Oppaidius Summer Trouble!

Dalle abili mani di Vittorio Giorgi, fumettista italiano, arriva Oppaidius Summer Trouble!, visual novel tutta italiana. Genere videoludico che trova natali in Giappone, in anni recenti ha preso piede anche in Occidente grazie a saghe come quella di Phoenix Wright o il successo di giochi come To The Moon. Il raggiungimento (esuperamento) della cifra necessaria per procedere allo sviluppo vero e proprio di Oppaidius dimostra l’affezione e la passione dei fan, specialmente quelli italiani, verso un genere messo spesso da parte, e che valorizza la narrativa videoludica. Oppaidius – spiega il creatore su Tuttotek –  fonde le due principali passioni del proprio autore, ovvero i fumetti e i videogiochi, e lo fa consegnandoci una storia piccante, dotata di un umorismo simpatico, bizzarro, che non scade mai nel volgare. L’uscita di Oppaidius è prevista per l’autunno 2018 ma intanto, nell’attesa, possiamo avere un assaggio di ciò che sarà l’intero gioco grazie alla demo gratuita presente su Steam.

È una calda estate in una città di mare (con buona probabilità italiana) e noi vestiremo i panni di una persona poco incline a uscire, che preferisce stare a casa a giocare ai videogiochi nonostante l’afa estiva. La quotidianità viene interrotta quando la nuova vicina, Serafina, viene a bussare alla nostra porta per chiedere del latte, approfittando di fare un po’ di conoscenza nel vicinato. Diciamo che da quel momento in poi il nostro protagonista avrà un “determinato” pensiero fisso, anzi due, particolarmente grandi (!!!).
Dopo questo caldo incontro, una boccata di aria fresca a mare insieme all’amico Jimmy sembra essere quello che ci vuole per liberare la mente da “certi pensieri” ma la nostra Serafina si sta rilassando proprio da quelle parti. Vi lasciamo scoprire il seguito.
La demo è molto corta ma in fondo riesce benissimo a dare un idea di ciò che sarà il progetto finale: una visual novel dai dialoghi spiritosi e dai toni erotici e la contempo goffi e ironici. Le scelte di dialogo per la demo sono sicuramente pochine ma sulla pagina Kickstarter si promette una storia di ben oltre 11.000 parole e diverse diramazioni che sicuramente andranno a modificare il finale. L’abilità di Vittorio Giorgi si può già ben notare dalle splendide illustrazioni fatte a mano per una visual novel che si rivela molto promettente: riguardo lo stile grafico dei personaggi, l’influenza manga/anime è lampante, e molto in tono con il genere videoludico, ma in realtà ci sono probabilmente influenze diverse, anche proprie di stili fumettistici occidentalI. L’influenza giapponese c’è e non c’è, ma questo stile di disegno servirà sicuramente a Oppaidius per distinguersi all’interno di un genere videoludico particolarmente dominato dall’art style nipponico. Tutto è disegnato in toni caricaturali, nulla è da prendere con serietà e ovviamente la fantasia dell’artista è viva e arriva a pieno al giocatore.
Quanto il Sol Levante c’entri in questa storia è già annidato nel titolo: “oppai“, infatti, se in giapponese serve a indicare dei seni particolarmente grandi, è una parola usata spesso anche in contesti scherzosi e mai con volgarità, allontanando possibili timori di maschilismo o misoginia all’interno del titolo. E ancora ricordiamo anche che il progetto è una visual novel ecchi, fermandosi tutto dunque ad allusioni sessuali e ammiccamenti erotici non di rado utilizzati anche a scopi umoristici: non ci sarà alcuna scena di sesso esplicito (altrimenti saremmo di fronte a un hentai), ma varie scene di “vedo non vedo” e, tuttavia, un finale “hot” super-segreto. Il gioco andrà quindi accolto con la massima apertura, ed è già adesso una buona occasione per fatersi quattro risate con dialoghi pieni di doppi sensi, autoironia e momenti imbarazzanti.
Un vero e proprio tocco di classe, e chiaramente un tributo, sono i background, la cui grafica richiama quella del Nec PC-9801, popolarissimo computer giapponese noto proprio per aver ospitato diverse visual novel a sfondo erotico, e a tratti anche quella del PC Engine (cui il modello Duo-RX fa anche un’apparizione all’interno della stanza del personaggio).
Particolarissima la colonna sonora composta da Luca della Regina, compositore dello SHMUP italiano in corso di lavorazione Xydonia, e che si avvale principalmente del chip sonoro YM2151, utilizzato nei computer Sharp X68000 e in alcune schede arcade Konami e Sega; i temi sono su uno stile synthpop, a cavallo fra anni ’80 e ’90, perfetti per un’avventura retrò di questo genere, specialmente per la natura “da PC-98” del titolo. Interessante anche il brano Liberty che ricorda a tratti il singolo Boys di Sabrina Salerno… coincidenze? In fondo la cara cantante italiana era “particolarmente rotonda” e il video della canzone in questione particolarmente… Oppai! Infine, il progetto includerà ben 3 guest musician giapponesi di altissimo rango, ovvero Norihiko Hibino (Metal Gear, Zone of Enders, Bayonetta), che ha già rilasciato la preview di un suo pezzo sul canale Youtube di Vittorio Giorgi, Masashi Kageyama (Gimmick!, Sunsoft) e Tsuyoshi Kaneko (Segagaga, Yakuza, Thunder Force IV).

