe: «mamma mia»!
A ogni modo, il concetto del multiverso può applicarsi perfettamente nel mondo dei videogiochi: di potrebbe spiegare, per esempio, come mai Cammy e Mega Man condividano gli stessi obiettivi in Cannon Spike per Sega Dreamcast o come mai Kratos, che ha solitamente un temperamento rovente, riesca a rientrare nei par in Everybody’s Golf 5, uno sport in cui la pazienza, la calma e la concentrazione non sono certo il suo forte. Dunque in Ocarina of Time avvengono 3 eventi fondamentali che creano 3 universi diversi che coesistono allo stesso tempo in cui però sussistono eventi e fatti diversi; ricordiamo che alla fine di questo titolo, Link, tornando nel passato, fa arrestare Ganondorf e così, le imprese compiute da Link adulto, non avverranno mai, non nel suo universo. Tuttavia, nonostante questa premessa, esistono certe cose che potrebbero non essere mai spiegate nella saga di Zelda (come le apparizioni dei Moblins, che sono dei tirapiedi forgiati da Ganon, in The Legend of Zelda: the Minish Cap, gioco in cui il temuto antagonista è assente) e dunque rimarranno per sempre senza una vera spiegazione.

Dove si colloca Breath of the Wild?

Eiji Aonuma in un intervista con Game Informer, parlando della collocazione di The Legend of Zelda: Breath of the Wild nella timeline rispetto a Ocarina of Time, ha apertamente risposto: “after”. Questo è un indizio fondamentale ma bisogna fare un po’ di analisi per capire meglio in quale linea temporale questa nuova avventura è collocata.
La geografia della nuova Hyrule ha una certa somiglianza con quella di A Link to the Pastessa presenta un monte (con un vulcano) a nord est, un deserto a sud ovest e il lago Hylia verso il sud, nonché la presenza del “Colle Occhiali” (Spectacle Rock in inglese) che appare solamente in questo titolo e nel primo per Nes, giochi della linea temporale “The hero is defeated”, universo generato dalla sconfitta di Link. Sempre collegato al suo fallimento, Ganon, secondo Hyrule Historia, rinuncia per sempre alla sua forma umana diventando per sempre il mostro che abbiamo conosciuto nei primi tre giochi accumulando, volta dopo volta, sempre più potere fino a diventare la Calamità Ganon,  forma della sua malignità più pura; non solo Ganondorf, la sua menzionata forma umana, non appare in nessun titolo della timeline ma a supporto di questa tesi Urbosa, dopo che avremo “esorcizzato” il titano Vah Naboris, cita il fatto che le origini di Ganon sono legate in qualche modo ai Gerudo, una comunità composta da sole donne, e la cui nascita comportò per loro un grande disordine e segno di sventura.
Altro elemento fondamentale è la presenza dei Lynel, i terribili centauri dalla forza sovraumana; dopo un’attenta analisi è possibile accertare che questi particolari mostri non appaiono in nessun’altra timeline e sono dunque esclusiva di questa. Tuttavia, le prove schiaccianti a sostegno dell’appartenenza di Breath of the Wild a questo particolare universo narrativo risiedono negli abiti tradizionali di Link (quelli verdi), ottenibili solo dopo aver completato le prove di tutti i 120 santuari. Il cappello e la veste, in particolare, presentano rispettivamente le seguenti caratteristiche: una banda gialla nel primo e una maglia marrone sotto la seconda. È incredibile notare non solo che gli abiti de “i Link” delle altre linee temporali non hanno queste caratteristiche ma anche che quelli della timeline “The hero is defeated” presentano tutti questi particolari nel cappello e nella maglia. È diventata dunque teoria solida fra i fan che Breath of the Wild appartenga a questo specifico universo e queste prove, insieme ai suoi assetti generali come la Hyrule distrutta, siano la prova schiacciante della sua collocazione.

(The Legend of Zelda: A Link betweenWorlds, sequel diretto di A Link to the Past, appartiene a questa specifica timeline; notate bene cappello e veste)

«Obiezione!»

Tuttavia, le discussioni sulla timeline ufficiale non sarebbero complete senza delle incongruenze tali da contraddire tutto quello di cui abbiamo discusso finora, facendo imbestialire i fan più accaniti, al punto da distruggere il proprio PC o buttare dalla finestra il proprio smartphone (non fatelo, altrimenti non potreste seguire questo fantastico sito). Esistono prove a supporto invece, all’appartenenza di questo titolo nelle altre due linee temporali, e dunque negli universi creati dopo il successo di Link in Ocarina of Time.
La primissima prova si trova nel salgemma, ottenibile frantumando le rocce che contengono i minerali; la sua descrizione recita: «sale cristallizzato del mare ancestrale». Il fatto che possa essere il deserto di Ranel o Lanayru di Skyward Sword, che era anticamente un oceano, è in realtà un ipotesi da escludere in quanto questo circoscriveva una zona ben precisa nella mappa del titolo per Wii; il salgemma, per altro, si trova in moltissime zone della Hyrule di Breath of the Wild perciò l’unica ipotesi valida è che il “Mare Ancestrale” (o “Grande Mare” in inglese) citato nella sua descrizione è quello di The Wind Waker, che sommerse l’intera landa per contrastare il risorto Ganon in assenza del, così chiamato, eroe del tempo. La prova che il nuovo titolo della saga possa essere collocato nella timeline della Hyrule precedentemente sommersa è anche sostenuta dalla presenza dei Korok e dei Rito, entrambe razze presenti nel fantastico titolo per Gamecube; i primi, così come spiegato Aonuma nella pubblicazione giapponese “Zelda Box: The Wind Waker Fanbook”, discendono direttamente dai Kokiri, la razza delle foreste della Hyrule del leggendario titolo del Nintendo 64 mentre i secondi, sempre secondo il direttore della saga, sono un’evoluzione della specie Zora. Questa affermazione, nonostante sia citata proprio dalla mente della maggior parte dei titoli della saga, risulta un po’ strana in quanto è improbabile che questi, in una Hyrule sommersa dal loro elemento naturale, abbiano avuto l’esigenza di uscire dall’acqua ed evolversi in creature alate; certi fan sono concordi con Aonuma ma noi pensiamo che ci sia qualche imprecisione, altrimenti non si potrebbe spiegare la coesistenza degli Zora e dei Rito in Breath of the Wild. Chissà, magari alcuni di loro sono usciti dall’acqua, durante la grande alluvione, per poi evolversi nelle creature alate mentre altri sono rimasti nascosti in acqua, saltando così la loro apparizione in The Wind Waker. Probabilmente non avremo mai una risposta definitiva. A ogni modo è bene ricordare che i Rito appaiono in tutti gli universi paralleli: nella “Thehero is defeated” vi è la presenza dei Fokka, i guerrieri alati che difendono il Great Palace, l’ultimo dungeon di Zelda II: the Adventure of Link; nei titoli della timeline di Link che torna dal futuro non c’è la loro effettiva presenza ma almeno abbiamo la prova della loro esistenza: in Twilight Princess, nei pressi del castello di Hyrule, c’è un incisione in un muro che mostra Link bambino incontrarsi con le razze principali del regno e i Rito sono presenti insieme ai Goron, Zora e gli umani.
E ora, avendo citato questo bellissimo titolo, vorremo citare anche le parole di Zelda (in inglese) nella cutscene “La finta cerimonia” in Breath of the Wild:

«[…] whether skyward bound, adrift in time or steeped in the glowing ember of of twilight […]»

Il dialogo, essendo collocato dopo Ocarina of Time, rimanda al tempo – il titolo citato poc’anzi – al cielo, rievocando le vicende in Skyward Sword, e al crepuscolo, che si collega direttamente agli avvenimenti in Twilight Princess, gioco invece, della linea temporale in cui Link torna dal futuro dopo aver sconfitto Ganon; trovandoci nell’universo in cui Link è stato sconfitto o in quello in cui il Grande Mare ha sommerso Hyrule per diverso tempo è impossibile che gli eventi di questo oscuro titolo possano essere avvenuti, semplicemente perché questi eventi sono propri di un altro universo. E ancora, rimanendo in questo tema “crepuscolare”, l’architettura del castello dell’ultimo titolo della saga è veramente molto simile a quello del gioco in questione. Stando a Hyrule Historia sembra ci sia un vero paradosso temporale e perciò pare che il tutto abbia poco senso. Ma qual è la vera risposta?

