Ni No Kuni 2: Il Destino di un regno

Level-5 approda su PS4 e PC con questo nuovo jrpg in cel-shading, seguito del Ni No Kuni uscito su DS nel 2010 e su PS3 nel 2011 che aveva ricevuto un riscontro molto positivo dal pubblico, anche grazie allo stile grafico a cui ha contribuito il famosissimo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki.

Nino chi?

La storia si svolge centinaia di anni dopo quella del prequel, e ha un setting totalmente diverso: il gioco inizia mostrandoci una persona di mezza età in macchina con il suo autista, che si rivolge a lui chiamandolo Presidente; dopo pochi istanti, una bomba atomica viene lanciata nelle vicinanze, spazzando via tutta la città.
L’uomo (il cui nome è Roland) viene trasportato per magia su un altro mondo, nella stanza del principe Evan di Gatmandù, un ragazzino biondo con orecchie e coda da gatto, e guardandosi allo specchio si rende conto di essere tornato giovane.
I due fuggono dal castello, dove è in atto un colpo di stato in cui è rimasto ucciso il Re (padre di Evan), per evitare di essere uccisi a loro volta, diventano amici, e qui inizia la nostra storia, nella quale assisteremo alla creazione del Regno di Eostaria da parte di Evan e degli alleati che incontrerà nel suo cammino.
La storia, nonostante gli eventi tragici della premessa, ha un tono leggero e scherzoso, da favola adatta a grandi e piccini, anche se risulta lievemente inferiore a quella del primo capitolo, pur risultando ben scritta, con qualche colpo di scena non del tutto imprevedibile ma comunque godibile.

Spettacolo in cel-shading

Ni No Kuni 2 è un titolo che mette in mostra in maniera impeccabile l’uso del cel-shading (tecnica che simula l’effetto da cartone animato su modelli tridimensionali), sono stati fatti dei notevoli passi avanti rispetto al prequel (che era già notevole su PS3), i personaggi sono animati egregiamente, le texture, anche se a volte non sono in altissima risoluzione, sono usate in maniera sapiente e ben si amalgamano nei paesaggi, molto suggestivi e vari, e negli sfondi per creare un vero e proprio anime interattivo,  e su PS4 Pro e PC a settaggi alti lo spettacolo è garantito; il frame rate è tutto sommato buono, con qualche sporadico rallentamento nelle fasi più concitate.
La colonna sonora è di altissimo livello, con il tema principale ripreso dal primo capitolo e remixato a seconda dei momenti di gioco, e tracce originali anch’esse notevoli.
Il doppiaggio in inglese è anch’esso ottimo, anche se non tutti i dialoghi sono stati doppiati, il che fa storcere un po’ il naso, in quanto si passa da un momento all’altro da frasi ben doppiate ad altre in cui dovremo soltanto leggere i sottotitoli (in italiano).
Si nota una certa discrepanza su certi nomi tradotti in maniera differente nella nostra lingua (ad esempio la città di Ding Dong Dell è stata tradotta in Gatmandù in italiano), quando vengono pronunciati in inglese durante le cut scene.
Come nel primo capitolo, vengono utilizzate cadenze di svariate regioni italiane per caratterizzare certi personaggi nella localizzazione nostrana, il che può risultare simpatico, ma quando non è presente il doppiaggio nella nostra lingua dobbiamo per forza di cose leggere i sottotitoli e interpretare gli accenti, e questo crea una uno spiacevole dualismo all’interno del gioco.

Più azione, meno turni

La più lampante differenza con il prequel risiede nei combattimenti, che adesso non sono più a turni, bensì in tempo reale: potremo creare il nostro party utilizzando fino a 3 personaggi, tutti controllabili e con mosse speciali uniche, avremo a disposizione un tasto per gli attacchi leggeri, uno per quelli pesanti, un tasto per la parata e la schivata, uno per selezionare le magie, un altro per gli attacchi a distanza e infine il salto.
Un’altra novità è l’introduzione dei Cioffi (che sostituiscono in un certo modo i famigli del primo capitolo), i quali sono degli esserini capaci di lanciare degli incantesimi che ci aiuteranno in battaglia, alcuni cureranno il party, altri lanceranno incantesimi offensivi, altri aumenteranno le difese, e via dicendo.
Potremo usare fino a 4 diverse tipologie di Cioffi in battaglia, e durante il gioco potremo scoprirne tantissimi.
Anche se il gameplay risulta ben strutturato e i comandi funzionano molto bene, i combattimenti risultano di una facilità estrema, il che fa pensare che sia stata una scelta dei programmatori per far sì che il gioco risulti godibile anche ai giocatori più giovani, ma chi cerca una sfida impegnativa rimarrà con l’amaro in bocca.
Le novità non si fermano pero al solo sistema di combattimento: in particolare ci sono due nuove modalità, la gestione del regno di Eostaria, in cui potremo costruire edifici con cui potenziare le armi, le armature, le magie e i Cioffi, e potenziare le nostre truppe che ci serviranno nelle battaglie campali, le quali sono un mini game dal taglio strategico.
Sono presenti anche delle missioni secondarie che allungheranno di molto l’esperienza di gioco, che se si vuole completare al 100% ci vorranno più di un centinaio di ore (almeno 30 soltanto per la storia principale).