Oppaidius Summer Trouble! dimostra come la scena videoludica italiana sia tuttora in gran fermento e quanto i fan di tutto il mondo siano pronti a supportare game designer italiani come Vittorio Giorgi; gli amanti delle visual novel, i manga/anime ecchi e avventurosi riscopritori dei vecchi PC-98 e PC Engine ameranno sicuramente il progetto e potranno apprezzare di cuore tutta la passione che vi è stata trasfusa. Non possiamo fare altro che augurare il meglio a Vittorio Giorgi per il suo lavoro già pieno di potenziale e che ha coinvolto personalità molto influenti del mondo videoludico. Potrete seguire i risvolti di questo progetto dalla pagina Kickstarter ufficiale, dove è possibile ancora contribuire alla realizzazione, come è possibile scaricare la demo gratuita di questa bizzarra avventura su Steam, non dateci la colpa però se poi non riuscirete a dormire la notte pensando alle giga-boobs di Serafina!




AER: Memories of Old

Una terra frammentata per colpa di un re e di un’aspra guerra e la mistica storia di dèi ed entità malvagie che combattono fra loro fanno da sfondo ad AER: Memories of Old, puzzle-platform indie sviluppato dallo studio svedese Key Forgotten.
La protagonista è Auk, una giovane ragazza che ha intrapreso un pellegrinaggio con il suo maestro verso il tempio della Dea Karah: lì riceverà in dono un potere straordinario, quello di poter trasformarsi in un uccello e librarsi nel cielo.
Così in AER intraprenderemo un viaggio tra le tappe fondamentali dei luoghi di pellegrinaggio delle terre fluttuanti e, insieme ad Auk, scopriremo, grazie a pergamene e incisioni su lastre di marmo, i misteri che si celano dietro la battaglia che ha squarciato la Terra e che ha diviso il mondo in piccole isolette galleggianti.
Durante il pellegrinaggio di Auk, ci imbatteremo in diversi puzzle ed enigmi, che però sono molto elementari e poco avvincenti, ma che tutto sommato riescono a regalare qualche minuto in più di gioco.
Per passare da un isoletta all’altra ci serviremo del potere della ragazza, la quale, trasformandosi in un uccello, riuscirà a spiccare il volo e visitare i vari templi. I comandi sono molto semplici: per PC si utilizzano i tasti WASD per cambiare la direzione, quelli del mouse per virare a destra o a sinistra e SPACE per sbattere le ali. Giunti a destinazione, potremo interagire con alcuni abitanti dei vari villaggi sparsi per tutta la mappa di gioco, i quali ci spigheranno qualcosa in più sulla lore e ci guideranno fino al completamento della quest principale.
Oltre alle pergamene, alle incisioni e ai racconti delle persone che incontreremo, sono presenti anche degli esseri, entità che, con l’aiuto della lanterna ottenuta durante la nostra prima visita al tempio di Karah, si mostreranno a noi e ci racconteranno indirettamente, tramite gesti o didascalie, quel che è accaduto nell’antichità.