Il nostro responso

Anche se l’ipotesi più gettonata è quella dell’appartenenza alla timeline “The hero is defeated” noi vogliamo comunque arrivare alla nostra personalissima conclusione: The Legend of Zelda: Breath of The Wild potrebbe prendere luogo in ogni timeline oppure, più credibilmente (e preferibilmente), Nintendo ha voluto convergere definitivamente tutti questi universi paralleli senza dover pensare troppo al come, sbarazzandosi una volta e per tutte della loro stessa debole spiegazione. Per anni i fan hanno voluto una chiosa alla timeline della saga ma la vera risposta è che forse non c’è mai stata; in molti giochi si parla spesso delle origini di Hyrule, di come Link si renda conto del suo ruolo nel mondo, della Triforza e pochissimo invece dei collegamenti, sempre se ci sono, con titoli precedenti; noi crediamo che tutto ciò avviene probabilmente non solo per avvicinare sempre più nuovi giocatori ma anche per dare una spiegazione alle sempre diverse meccaniche di ogni gioco della saga.
Il punto forte di questa specifica serie non è solamente il suo eccelso gameplay o la sua intrigante storia ma la sua accessibilità e il fatto di poter cominciare a vivere le vicende di Hyrule da qualunque titolo; ogni gioco è una leggenda diversa e in ognuno di essi c’è un diverso Link, discendente, molto probabilmente, da uno precedente. Questa saga non è come la trilogia delSignore degli Anelli o qualcos’altro di super espanso come Star Wars oStar Trek; The Legend of Zelda è in realtà un qualcosa di molto semplice: tutto nasce dalla passione di Miyamoto nell’esplorare i boschi vicino la sua casa dell’infanzia, l’immaginario di un bambino che prende vita. Per ogni giocatore è dunque possibile prendere un qualsiasi titolo, per qualsiasi console, e trarre una conclusione; con questo non vogliamo dire che gli episodi della saga siano autoconclusivi ma probabilmente meno complessi di quel che sembrano.
È fatto risaputo che gli sviluppatori, per la creazione di un nuovo titolo di questa specifica saga, pensano prima alla meccanica portante del gioco e poi a una trama che possa girarci attorno, mai il contrario e mai lo sarà; Aonuma e Miyamoto non vorranno mai che i giocatori, dai più appassionati ai più novizi, debbano giocare a un titolo precedente per far sì che capiscano la trama e le meccaniche di un nuovo titolo di The Legend of Zelda ed è per questo che, probabilmente, la saga non ha mai avuto una timeline solida. In fondo tutto questo non è nulla di nuovo: Nintendo, prima che i fan possano dire qualsiasi cosa sulla grafica o sulla trama di un titolo, vuole che l’esperienza sia divertente e unica, una di quelle che non potrà mai essere fruita in un’altra console concorrente ed è anche per questo che questa fantastica saga, e specialmente quest’ultimo Breath of the Wild, è davvero unica.
A partire da questo ultimo titolo ci possiamo chiedere: avremo da adesso una timeline più lineare o verrà scartata del tutto? Avremo nuovi prequel, sequel o universi paralleli dopo tutto questo? Ma la domanda fondamentale è: dove si collocano Zelda: The Wand of Gamelon e Link: The Faces of Evil per Philips CDI?

(Tranquilli, l’articolo è finito, anche se… Hey! C’è una banda gialla! Appartengono alla timeline “-The hero is defeated”, caso chiuso!)




Fe

Il 16 febbraio 2018, Fe vede finalmente la luce e viene pubblicato per tutte le console di ultima generazione e anche su PC sulla piattaforma di EA, Origin; il team idie che ha creato Fe è Zoink, sviluppatori di giochi come PlayStation All-Stars Island e Zombie Vikings, ma con questo titolo hanno deciso di cambiare stile, infatti, paragonato a quelli precedentemente sviluppati è unico nel suo genere.
Fe è un action-adventure con meccanismi da platform 3D, caratterizzato da un’affascinante stile grafico e sonoro e una scelta narrativa singolare: durante l’inizio della nostra avventura ignoreremo gli sviluppi del gameplay, così, giocando a Fe sentiremo che non si tratta di un semplice giochino da terminare in poco più di 5 ore per poi dimenticarlo; è uno di quei titoli che si vorrebbero rigiocare più e più volte, ma che però, alla lunga, risulterebbe ripetitivo e sicuramente non susciterebbe quella sensazione di piacere e di confusione che il titolo offre, soprattutto durante la prima run.

Fe è un titolo intriso di emozioni e colori, capace di avvolgere il giocatore in una narrazione quieta e silente, che gli terrà compagnia nelle ore passate in una cupa foresta, fra esseri di ogni sorta e da suoni e melodie che rendono l’atmosfera ancora più magica. La storia non è propriamente “raccontata”, non esiste una voce narrante o del testo scritto che spiega ciò che sta accadendo. Dipanare la trama mutando un narratore terzo è stata, ovviamente, una scelta voluta dal team di sviluppo, che però non chiarisce moltissimi aspetti della storia, lasciando il giocatore con parecchi punti interrogativi, soprattutto alla fine del gioco.
Fe vede come protagonista un piccolo esserino che dopo un brusco atterraggio, da quelle che sembrano delle comete, si ritrova spaesato e intontito in una foresta sconosciuta, in cui gli unici abitanti sono degli animali. La particolare meccanica che rende unico il gioco è il modo in cui essi comunicano: come quelli reali, tutti posseggono un verso, che utilizzano per comunicare tra loro, ma il nostro protagonista, non li conoscerà tutti e dovrà impararli man mano che si va avanti con la storia.
Il nostro scopo sarà quello di liberare l’intera foresta dagli esseri malvagi che imprigionano gli esseri viventi in celle create da un raggio emesso dal loro unico occhio. Salvare la flora e la fauna della foresta sarà possibile solo con l’aiuto degli abitanti del bosco, che ci insegneranno i loro versi (in tutto 6). Sbloccarli tutti non è affatto difficile, anzi risulta forse fin troppo semplice: si dovrà soltanto andare avanti con la storia, non si dovranno risolvere indovinelli, puzzle o raccogliere item, basterà solamente finire la storia per poter sbloccare tutte e 6 le melodie, una scelta che ha dimezzato le ore di gioco, rendendo l’acquisizione di questi versi un po’ troppo meccanica.

Anche il gameplay è piuttosto semplificato: non si avranno grandi problemi a imparare e scoprire tutti i comandi, visto che durante il gioco i tutorial o le indicazioni su che tasto premere o su quello che dovremmo fare, saranno ben pochi.
I comandi sono pochi e intuitivi: si salta, si cambia direzione, si afferrano e si lanciano gli oggetti, ma quel che più sorprende è stato il feedback del Dualshock 4: molto più preciso e sensibile di mouse e tastiera, soprattutto per quanto riguarda i salti da un albero all’altro, davvero difficili e frustranti in certi casi, se si utilizza mouse e tastiera.
Il piccolo protagonista non potrà affrontare i nemici faccia a faccia, se dovessimo colpirli con qualche oggetto o se dovessimo fare rumore questi ci scoprirebbero e ci catturerebbero; per riuscire a scappare da queste strane creature potremo nasconderci in alcuni cespugli che si trovano all’interno della mappa. Ovviamente l’IA non è molto sviluppata, perché una volta imboscati, il nemico  smetterà di darci la caccia e tornerà alla sua posizione iniziale nonostante sia a un passo da noi: ma è un peccato veniale, per un gioco del genere è quasi normale, visto che lo scopo principale è quello di interessare e in un certo modo rilassare il giocatore.
Durante il nostro girovagare per la mappa di gioco troveremo delle strane casse contenenti una sfera trasparente che, se indossata, ci fornirà la possibilità di entrare nel corpo dei nemici per breve tempo e controllare cosa stanno facendo in quello che pare essere un mondo parallelo.
Oltre a queste casse, in giro per la mappa si troveranno diversi cristalli, questi serviranno a ottenere delle abilità dopo che ne avremo raccolti a sufficienza, purtroppo la raccolta di questi cristalli, e quindi l’incremento delle ore di gioco, è troncato dalla storia.
Gli “enigmi” che andremo a risolvere per andare avanti con la storia saranno davvero facili, niente di impegnativo o che causi molti Game Over.
La particolarità del gameplay di Fe è l’uso delle melodie che impareremo aiutando gli altri animali. Come detto prima, in tutto sono 6 e si potranno sbloccare solamente proseguendo con la storia. Questi canti, se riprodotti vicino a piante o animali, potranno avere diversi effetti, per esempio alcuni fiori, se colpiti dalle onde sonore del giusto verso, sbocceranno e ci permetteranno di spiccare grandi salti, rilasceranno alcune bacche e molto altro ancora.