Conclusioni

Level-5 fa di nuovo centro con questo splendido jrpg pensato per tutta la famiglia, che stupirà tutti con una grafica in cel-shading realizzata ad arte, una colonna sonora che rimarrà impressa per molto tempo, e un ottimo gameplay, forse troppo facile per i giocatori esperti, ma apprezzabile dai player di ogni expertise.
Pur essendosi persa un po’ la magia del primo episodio, Ni No Kuni II è una fiaba interattiva che ci sentiamo di consigliare senza riserve, che terrà i giocatori impegnati in un piacevole divertimento per tantissime ore.




Cartucce speciali in edizione limitata per il 30esimo anniversario di Mega Man

Capcom collaborerà con iam8bit per produrre cartucce funzionanti per NES e SNES di Mega Man 2 e Mega Man X in occasione del 30esimo anniversario della saga del Blue Bomber; i preorder sono già aperti ma queste chicche arriveranno solamente a Settembre 2018. Le cartucce saranno prodotte in serie limitata e costeranno 100$ a pezzo: 7500 cartucce di Mega Man 2 saranno color blu opaco e altrettanto numero in bianco opaco per quanto riguarda Mega Man X, mentre altre 1000, per entrambi i prodotti, saranno di un blu semi-trasparente, fosforescente più scuro e saranno distribuite in maniera casuale all’interno di scatole non numerate. Ricevere l’una o l’altra versione delle cartucce è solo questione di fortuna!

La forma della cartuccia di Mega Man X ci suggerisce che, forse, queste funzioneranno esclusivamente su NES e SNES americani; non ci sono informazioni riguardo alla compatibilità ma, con buona probabilità, potrebbero funzionare solamente su console d’oltreoceano.

La scatola di Mega Man 2 ha una copertina apribile in due parti mentre quella di Mega Man X si apre in tre (un po’ come le confezioni di alcuni LP); entrambi i prodotti includeranno un booklet, rispettivamente con le prefazioni del collezionista Salvatore Pane e lo youtuber Jirard Khlil (più noto come “The Completionist“), e altre “retro-sorprese” che saranno note agli acquirenti solamente una volta ricevuto il prodotto.

Questo annuncio avvia il “Mega May” promosso da Capcom, indicando che, durante questo mese, ci saranno ben altre sorprese per i fan del Blue Bomber, specialmente con l’E3 dietro l’angolo. Il robottino più famoso del gaming ritornerà in questo 2018 con Mega Man 11, un gioco inedito che uscirà più tardi per PC, Playstation 4, Xbox One e Nintendo Switch.




La mente di Ryzen abbandona AMD per Intel

Intel ha appena annunciato ufficialmente di aver assunto Jim Keller come Senior VP per guidare il team di ingegneri, occupandosi dello sviluppo SoC (system-on-chip) all’integrazione del silicio. Murthy Renduchintala, chief engineering di Intel, spiega così la sua assunzione:

«Jim è uno dei più rispettati visionari del settore della microarchitettura e l’ultimo esempio di talento tecnico per entrare a far parte di Intel. Abbiamo intrapreso iniziative entusiasmanti per cambiare radicalmente il modo in cui utilizziamo il silicio, mentre entriamo nel mondo di processi e architetture eterogenei. Jim si unirà a noi per accelerare questa trasformazione»

Jim Keller ha una vasta esperienza su tutti i tipi di processori e SoC. Tra gli appassionati di PC è forse il più noto architetto dell’eccellente microarchitettura Zen di AMD, che alimenta tutti gli ultimi processori Ryzen ed EPYC che hanno spinto AMD in una posizione di rilievo nel mercato delle CPU. Ma Keller ha anche lavorato in Apple, dove ha guidato il team di progettazione dei processori iniziali A4 e A5 e più recentemente, alla Tesla, dove è stato vice presidente di Autopilot e Low Voltage HardwareProprio Keller ci parla di questo:

«Ho acquisito una grande esperienza lavorando in Tesla, ho imparato molto e attendo con ansia che tutta la tecnologia proveniente da Tesla in futuro possa essere utile. La mia passione per tutta la vita è stata lo sviluppo dei migliori prodotti al mondo fatti di silicio.  Il mondo sarà un posto molto diverso nel prossimo decennio visto la continua evoluzione dell’informatica. Sono entusiasta di unirmi al team Intel per costruire il futuro di CPU, GPU, acceleratori e altri prodotti per l’era dell’informatica basata sui dati»

Keller non è l’unico ex membro di AMD che approda a Intel di recente. Raja Koudhuri, in precedenza a capo del gruppo Radeon Technologies di AMD è entrato a far parte del team di lavoro sulle GPU.

 




Il solito “errore” ci presenta Pro Evolution Soccer 2019

L’E3 2018 è ormai alle porte e cominciano a fioccare rumor, leak e annunci ufficiali. Ma non manca mai il classico rilascio d’informazioni per “errore”, come accaduto quest’oggi con PlayStation Store Honk Hong che ha svelato i primi dettagli di Pro Evolution Soccer 2019. Sappiamo già che Uefa Champion’s League ed Europa League non faranno più parte del nuovo pacchetto di offerte, ma questo non ha fermato Konami, che ha cercato di mettere una pezza aggiungendo nuove licenze per quanto riguarda i campionati e club, più un nuovo MyClub e una nuova ML Real Season.
Novità per quanto riguarda i calciatori, che avranno nuove undici skill proprie e nuove e dettagliate animazioni, che si sposerano con risoluzione nativa a 4K con supporto dell’HDR.
Per quanto riguarda la probabile uscita si parla di 30 Agosto, molto prima del previsto. Attenderemo novità a riguardo al prossimo E3 di Los Angeles.

FONTE




Shadow of the Tomb Raider: tutti i dettagli

Come annunciato un paio di settimane fa, il nuovo Tomb Raider è stato annunciato ufficialmente, accompagnato da un trailer – purtroppo in CGi – dove cominciare a speculare sul nuovo titolo Eidos Montreal – conosciuti per il reboot di Deus Ex – visto che Crystal Dynamics è impegnata assiduamente su un altro franchise.
Il terzo capitolo Shadow of the Tomb Raider ci porta nella misteriosa terra dominata a suo tempo dalla civiltà Maya, della quale superstiti sembrano esserci ancora oggi. Scorci mozzafiato con le classiche piramidi ma anche piccole cittadine abitate, faranno da contorno alle nuove avventure di Lara Croft, arrivata a un bivio importante.
Da quel che traspare, Lara ha abbandonato la vecchia se stessa, insicura e inesperta per divenire un soldato perfetto, quasi priva di morale e rimorsi dopo aver fatto fuori un nemico. Qualcuno potrebbe pensare – anche leggendo il motto “The end of beginning” – che finalmente siamo giunti alla Croft che abbiamo conosciuto tanti anni fa, eppure c’è qualcosa di diverso. Queste sensazioni però, andranno approfondite sicuramente più avanti; quel che sappiamo è che l’archeologa cercherà vendetta nei confronti di Trinity, l’ordine che da tempo immemore, ha come obbiettivo quello di governare il mondo. Ma ci sarà anche un’apocalisse Maya da scongiurare.
Shadow of the Tomb Raider sarà un’evoluzione di quanto sviluppato finora, ma l’esperienza del nuovo team porterà sostanziali novità: probabilmente verrà dato maggior risalto alle fasi stealth, interagendo con l’ambiente circostante così da sorprendere i nemici. Proprio l’ambiente potrà essere nostro alleato e, a quanto promesso, sarà il più ricco e interattivo della serie. Vengono introdotte anche sezioni subacquee esplorative che fanno pendant a una nuova e più complessa ricerca delle tombe Maya.

Rilasciate anche informazioni sulle edizioni che troveremo nei negozi: Standard Edition, Collector’s Edition, Croft Edition, Digital Croft Edition, Digital Deluxe Edition e la versione Steelbook. Tra i contenuti speciali, per gli amanti dei collezionisti, l’immancabile action figure di Lara, un apribottiglia a forma di piccone, una torcia, colonna sonora su CD e, in game, tre nuove armi e nuovi costumi.