Il gameplay è molto elementare, come proprio di titoli esperienziali ed emotivi come Journey o Bound: dovremo solamente viaggiare, leggere e risolvere qualche semplice enigma, goderci l’ambientazione e visitare le varie isolette sparse per la mappa, leggendo i vari miti, il gioco risulterebbe noioso.
La grafica di AER è molto semplice, priva di particolari, un po’ grossolana, spigolosa, ma allo stesso tempo i colori sono parecchio accesi e creano un’atmosfera equilibrata e armoniosa. Nel gioco sviluppato da Key Forgotten non esiste il ciclo giorno/notte, viaggeremo sempre durante le ore antimeridiane, e questo ci garantirà una luminosità costante: il gruppo svedese avrebbe potuto alternare l’ambientazione mattutina con quella notturna, rendendo l’atmosfera fosse stata molto più interessante, anche perché avremmo avuto la possibilità di volare sotto le stelle, ma questa è una mancanza certamente trascurabile.
Il comparto sonoro è curato da Cajsa Larsson, la quale è riuscita a creare una soundtrack che si amalgama perfettamente con l’ambientazione di AER e, in un certo senso, anche alla grafica minimal, con note che avvolgono delicatamente Auk durante il suo breve, ma intenso pellegrinaggio.
Una delle pecche di AER è sicuramente la mancanza di una mappa dettagliata e con i nomi dei rispettivi luoghi: senza indicazioni ci troveremo a vagare tra i vari isolotti senza molti punti di riferimento per orientarci, anche se gli NPC ci indicheranno in che direzione volare per raggiungere un santuario. All’inizio sarà frustrante vagare senza una meta, ma dopo un po’ non sarà difficile trovare un fascio di luce che indica la nostra prossima tappa. Sulla mappa sono presenti solamente i punti cardinali e la raffigurazione delle varie terre che visiteremo, ma questo potrebbe essere immediatamente risolto tramite patch e aggiornamenti vari.

Tirando le somme, AER è un titolo che non ha molte pretese: ti accompagna per ore tra le lande quasi disabitate di un mondo che ha subito il grande trauma dicontinue battaglie, riuscendo a trovare conforto solamente nell’adorazione e nella preghiera, cercando di alleviare ogni dolore e sperando che un giorno tutto il male cessi del tutto di esistere.




Come scegliere un mouse da gaming?

Un mouse da gaming è uno strumento essenziale che ogni PC Gamer deve avere. Offrendo tempi di risposta più rapidi e spesso munito di tasti programmabili via software, un mouse da gaming decente può aiutare a posizionare i vari giocatori verso la parte alta delle classifiche nelle partite competitive. Ma per quale modello bisogna optare? Cablato o wireless? Logitech o Razer? La scelta è francamente difficile senza sapere qualcosa di più sui mouse.  Non temete, in questa guida vi aiuteremo a scegliere il dispositivo perfetto per voi sia a livello di funzionalità che di prezzo.

DPI

DPI sta per dots-per-inch. È una dei primi elementi che si notano quando i produttori pubblicizzano un nuovo mouse e rappresenta l’unità di misura della sensibilità di un mouse. Un DPI alto indica quanto il cursore si sposterà ulteriormente rispetto al movimento della mano. Un DPI basso, al contrario, si sposterà su una distanza più breve. Ogni mouse da gioco ha un intervallo DPI (per esempio 200 – 8000) e l’utente può selezionare un punto intermedio in base ai propri gusti. Un DPI molto alto, da gamer competitivo, può arrivare a 16.000  mentre, la maggior parte dei mouse da ufficio, limita i suoi DPI intorno ai 1000. Gran parte dei giocatori si trova comodo tra 800 e 3.000 DPI ma, col tempo, ci si può abituare a usare DPI più alti. Il vantaggio di avere un numero elevato è che si possono eseguire azioni reattive più velocemente, sacrificando però la precisione. La maggior parte delle persone non si avventurerà in DPI elevati, quindi attenzione a cadere nella trappola “DPI alti uguale a un mouse migliore”. Tuttavia, se si dispone di un monitor ad alta risoluzione (QHD o 4K), l’acquisto di un mouse con DPI alto può essere vantaggioso. Questo perché il cursore ha più pixel da percorrere, quindi i DPI più alti non sembreranno veloci se paragonati all’utilizzo di un display 1080p.