Come si evince, il comparto sonoro è il pilastro fondamentale di Fe, e un gioco che basa tutte le sue meccaniche sui suoni e sulle melodie non può non avere una buona soundtrack. La colonna sonora di Fe è veramente rilassante, non mette alcuna sensazione di ansia o timore che potrebbe indurre la cupa foresta ed è in linea con tutte le ambientazioni della mappa di gioco. L’intera avventura del mostriciattolo verrà allietata da una dolce melodia di violino, che diventerà un po’ più acuta durante l’incontro con i nostri antagonisti e soprattutto nelle parte finale del gioco, in cui la tensione è tangibile e la musica aiuta a mantenere quest’atmosfera.
Ma anche dal lato grafico, Fe è davvero strabiliante, ricordando platform come Unravel, da un lato, e Ori and The Blind Forest. I colori accesi, le texture poligonali e l’impostazione della mappa ricreano un ambiente vivo, maallo stesso tempo pericoloso per via dei nemici presenti nella foresta. I colori freddi si amalgamano alla perfezione con i colori caldi presenti negli ambienti e anche lo stesso Fe cambia i propri pigmenti, passando da una melodia all’altra si può notare che alcune delle parti del corpo del tenero protagonista cambiano il colore del loro manto.
Fe è sicuramente un ottimo titolo, con una buona trama, ben strutturata, ma abbastanza banale, un gameplay molto semplice e basilare, adatto a tutti i tipi di giocatori; molto si gioca sul comparto grafico e su quello sonoro, con una palette di colori molto accesi, texture spigolose” davvero ben fatte, e un sonoro che ci culla durante la nostra ardua missione. A Fe resta. però, il difetto di presentare alcuni aspetti poco sviluppati che risultano a lungo andare ripetitivi e noiosi, dalla storia, agli ambienti alla stessa longevità: la storia, come già detto, non presenta particolari elementi degni di nota, con un incipit anche poco originale, riesce a stento a coinvolgere, mentre gli ambienti, in alcune circostanze, risultano triti e ripetuti, presentano quasi la stessa struttura e vegetazione.
Dulcis in fundo: la longevità. La brevità non è un difetto tout court in un videogame, la durata deve essere funzionale agli altri aspetti del gioco, ma in Fe l’unica cosa che ci potrebbe spingere a proseguire con il gioco, dopo averlo completato, è il voler scoprire tutte le abilità del protagonista, rivisitando nuovamente tutta la mappa e raccogliendo tutti i cristalli, che però non serviranno più a nulla, soprattutto per colpa della storia che dimezza la durata effettiva del titolo.




Bayonetta 1-2

Bayonetta è un hack’n slash uscito nel 2009, sviluppato da Platinum Games, prodotto da Sega e diretto da Hideki Kamiya, celebre per aver diretto il primo episodio di Devil May Cry, del quale Bayonetta rappresenta un’evoluzione, come ha detto lo stesso dello stesso Kamiya.
Il gioco fu inizialmente sviluppato per Xbox 360, per essere poi portato da un altro team su PS3 (con risultati disastrosi al lancio), e ottenne un ottimo riscontro di critica ricevendo molti perfect score, entrando di diritto nell’hall of fame degli hack’n slash.
Tuttavia le vendite, seppur buone, non furono entusiasmanti, e Sega si mostrò titubante all’idea di produrne un seguito, il quale arrivò – come Kamiya ha recentemente raccontato dal proprio profilo Twitter – soltanto nel 2014 grazie ai finanzimenti di Nintendo in esclusiva per Wii U; anche il seguito ottenne voti altissimi, ma le vendite furono addirittura inferiori rispetto al prequel, probabilmente anche a causa dello scarso successo commerciale di Wii U.
Nintendo comunque non sembra volere rinunciare a Bayonetta, e al Game Awards 2017 ha annunciato l’uscita di un terzo capitolo per la console ibrida Switch, e nella stessa serata ha anche annunciato l’uscita dei 2 capitoli precedenti in versione rimasterizzata sempre per Switch, ed è di questi che ci occuperemo in questa recensione.

Le streghe di Umbra e i Saggi di Lumen

La nostra protagonista, Bayonetta, è l’ultima discendente delle streghe di Umbra, un clan con membri di sesso prevalentemente femminile che praticano arti oscure, invocano demoni dall’Inferno, e che sono estremamente abili con le armi.
Dopo una lunga guerra contro i saggi di Lumen (i quali invece padroneggiano i poteri della Luce e sono capaci di invocare creature celesti), quasi tutti decimati dalle streghe, esse sono state prese di mira e quasi del tutto eliminate da una caccia contro la stregoneria.
Bayonetta si sveglia dopo un lungo sonno dentro una bara, e sembra aver perso la memoria: ricorda soltanto di essere una strega di Umbra e, nell’intento di ritrovare i propri ricordi, dovrà affrontare orde di creature angeliche.
Lo screenplay non è certamente il punto forte di questa serie, ed è infatti l’unico aspetto in cui è stata penalizzata dai critici al lancio; inoltre, spesso la trama viene raccontata durante i combattimenti (sono presenti i sottotitoli in italiano con parlato in inglese) e leggere i sottotitoli risulta quasi impossibile, visto il caos che si viene a creare su schermo.

Doppia Apoteosi

Entrambi i giochi fanno una gran bella figura in modalità portatile, che gira a una risoluzione di 720p e 60 fps quasi sempre costanti, mentre nella modalità docked, nonostante la risoluzione risulti invariata, si nota un effetto costante di aliasing, specialmente nelle cut scene, le quali sono realizzate utilizzando dei fermi immagine in cui si notano non solo una bassa risoluzione, ma anche una bassa qualità di certe texture, sapientemente camuffate durante il gioco a causa dei cambi repentini di inquadratura e della velocità dell’azione durante i combattimenti.
Ciò nonostante, entrambi i giochi risultano uno spettacolo visivo, che non sfigura rispetto ai titoli usciti di recente sull’ibrida targata Nintendo, e mostrano miglioramenti rispetto alle versioni uscite sulle console di precedente generazione, compresa Wii U.
Per quanto riguarda il comparto audio, i due giochi spiccano per originalità, si passa da brani classici come Fly Me to the Moon (di evangelioniana memoria, e riarrangiata per l’occasione) a brani di vecchi coin-op Sega (utilizzati spesso durante i minigame), fino a brani originali che ben si sposano con l’azione di gioco; Bayonetta si esibisce inoltre in balletti in stile idol giapponese quando esegue delle mosse speciali, danzando perfettamente a ritmo.
Gli effetti sonori non sono da meno: spari, esplosioni, fragori di spade e martelli, urla dei nemici, e battute ciniche della protagonista, vengono a creare quel caos che dona al titolo un carattere unico e distintivo.

Gameplay

Hideki Kamiya sa il fatto suo riguardo gli hack’n slash e Bayonetta e il suo seguito portano il genere a vette a tutt’oggi non eguagliate.
La nostra eroina può contare su due tipi di attacchi principali, che rappresentano i pugni e i calci, o le armi assegnate ai suoi arti (si possono assegnare anche armi alle gambe), un tasto adibito agli attacchi a distanza (in genere attacchi con le pistole), uno per il salto e uno per la schivata.
Premendo il tasto per la schivata appena prima di ricevere un attacco, si entrerà nella modalità “Sabbat Temporale“, nella quale il tempo verrà rallentato, permettendoci di infierire sui nemici con combo devastanti.
Quando si sarà accumulato abbastanza potere magico (che aumenta in base alle combo durante i combattimenti) potranno essere eseguite delle mosse speciali che “puniranno” in maniena spettacolare i nemici.
In Bayonetta 2 il gameplay risulta quasi invariato rispetto al primo episodio, con l’eccezione di alcune modifiche alle schivate e alle mosse attivabili utilizzando il potere magico.
Sono presenti tante armi che vengono sbloccate tramite oggetti collezionabili a forma di dischi a 33 giri, nascosti nei più disparati luoghi, ogni arma ha il proprio moveset e si possono creare combinazioni uniche assegnandole sia alle braccia che alle gambe.
Possiamo aumentare le caratteristiche del nostro personaggio sia tramite oggetti consumabili che possono essere trovati nel gioco oppure acquistati, i quali danno dei bonus temporanei al danno o alla salute, o ripristinano l’energia vitale o magica.
Inoltre, è possibile aumentare permanentemente sia la salute che la magia tramite degli oggetti che possono essere acquistati oppure ricevuti in premio per aver superato delle prove situate in zone segrete nella mappa di gioco.

Conclusioni

Bayonetta sbarca su Switch con questo doppio remaster, e piazza un altro importante tassello alla collezione di capolavori presenti sulla console Nintendo, entrambi i giochi sono il non plus ultra per quanto riguarda il genere hack’n slash, e vederli in azione specialmente in modalità portatile è uno spettacolo.
Non possiamo fare altro che consigliarli senza riserve a tutti i possessori di Switch, che potranno godere di tantissime ore di divertimento grazie alla sensuale strega di Platinum Games.




La storia del più grande Kickstarter del sud-est asiatico

Se siete a Kuala Lumpur e state cercando sviluppatori indipendenti, potreste andare al fiorente centro tecnologico di Bangsar South.