Insomma: Shadow of Tomb Raider potrebbe riservarci moltissime sorprese, a cominciare dalla narrazione che vedrà la protagonista compiere scelte “azzardate” e l’ambientazione, che potrebbe regalarci alcune delle più belle immagini di questa generazione. Attendiamo dunque il prossimo E3 per vedere del gameplay fatto e finito.




Come Football Manager ha cambiato il calcio

In passato vi abbiamo accennato dell’impatto dei giochi di calcio sullo sport vero e proprio: per esempio, calciatori come Cristiano Ronaldo studiano le proprie mosse su Fifa. Ma il titolo di Eletronic Arts non è l’unico nel genere a vantare un uso a livello professionistico. Infatti Football Manager viene usato sempre di più dagli addetti ai lavori, sia per quanto riguarda lo scouting, che per il cosiddetto match analysing.

Partiamo dagli scout, settore dove il titolo di Sports Interactive eccelle: ogni anno si segnalano giovani dal grande talento, i cosiddetti wonderkid, e non potrebbe essere altrimenti, visti gli oltre 1.300 scout che tengono d’occhio 2.200 squadre in 51 nazioni, per un totale di oltre 650.000 giocatori visionati. Per far capire la grandezza della rete di scouting di Football Manager, basti pensare che un club di prima fascia e di grande disponibilità economica come il Manchester City impiega solamente 40 scout in tutto il mondo!
Risulta incredibile la grande efficacia della rete nel prevedere l’impatto di giovani calciatori nella realtà: giocatori come Paul Pogba, Kylian Mbappè, e l’italiano Gianluigi Donnarumma venivano segnalati come wonderkid già dalla loro permanenza nei settori giovanili delle squadre, o in club minori: tra gli esempi massimi abbiamo la storia di Robert Lewandowski, attuale bomber del Bayern Monaco, che in Football Manager 2010 poteva essere acquistato per poche migliaia di euro dal Lech Poznan. O come non parlare di Roberto Firmino, uno dei protagonisti dell’ultima disfatta romanista, scoperto in Brasile da Lutz Pfannenstiel, scout dell’Hoffenheim. E ancora l’incredibile storia di Jon McLeish, figlio di Alex McLeish, attuale allenatore della nazionale scozzese, e al tempo, mister dei Glasgow Rangers: il figlio, che nel gioco allenava il Barcellona, era particolarmente impressionato dai risultati ottenuti da un giovane ragazzo argentino della squadra B, talmente tanto da consigliarne l’acquisto al padre. Jon era convinto che questo giocatore sarebbe diventato il migliore al mondo, ma Alex gli diede solamente una pacca sulla spalla, sottovalutando così il consiglio del figlio su un certo Lionel Messi

Questi sono solamente degli esempi sui giocatori riguardo la potenza della rete di Football Manager, ma ciò si può applicare anche a chi fa l’osservatore di mestiere? A quanto pare sì: l’ex allenatore dello Shangai e dello Zenit San Pietroburgo, Andrè Villas-Boas, ha ammesso di usare il database del titolo per scovare giovani dal grande potenziale quando era un osservatore e non un allenatore a pieno titolo. Come citato da Miles Jacobson, direttore di Sports Interactive, lo scouting ha una parte fondamentale nel calcio odierno, prendendo come esempio la mossa dell’Udinese, che ai tempi acquistò Alexis Sanchez per 50.000 euro dal Colo Colo per poi rivenderlo al Barcellona per 26 milioni di euro.

Ma Football Manager può aiutare anche in altri modi, oltre a servire come eccellente strumento di scouting: Ole Gunnar Solskjær, ex stella del Manchester United e attuale allenatore del Molde, ha citato il gioco come grande aiuto per la transizione da giocatore a mister. Il norvegese è da tempo fan del titolo, grazie alla passione trasmessagli da Jordi Cruyff, figlio del leggendario giocatore olandese. Ma non è l’unico ad avere una passione per il titolo: anche stelle odierne come Antoine Griezmann e Paul Pogba hanno espresso il loro amore per Football Manager, non lesinando particolarità interessanti, come la preferenza che sembrava avere Pogba per la casacca del Chelsea quando giocava ancora nella Juventus.