Polling Rate

Il Polling Rate è la frequenza con cui il mouse segnala la sua posizione al computer. Questo è un’informazione importante, perché significa che il cursore riferirà più accuratamente i movimenti del mouse alla macchina. Tuttavia, un alto tasso di polling significa anche che il computer deve lavorare di più per capire dove si trova il mouse, ricevendo più dati al secondo. La maggior parte dei mouse di fascia alta ha un limite di 1.000Hz, il che significa che la posizione viene segnalata 1.000 volte al secondo. Fortunatamente, aziende come Razer e Logitech consentono di cambiare la frequenza di polling in base al nostro gradimento, quindi non bisogna accontentarsi del massimo se si utilizza un computer di fascia bassa. È generalmente accettato che sia difficile distinguere tra 500Hz e 1.000Hz, ma si nota sicuramente la differenza tra 125Hz e 1.000Hz, perché il mouse non esegue movimenti fluidi. Ecco perché il tasso di polling è importante ma, come nel caso dei DPI, un numero più alto non è sempre la scelta migliore.

Tasti Macro

Molti mouse da gaming hanno dei tasti programmabili chiamati macro, utilizzabili in base alle esigenze. Un titolo come League of Legends per esempio, giocato con i macro, è un’esperienza indubbiamente migliore. Questa scelta deve essere ponderata: se non siete sicuri di poterli sfruttare al meglio, allora è preferibile l’utilizzo di mouse classici.

Cablato vs Wireless

Per molti anni, è stato accettato quasi come un dogma che i mouse wireless da gaming non fossero utili per i giocatori professionisti, a causa della latenza o “ritardo” dell’imput. Una connessione wireless è generalmente più lenta di una connessione cablata; questo avviene perché il cavo ha una connessione fissa e stabile, al contrario del wireless che può anche scollegarsi. Pertanto, se un mouse cablato emette segnali al computer a 1ms e un mouse wireless ne impiega 5, è ovvio che la scelta ricada sul cablato. Ma grazie ai progressi della tecnologia, molti mouse wireless ora hanno a disposizione connessioni da 1ms – fondamentalmente istantanee –, tra cui il Logitech G900/903 e Razer Mamba (il team Cloud9 utilizza Logitech G900 nei tornei di Counter Strike: Global Offensive).
Ma esistono anche altri aspetti da considerare: i mouse wireless tendono a essere più pesanti, a causa della batteria a bordo ma allo stesso tempo si hanno meno cavi a infastidire. I mouse cablati, d’altra parte, sono sempre a bassa latenza, indipendentemente dalla qualità. Sono anche più leggeri e generalmente costano meno dei mouse wireless.

LED RGB

I mouse da gaming non riguardano solo le prestazioni: ogni mouse da gaming sia economico e non,  possiede solitamente led RGB con tanti effetti regolabili in base alle preferenze del giocatore. Vale la pena prestare attenzione a quante zone individualmente illuminate, poiché questo determinerà la dimensione e lo scopo della personalizzazione RGB. Se si desidera sincronizzare gli effetti di luce tra altre periferiche, è necessario acquistare prodotti dello stesso ecosistema del marchio. Ovviamente i mouse con led RGB non sono sinonimo di migliore qualità rispetto quelli senza led; anzi molte volte è proprio il contrario, quindi è solo una questione estetica (stessa cosa vale per le altre periferiche del PC).

Impugnatura

Un parametro che molte persone non prendono in considerazione è la postura della mano sul mouse. Ci sono mouse creati per diversi tipi di impugnature o per una specifica. Di seguito illustreremo le 3 impugnature più usate:

Palm Grip

  • L’impugnatura più “classica”: dita e palmo ben distesi sul mouse in modo da poggiare su tutta la superficie.

Claw Grip

  • L’impugnatura ad artiglio: quest’impugnatura utilizza le dita ad arco sul mouse.

