Life is Strange: Before The Storm – Episodio Bonus: Addio – See You Space Max

Nel mondo degli Indie, Life is Strange si è già conquistato un posto tra i cult dell’ultimo decennio, riuscendo a tessere una perfetta trama che lega i vari personaggi, prima ancora di essere un teen sci-fi ben strutturato. Il lavoro di Deck Nine è riuscito a interfacciarsi perfettamente ai giocatori, con storie e personaggi credibili e capace di rispondere al pensiero che almeno una volta nella nostra vista abbia fatto, ovvero cambiare una nostra scelta passata qualora ne avessimo la possibilità. Tolta la componente sovrannaturale e persino la protagonista Max, il prequel Before the Storm è riuscito a innalzare ulteriormente il valore del lavoro del team, dimostrando che il titolo può autosostenersi grazie alla sceneggiatura e la messa in scena.
In esclusiva per i possessori della Deluxe Edition dell’ultima fatica di Deck Nine, arriva questo episodio bonus denominato Addio, il cui tutto sarà incentrato sull’ultimo saluto tra Maxine e Chloe, prima del ricongiungimento nella saga originale. Questo ulteriore prequel è un capitolo particolare ma nonostante ciò, riesce ad aggiungere un bellissimo pezzo del puzzle al già stimato Life is Strange.

The Maxine show

Addio è un episodio interamente incentrato sul legame fraterno tra Max e Chloe, prima che tutto venga sconvolto dagli eventi che noi giocatori conosciamo ma che è meglio non divulgare per evitare spoiler. Il giorno peggiore della vita di Chloe viene vissuto dal punto di vista di Max, in un percorso abbastanza guidato rispetto ai precedenti capitoli ma non per questo banale: il valore dei rapporti è e resterà una componente fondamentale delle vicende e, nonostante sia un episodio della durata di circa un’ora e mezza riesce a suscitare fortissime emozioni – a volte contrastanti – in eventi di cui comunque siamo a conoscenza. Si viene a creare così una netta distinzione tra “raccontato” e “vissuto”, una differenza presente costantemente nelle nostre vite ma a cui non facciamo caso, ed è proprio questa la forza di Life is Strange: un punto di vista esterno rispetto a episodi di vita che la maggior parte di noi ha vissuto, riesce a far riflettere sulle nostre scelte, desideri e conseguenze. Un’opera formativa che, sfruttando storie che a un primo sguardo possono risultare banali, permette una crescita personale che ben poche opere videoludiche e non riescono a ottenere. La differenza è data dal come si racconta una storia, non dalla storia stessa.
Ma veniamo al punto focale delle vicende. L’intero episodio è ambientato a casa Price, nell’ultima manciata di ore prima del punto di non ritorno. Il pretesto della “pulizia generale” della stanza di Chloe, ci permette di fare una gita tra i ricordi e aggiungere elementi narrativi precisi che impreziosiscono la caratterizzazione dei personaggi: l’ammissione alla Blackwell da parte di Chloe e i suoi altissimi voti a scuola, la spensieratezza fanciullesca e i tratti distintivi della prima Maxine, insicurezza e amore per la sua seconda famiglia. Fa un certo effetto vedere il duo prima dei profondi cambiamenti che stanno per arrivare, soprattutto in Chloe, solare, giocosa e con l’ottimismo in poppa.
Una volta trovato un vecchio album di disegni, partirà una caccia al tesoro che sarà ben più di un semplice gioco tra due amiche.

Un tesoro per tutti

Questo episodio è un’immensa allegoria: Max e Chloe stanno per dirsi addio ma c’è ancora il tempo di fare un viaggio, approfittando di un gioco iniziato ben cinque anni prima. L’intera caccia al tesoro che ne seguirà non è altro che un pretesto per porre una prima pietra sulle proprie convinzioni personali, in una realtà velocemente mutevole come quella dell’adolescenza. Sul piano del gameplay non si presentano grosse “fatiche”, tutto risulta scorrevole, il focus del gioco si sposta sui pensieri di Maxine e sulle sue titubanze; il tesoro dunque, una volta trovato, avrà tanti significati per il duo, e servirà da perno della discussione principale che si apprestano ad affrontare.
Questa giornata passata assieme a Chloe, come detto, è molto importante: per la prima volta – approfittando delle informazioni già acquisite nella pentalogia originale – possiamo assistere alle prime “rotture” nella vita della Price, che per sua sfortuna avvengono quasi tutte nello stesso momento. Se fino a oggi abbiamo solo potuto immaginare e speculare riguardo le ragioni della sua indole e delle sue azioni e reazioni, vivere questi momenti fa nuova luce sulla sua caratterizzazione, completando il quadro sulla sua psiche. Come ci ha abituati Deck Nine, in Life is Strange, abbiamo a che fare con personaggi plausibili e reali, con problemi e pensieri che hanno il tratto della quotidianità. Questo “tornare indietro” nella vita di qualcuno è ben più di un semplice flashback: in questo capitolo bonus possiamo sentire il peso non solo delle nostre azioni ma anche quelle degli altri personaggi, rendendo tutto tangibile e drammaticamente vero.
Unendo tutte le tessere del puzzle, dunque, avremo una visione più chiara delle due opere principali precedenti e questo, senza dubbio, spinge a rigiocare entrambi, magari riscoprendo il valore di piccoli gesti a cui, forse, non abbiamo dato il giusto peso.