Grazie a un accordo con UOA Holdings, agenzia che si occupa dello sviluppo immobiliare, la Malesia Digital Economy Corporation (MDEC) ha compiuto un grande passo verso il suo obiettivo, cioè quello di trasformare rapidamente, Bangsar South (zona di Kuala Lumpur) nel principale centro del paese per lo sviluppo di giochi di ogni tipo; ospiterà da grandi aziende come Streamline Studios, ai tanti team piccoli e creativi che operano da Komune.
Forse, il più interessante tra tutti questi sviluppatori è Magnus Games, che è riuscito a  raggiungere una fama senza precedenti per uno sviluppatore del sud-est asiatico delle sue dimensioni. Lo studio è stato fondato nel 2015 dai due fratelli malesi, DC Gan e Welson Gan. I loro primi sforzi di sviluppo erano tutti rivolti a un’area del mercato che i tutte le software house emergenti preferiscono scegliere come target: giochi mobile gratuiti. Questo portò i due fratelli in una zona inesplorata, visto che non sapevano “creare” un gioco circondato dalle monetizzazioni, infatti, come ha affermato DC «quando compro un hamburger mi aspetto di ricevere un hamburger».
Quindi, i due fratelli si trovarono rapidamente al di fuori della loro zona di comfort, cercando di programmare titoli che raramente giocavano. Infatti, lo stesso, definisce il loro lavoro di quel periodo come un fallimento.
Magnus Games è sempre stata alla ricerca di free-to-play capaci di fornirgli una reputazione e, di conseguenza, fargli ottenere qualche finanziamento per ciò che DC chiama “il nostro gioco dei sogni”. Tuttavia, vicini al fallimento, i fratelli si riunirono e decisero di puntare il tutto per tutto.
Essi passarono dal free-to-play al premium, dai dispositivi mobile al PC e alle console, il tutto reso possibile da una piccola quantità di investimenti privati ​​e denaro preso in prestito da amici e familiari. Grazie ai loro innumerevoli sforzi riuscirono a realizzare il loro sogno sviluppando Re: Legend, l’ibrido simulatore di giochi di ruolo. Il titolo è stato approvato da Square Enix nel 2016.

In Re:Legend, i fratelli hanno cercato di combinare le varie esperienze fornitegli dalle ore di gioco di titoli che hanno fatto la storia.
Ma cos’ha portato la Magnus Games tra le braccia di Square Enix? Quando la società si è rivolta a Kickstarter, era sicura di avere un prodotto che fosse in grado di suscitare entusiasmo in diversi tipi di giocatori e quindi, di attrarre il tipo di pubblico che avrebbe investito in un gioco che potrebbe essere vicino al rilascio.
La campagna “Re: Legend Kickstarter” è iniziata alla fine di luglio 2017, con un obiettivo di finanziamento di circa $53.000 ma dopo 30 giorniera già a quota 480.000, garantendo al gioco versioni per Xbox One, PlayStation 4 e Nintendo Switch,  assicurandogli un doppiaggio completo nei dialoghi. La loro non era solo la più grande campagna Kickstarter di uno sviluppatore di giochi in Malesia; infatti è stato, inoltre, il più grande Kickstarter nella storia del sud-est asiatico.
Durante questi 30 giorni, DC ha affermato che lui e suo fratello lasciarono a malapena la loro casa. Infatti, trascorrevano le giornate gestendo tutto,  dalla copertura della stampa, al contatto con gli streamer, inviando centinaia di e-mail e rispondendo direttamente a ogni singolo commento lasciato dalla comunità Kickstarter.
Il denaro che Magnus Games ha racimolato, quando la campagna è finita nell’Agosto del 2017, è stato abbastanza da permettergli di creare la versione di Re: Legend che i fratelli avevano immaginato. In pochissimo tempo, il loro titolo cominciò a essere confrontato con i titoli AAA. Il che costringe la società a mantenere il livello di aspettativa che tutti i loro fan si aspettano da questo titolo.
In Malesia, raccogliere fondi per una start-up di giochi non è un’impresa da poco: L’industria locale è ancora troppo giovane ed è per questo che il governo è intervenuto per aiutare le società, con il sostegno e le sovvenzioni con organizzazioni come MDEC. Tre anni fa, Magnus Games ha deciso di abbandonare il settore mobile e free to play per inseguire il suo sogno, ma così facendo, si è trovata davanti a qualcosa di più grande di quanto potesse immaginare. Per la giovane start-up, la nuova sfida è soddisfare il suo pubblico senza rovinare tutto quello che è stato costruito con il loro duro lavoro.




Scribblenauts Showdown

Dopo la disastrosa cancellazione di Scribblenauts: Fighting Worlds, 5th Cells ci ritenta con Scribblenauts Showdown. Rilasciato su Nintendo Switch, Ps4 e Xbox One il 9 Marzo del 2018, nuovo capitolo di una saga di gran successo tra i giocatori del Nintendo DS, si tratta di un puzzle game con l’aggiunta della componente da party game. Ma l’aver trasformato la saga in un party game è stata una buona idea?
L’originalità del titolo stava proprio nel poter risolvere i vari indovinelli del gioco con soluzioni fuori dal comune, vista la possibilità d’invocare qualsiasi oggetto in nostro soccorso, e questo elemento viene a mancare, ma vedremo meglio più avanti.
Partiamo dal menù iniziale, che ci riserva un’ottima accoglienza con una bella varietà di colori. All’interno della schermata ci ritroveremo a dover scegliere tra tre modalitàdue basate su minigiochi e l’ultima la tipica modalità sandbox.
La prima modalità si chiama Versus, è giocabile da massimo due giocatori, può essere eseguita contro un amico o contro l’intelligenza artificiale. Sarà possibile scegliere se la sfida debba essere basata sulle “parole” o sulla “velocità” o su tutte e due. Se si scelgono le parole come criterio, si dovrà competere utilizzando quello che viene scritto. Per esempio, nella sfida di cucina, il gioco chiede di scegliere che cosa dovranno mangiare i due contendenti. Alcune parole portano evidenti vantaggi, in relazione alla grandezza e lunghezza di quello che si scrive. Le sfide proposte in questa modalità sono godibili e rapide. Versus è ottima in una tipica serata tra amici, anche se la quantità di mini giochi offerta non è così ampia e alla lunga può diventare abbastanza ripetitivo.

La seconda modalità di gioco proposta è probabilmente la migliore sul piano competitivo: si tratta del Gioco dell’Oca con le carte al posto dei dadi. Ad ogni turno il giocatore dovrà pescare una carta e, di conseguenza, dovrà toglierne una dalla propria mano di gioco. L’obiettivo finale è quello d’arrivare alla fine prima degli altri giocatori. Esistono diverse tipologie di carte: alcune carte ci faranno avanzare, altre fanno retrocedere gli avversari e altre potrebbero ribaltare completamente la situazione. Tuttavia, per attivare la carta, dovremmo vincere il minigioco proposto, anche perché in caso di sconfitta il bonus sarà utilizzato dalla nostra controparte. Questa è la modalità che sta alla base di questo titolo. Gli sviluppatori sembrano aver puntato il tutto per tutto su questa modalità ma, pur essendo questa molto elaborata, risulta manchevole in qualche aspetto: non rende infatti granché se giocata singolarmente, e l’aggiunta di una modalità multi giocatore online era d’obbligo.

Starite?STARITE?? Ebbene sì, eccoci arrivati alla terza e ultima modalità, chiamata sandbox. Pensavate che il team di 5th Cells avesse dimenticato la modalità principale dei predecessori della serie Scribblenauts? Sandbox è strutturata in una serie di livelli dove dovrete “esaudire” i desideri di chi li esprimerà. Tutti i desideri saranno posti in maniera enigmatica, ed è qui che entra la componente da puzzle game, e il giocatore sarà chiamato a risolvere gli enigmi in qualsiasi modo voglia. L’obiettivo principale sarà quindi quello di ottenere tutte le starite, stelle luminose usate come “merce” di scambio. All’interno di questo capitolo ci sono ben 8 livelli. Gli enigmi non sono molto difficili, e in vostro soccorso potrete usufruire di suggerimenti “a pagamento”. Se ogni desiderio espresso correttamente vi garantirà 10 starite, ogni suggerimento richiesto ve ne sottrarrà 5. Un’ottima aggiunta è data dalla possibilità di assegnare degli aggettivi a qualsiasi cosa animata, così da rendere un minotauro “docile” o “aggressivo”. Inoltre, sarà possibile scambiare le starite raccolte con vestiti/accessori ed è possibile acquistare oggetti così da aggiungerli tra quelli che si possono già evocare (oggetti esotici presi dai vari livelli). Infine, i vestiti e accessori acquistati potranno essere utilizzati nella personalizzazione del vostro personaggio.