Finger Grip

  • Viene considerata una sottocategoria del claw grip, anche se molte persone la ritengono una via di mezzo tra il palm e il claw. A differenza dell’impugnatura claw il giocatore finger grip  tiene le dita meno ad arco, e non poggia la base del palmo sul mouse, ma sul tappetino, toccando il dispositivo solo con i polpastrelli.



Sea of Thieves: una grande opportunità per Rare

Sono passati tanti anni da quando Rare, studio famoso per aver prodotto titoli single player come Banjoo-Kazooie, Conker’s Bad Fur Day Viva Piñata, ha rilasciato l’ultima IP. Sea of Thieves rappresenta una nuova era per lo studio, non solo come  idea (come fu Kinect Sports) ma anche perché Rare si cimenta in un campo del tutto nuovo, ovvero i multiplayer cooperativi. Per lo studio, questo viaggio ha delineato un cambiamento culturale nel cuore dell’azienda:

«Lo studio è stato notoriamente abbastanza riservato. Generalmente annunciamo un gioco con qualche anno di attesa tra uno e l’altro, come Willy Wonka’s Chocolate Factory. Siamo assolutamente trasparenti e comunicativi su tutto quello che stiamo cercando di fare e perché. Penso che i giocatori lo apprezzeranno e vorranno essere parte di questo progetto.»

Questo approccio è importante per lo studio non solo per la natura del titolo, poiché questa è in tutto e per tutto una nuova IP, senza che ci sia stata una base prima da cui partire. Sea of Thieves si appoggia molto sul concetto di streaming su Twitch e Youtube: durante lo sviluppo del titolo nel 2014, le piattaforme streaming non avevano la stessa influenza che hanno oggi. Infatti il titolo nasce con l’idea di risultare divertente sia nel guardarlo che nel giocarlo.

Afferma Craig Duncan, produttore di Sea Of Thieves:

«La nostra idea è stata quella di creare un titolo divertente e coinvolgente che dia la possibilità ai giocatori di controllare le proprie esperienze e i propri viaggi, incoraggiando lo stimolo alla creatività e l’immaginazione delle persone.»

Secondo Duncan, insieme all’implementazione del cross-platform tra Xbox e Pc, il recente annuncio di Xbox Game Pass potrebbe stabilire un ruolo fondamentale per rendere Sea Of Thieves un successo.

«Avere tanti giocatori che giocano a Sea Of Thieves è un ottima cosa, in particolare con una nuova IP come questa. Serve capirli, studiarli per proseguire. Le nuove IP sono veramente difficili da portare avanti, ma d’altronde se fosse stato facile tutti avrebbero potuto farlo.»

Con il lancio risalente a poco più di un mese fa, il pacchetto finale di Sea of ​​Thieves è stato ampiamente definito, anche se il capo del design Ted Timmins afferma che è lontano dall’essere completo e che la roadmap degli aggiornamenti è programmata fino al 2020.




Studiare divertendosi portando a spasso Bayek

Se ci pensiamo bene, in Assassin’s Creed Origins migliaia di piccoli egiziani digitali svolgono il loro lavoro all’interno dell’Antico Egitto riprodotto nel gioco. Raccolgono frutti, trasportano merci, vendono nei mercati, si occupano dei campi e, sì, anche di mummificazioni varie ed eventuali.

Una enorme mole di lavoro per gli sviluppatori, quasi 3 anni di incessante sviluppo e studio per riprodurre così minuziosamente tutto ciò che circonda i giocatori durante il gameplay: gli stessi giocatori a cui, d’altro canto, non interesserà minimamente il contesto del gioco, perché saranno interessati semplicemente a finire il titolo prima possibile scorrazzando a destra e a manca per completare le missioni, raccogliere tesori e far saltare qualche testa qua e là, per poi riposarsi e attendere la prossima uscita della serie.
Ubisoft, ha deciso di rilanciare e promuovere l’immane lavoro dietro l’ultimo AC, rilasciando la modalità Discovery Tour: una versione del gioco senza combattimenti o missioni, che trasformerà Assassin’s Creed Origins in un museo virtuale, accompagnando i giocatori in un tour dell’Antico Egitto tramite circa 75 visite guidate. Modalità che era stata già annunciata lo scorso anno e che sarà disponibile gratuitamente per tutti i possessori del gioco dal 20 Febbraio o altrimenti disponibile per l’acquisto come stand-alone su Steam e Uplay per 20$.