In conclusione

Questo episodio conferma la qualità e soprattutto la passione che Deck Nine ha mostra nell’intero progetto di Life is Strange. Anche se le vicende raccontante in Addio erano già di nostra conoscenza, lo spaccato della vita di Max e Chloe prima degli eventi tragici, fa una bella luce sul loro passato: vedere Chloe leggiadra e sorridente è un momento unico, lieto ma, al contempo, un po’ triste quando pensiamo a lei come co-protagonista nell’originale Life is Strange. Addio è dunque un bel regalo per tutti i fan e chiude il cerchio su un lavoro che aspetta la sua prosecuzione con l’attesissimo secondo capitolo.




Ancient Frontier

Ancient Frontier è uno sci-fi ruolistico, uno strategico a turni con caratteristiche GDR sviluppato da Fair Weather Studios, già creatori dello sfortunato Bladestar. Sin dal primo impatto, troveremo un menù principale ben strutturato, comprensivo anche della “lore” che ci introdurrà al mondo di gioco.
L’umanità era sull’orlo dell’estinzione, finché non venne creata la compagnia dei Tecnocratici. Quest’ultimi riuscirono a ristabilire l’equilibrio con scoperte in ambito tecnologico e con la colonizzazione di Marte, che portò alla rinascita dell’umanità. La compagnia riuscì, inoltre, a scoprire i segreti dietro i viaggi interstellari, che portarono ricchezza e prosperità al genere umano. Questo portò alla creazione di ordini quali la Human Federation Star Force, la qualeprese il comando di Marte e che iniziò la costruzione di innumerevoli navi.
Per la costruzione di quest’ultime sono necessari a loro volta materiali quali la proto energy e l’hydrium, che si trovano solamente nello spazio profondo. Per svolgere la ricerca di questi materiali venne creato l’ordine dei Corporate Mining Station.

Nella modalità storia, che presenta più slot per i salvataggi, ci ritroveremo a dover scegliere due differenti campagne di gioco. Nella prima, chiamata Alliance Campaign, vestiremo i panni di uomini alla ricerca delle ricchezze dello spazio.
Nella seconda, chiamata Federation Campaign, vestiremo invece i panni del comandante della flotta protettrice di Marte e, in entrambe le campagne, dovremo difenderci dai pirati spaziali che cercheranno di derubarci e ucciderci.
All’interno del single player, sono presenti tre difficoltà strutturate in relazione del livello del giocatore.

Avremo 2 tipi di missioni: le principali (che trattano la lore) e le secondarie. Le missioni secondarie hanno tre tipologie di avventure. Nel primo tipo ci ritroveremo a dover sconfiggere i pirati, nel secondo dovremo raccogliere le varie risorse sparse nella mappa e nell’ultimo il nostro obiettivo sarà quello di raggiungere una zona prima di un tot di turni.
La storia viene raccontata tramite dei dialoghi disposti su un “menù a tendina” prima di ogni missione. La trama non è molto densa ma, fortunatamente, in videogame come Ancient Frontier altri fattori possono egregiamente compensare. Durante il nostro gameplay, la mappa di gioco sarà rappresentata da un’enorme “scacchiera”, la mappa è divisa blocco per blocco da esagoni che delimitano le caselle dove poter spostare le nostre pedine. Una caratteristica del titolo che ci ha fatto storcere il naso è l’impossibilità di poter scegliere, durante i turni, l’ordine di attacco delle proprie unità. Questa caratteristica allontana il titolo dalla sua componente strategica. All’interno del campo da gioco, saranno presenti degli asteroidi che possono sia ripararci dal fuoco nemico, sia ostacolarci durante i nostri movimenti.

Uno dei grandi vantaggi di questo titolo è la modesta varietà di personalizzazione. Infatti, prima d’ogni missione, potremo scegliere la composizione della nostra flotta dotandola, quindi, di navi di ricerca, d’assalto, di supporto ecc. Il titolo presenta una sezione di gestione per le risorse, navi, ricerche e missioni. Le caratteristiche GDR si vedono  nelle ricerche, che portano all’aumento di determinate peculiarità. Ogni classe di nave ha il suo albero delle abilità nel quale si ha la possibilità di potenziare determinate caratteristiche. Non sarà istantaneo familiarizzare con i comandi di gioco, infatti, bisognerà sforzarsi un po’ a capire la struttura del gameplay, anche perché il tutorial non è estremamente dettagliato ed è sviluppato in sotto-forma d’immagini e dialoghi.
La grafica del titolo risulta pulita e con una buona resa complessiva. I modelli della navicelle sono ben strutturati e abbastanza originali. Mancano una localizzazione in lingua italiana. Infine, il comparto sonoro non è nulla di speciale ma, riesce a rendere le svariate ore di gameplay piacevoli.

In conclusione, Ancient Frontier rappresenta un valido passatempo e un buon titolo per gli appassionati del genere strategico a turni. Il titolo è disponibile su Steam con un rapporto qualità/prezzo ottimo.




Italian Video Game Awards

Il Drago d’Oro cambia nome, veste e location e diventa Italian Video Game Awards. Un tocco di maggior internazionalità, categorie ripensate, platea delle grande occasioni. Dopo 5 edizioni, quella del Teatro della Vetra rappresenta un po’ l’inizio di un nuovo ciclo, una prima edizione di un nuovo corso verso una manifestazione che aspira a un respiro più ampio rispetto a quello limitato all’ambito del Belpaese. La strada da fare è ancora tanta, ma fa piacere vedere come i progressi rispetto al passato non manchino.
La giuria, composta da 12 elementi provenienti quasi interamente dal mondo del giornalismo videoludico, fra testate generaliste e specialistiche e outsider, ha scelto i migliori titoli per ogni categoria dei quali di seguito trovate l’elenco completo:

Game of the Year: The Legend of Zelda: Breath of the Wild

People’s Choice: Horizon: Zero Dawn

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Best Selling Game: FIFA 18

Radio 105 eSports Game of the Year: Tom Clancy’s Rainbow Six Siege

Best Art Direction: Cuphead

Best Audio: Nier: Automata

Best Character: Senua – Hellblade

Best Narrative: Prey

Best Game Design: Super Mario Odyssey

Best Evolving Game: GTA Online

Best Family Game: Mario + Rabbids Kingdom Battle

Game Beyond Entertainment: Last day of June

Innovation Award: PlayerUnknown’s Battlegrounds

Best Mobile Game: Monument Valley 2

Best Indie Game: What Remains of Edith Finch

Best Italian Game: Mario + Rabbids Kingdom Battle

Best Italian Debut Game: Downward

MCV Special Recognition Awardto the most successful individual in the Italian Industry: Davide Soliani, Ubisoft Milan

MCV Special Recognition Award to the most successful Italian company in the world: Digital Bros




Boscotetro sarà la nuova espansione di Hearthstone

Blizzard ha di recente annunciato una nuova espansione per il famosissimo gioco di carte Hearthstone, la quale sarà ambientata nel regno di Gilneas e avrà come protagonisti la razza dei Worgen.
Boscotetro (Witchwood in lingua originale) sarà il nome della nuova espansione che aggiungerà 135 nuove carte e due nuove meccaniche: Eco e Assalto.
La meccanica Eco consentirà di giocare più volte la stessa carta finché non si avrà del mana a disposizione, mentre Assalto sarà simile a Carica (capacità di attaccare istantaneamente appena si gioca una carta) ma consentirà di attaccare solamente le creature e non gli eroi.
La nuova espansione avrà anche una modalità single player denominata Caccia ai Mostri, nella quale potremo scegliere un eroe per affrontare mostri che una volta sconfitti, lasceranno carte che miglioreranno il mazzo a nostra disposizione, consentendoci di proseguire nell’avventura. Questa modalità sarà disponibile due settimane dopo il rilascio dell’espansione.
L’uscita è prevista per metà aprile su PC, Android e iOS e, gli utenti che effettueranno il preordine, riceveranno 70 pacchetti carte dedicati alla nuova espansione al prezzo di 49,99$, oltre a un nuovo modello di dorso.




Twitch annuncia Free Games With Prime: giochi gratuiti ogni mese per gli abbonati

Dopo tanti rumor, twitch ha annunciato il lancio del servizio Free Games With Prime, che offre la possibilità di riscattare gratuitamente una serie di videogiochi inclusi nel nostro abbonamento Prime. Sarà un servizio molto simile alla Instant Game Collection di PlayStation Plus o Xbox Games With Gold, in questo caso però su piattaforma PC.

Al debutto del programma, fissato per il 15 marzo, saranno rilasciati i seguenti videogame, riscattabili entro il 31 Marzo:

  • Superhot
  • Oxenfree
  • Mr. Shifty
  • Shadow Tactics
  • Tales from Candlekeep Tomb of Annihilation

Twitch inoltre ha deciso di rivelare i titoli presenti anche ad Aprile, che sostituiranno la vecchia line-up di Marzo:

  •  Tales from the Borderlands
  •  SteamWorld Dig 2
  •  Kingsway
  •  Tokyo 42
  •  Dubwars

A differenza di molti altri servizi che presentano degli abbonamenti, il servizio Twitch Free Games, darà la possibilità a noi giocatori, di continuare a utilizzare i titoli che abbiamo precedentemente riscattato, anche con l’abbonamento Twitch Prime scaduto.

Approfitterete del vostro abbonamento Prime per riscattarli?




Boo! Greedy Kid

Siete stanchi di tutte quelle grandi storie nei videogiochi degne di un colossal di Hollywood? Se persino un idraulico al salvataggio di una principessa è ancora troppo, allora Boo! Greedy Kid è il gioco che fa per voi! Titolo sviluppato da Flying Oak Games, Boo! Greedy Kid presenta un gameplay che mescola caratteristiche stealth, in stile Mark of the Ninja, e action/arcade, alla Elevator Action o Hotel Mario (non avremmo mai pensato di tirarlo fuori) per dire, il tutto consegnato anche con un bel level editor che apre il gioco a infinite possibilità. Boo! Greedy Kid è uno dei titoli più bizzarri a cui abbiamo mai giocato e il prezzo base di 4,99 € su Steam è sicuramente un bell’incentivo per aggiungere questa singolare opera alla propria libreria.

Nonno, sgancia la grana!

Il gioco sembra ambientato all’intero di una casa di riposo; un piccolo monellaccio si annoia (e come biasimarlo) e per passare il tempo è intenzionato a comprare per sé più lattine possibili della sua soda preferita. Il piccoletto è senza soldi, perciò li recupererà col solo metodo che conosce: far spaventare a morte i vecchietti urlando! Avete capito bene: l’obiettivo di questo gioco è racimolare i soldi spaventando i vecchietti per comprare la vostra soda preferita. Per quanto le premesse siano bizzarre, il gameplay ci si adatta benissimo; dovremmo andare alle spalle dei vecchietti e gridare fino a far perdere loro tutti i soldi, in tutto questo evitando infermieri, poliziotti, guardie con taser, forze speciali e Robot-cop (questo è il suo nome nel gioco e, sì, è esattamente ciò che state pensando). Il gioco ci offre tanti modi per risolvere i 99 stage di cui alcuni dei quali saranno composti da più schermate. I personaggi da spaventare, riconoscibili dal cuoricino sopra la loro testa, presentano caratteristiche diverse: mentre le anziane cadranno giù con un singolo “boo”, gli anziani e gli infermieri, a cui serve un secondo spavento, vi inseguiranno e potranno farvi perdere un punto vita se non li evitate con un’abile capriola o aspettando che raffreddino i loro bollenti animi dietro a un pezzo d’arredamento come una poltrona o una libreria. È consigliabile inoltre spaventare per primi gli infermieri in quanto, nel caso in cui trovino un anziano per terra, correranno in loro soccorso e li rianimeranno, vanificando dunque i nostri sforzi; l’unico modo per passare al livello successivo è ovviamente spaventare tutti gli anziani e raggiungere l’ascensore. Al termine dello stage, se avremmo raccolto tutti i soldi e saremmo arrivati all’ascensore nel minor tempo possibile, otterremo 3 stelle e se le otterremo in tutti i livelli della campagna principale avremmo accesso al miglior finale.