Eppure, forse le storie più importanti sotto il punto di vista manageriale, restano quelle di Vugar Huseynzade, che da 21enne ha guidato la panchina dell’FC Baku per due stagioni, riuscendo anche a qualificarsi per la fase a gironi dell’Europa League. Senza dimenticare le storie di Paul Wandless, che da cassiere in un supermercato inglese è arrivato ad allenare il Bjerkreim IL, squadra della sesta divisione norvegese. Oppure la recente storia di Kevin “Lollujo” Chapman, allenatore “virtuale” del Nuneaton, squadra che disputa l’equivalente inglese del campionato di Eccellenza.
Tutto ciò potrebbe anche dare il là alla partenza di Football Manager come e-sport, grazie anche al recente torneo organizzato da Bidstack, che mette in palio 15.000 sterline e la possibilità di allenare le leggende del Norwich contro le leggende dell’Inter, torneo che ha visto la partecipazione dell’italiano Filippo Ballarini, purtroppo fermatosi agli ottavi di finale.

Chissà, magari queste storie potrebbero gettare le basi per il primo vero allenatore formato dal gioco. Vista la collaborazione che vige dal 2015 tra Sports Interactive e Prozone (ora STATS), società che analizza le statistiche dei giocatori in campo, Football Manager ha tutte le carte in tavola per diventare non solo un gioco, ma un vero e proprio strumento tecnologico per l’analisi statistica e per lo scouting calcistico. Con buona pace del signor Haddington, che, anni e anni fa, si è visto rispondere picche dal West Ham United, poco dopo l’esonero di Harry Redknapp.




Extinction – Processo per Direttissima

Dopo aver giocato, streammato e recensito Attack on Titan 2, mai ci saremmo aspettati di mettere le mani su titolo tanto simile quanto diverso e capace di farci apprezzare ancor di più quanto prodotto da Omega Force. Extinction di Iron Galaxy, software house specializzata in consulenza tecnica e porting, risulta essere un minestrone di elementi presenti in altre produzioni, dal già citato Attack on Titan a Shadow of the Colossus, in cui alla fine nulla sembra funzionare a dovere.

Isayama chi?

I Ravenii, un popolo costituito da orchi di varia natura, stanno mettendo a ferro e fuoco gli ultimi avamposti umani, ormai costretti a vivere nella paura di essere annientati definitivamente. Alcuni di questi “orchi” raggiungono dimensioni spropositate, in grado di distruggere in un sol colpo intere città. Sarà Avil, ultima Sentinella rimasta, a difendere quel che resta dell’umanità. Questo è in sostanza l’incipit di una trama raccontata attraverso cutscene animate con discreta qualità e alcuni dialoghi presenti soprattutto all’inizio di ogni missione. Lo spirito del mangaka di Attack on Titan è ampiamente visibile, ma Extinction non cerca nemmeno di nascondere la propria mancanza di originalità. Tutta la narrazione risulta alquanto scialba, basata su cliché dal sapore amaro, e avanza senza picchi particolari fino alla sua conclusione. Le storie di Avil, della sua compagna d’armi e del suo clan sono davvero poco approfondite, quanto basta per far proseguire le vicende, della durata di circa otto ore.
A far da contorno alla campagna principale sono presenti alcune modalità basate sullo sfruttamento delle classifiche online, costituite dal punteggio ottenuto in ogni missione: Sfide del giorno, Sopravvivenza ed Estinzione non sono comunque sufficienti a portare quella varietà che tanto servirebbe a questo titolo.

E quindi?

Ricordando che si tratta di un titolo dal prezzo di ben 60€, quello che Extinction ha da offrire in temini di gameplay è veramente basilare. Le varie missioni, generate automaticamente la maggior parte delle volte, utilizzano pochi asset, dalle quali deriva una certa ripetitività. Ogni missione presenta obbiettivi secondari diversi che, una volta raggiunti, aumentano il punteggio base, premettendo quindi di acquistare i tanto agognati potenziamenti. Che poi agognati mica tanto, perché è possibile terminare la campagna con Avil fresco fresco di ritorno dalle battaglie, e questo segna uno dei tanti punti dolenti del gioco. Il gameplay risulta poco equilibrato, sia per quanto concerne la difficoltà sia per quanto riguardo i Ravenii che dovremmo affrontare: la loro particolarità sta nel possedere set di armature uniformi o costituite da pezzi provenienti da diversi set. Ogni armatura ha il suo punto debole ma la loro posizione e tipologia estremamente randomica rende la difficoltà di alcune missioni mal gestita, diventando troppo semplice o proibitiva in base al tipo di Ravenii apparso. Se questo elemento risulta, in fin dei conti, l’unico spunto di varietà concesso dal gioco, è anche vero che la frustrazione è sempre dietro l’angolo, con la sensazione di non aver alcun controllo su quanto stia avvenendo.
Ma come si abbattono questi giganti? Essenzialmente la procedura è comune per tutti i Ravenii: ci si dirige verso l’obbiettivo, si mozza la gamba per bloccarne l’avanzata, si fa in modo che la barra di esecuzione della nostra arma si riempia, si mozza loro la testa e avanti un altro. Se nella prima ora di gioco tutto questo può risultare a tratti esaltante, ci si accorge subito che non basta trovarsi davanti una manciata di armature diverse per creare grosse difficoltà – a patto di non trovarsi nelle frustranti Tower Defense – e non aiutano di certo Avil e il suo risicato moveset o la gestione delle collisioni e della fisica; tutti questi elementi creano un certo disturbo, rendendo il gioco difficile per i motivi sbagliati. Poiché un Ravenii è capace di uccidervi in un sol colpo – e volendo ci sta – non sono state studiate adeguate contromisure: la schivata per esempio va bene per i più piccoli ma contro i giganti è essenzialmente inutile.  Vi capiterà di morire anche senza esser toccati (e non c’entra l’onda d’urto) trasformando il gioco in un trial & error senza sosta.
Anche i movimenti, benché fluidi, a volte risultano problematici: siamo sì in grado di muoverci tra i tetti, scalare edifici e balzare in aria ma, anche qui, sarà il caso a decidere dove e come atterrerete. Se non volete chiamarlo “caso”, potete chiamarlo “estrema imprecisione di input dei comandi”.