Data la minuziosità con la quale è stato storicamente riprodotto l’Egitto nell’ultimo capitolo della saga degli assassini più famosi del mondo, non ci stupisce affatto l’entusiasmo dello storico di Ubisoft, Maxime Durand, che intervistato da Gamesindustry.biz dice:

«Il Discovery Tour è un sogno che abbiamo da tantissimo tempo. Siamo stati fortunati perché il nostro top management ci ha totalmente supportato in questa iniziativa. Pensiamo che l’enorme quantità di lavoro e dedizione che abbiamo riproposto nell’Antico Egitto debba essere condivisa con il maggior numero di persone possibile. Abbiamo creato un ambiente open world in cui speriamo che il nostro lavoro sulla credibilità (degli usi e costumi oltre che delle  monumentali strutture) consenta ai giocatori di immergersi totalmente all’interno dei vari tour virtuali, perché possiamo condividere più dettagli ed evidenziare il loro vero valore. Per noi è molto stimolante fornire informazioni accademiche  dettagliate su un periodo storico per il quale abbiamo studiato tanto»

Tuttavia la cosa interessante va anche oltre lo studio, la dedizione e la precisione con il quale ha lavorato il Team di Durand, poiché questa nuova chiave di lettura dei videogiochi potrebbe infrangere la barriera di quella che da sempre ha dichiarato incompatibilità con questo mondo: l’educazione scolastica.
Durand, nella fase di produzione del Discovery Tour, ha espresso molto chiaramente al team di sviluppo che gli insegnanti, non avrebbero dovuto avere alcun timore nel mostrare i contenuti di Assassin’s Creed nelle loro classi, permettendo così agli studenti di immergersi nell’Antico Egitto e saperne di più in un modo completamente nuovo, sicuro e interattivo:

«Da diversi anni riceviamo testimonianze da parte degli insegnanti , in cui ci comunicano di stare registrando dei video, sicuri per la scuola, dei nostri giochi per creare il proprio materiale didattico. Ma questa volta, non solo non dovranno temere di mostrare alcun contenuto “pericoloso” ai loro studenti, ma verranno fornite anche ulteriori informazioni accademiche a cura di storici ed egittologi qualificati»

Insomma sarebbe bello vedere un giorno che questa nuova tipologia di interazione tra studenti e videogiochi possa raggiungere anche obiettivi più lontani, come per esempio essere introdotta all’interno di tutti i musei, per raccontare la storia in un modo completamente nuovo, coinvolgente e interattivo. Come è stato per l’evento promozionale del Discovery Tour di AC Origins, avvenuto all’interno del British Museum, data la grossa mole di antichi manufatti egizi presenti al suo interno.
Durand, per concludere, ammette solo di avere una piccola riserva sulla parte “divertente” della nuova modalità che potrebbe andare persa dal momento che il gioco verrà privato di uccisioni e missioni da compiere. Sperando però al contempo di arginare la perdita con l’inserimento di più tour virtuali possibili. In ogni caso non ci rimane che attendere gli ormai pochissimi giorni che distano dal lancio della nuova modalità per tastare con mano quanto affermato dallo staff di Ubisoft. Che sia divertente o meno, l’utilizzo dei tour virtuali attraverso gli usi e costumi delle diverse epoche storiche rappresenterebbe sicuramente un grande passo verso una direzione che in futuro potrebbe cambiare totalmente l’approccio allo studio da parte degli studenti di tutto il mondo.




Fjong

Dallo studio svedese VaragtP, che ha già lanciato su Steam e su mobile giochi come Cooking Witch, (del quale trovate qui la nostra recensione), Plantera e Loot Heroes DX, arriva il super colorato e zuccherosissimo puzzle game Fjong. Come ogni buon indie che si rispetti, Fjong è stato sviluppato da una sola testa, quella di Daniel Hjelm, e ci ha voluto regalare un’esperienza semplice, rilassante ma allo stesso tempo stimolante e intricata.