Abbiamo provato anche il level editor, avviabile con un’applicazione separata ma sempre accessibile tramite Steam: dopo esservi iscritti al suo Steam Workshop e aver dato un’occhiata al manuale al suo interno non sarà complesso creare i vostri livelli. I controlli nell’editor non sono molto intuitivi e all’inizio vi potrebbe sembrare tutto molto astruso ma, una volta familiarizzato con l’interfaccia, creare uno stage sarà molto semplice: create i corridoi, collegate le porte, posizionate i NPC, i mobili dove nascondervi, gli abbellimenti per le pareti, organizzate l’incursione delle squadre speciali e dei Robot-Cop… se avete giocato per molto tempo alla campagna principale (e avete un po’ di dimestichezza con titoli del tipo Super Mario Maker) creare uno stage sarà per voi un gioco da ragazzi: i tool dell’editor sono pochi e semplici e l’interfaccia è abbastanza user-friendly. Al momento, visto che il titolo non ha nemmeno un mese di vita, i livelli creati dagli utenti sono pochissimi ma sicuramente presto ci saranno molti livelli da giocare!

Meccaniche contro

L’azione in sé non è male, i controlli sono buoni (ricordiamo che è possibile utilizzare il microfono del vostro headset per triggerare il boo) e non ci sono grossi bug; a ogni modo, il titolo presenta alcune incongruenze a livello di gameplay. La componente stealth è portante in questo titolo, perciò è molto importante sapersi nascondere e aspettare il momento giusto per passare; dopo tutto, se ci buttiamo in un corridoio pieno di poliziotti e Robot-cop (che fra l’altro vi uccideranno con un colpo solo) rischieremo di perdere parte del denaro e dunque finire il livello senza le condizioni richieste per le 3 stelle. Tuttavia le stesse condizioni chiedono al giocatore di chiudere gli stage in tempi solitamente sotto il minuto e dunque, contando anche che ad alcuni serve un secondo boo, vi spingeranno a precipitarvi nei corridoi sperando di non incrociarvi con un poliziotto o un personaggio imbizzarrito. La componente time attack e quella stealth si annullano l’un l’altra e perciò, visto che le 3 stelle si possono ottenere solamente raccogliendo tutti soldi e finire il livello nel tempo limite, il gioco non presenta un gameplay equilibratissimo; non è possibile nemmeno fare due run per ottenere prima l’uno e poi l’altro risultato, bisogna chiudere lo stage con le condizioni richieste in un colpo solo. Avrebbero potuto basare il voto finale sullo stealth, sugli allarmi lanciati dai poliziotti, sulle rianimazioni degli infermieri, dunque su una nostra noncuranza… Insomma tante e tante possibilità che si sarebbero adattate meglio alla meccanica che più fa da pilastro a questo gioco. È possibile tuttavia ricominciare (e non “reinizializzare”) lo stage quante volte si vuole e perciò chi è desideroso di ottenere 3 stelle in tutti gli stage potrà cimentarsi nell’impresa fino a quando non otterrà il massimo risultato.
Un altro problema di Boo! Greedy Kid riguarda le intelligenze artificiali dei personaggi; una buona AI dovrebbe essere imprevedibile ma in questo titolo gli NPC si comportano in maniera incostante. Quando si spaventa un vecchietto o un infermiere ci si aspetta che questi, visto che si arrabbiano, ci vengano in contro per darcele di santa ragione; di conseguenza, aspettandoci una tale reazione, il nostro istinto sarà quello di superarli con una capriola e raggiungere un altro punto della stanza o una porta per andare da un’altra parte. Tuttavia alcuni di loro, anziché venirci incontro nella loro ira, andranno indietro e noi, fiondandoci in avanti con una capriola, finiremo per essere colpiti perdendo parte del denaro. È molto difficile in realtà capire cosa avvenga dopo un boo: andranno indietro? Andranno in avanti? Il gioco è molto inconsistente e ciò si sarebbe potuto risolvere tranquillamente aggiungendo due diverse reazioni: una per la paura, e dunque scappando nel verso contrario, e una per la rabbia. Inoltre gli NPC non si posizionano mai, all’avvio del livello, sempre nello stesso punto e il loro punto di partenza è sempre abbastanza approssimativo.

Uno stile abusato?