Non vale la candela

Lo stile adottato ricorda da vicino quanto visto in Fortnite, con un cel-shading ben fatto e soprattutto molto pulito. Tutto risulta abbastanza fluido e senza problemi particolari: sicuramente la loro esperienza è stata ben sfruttata, portando un gioco senza problemi rilevanti; texture, shader e luci sono di buona qualità ma senza toccare picchi particolari; solo un po’ di pop-up qua e là, ma nulla che comprometta l’esperienza di gioco.
Meno rilevante è il comparto audio che non si avvale di effetti sonori particolarmente suggestivi e il doppiaggio (inglese) solo discreto.

In conclusione

Extinction è in fin dei conti una bozza di un gioco che chissà, magari in futuro troveremo sugli scaffali. Le poche buone idee sono prese in prestito da altre produzioni, che non è un male di per sé, ma non aggiunge nulla di proprio per dare quel tocco di originalità che serve. Storia banale, gameplay abbozzato e a tratti frustrante sono avvolti da un comparto tecnico sufficiente ma che non solleva particolarmente le sorti del lavoro di Iron Galaxy.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Unavowed, una delle avventure grafiche più ambiziose degli ultimi anni

Wadjet Eye Games. Questo è il nome della software house che sta lavorando da anni a un punta e clicca che potrebbe dare una ventata d’aria fresca al genere che, superata la sua epoca d’oro, negli ultimi tempi stenta ad affermarsi anche sulla sua piattaforma nativa, ovvero il PC.
Unavowed, oltre a essere il progetto più grande a cui Wadjet Eye abbia mai lavorato, cerca anche di discostarsi dall’avventura grafica tradizionale, che consiste in una trama già “preconfezionata” e quindi statica, completabile in poche ore. Il gioco di Dave Gilbert (fondatore della compagnia) non ha nulla di tutto ciò.

Si ha innanzitutto la scelta del personaggio principale, che può essere un agente di polizia, un barista o un attore; ognuno con diverse abilità speciali e con una diramazione diversa della storia di base. Il protagonista scelto verrà posseduto da un demone, il cui obbiettivo sembra essere quello di spargere violenza e distruzione per tutta New York. La sua vita da allora verrà completamente stravolta: ricercato dalla polizia, senza casa, nè famiglia, nè amici. C’è un solo modo per liberarsi dell’entità malvagia e tornare a vivere normalmente: unirsi agli unavowed (letteralmente, gli inconfessati), un’antica società atta a combattere le forze del male.
Un’altra peculiarità è quella di poter scegliere un secondo personaggio, a scelta tra quattro, che entrerà a far parte del nostro party. Ognuno di loro ha abilità, debolezze e tipi di dialogo unici, che porteranno a una risoluzione degli enigmi proposti ogni volta diversa, a seconda del compagno scelto; il tutto contornato da ben 125 possibili scenari. Tutto questo porta il giocatore a ricominciare più e più volte, trovando sempre qualcosa di diverso.
Uno degli scopi che Gilbert vuole raggiungere con questo titolo è quello di evitare lo spoiler totale del gioco, anche vedendone gamplay e streaming vari prima dell’acquisto, e al contrario, invogliare a chi ha visto quei video a giocare comunque per scoprire cos’altro c’è da vedere.
Unavowed verrà rilasciato quest’anno su Steam in data da definirsi, e se tutte le premesse date rimarranno invariate, potremmo forse assistere alla nascita di un pioniere di una nuova generazione di punta e clicca.