Il titolo si presenta con una grafica colorata e cartoonesca, il team di sviluppatori è riuscito a utilizzare e migliorare nel tempo lo stesso motore grafico utilizzato sin dal primo capitolo della saga, migliorando i colori, i modelli poligonali e le varie rese grafiche, non tradendo l’art style originario ma rendendo il titolo, graficamente parlando, valido ancora oggi.
Il sonoro non è certamente di alto rilievo, ma i suoni e le musiche sono molto orecchiabili, le riproduzioni sonore dei vari animali e delle armi e ben rese, anche se tutto l’insieme è un riciclo preso dai capitoli precedenti.
Una grande mancanza rispetto al passato è probabilmente  quella della free-mode, dov’era possibile trascorrere del tempo evocando qualsiasi cosa vi passasse per la ment (per esempio era possibile far combattere 10 militari contro un drago).
Tirando le somme, Scribblenauts Showdown, non riesce a tenere alto l’onore del franchise, visto che il team di sviluppo ha tentato di proporre qualcosa che è abbastanza lontano da quello che rappresenta il marchio originario.
Il titolo rimane comunque abbastanza godibile e, per chi volesse comunque usufruire di un gioco simpatico da tirar fuori in una serata con gli amici, l’acquisto può essere consigliabile, ancora meglio quando si troverà a un prezzo leggermente inferiore.




Dal 3DS allo Switch: l’evoluzione di Circle Entertainment

Circle Entertainment è un nome che sarà immediatamente familiare ai giocatori dei dispositivi marchiati Nintendo, grazie alla sua gamma di eccellenti titoli scaricabili su 3DS e Switch. Con IP del calibro di Mercenary Saga e World Conqueror alle sue spalle, la software house si sta preparando a rilasciare un nuovo titolo. Il team di Nintendo Life ha intervistato Thomas Whitehead, Product Manager, per conoscere il passato, presente e futuro della società giapponese. Circle Entertainment è sul mercato da oltre un decennio, quindi ha una lunga storia alle sue spalle. Whitehead, ha scoperto la società per cui lavora tramite il DSiWare (un gioco per DSi che può essere acquistato solo nel canale DSishop) e all’interno del 3DS eShop, dove la software house si presentava con un numero prolifico di pubblicazioni in Occidente, con giochi  dai temi bizzarri e con prezzi convenienti. Oltre 170 giochi di Circle sono stati pubblicati in varie forme, territori e piattaforme in oltre 12 anni.

Whitehead, ha affermato che la Circle Entertainment è vicina a un’altra software house, Flyhigh Works, descrivendole come un “duo editoriale”. A rafforzare la sua tesi ha aggiunto che il suo biglietto da visita è a doppia faccia: da un lato la Circle e Flyhigh sull’altro.
Il productive manager ha imparato molto dal suo periodo da editore di Nintendo Life, arrivando all’idea che i giocatori sono molto interessati i giochi in formato digitale. L’input principale, glielo ha fornito il Nintendo Wii, e il suo WiiWare, studiandone il funzionamento come poi fatto successivamente con DSi, 3DS, Wii U e Switch. Parte del loro successo, secondo Whitehead, potrebbe essere dovuto al fatto che i sistemi Nintendo non vengono inondati da tutti i principali giochi AAA, dando quindi più spazio a realtà minori che altrimenti non avrebbero modo di farsi notare. Tutto questo, è sospinto anche degli ottimi rapporti tra Circle e Nintendo, elogiando l’ottima disponibilità del colosso nipponico.
WhiteHead, è rimasto inoltre sopreso dallo strepitoso successo di Nintendo Switch. Nintendo è stata intelligente, creando un prodotto versatile e soprattutto curando la line-up nei suoi primi mesi di vita così da poter garantire almeno 3 giochi a settimana nel suo E-Shop. Il futuro è ancora incerto ma pare che il producer  abbia le idee chiare: si aspetta un arrivo di diverse tipologie di videogiochi come, per esempio, un mix di giochi per console e per PC in uscita su Switch.
Circle ha appena rilasciato World Conqueror X, mentre l’arrivo di OPUS: Rocket of Whispers Shelter Generations è imminente. La software house ha una lunghissima lista di videogiochi che verranno rilasciati strategicamente a seconda delle tendenze d’interesse globale, asiatico e occidentale.




Super Mario è comunista?

Ah, il buon vecchio Mario! Esiste un nome più di questo in grado di richiamare il videogioco? L’adorabile idraulico italiano è apparso in un’infinità di titoli Nintendo, per la gioia di milioni e milioni di giocatori con il suo spirito e il suo bel faccione baffuto. Tuttavia, nel tempo, è stata mossa l’ipotesi che Mario possa appoggiare strane tendenze politiche, una particolarmente opposta al mondo occidentale dov’è nato; stiamo proprio di quell’ideale tipicamente russo, quello più composto da lavoratori come lui, ovvero il Comunismo. Le idee, secondo alcuni, sono molto evidenti ed estraibili specialmente da Super Mario Bros., il titolo di lancio del NES che cambiò il landscape videoludico. Che dietro quel sorrisone, quegli «yahoo, mamma mia» ci sia un animo rosso fuoco in cerca di rivoluzione? Vi ricordiamo inoltre che questo sito parla di videogiochi, non di politica, e che queste sono in fondo teorie e/o segnali alla quale non è mai stata data una conferma dagli sviluppatori (né, quasi sicuramente, mai l’avranno); perciò prendete questo articolo con la giusta leggerezza, divertitevi e semplicemente immaginiamo il nostro Mario mettere una “X” sul simbolo del Partito Comunista del Regno dei Funghi – ci sarà nel suo Universo, no? Diamo uno sguardo a quegli elementi che, diciamo, meritano una seconda occhiata, ma prima torniamo un attimo a scuola!

Comunismo in 3, 2, 1…

Per capire questi elementi vi daremo velocemente un’infarinatura sul Comunismo e la sua storia, senza soffermarci troppo in nessun punto in particolare. Siamo nel bel pieno della Prima Guerra Mondiale, nel 1917, e la Russia, per far fronte alle spese belliche, decise di battere più moneta del solito; questo causò un’inflazione terribile, i prezzi del cibo salirono alle stelle (serviva un carretto di soldi solo per comprare un pezzo di pane) e la classe operaia, che lavorava in condizioni povere ed era sostenuta da una sanità carente, non vide alcun aumento nel loro salario. Il popolo non era affatto contento e la figura responsabile di tale povertà era solo una: lo Zar Nicola II. Fu da queste basi che partì la Rivoluzione di Febbraio, evento che portò all’abdicazione della famiglia reale. Si instaurò subito un governo provvisorio ma il popolo era ancora alla ricerca di un volto. Ecco che si fece avanti il Comunismo, un ideale, ispirato fra gli altri dalle idee di Karl Marx, che vedeva una società senza classi sociali in cui tutti, dai più poveri ai più ricchi, avrebbero beneficiato della ricchezza del paese; fu così che il Partito Bolscevico, con un colpo di stato, si insediò nel governo e diventò il nuovo scheletro della Russia nella cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre. Infine, ricordiamo le tre figure chiave della rivoluzione russa: il primo è Vladimir Lenin che guidò il partito nella Rivoluzione d’Ottobre e tentò di trasformare la Russia in uno stato socialista; egli, però, ebbe vita breve alla guida del partito, morendo nel 21 Gennaio 1924 per via di una forma di sifilide che gli causò, in precedenza, ben tre ictus. Durante i suoi ultimi anni, Lenin designò Lev Trotsky come suo successore, ma il Generale Iosif Stalin finì per accaparrarsi il potere tutto per sé, esiliando e facendo eliminare il vero erede della rivoluzione. Per una bella e breve rappresentazione allegorica di queste vicende, leggete Animal Farm del buon vecchio George Orwell.

It’s a me, il proletariato! Yahoo!