A dirla tutta, questo è uno di quei titoli che avrebbe potuto evitare la grafica vintage. Ovviamente non abbiamo nulla in contrario a una simile scelta stilistica (anzi, ci piace molto) però ci chiediamo comunque se fosse la scelta giusta per un gioco del genere; potrebbe anche essere, ma spesso oggi certi art-style paiono abusati e, secondo noi, questo è uno di quei casi. Ad ogni modo la grafica a 8-bit è molto curata: le animazioni sono molto fluide, ogni elemento dello stage è riconoscibile e la grafica, anche in questo stile, restituisce a pieno quello che è il mood umoristico di questo gioco. Forse avremmo visto meglio uno stile che rimandasse alle animazioni più caratteristiche degli anni ’90, come Ren & Stimpy, What a Cartoon! e Mucca e Pollo, però in fondo bisogna ammettere che quello presente nel  gioco funziona ugualmente.
La musica è una vera e propria monelleria chiptune: il tema è ben curato e si adatta a quello che è lo stile grafico. C’è solo un problema per ciò che riguarda il comparto audio: c’è soltanto una sola traccia che parte all’avvio del gioco e vi accompagnerà per tutti i 99 livelli della campagna principale, dall’inizio fino al finale del gioco… E non si ferma mai! Capiamo che il gameplay e gli ambienti rimangono uguali per tutto il gioco e, con buona probabilità, questo gioco è stato prodotto con un budget ristretto ma era così difficile comporre qualche altra traccia per il gioco? Dare un po’ di varietà nei temi è fondamentale e, se giocherete questo gioco con un headset (specialmente per sfruttare la caratteristica del microfono), vi assicuriamo che sentirete questo tema di continuo anche dopo aver smesso di giocare! Se siete in cerca di una bella colonna sonora non la troverete di certo in questo gioco.

Tutto qua?

In definitiva Boo! Greedy Kid non è un cattivo gioco, è ben programmato (nonostante qualche imperfezione), divertente e ha comunque un qualcosa di addicting; il vero problema del gioco risiede nella sua ripetitività. Per quanto bello, curato e longevo, il titolo offre veramente poco. Certo, il suo prezzo è molto basso e forse la grafica tenta proprio di rimandare a un gioco arcade in stile Pac Man o Lode Runner però il gameplay alla lunga risulta poco vario. I NPC, nonostante la varietà stilistica, hanno sempre le stesse caratteristiche, la difficoltà risiede solo nella disposizione di questi ultimi, a volte il titolo si fa un po’ confusionario, il sistema delle 3 stelle è sbilanciato… insomma, si sarebbe potuto fare molto di più. Il level editor aiuta a dare al gioco un po’ di varietà ma le uniche cose che cambieranno saranno i livelli, mai dunque una meccanica nuova o un puzzle solving diverso dal solito. Ci chiediamo se il PC sia la piattaforma ideale per un titolo simile; forse questo gioco sarebbe più adatto alla scena mobile dove potrebbe trovare un pubblico che potrebbe apprezzare di più le sue meccaniche ripetitive. Forse si andrebbe a perdere l’interazione col microfono, il level editor e si dovranno fare degli aggiustamenti per ciò che riguarda la visualizzazione dell’ambiente però, sinceramente, pensiamo che questo titolo sia più adatto a questo mercato.
Tuttavia il prezzo di 4,99 € è certamente congruo e siamo certi che Boo! Greedy Kid potrebbe essere uno di quei giochi da far provare ai vostri amici durante le cene e le serate noiose (pensate solo alle risate per le urla nel microfono).




Dark Souls e la cultura del contesto

Se avete giocato almeno una volta a Dark Souls, fiore all’occhiello della nipponica From Software, sarete sicuramente scesi a patti (come del resto accade con le Fazioni all’interno del gioco) con la sua controversa e dibattuta “non narrazione” o lore (della quale trovate una disamina in questo corposo speciale) che di fatto costituisce una grossa fetta di quella fortuna che lo ha reso capostipite di un vero e proprio sottogenere di giochi di ruolo, quello dei soulslike.
Oltre che a reinterpretare la difficoltà dei tempi passati con un gameplay tanto punitivo quanto gratificante, Dark Souls fa della libera interpretazione il più grande punto di forza, perché è proprio attraverso le speculazioni che la community arricchisce l’esperienza di gioco, donandogli una linfa vitale che si rinnova a ogni discussione.
È però il gioco stesso a richiedere cooperazione da parte del suo interlocutore (inteso come “giocatore”) e su questa impernia il suo significato più profondo. Tutto ciò, in maniera consapevole o meno, può essere relazionato alla cultura d’origine dell’opera ed è quello su cui ci concentreremo qui di seguito.

Analizzandone il linguaggio, possiamo considerare quella nipponica come una High Context Culture (HCC), ovvero quel tipo di cultura basata più sul senso complessivo di una frase che sul significato della singola parola che la compone. Nella lingua giapponese non esiste differenziazione tra maschile e femminile, singolare e plurale; inoltre, i verbi sono coniugati in maniera uguale per tutte le persone ed esistono soltanto due tempi verbali: il “passato” e il “non passato”, il quale racchiude in sé presente e futuro. Tutto ciò evidenzia come il sistema linguistico valorizzi il contesto come chiave di lettura per la comprensione. Tornando a Dark Souls, riuscite a immaginare quanto la lingua di partenza possa creare un allontanamento dalla nostra attuale capacità di interpretazione? Se avete provato un forte senso di alienazione giocando, sì; e se ne siete stati affascinati al punto da sentire il bisogno fisiologico di approfondire, be’, gioite, siete i giocatori perfetti per Dark Souls.
L’appartenenza a una HCC coinvolge in maniera incisiva, oltre che la lingua, anche la sfera personale, influenzando le tradizioni, il linguaggio non verbale e la stessa percezione del tempo. Generalmente, infatti, gli occidentali tendono a vedere il tempo proiettato verso il futuro, in maniera lineare, mentre nella cultura orientale la ciclicità sta alla base di tutto. Chiusa una stagione se ne aprirà una nuova, come in cerchio, esattamente come avviene per le varie ere che compongono la (apparentemente) distorta linea temporale dei vari Souls.
Tornando al linguaggio in relazione alla HCC, i gesti rappresentano, nel gioco di Miyazaki, l’unico strumento di comunicazione tra i giocatori, che interfacciandosi sono riusciti in senso lato a coniare parole nuove e locuzioni, riutilizzate usualmente all’interno della community («Loda il Sole» vi dice qualcosa?); inoltre, si è venuta a creare una forma autentica di galateo (inchinarsi dinnanzi a un nuovo giocatore, soprattutto se ostile, rappresenta sempre il primo passo per ottenere un “leale scambio di opinioni”). Tutto ciò rispecchia in pieno l’idea di tradizione di origine, pur rappresentando di fatto un’innovazione all’interno del mondo del gaming.