Suicide Guy

Dopo l’uscita di videogiochi quali Woodle Tree The Adventures e Woodle Tree 2, la software house milanese, Chubby Pixel Company, ritorna con un nuovo titolo: Suicide Guy.
Si tratta di un action-puzzle game in prima persona che si propone in maniera originale, ponendosi fin dal titolo come un “suicide simulator“.
All’interno del gioco vestiremo i panni di un uomo grassottello che, in un certo senso, poltrirà sul divano per tutta la partita. Il gioco inizia dopo che il nostro personaggio si sarà addormentato lasciando cadere una bottiglia di birra. Noi avremo l’obiettivo di svegliarlo prima che la birra cada sul pavimento e, per centrare la nostra missione, dovremo completare una serie di mini-livelli, 24 in tutto.

Dopo aver terminato il tutorial, ci ritroveremo all’interno di un fast food, che rappresenta l’hub di gioco, ed è lì che si svolgerà il gameplay. Saranno presenti 24 tavoli sui quali spawnerà una miniatura del livello da superare. La complessità risolutiva dei livelli aumenterà gradualmente, ognuno è ben strutturato, con un level design di rango e alcuni di essi fanno riferimento a titoli famosissimi, come Jurassic Park, Mario Bros, Portal e altri ancora. Ogni livello ha anche un obiettivo secondario, quello di trovare una statua d’argento raffigurante il nostro avatar, mentre l’obiettivo primario sarà quello di uccidere il nostro personaggio.

Il gameplay proposto dalla software house italiana è basilare ma efficace, gli enigmi non risultano molto impegnativi, permettendo di superare i livelli in circa quattro ore. Suicide guy è un buon campo per i cacciatori di trofei, alcuni anche fin troppo semplici (per ottenerne uno ci basterà mangiare delle ciambelle), ma presenta un buon level design che tiene lontana la noia.
Il titolo presenta una grafica abbastanza semplice, con modelli non sono molto elaborati ma gradevoli; sfortunatamente alcune parti dell’ambientazioni risultano monche, anche se in piccolissimi punti, ma per fortuna piacevoli, grazie anche a un art-style cartoonesco ben curato. L’audio è molto orecchiabile e originale, e la possibilità di poterlo disattivare tramite una radio presente in ogni livello è una trovata a dir poco meravigliosa.
Un neo sicuramente rilevabile sono i non pochi glitch che ricorrono nel titolo e vari cali di framerate su PS4, ma per fortuna non intaccano in maniera rilevante la godibilità del gioco.
Tirando le somme, il titolo presenta pregi e difetti, ma il team di sviluppo ha certamente fatto un buon lavoro, rendendo Suicide Guy un buon indie proposto a un prezzo di lancio più che congruo (8 € su console, 5 € su Steam) che riesce a tener lontano il giocatore dalla monotonia con alcune ore di divertimento.




La questione scelte nelle storie interattive

Partendo dalle prime avventure testuali, fino ad arrivare ai moderni giochi di ruolo, la storia è sempre stato un punto focale per il giocatore. Grandi colossi come Bioware hanno sempre puntato su di essa, così come, nella scena indie, è più presente una maggiore sperimentazione dello storytelling.

Ma come si fa a creare una storia interessante per il giocatore? Ce lo spiega Cash DeCuir, ex scrittore di Failbetter Games, in una lunga intervista concessa al sito Gamesindustry.biz

«Il grande segreto è che il giocatore sarà sempre indirizzato da dei binari, visto che si potrà offrire solamente un certo margine di libertà. Ma la cosa importante è dare al giocatore una domanda alla quale potrà rispondere, oltre che fargli riflettere su di essa lungo tutto l’arco della storia.»

DeCuir prende due giochi come esempio: uno è 80 Days degli Inkle Studios, mentre l’altro è Over The Alps degli Stave Studios, entrambi giochi con lo stesso tema focale, ovvero il viaggio. Il primo aggiunge un’anima steampunk alla scommessa di Phileas Fogg ne Il Giro del Mondo in 80 Giorni di Jules Verne, mentre il secondo si concentra di più nella traversata della catena montuosa che separa l’Italia dalla Francia.