Torniamo adesso nel coloratissimo Regno dei Funghi; diamo subito un’occhiata e vediamo quali miceti dominano la scena. È possibile notare, se diamo uno sguardo attento a tutti gli sprite del primo gioco, che il rosso domina particolarmente il design ed è, se non altro, il colore che da sempre ha contraddistinto Mario. Inutile dire che è lo stesso colore associato al pensiero comunista (il partito rosso, i rossi, le armate rosse, le brigate rosse, la stessa bandiera dell’Unione Sovietica era rossa) ma la storia ci dice che il caro idraulico italiano è rosso per contrastare il cielo azzurro del regno dei funghi; una storia credibile se solo non fosse che il rosso non è davvero opposto al blu. Nel disco dei colori primari e secondari (più precisamente conosciuto come disco di Itten) si più notare che è il vero opposto di quest’ultimo è l’arancione, uno di quelli che nella palette di colori del NES ha un sacco sfumature, addirittura più del rosso. Uno dei simboli più presenti nella saga è il Super Fungo, che presenta un cappello rosso con dei puntini bianchi; il suo corrispettivo reale è l’Amanita Muscaria, fungo velenoso che, al di là del provocare allucinazioni, si trova specificatamente in Siberia, la parte est della Madre Russia. Le ipotesi si fanno sempre più forti specialmente quando Mario prende il Fiore del Fuoco; i tipici colori dell’idraulico, il rosso e il blu (o marrone nel primo gioco), muteranno in rosso e bianco, i colori della bandiera del Partito Bolscevico di Lenin. Una strana scelta di colori, ma le ipotesi non si fermano qua.
Il cappello di Mario sembrerebbe abbastanza innocente se non fosse per la strana somiglianza con quello indossato spesso da Stalin; entrambi hanno un design molto simile, la visiera più o meno della stessa lunghezza e un emblema circolare al centro. Ogni buon Compagno, inoltre, vi dirà che un bel baffo è praticamente “parte dell’uniforme”; cos’altro contraddistingue il bel faccione del mangia-spaghetti? Lo scopettino sotto il nasone Mario sembra proprio strappato dalla faccia di Stalin! E se tutto questo ancora non vi convince: ricordate i suoi lavori? In Donkey Kong e Wrecking Crew era un carpentiere e con Mario Bros diventa ufficialmente idraulico, entrambi lavori che coinvolgono lavoro manuale, mestieri che compongono la classe operaia designata nella rivoluzione proletaria.

Mario il liberatore

E ora entriamo un po’ di più nel simbolismo della saga. Prima di prendere in esame le storie che coinvolgono in prima persona l’icona Nintendo, diamo uno sguardo alla sua nemesi: Wario potrebbe rappresentare, in un certo senso, l’idea stessa del capitalismo. L’antagonista di Mario è caratterizzato da una grossissima stazza e una spiccatissima avidità; tutti i suoi giochi si concentrano sul collezionare tesori e accumulare ricchezza (che permettono addirittura in alcuni giochi di ottenere un finale migliore), tipico comportamento di un avido capitalista senza scrupoli.
Tornando alla saga principale, al termine di ogni livello del primo titolo Mario abbassa una bandiera nemica per alzarne una sua in un fortino. La prima somiglia (visto che stiamo parlando di un gioco 8-bit) a un simbolo di pace verde su uno sfondo bianco mentre quella sua è una più chiara stella rossa a cinque punte. Questa, nell’iconografia comunista, è uno dei simboli più usati insieme alla “falce e martello“, rappresenta proprio la mano del lavoratore (cinque le punte, cinque le dita) ed è il simbolo dell’armata rossa, la stessa che prese il potere durante la Rivoluzione di Ottobre; dunque ricordate ancora l’obiettivo di Super Mario Bros.? Rovesciare il tiranno Bowser, come nella Rivoluzione di Febbraio, ribellarsi alla dittatura che porta scompiglio nel Regno dei Funghi e farlo tramite l’esercito rosso. Inoltre, come ribadito da Mao Zedong nei Discorsi alla conferenza di Yenan sulla letteratura e l’arte (dai, infiliamo anche lui nel mix): «non potrà esistere un amore universale finché la società sarà divisa in classi». Perciò, abbasso la (bandiera della) pace e viva il popolo!

Seriamente?

Quello di cui abbiamo parlato è ovviamente bizzarro, vi stiamo forse facendo credere che Nintendo abbia stretto strani accordi con l’ex Unione Sovietica; ci sentiamo di asserire che Mario non è comunista e che molti elementi sono delle divertenti coincidenze. Ricordiamoci che lo scopo del gioco è, sì, rovesciare Bowser ma è anche, e soprattutto, salvare la Principessa Peach per instaurare la sua più mite ed equa monarchia. Inoltre, quello che sembrerebbe un simbolo di pace al termine di un livello è in realtà un teschio; se fosse stato tale allora ci sarebbe stato qualche spazietto vuoto in più nella parte bassa dell’icona. Le tante coincidenze, specialmente nel primo gioco, ci hanno fatto pensare che Mario, vista anche la sua estrazione sociale, potesse essere comunista ma il gioco (come è giusto che sia) non fa alcuna propaganda politica e in fondo la storia parla semplicemente di un idraulico innamorato alla ricerca della sua amata principessa. Tuttavia c’è ancora un ultimo elemento di cui dobbiamo ancora parlare ma che non ha nulla a che vedere con Mario, bensì col Giappone. Il Partito Comunista Giapponese, dopo gli anni 50, ha avuto una buona influenza nella società giapponese e il suo periodo più prolifero è stato proprio negli anni ’80, esattamente gli anni in cui Super Mario Bros. venne sviluppato; durante le elezioni di quel periodo il partito prese il 10%, che corrispondono a ben 5 milioni di voti, perciò può esistere dunque la possibilità che una o più persone coinvolte nello sviluppo del gioco possano aver fatto trapelare in qualche modo le loro idee politiche. A ogni modo queste rimarranno sempre delle supposizioni e dubitiamo che Nintendo possa, un giorno, confermare o meno tutte queste teorie del web. E poi, alla fine della fiera, dove Mario metta la “X” durante le elezioni è solamente affar suo!

Bandiera del Partito Comunista Giapponese




Vivendi esce da Ubisoft: tutti i dettagli dell’operazione.

Ubisoft ha annunciato di avere trovato un accordo con Vivendi per la fuoriuscita di quest’ultima dalla composizione societaria. Dopo una lunga lotta per contrastare l’acquisizione ostile da parte di Vivendi e numerose perplessità sull’operazione, la guerra per il controllo del colosso francese del gaming pare essere stata vinta dalla famiglia Guillemot.
Vivendi era entrata nell’assetto societario di Ubisoft nel 2015, ha investito 794 milioni di euro in tre anni e cedendo adesso l’intero pacchetto azionario del 27,3% (30.489.300 di azioni per un valore di circa 2 miliardi di euro) realizzerà una plusvalenza di oltre 1,2 miliardi di euro. Di queste, 18.368.088 verranno acquisite da investitori qualificati, 3.030.303 da Guillemot Brothers SE e la restante parte tornerà a Ubisoft.
Nell’ambito della cessione subentreranno due nuovi investitori a lungo termine, l’Ontario Teachers Pension Plan, che ha acquistato azioni tramite il ramo Relationship Investing della divisione Public Equities, e il colosso cinese Tencent, con il quale è stata sancita una partnership strategica che accelererà l’ingresso in Cina dei franchise della società transalpina.

In particolare, l’operazione sarà così strutturata:

Ontario Teachers’ Pension Plan ha acquistato 3.787.878 di azioni, pari al 3,4 % del capitale, per un prezzo di circa 250 milioni di euro.
Tencent ha acquistato 5.591.469 di azioni Ubisoft, pari al 5.0% del capitale, per un prezzo di circa 369 milioni di euro.
Quella fra Ubisoft e Tencent sarà un’alleanza strategica che accelererà significativamente la crescita dei prodotti Ubisoft in Cina nei prossimi anni.
Ubisoft ha accettato di riacquistare 9.090.909 delle proprie azioni (pari all’8,1% del capitale, per un prezzo di circa 600 milioni di euro) da Vivendi attraverso una transazione strutturata sotto forma di forward sale (vendita a termine) tramite Crédit Agricole Corporate Investment Bank (CACIB) e di un successivo meccanismo di buy-back  (riacquisto di azioni proprie), che consentirà a Ubisoft di acquistare progressivamente le azioni in un arco di tempo che va dal 2019 al 2021. Il riacquisto sarà strutturato, da un lato, tramite uno strumento derivato con il quale Ubisoft stipulerà un accordo di pagamento anticipato su parte delle azioni, con liquidazione delle azioni alla scadenza nel 2021 o anticipatamente e, per le restanti azioni, tramite un total return swap con liquidazione a scadenza o anticipata a discrezione di Ubisoft, o in contanti (con Ubisoft che beneficerà o sopporterà la variazione del valore delle azioni) o con un regolamento in azioni a fronte del pagamento del prezzo delle stesse azioni. Il riacquisto di azioni sarà finanziato principalmente attraverso le risorse finanziarie di Ubisoft. In caso di aumento delle dimensioni del Private Placement (l’insieme di operazioni attraverso cui emittenti pubblici e privati offrono strumenti finanziari di nuova emissione che vengono collocati presso un numero limitato di destinatari internazionali), il numero di azioni che saranno riacquistate da Ubisoft verrà ridotto di conseguenza.