Ma Dark Souls è unico nel suo genere?
Solo in parte, perché sono tantissimi i giochi che richiedono una cooperazione simile da parte dell’interlocutore-giocatore. Basti pensare ai giochi del Team Ico, come The Last Guardian e Shadow Of The Colossus (tornato da poco sugli scaffali in veste rimodernata) o più semplicemente all’idraulico più famoso di tutti i tempi: Super Mario.
Quindi tutti i giochi provenienti da una HCC necessitano di interpretazione?
Come in ogni opera (dal cinema alla musica), pensare al contesto sociopolitico e culturale di partenza aiuta a comprendere più a fondo i significati più o meno espliciti, ma la risposta, anche in questo caso, è un parzialissimo “no”. Le eccezioni sono tante in numero proporzionale a quanti sono i giochi appartenenti alla regola. La saga di Resident Evil, ad esempio, meriterebbe un’analisi approfondita, ma in linea di massima riesce bene nell’intento di raccontarsi, probabilmente perché nel tempo ha subito una più profonda influenza da parte del mondo occidentale.

Viviamo in un melting pot di culture, e in questa sede è impossibile non citare giochi non narrati e ad alto contesto di provenienza europea, come lo struggente quanto nostrano Last Day of June, sviluppato da Ovosonico; Inside dei danesi Playdead (dei quali si potrebbe citare anche Limbo); infine anche Little Nightmares degli svedesi Tarsier Studios, come gli stessi Souls distribuiti da Bandai Namco.
Va da sé che questa è solo la punta dell’iceberg: a ragion veduta si potrebbero analizzare miriadi di realtà differenti, soprattutto in un momento così florido per il mercato degli indie game, che spesso fanno del linguaggio visivo una forma d’arte. Puntualizzato che questo articolo voleva soltanto fornire degli spunti di riflessione, rimaniamo al vostro fianco in attesa dell’uscita di Dark Souls Remastered, il 25 maggio su PC, Playstation 4, Xbox One e Switch.

Gaetano Cappello

Carmen Santaniello




Shroud of the Avatar potrebbe arrivare su altre piattaforme

Shroud of the Avatar: Forsaken Virtues, nuovo MMORPG del leggendario Richard “Lord British” Garriott è in uscita su PCMacLinux per il 27 marzo. Ma pare che lo sviluppatore inglese e il team Portalarium vogliano portare il proprio gioco anche su altre piattaforme.

Secondo lo stesso Garriott, il titolo è stato progettato su Unity proprio per la sua versatilità, così da rendere semplice l’espansione verso altre piattaforme. Originariamente il team aveva pensato al mobile, principalmente a un tablet come l’iPad, ma con l’uscita di Nintendo Switch i piani sono cambiati, tanto da considerare quest’ultima un’ipotesi migliore.
Lord British ha dichiarato che, dopo il lancio di Shroud of the Avatar, deciderà insieme al team la prossima piattaforma.




Brothers: A Tale of Two Sons

C’era una volta un regista, esordirebbe questo scritto se fosse una fiaba. Ma questo scritto parla di una fiaba, e tutto sommato quest’incipit può andar bene.
C’era una volta un regista, che girava film indipendenti di buona fattura. Un giorno, nel 2010, venne chiamato da una scuola di Örebro – cittadina svedese che accolse dal Libano la sua famiglia quando aveva soltanto 10 anni – per tenere una lezione in un corso di game design, parlando dalla prospettiva del filmmaker. La lezione ebbe successo, al punto che gli fu chiesto se non volesse cimentarsi ad abbozzare un videogame. Poteva essere un buon passatempo prima del sesto film, un Balls che aveva avuto un’accoglienza più tiepida rispetto a opere come Jalla! Jalla! o Zozo.
Fu così che, in breve tempo, prese forma un mondo fantastico dai contorni immaginifici, sospeso tra l’immaginario dei fratelli Grimm e la mitologia scandinava.
Come ogni fiaba che si rispetti, anche questa non manca di un lieto fine, e fu così che l’idea di Brothers: A Tale of Two Sons, dopo alcuni dinieghi, venne sposata e sviluppata da Starbreeze Studios, per poi trovare distribuzione sul mercato nell’agosto 2013 grazie al publisher nostrano 505 Games.
A pochi giorni dall’uscita della seconda opera di Fares, il cooperativo A Way Out, rispolveriamo una storia dalle forti emozioni e che offre al giocatore, oltre a un gameplay unico, un viaggio per molti versi difficile da dimenticare sul piano visivo.