«Sono entrambi giochi dove puoi scegliere la tua rotta: in 80 Days puoi decidere se visitare Parigi o Cambridge, e vieni posto davanti a una pletora di scelte, ma si sa che, alla fine del giorno, tutte le strade portano a Roma. Sono le decisioni prese lungo la strada che fanno il viaggio, ed esse si basano tutte sul creare abbastanza opportunità da dare al giocatore, così da far sentire sia le loro scelte fatte che la libertà di rispondere a certe domande in molteplici modi.»

Ma una sovrabbondanza di opzioni non equivalgono automaticamente a un gioco con un’ottima storia: esistono casi dove alcuni titoli aggiungono più scelte solamente per far sentire al giocatore di esser parte della storia.
Per esempio, un’avventura testuale su mobile presenta un protagonista principale
ferito, e il giocatore ha a disposizione due risposte come “stai bene” oppure “cos’è successo?”, ma la risposta del protagonista, in sintesi, è sempre la stessa. Ciò rende il titolo più lineare oltre che inutilmente lungo.
Gli sviluppatori come possono assicurarsi che ogni scelta sia importante ai fini del giocatore? A proposito interviene DeCuir:

«Per riuscire nell’intento, lo scrittore deve scomporre il metodo narrativo in quattro elementi: Il primo è la domanda in sé, ovvero, qual è la scelta che stai chiedendo al giocatore. Il secondo punto è dare un informazione a proposito della decisione da intraprendere, arrivando, infine, alla valutazione delle opzioni e alla scelta. Il terzo elemento, ovvero la valutazione, è quello che ritengo più importante per la costruzione di una relazione con il personaggio. Si, risposte trite e ritrite come “stai bene?” sono importanti, ma gli sviluppatori non dovrebbero limitarsi esclusivamente a esse, altrimenti si trasforma tutto in una partita di tennis, con un continuo botta e risposta.»

È altrettanto importante evitare la forzatura delle emozioni: prendendo sempre come esempio ancora il gioco testuale, il personaggio chiede al giocatore come preferisce essere presentato, se come migliore amico o come cugino. Scegliendo la seconda opzione, l’NPC viene ferito dalla risposta, perché credeva in una relazione più intima con il giocatore. Se quest’ultimo non sente nessun legame con il personaggio del gioco, una risposta del genere può minare il suo interesse verso il gioco.

«Ci saranno sempre persone che odieranno i tuoi personaggi, non puoi basarti sul giocatore che deve tassativamente farseli piacere: quando detti le risposte emozionali, chi gioca è destinato ad avere più controllo rispetto ai personaggi dell’opera. Si possono avere sensazioni infinite su tale soggetto, per questo non sta allo scrittore decidere se li ami oppure no: si dovrebbe, invece, puntare sul costruire una storia con essi, e se sbocciasse una relazione, dire esattamente come ci si sente, così da rifletterlo all’interno del gioco, sia in positivo, che in negativo.
È questo il trucco: analizzare bene le scelte
e assicurarsi di soddisfare i quattro elementi citati in precedenza per assicurarsi che il giocatore abbia un’esperienza divertente e accattivante. Se si riesce a dare un’esperienza così credo che al giocatore poco importi della linearità della storia, visto quanto ne è intrigato.»

Fra i tanti modelli di narrazione trova particolarmente spazio anche quello legato alla moralità, dove gli sviluppatori presentano un sistema di scelte positive o negative. Secondo DeCuir questo sarebbe un sistema da evitare, se si vuole dare al giocatore abbastanza libertà pur restando tra i binari della storia. Ed ecco perché:

«Il punto è che quando il giocatore ha la possibilità di rispondere a una domanda e compiere la sua scelta, non cerco di dargli agganci verso una delle due opzioni. Voglio dire che, in quel momento, si deve avere la libertà di rispondere a una domanda, così da non forzare il viaggio di chi gioca. D’altronde i giochi pongono dei problemi  agli utenti, ma anche delle soluzioni per risolverli: abbiamo un obiettivo, e la meccanica del gioco che ci aiuta a perseguirlo, come per esempio, Super Mario che deve raggiungere la bandiera per finire il livello. Invece, su Papers, Please, abbiamo sì l’abilità di interrogare le persone che vogliono accedere ad Arstotzka, controllando i loro documenti e accertandoci che tutto sia regolare, ma abbiamo anche un elemento in più: quello umano. Abbiamo una madre che non vede il figlio da sei anni, ma ha un passaporto irregolare: sceglieremo di seguire l’obiettivo del gioco, quindi far sì che tutto sia regolare, oppure cederemo il passo all’emotività? Questo dualismo crea un’esperienza più appassionante per il giocatore, dove una semplice partita può trasformarsi in un vero e proprio gioco di ruolo.»