Nell’ambito della transazione, la Guillemot Brothers SE acquisirà 3.030.303 di azioni (pari al 2,7% del capitale, per un prezzo di circa 200 milioni di euro), arrivando a un totale di 17.406.414 di azioni per un totale del 19.4% dei diritti di voto e il 15.6% del capitale azionario: sommando le azioni del CEO, i Guillemot avranno un totale di 20.636.193 di azioni, che si traducono nel 24.6% dei diritti di voto in assemblea e nel 18.5% del capitale azionario. L’acquisto sarà strutturato sotto forma di strumento derivato, Guillemot Brothers SE aderirà a un contratto a termine con CACIB e a un collar (strategia per cui, ad ogni 100 azioni acquistate, viene associato l’acquisto di 1 put e la vendita di 1 call) sulle azioni Ubisoft, a scadenza nel 2021 o anticipato, e liquidato in azioni o in contanti. Le azioni sottostanti il ​​collar vengono date in pegno a CACIB, che sarà autorizzata a riutilizzarle da Guillemot Brothers SE a determinate condizioni specificate nell’accordo.
La rimanente quota ceduta da Vivendi, 8.988.741 di azioni (pari all’8,0% del capitale), sarà venduta tramite un Accelerated Bookbuilding (procedura svolta in tempi rapidi con cui vengono cedute a investitori istituzionali quote societarie particolarmente rilevanti) le cui dimensioni, in base al livello di interesse nel collocamento, potrebbero essere aumentate fino a 1.500.000 di azioni, riducendo di conseguenza il numero di azioni riacquistate da Ubisoft. J.P. Morgan Securities Plc fungerà da Sole Global Coordinator (dunque unico coordinatore globale) per l’Accelerated Bookbuilding. CACIB, come controparte di Guillemot Brothers SE nel contratto a termine e nel collar, venderà anche 2.887.879 azioni nell’hedging delle sue operazioni in strumenti derivati. Per chiarezza, l’hedging consiste in una serie di operazioni di copertura del rischio per proteggersi dagli eventi negativi legati a un altro investimento.

Il prezzo di acquisto per ogni azione è stato concordato in 66 euro, e oggi il titolo ha chiuso alla borsa di Parigi a 68,56 euro.
A seguito della transazione, Vivendi si impegna a non detenere più alcuna partecipazione in Ubisoft né ad acquisire azioni in Ubisoft per 5 anni.

Yves Guillemot, CEO e Co-Founder di Ubisoft, ha dichiarato:

«L’evoluzione del nostro assetto azionario è una grande novità per Ubisoft, ed è stato reso possibile dall’eccezionale messa in atto della nostra strategia e dal decisivo supporto degli “Ubisoft talents” e “players” e dei nostri azionisti. Voglio ringraziarli tutti calorosamente. L’investimento dei nuovi azionisti di lungo termine dimostra la loro fiducia nel futuro e nella creazione di valore di Ubisoft, e il riacquisto delle azioni da parte di Ubisoft sarà un vantaggio per tutti gli azionisti. Finalmente gli accordi di partnership strategiche  che abbiamo sottoscritto ci permetteranno di accelerare la nostra crescita in Cina negli anni a venire e di entrare in un mercato dal grande potenziale.
Oggi Ubisoft sta raccogliendo i frutti di una strategia di lungo termine e la profittevole trasformazione verso un business che accrescerà i profitti. Ubisoft ha la posizione ideale per sfruttare i numerosi driver di crescita del mercato dei videogame nei prossimi anni: siamo concentrati più di prima nella finalizzazione del nostro piano strategico.»

Il gruppo di Vincent Bollorè aveva già acquisito Gameloft da Ubisoft e, nonostante l’exit dalla società, «conferma la sua intenzione di rafforzare la propria presenza nel settore dei videogiochi, particolarmente dinamico, che è uno dei capisaldi dello sviluppo del Gruppo».




La lore di Super Smash Bros.

Durante l’ultimo Nintendo Direct è stata rivelata una fantastica sorpresa, l’arrivo di un gioco i cui fan considerano quasi un evento, una tradizione che si ripete dal Nintendo 64 e che, come un grande evento cittadino, richiama un grosso numero di fan e giocatori al di fuori dell’utenza della grande N: stiamo parlando di Super Smash Bros., il rivoluzionario picchiaduro crossover che fa da arena ai protagonisti dei più famosi titoli Nintendo. A differenza del picchiaduro classico, i personaggi non hanno una barra dell’energia ma una percentuale che aumenterà a ogni colpo e che segnerà la possibilità di spedire un avversario “oltre i bordi dello schermo”, unico modo per vincere, oltre al far cadere i nemici nelle voragini; il suo stile è molto ammirato e il gameplay è stato più volte emulato in giochi come Playstation All-Stars Battle, Teenage Mutant Ninja Turtles: Smash Up e DreamMix TV World Fighters. La natura crossover del titolo spingerebbe a pensare che questo non abbia una lore, non una almeno, che coinvolgerebbe i singoli personaggi della storia; in realtà Super Smash Bros. ha un’identità nascosta, un tema che non è così evidente ma è presente sin dal primo gioco e che, specialmente verso gli ultimi titoli della saga, diventa sempre più cupa e tragica. Anche se la lore di questo gioco è celata e gli elementi della trama abbastanza difficili da identificare, preferiamo lanciare uno spoiler alert per quei giocatori che non hanno ancora giocato ai titoli precedenti, anche se in realtà questi non rovineranno la vostra prima esperienza con i vecchi Smash.

La spensierata gioventù

La saga, come già ribadito, comincia su Nintendo 64 con l’omonimo titolo che dà il nome alla saga. Gli elementi della trama sono già presenti sin dal filmato iniziale: vediamo Master Hand, il boss finale della classic mode di ogni capitolo, prendere dei giocattoli (dei pupazzetti di pelouche) da una scatola, sistemare libri, portapenne e una scatola di kleenex e “dare il via alle danze”. È teoria concordata che i combattimenti, così come anche gli scenari, siano frutto dell’immaginazione di Master Hand, il quale in Super Smash Bros. sarebbe un ragazzino fra i 12 e i 14 anni d’età. Analizziamo insieme la stanza dell’intro: vi è il poster di un’automobile sul muro e uno stereo, il che ne conferma il sesso maschile e che si interessa ad argomenti “da grandi”, dei libri e delle penne, che ci suggeriscono che va ancora a scuola, e una scatola di giocatoli accanto al suo letto che suggerisce la sua ancora tenera età. Giocare con i giocatoli immaginandosi scenari e storie fantastica è la più comune delle abitudini dei ragazzi di questa età; è un po’ la stessa cosa che avviene all’inizio di Toy Story 3 nella testa di Andy, il quale immagina uno scenario fantastico di cui Woody e compagni sono i protagonisti. Il gioco ha tuttavia un’atmosfera spensierata e la sola cosa che al giocatore interessa, e soprattutto a Master Hand, è spassarsela senza alcun pensiero per la testa.

I primi passi verso la maturità

Arriva il Gamecube e, dopo pochi mesi dalla sua uscita, arriva Super Smash Bros. Melee, da molti considerato il titolo più bello e competitivo della nota saga Nintendo. Proprio nel filmato iniziale, è possibile vedere un braccio di un ragazzo che nel frattempo è cresciuto e che, vista la sua più matura età, ha sostituito i suoi peluche con delle figurine collezionabili, più precisamente dei trofei (o al giorno d’oggi: Amiibo). Grazie all’opzione “stanza dei trofei” abbiamo la possibilità di dare un’occhiata alla sua vita: vediamo che il protagonista ha un mobile dove ha sistemato una TV, altri oggetti, diversi dal gaming, nonché diverse console Nintendo che, probabilmente, colleziona dalla sua tenera età; l’ordine nella sua stanza denota una certa maturità, ma la dozzinale disposizione dei trofei sul suo tavolino indica che ancora non è ancora pienamente adulto, con buona probabilità è un ragazzo fra i 18 e i 20 anni. In questo gioco, però, verrà introdotto Crazy Hand, un boss più o meno simile a Master Hand ma dalle caratteristiche ben diverse: se quest’ultimo è elegante, delicato ma anche brutale , questo nuovo personaggio è imprevedibile, incostante e tutto sommato un po’ pazzerello. In Master Hand, come già ribadito, si può evincere lo spirito creativo e la fantasia, mentre in Crazy Hand si può notare una certa voglia “di fare casino” che fa emergere quello spirito ludico nel protagonista, e che fa sì che giochi ancora con i suoi trofei disposti sul tavolino in maniera disordinata. Si nota anche un certo disappunto che nasce dal voler rimanere ragazzi mentre si è costretti a fare i conti con la società moderna e l’inevitabile processo di maturità. La descrizione del suo trofeo è abbastanza inquietante:

«mentre a Master Hand piace creare, il suo alter ego è impulsivo e distruttivo, consumato da quella sensazione di vuoto che ci prende quando vogliamo distruggere le nostre creazioni.».

Ma perché mai questo personaggio, che ama creare queste storie e giocare con questi personaggi, vorrebbe distruggere le sue creazioni allo stesso tempo?