Padri e figli

Ogni fiaba che si rispetti riserva ai propri protagonisti un sentiero da percorrere.
La storia di Brothers inizia all’ombra di un albero, su un costone di roccia a strapiombo sul mare, con un ragazzino in ginocchio dinanzi a una lapide. Il sospetto che si tratti della tomba della madre trova immediata conferma grazie a un flashback nel quale vediamo la donna annegare in mare, scivolando da una barca durante una tempesta, mentre il ragazzo tenta invano di salvarla. Da quel momento, il piccolo Naiee svilupperà un enorme terrore dell’acqua, e potrà immergersi soltanto aggrappandosi alle salde spalle del fratello maggiore, Naia, con il quale intraprenderà ben presto un incredibile viaggio. I due, infatti – ed è qui che il gioco ha veramente inizio – si troveranno sin da subito a dover portare il padre dal medico del villaggio, che gli diagnosticherà un terribile male, curabile soltanto dalle acque raccolte nel cuore dell’Albero della Vita che si trova dalla parte opposta del regno.

In cooperare in single player

Fin dai primi passi, il giocatore si ritroverà dinanzi a un sistema di controlli totalmente inedito: il tragitto che va dal punto di partenza alla casa del medico è un buon momento per familiarizzare infatti con un sistema che ci permette di governare i due fratelli contemporaneamente sullo stesso pad, ma separatamente con i due stick analogici. Con lo stick destro controlleremo il giovane Naiee, mentre il sinistro ci permetterà di direzionare Naia. L’operazione all’inizio difficilmente risulterà agevole, specie se si vuol andare avanti spediti: i giochi ci hanno abituato a focalizzarci sul controllo di un singolo personaggio, con il quale al massimo ci rapportiamo ai vari NPC e alle intelligenze artificiali, anche in termini cooperativi. Qui dovremo costringerci a scindere abilmente il pensiero, sincronizzando i movimenti per superare i singoli puzzle: ci sarà la necessità di sollevare oggetti pesanti in due, bisognerà muoversi in modo da trasportarli aggirando gli ostacoli, si incontreranno puzzle dove sarà richiesto effettuare in sincrono movimenti totalmente diversi. In tal senso Brothers: A Tale of Two Sons rappresenta un’esperienza musicale: è come imparare un giro d’accordi su un nuovo strumento, la coordinazione fra mano destra e mano sinistra aumenta con la pratica, e il risultato si fa sempre più armonico.
Parimenti, prenderemo confidenza con le singole caratteristiche dei due fratelli e impareremo a sfruttarle nei singoli puzzle in cui incapperemo: il più grande è più alto, più forte, può nuotare (e trasportare il fratellino sulle spalle) e interagire meglio con gli adulti, mentre il minore può adattarsi agli spazi stretti (dove spesso l’altro non passa) e ha maggior empatia con bambini e animali. Muoversi in questa maniera non risulterà complesso, a lungo andare, ma bisogna concedere alla mente il giusto tempo per abituarsi, avere un approccio paziente soprattutto quando, credendo di aver ormai il controllo della situazione, ci si potrebbe trovare a mischiare i comandi e a doverne rapidamente tirare le fila.
Da questo punto di vista, Brothers: A Tale of Two Sons è un vero gioiellino, con un sistema di controlli altamente gestibile, efficiente ed efficace, che fanno gioco a vari puzzle dalle meccaniche elaborate, raramente di difficile risoluzione, ma che mettono alla prova il giocatore in termini di abilità.

Grammelot

Quel che rende straordinario il control system non è soltanto l’aspetto riguardante la gestione dei personaggi nella loro interazione con gli ambienti e nei singoli puzzle. I controlli qui sono una forma di linguaggio, prendere confidenza con la gestione dei personaggi ci mette in relazione diretta con i due fratelli, è il primo mezzo per instaurare un rapporto sinergico tra i character e sentirne anche noi l’affetto, gli attriti, le tensioni, le emozioni. Il legame in tutta la sua profondità, insomma. Un meccanismo fondamentale in un titolo sostanzialmente privo di dialoghi. O meglio, i dialoghi fra i personaggi ci sono, ma non fanno riferimento ad alcun linguaggio codificato o conosciuto. Quel che vediamo nella mise-en-scene di Brothers: A Tale of Two Sons è un vero e proprio grammelot: né voci, né linee di testo, nessun sottotitolo, solo il teatro dei gesti, della mimica e dei versi inscenato in un vasto palcoscenico fiabesco, dove tutto risulta miracolosamente comprensibile, dai dialoghi fra i due fratelli a quelli con i vari NPC che incontreremo nel percorso. Intuiremo i dissapori con un dispettoso ragazzo del villaggio, l’amarezza di un troll a cui è stata rapita la compagna, fino ai momenti di emozione più intensa che si scopriranno nel corso di questo straordinario racconto odeporico.

Echi norreni

Dal punto di vista visivo, non si può non ammirare lo straordinario lavoro del Concept Artist e illustratore Bradley Wright, che restituisce su schermo scenari che sembrano presi a piene mani dai fratelli Grimm in una fantasmagoria di fogliame dai colori tenui, ruscelli abbacinanti, alte vette e orizzonti lontani.
È un libro di fiabe illustrato che prende vitaBrothers, e il suo impatto su schermo è straordinario, con una policromia ben dosata che si stende in immagini eleganti e quiete come un’acquarello; anche nei paesaggi più crudi, dove si rappresenta la ferocia della guerra e dove regnano ormai soltanto morte e silenzio, il tratto dei disegni tende a deformare ogni evento tragico sotto la lente lenitiva del fiabesco, con un effetto di lieve straniamento nei confronti di tutto quel che vediamo.
L’art-style è straordinario sotto molti aspetti, e ci rende facile passare sopra alcuni dettagli tecnici poco curati e certamente perfettibili: del resto è il comparto artistico qui a farla da padrona, e non quello strettamente tecnico.
A far da appropriato corredo alle immagini del gioco è certamente la colonna sonora di Gustaf Grefberg che non risulta mai fuori luogo, ed è anzi curatissima nella sua orchestralità, ma che alla lunga può risultare a tratti monotona nel ripetersi dei principali leitmotiv e nell’eccessivo indugiare su un certo lirismo che dovrebbe invece rappresentare un suo punto di forza. Il comparto musicale ha certamente una sua solidità e supporta egregiamente il divenire della storia, ma all’ascolto solitario non riesce a risultare incisivo nonostante sia certamente ben elaborato.

La perdita, la crescita, la vita

Come tutte le grandi fiabe, Brothers: A tale of Two Sons tratta argomenti importanti attraverso un racconto dai contorni quasi infantili. Ma chi ha letto le storie dei Grimm o di Andersen sa bene che dietro a quel fiabesco stava anche un mondo per niente confortevole, con finali spesso tutt’altro che lieti.
Brothers non fa eccezione in tal senso, ma un finale tutt’altro che lieto non è affatto casuale né a effetto, contribuendo invece alla funzione formativa della fiaba.
Come scrive lo psicanalista austriaco Bruno Bettelheim nel suo Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe: 

«Soltanto uscendo nel mondo l’eroe della fiaba (il bambino) può trovare se stesso; e quando trova se stesso trova anche l’altra persona con cui potrà vivere felice per il resto dei suoi giorni, cioè senza dover più provare l’angoscia di separazione. La fiaba è orientata verso il futuro e guida il bambino. La fiaba è orientata verso il futuro e guida il bambino — in termini che egli può comprendere sia nella sua mente conscia, sia in quella inconscia — aiutandolo ad abbandonare i suoi desideri infantili di dipendenza e a raggiungere una più soddisfacente esistenza indipendente.»

Da Brothers usciamo formati noi, e anche il bambino che è in noi. Brothers è un racconto d’amore – filiale e fraterno – un racconto sulla crescita, sulla perdita e sulla scoperta di se stessi: è un racconto di formazione e, come tale, porta con sé il suo preziosissimo insegnamento.

È una storia intensa e dilaniante, in cui la compenetrazione negli stati d’animo dei personaggi è quasi totale, portandoci a viverne i dolori più intensi. È un viaggio attraverso paesaggi immaginifici e creature fantastiche che in qualche modo gioca con gli emisferi cerebrali, scissi e al contempo in continua interazione, come i due fratelli, un racconto che tende a unire il nostro lato emotivo e il nostro lato razionale, che ci invita a imparare a governarli entrambi e ad armonizzarli, proprio come è necessario per i due piccoli fratellini. Per poter vivere e sopravvivere. È un gioco in cui non si guidano solo Naia e Naiee, ma la nostra stessa mente, che in qualche modo si fa protagonista tramite i due personaggi.
Tre ore scarse, ma estremamente intense in un un titolo che ci insegna l’importanza della cooperazione, anche con quel piccolo fratello (maggiore o minore) che si nasconde da qualche parte dentro la mente di ognuno di noi.




NVIDIA contro il mining: nuove regole per i distributori

La maggior parte degli appassionati di hardware – anche quelli con un lieve interesse nei PC – è ben consapevole del fatto che i miner stanno comprando più GPU che possono per alimentare la corsa all’oro della criptovaluta. I retailer stanno ora fronteggiando  un blocco da NVIDIA, che ha ufficialmente confermato i passi che prenderanno per limitare la fornitura di GPU ai miner e concentrare le proprie GeForce nelle piattaforme di gioco. Mentre NVIDIA ha ricevuto recentemente alcuni problemi per i limiti applicati ai server basati su GeForce, questa nuova politica restrittiva sembra applicarsi a entrambe le categorie delle proprie schede video. GeForce è per i giocatori, mentre Quadro e Tesla sono per professionisti. L’affermazione di NVIDIA è un segno, anche se piccolo, di resistenza verso tutti quei miner che stanno bloccando il mercato delle schede video. Non è un gesto particolarmente rilevante da parte di NVIDIA, ma solo una “raccomandazione” che già aveva fatto ai distributori.

«Per NVIDIA i giocatori vengono prima di tutto. Tutte le attività relative alla nostra linea di prodotti GeForce sono focalizzate sul nostro pubblico principale. Per garantire che i giocatori con GeForce continuino ad avere una buona disponibilità delle schede grafiche GeForce nella situazione attuale, raccomandiamo che i nostri partner commerciali facciano gli accordi appropriati per soddisfare le esigenze dei giocatori come al solito»
(Boris Böhles, NVIDIA GmbH)

Se la promessa di NVIDIA sarà mantenuta, vedremo presto più schede video per i giocatori. Molti, se non la maggior parte dei rivenditori, applicano già alcune variazioni del limite di una GPU per cliente, con scarso successo. Un sacco di schede grafiche non sembrano mai arrivare ai negozi, in primo luogo perchè i miner acquistano direttamente dai distributori o da partner vari. AMD, d’altra parte, apparentemente non può permettersi di reprimere i minatori. Affidarsi all’estrazione di criptovalute per la crescita del business è di per sé un approccio rischioso ma proficuo per AMD stessa poiché molti miner si sono affidati proprio a quest’ultima. Forse questo passaggio da NVIDIA respingerà alcuni cambiamenti positivi, ma sembra senza modifiche dirette alla catena di produzione e di vendita al dettaglio, i giocatori affronteranno delle brutte esperienze riguardo l’aggiornamento della propria scheda grafica per l’immediato futuro, senza contare il prezzo più alto di SSD e DRAM. In ogni caso, il 2018 è destinato a essere un anno costoso per i PC gamer.