L’accettazione

Finalmente, dopo diversi anni, arriva Super Smash Bros. Brawl su Wii, il titolo che introduce le sfere smash e i primi personaggi non-Nintendo, come Solid Snake e Sonic. La nuova modalità avventura è identificabile nella campagna “L’Emissario del Subspazio”, una storia partorita dalla mente di Kazushige Nojima, scrittore che ha sviluppato la trama per diversi episodi di Final Fantasy e Kingdom Hearts. La storia vede Bowser, Ganondorf e Wario collaborare con Master Hand per far sì che tutti i personaggi diventino dei trofei di pietra e non muovano più un muscolo per sempre; ma perché quest’ultimo, che in tutti questi anni si è divertito con questi personaggi Nintendo, vuole disfarsene? Scopriremo più in là che Master Hand non è in sé ed è controllato da un misterioso personaggio semplicemente chiamato Tabuu. Il nome di questo potente essere non è scelto a caso e, appunto, rimanda proprio al vocabolo usato anche in lingua italiana: un tabù è qualcosa di proibito o ristretto a una parte della società. In poche parole, rimanendo nel contesto di Super Smash Bros. Brawl, ai bambini è concesso di giocare con i giocattoli, agli adulti no, e Tabuu rappresenta proprio la società che vuole fare in modo che Master Hand smetta di giocarci. Alla fine, i personaggi Nintendo avranno la meglio su Tabuu e la sua sconfitta rappresenterà proprio l’accettazione di questa condizione. Il ragazzo che giocava nella sua stanza è finalmente cresciuto e la famosa immagine dei personaggi che guardano l’orizzonte luminoso rispecchia proprio il luminoso futuro; nonostante questo lo abbia portato verso dimensioni creative lontane, i ricordi delle battaglie immaginarie all’interno della sua stanza saranno sempre parte di lui e non dovrà mai vergognarsene o giustificarlo di fronte alla società.

L’eterna lotta interiore

L’Emissario del Subspazio sarebbe stato il perfetto finale della saga, ma una console Nintendo, a oggi, non è tale se non è presente un titolo di questa serie; ecco così che arriva Super Smash Bros. for Nintendo 3DS and Wii U, un titolo espanso più che mai. Qui la lore del gioco prende una piega ancora più negativa e oscura: una volta sconfitto Master Hand, viene sprigionato Master Core, un’entità inquieta e distruttiva come nessun’altra nella serie. Questa entità vive appunto dentro la mano creatrice e, a quanto pare, è sempre stata parte di lui: secondo alcune teorie, egli è presente in ogni gioco e persino visibile in Super Smash Bros. Melee come parte dello stage “Battlefield”. La battaglia contro di lui è la più feroce della saga, e questa entità è in grado di assumere diverse forme: una persona gigante, un mostro, una forma oscura del personaggio in uso, una fortezza, ma il finale ha molti aspetti interessanti: dopo una vera e propria carneficina, Master Core assume la sua vera forma, una sfera con dentro una sfera più piccola con il simbolo di Super Smash Bros., e da lì il combattimento non è più tale. La sfera rimane ferma al centro dello stage, passiva, in attesa che il personaggio in uso la scaraventi al di fuori dello schermo. Chi è davvero Master Hand e perché dopo una lotta all’ultimo sangue si arrende in questo modo? Se lui è il creatore di tali battaglie, allora non ci resta che associare questa figura a Masahiro Sakurai, creatore della saga picchiaduro, nonché del notissimo Kirby; la sua vita è praticamente riassumibile seguendo gli episodi di Smash.

Il lato oscuro del successo

Masahiro Sakurai nacque nel 1970, il che significa che ai tempi del Famicom aveva 13 anni, l’età del ragazzo del primo titolo della saga; Nintendo fu parte dell’infanzia di Sakurai. Da giovanissimo fu assunto alla HAL Laboratory dove a soli 19 anni concepì Kirby, una delle saghe platformer più amate di sempre, che vide il suo successo proprio nel Gameboy e soprattutto nel Famicom; il successo della saga, tuttavia, aveva un lato oscuro, ovvero il dover produrre sequel in continuazione. Questo comportò che il suo senso di frustrazione crebbe in maniera esponenziale, e in Super Smash Bros. Melee si presenta proprio Crazy Hand, la sua voglia di distruggere ciò che ha creato per via della troppa fatica da investire nei sequel; non a caso, dopo qualche anno dalla sua uscita, Sakurai lasciò la HAL per via dei troppi episodi richiesti sia per la saga di Kirby che per la nuova saga di picchiaduro crossover. Di quel periodo egli ricorda:

«era dura per me accettare il fatto che per ogni gioco che facevo la gente desse per scontato che avrei fatto un sequel. In un sequel, tanta gente deve ridare lo stesso il massimo per creare un gioco fantastico, ma il pubblico pensa che un sequel nasca secondo un processo naturale.»

Super Smash Bros. Brawl è la storia della sua accettazione: Sakurai crea giochi per vivere ma questi, agli occhi di molti, sono solamente dei “giocattoli”, specialmente in una società rigida come il Giappone. Tabuu rappresenta la pressione di dover crescere ma, alla fine, terminata la campagna “L’Emissario del Subspazio”, questa viene sconfitta; egli rigetta le aspettative della società e accetta il lato di sé che è cresciuto con Nintendo, che vuole dar vita alle cose che da piccolo lo rendevano felice, che ama giocare anche se questo significa non poter distogliere l’attenzione da questa saga e non potersi cimentare in nulla di nuovo, specialmente perché dietro a ogni Super Smash Bros. ci sono anni di sviluppo. Sakurai ha confessato a Game Informer che la programmazione di questi titoli è infinitamente stancante, e si chiede spesso se lui sia la persona adatta per mantenere tale impegno. Nonostante la costanza e la serietà che dedica alla saga, la sua creatura è diventata così grande da non poterla più controllare (come per esempio l’inclusione di personaggi molto lontani dal canone della saga, come Mega Man, Pac Man o Cloud solo per poter vendere di più, o il più chiaro fatto che i nuovi titoli debbano essere pronti in tempo senza potersi dedicare ad altro); Master Core, la rappresentazione dell’essenza del creatore stesso, esce rabbioso da Master Hand non solo rivendicando ciò che è suo, ma anche mettendo in guardia i fan sul futuro della saga stessa, ovvero abbandonare la direzione della sua creatura, esattamente come è successo per Kirby; tuttavia, nonostante ne rivendichi il possesso, egli rappresenta il suo senso di frustrazione nel non poter più abbandonare la serie nonostante la sua voglia di allontanarsi e dedicarsi ad altro, tanto è vero che alla fine dell’infuocata lotta, Master Core si abbandona a se stesso in attesa che il giocatore lo faccia fuori e faccia della serie quello che vuole. Ai colleghi di Game Infomer il noto game designer ha detto che ogni scadenza è per lui un cappio che si stringe sempre di più man mano che il tempo passa, e che vorrebbe dedicare un po’ più di tempo a se stesso ma, non solo non ci riesce, è anche incapace di immaginarsi un’altra persona che possa sostituirlo nel suo lavoro. Di certo Masahiro Sakurai non vuole rinunciare alla programmazione di ogni nuovo Super Smash Bros. ma è decisamente logorato dal fatto che a ogni gioco che produce i fan debbano chiedere automaticamente un sequel; pensate che egli aveva intenzione di chiudere la serie già ai tempi del Gamecube per potersi dedicare ad altro, ma la richiesta di un sequel è stata così alta da non poter essere ignorata e lo stesso Sakurai sa che il compito di continuare la saga spetta solo a lui, per senso di responsabilità e per amore verso la sua creatura; egli in fondo è Master Hand e sa benissimo che la saga senza di lui non potrebbe mai essere la stessa e perciò rimane anche se ciò significa versare sangue, sudore e lacrime, a sacrificio di altri progetti a cui si potrebbe dedicare.

I giocatori comandano

Il vero insegnamento di questa storia, alla fine della fiera, è che il compito di mettere il punto alla serie è in mano ai fan, e Masahiro Sakurai non può fare altro che del suo meglio per poter consegnare ai giocatori la migliore esperienza possibile. Fortunatamente Super Smash Bros. è una saga che (ancora) non ha visto alcun periodo buio; ogni uscita rappresenta per Nintendo una grossa opportunità per richiamare i fan e giocatori sempre nuovi ,e Sakurai non può che esserne fiero. Chissà se l’ex prodigio del game design nasconderà un nuovo messaggio nel nuovo Super Smash Bros. per Switch, se abbia accettato con più serenità il fatto che questa saga dovrà essere presente su ogni console Nintendo o se sarà ancora più logorato del capitolo scorso. Di una cosa siamo comunque certi: Masahiro Sakurai farà del suo meglio e, con la sua umiltà, consegnerà un altro titolo che cercherà di essere all’altezza – se non migliore – dei suoi predecessori.