Impariamo a volare

I Fjong sono delle buffe creaturine con delle piccole ali, che vorrebbero tanto volare ma non ci riescono; tuttavia, nel loro mondo esistono delle caramelle che, una volta ingerite, permettono loro di gonfiarsi come dei palloncini e fluttuare nel cielo insieme agli uccelli! Una volta conosciuta la premessa del gioco ci toccherà dunque impugnare il mouse e far saltare, tramite dei semplici controlli, i nostri piccoli esserini fino al cesto delle caramelle. Col solo mouse controlleremo la direzione e la potenza dei nostri salti e, con molta attenzione, dobbiamo trovare dei modi per indirizzarli nel cesto dei dolcetti; a questo punto, a seconda di quanti salti abbiamo fatto, otterremo delle stelle, tre se riusciamo a completare il livello con meno salti possibili. Arrivare al cesto non è mai troppo semplice infatti spesso dovremo premere dei pulsanti, avere a che fare con travi mobili, molle e adoperare al meglio il terreno per fare dei wall jump o cadere in una fossa specifica. Nel corso dei 20 livelli avremo l’opportunità di liberare altri due Fjong che avranno delle caratteristiche diverse da quello base (cioè quello blu): il rosso sarà leggero e farà dei salti altissimi, mentre quello giallo sarà pesante e salta con molta difficoltà.
Il gioco offre dunque una learning curve molto coerente e piacevole: impareremo col tempo a capire la fisica del gioco, dosare la giusta potenza e a mirare correttamente in modo da gestire al meglio qualsiasi situazione che ci viene proposta. I livelli purtroppo offrono più o meno sempre la stessa soluzione e, se siete in cerca di un gioco particolarmente difficile, Fjong non è certamente quello che fa per voi; anche se saremo in grado di resettare il livello quante volte vogliamo, riusciremo non solo a completare  ogni volta il livello senza troppe difficoltà ma anche a ottenere spesso le tre stelle al primo tentativo o senza mai impegnarci più di tanto e perciò, senza quasi neanche accorgercene, completeremo tutto il gioco nel giro di mezz’ora o addirittura meno! Una volta ottenute tutte le 60 stelle potremmo iniziare a concorrere per le 20 stelle viola, ottenibili completando il livello con il numero di salti indicato in alto a destra (ovviamente il numero di salti di una run perfetta) ma saremo decisamente poco incentivati a giocare una seconda volta, visto che i livelli sono pochi e che, in fondo, Fjong non offre tutta questa rigiocabilità.

Dolce come una caramella

Il gioco mostra una grafica 2D molto colorata, che ricorda molto il disegno a pastelli di un bambino. Le animazioni, sia dei Fjong che delle farfalle in background, sono buone e non c’è molto da commentare; unico difetto del comparto grafico è il taglio del gioco sullo schermo. In molti, proprio per questo particolare taglio dello schermo, potrebbero pensare che Fjong sia uscito prima sugli smartphone ma in realtà, al momento, questo titolo è solamente disponibile per PC; probabilmente VaragtP ha in mente di portare il gioco nel mercato mobile prima o poi e perciò avranno voluto alleggerirsi il carico di lavoro semplicemente evitando di rimodellare la schermata gioco per gli schermi dei PC, tanto è vero che la grafica, in fondo, non ha tutta questa gran risoluzione (così che anche il computer più debole possa fare girare il gioco senza alcun problema). La musica, composta da Marky Spark, ammicca a un jazz/r&b, molto soft e rilassante, ideale per mettere i giocatori a loro agio e per non arrabbiarsi troppo quando si sbaglia qualche salto; tuttavia sono presenti solo pochi brani e, anche se il gioco è abbastanza corto, questi si ripeteranno più e più volte e in poco tempo desidereremo ascoltare qualcosa di diverso.

A chi può interessare questo gioco?

Insomma, Fjong non è certamente un gioco per gli amanti dei puzzle game complessi e probabilmente non lo è nemmeno per gli amanti di giochi mobile come Angry Birds o Candy Crush Saga in quanto certi titoli, per quanto casual, offrono non solo una presentazione più bella ma soprattutto possono rivelarsi ottimi compagni per viaggi e code interminabili alle poste grazie alla loro portatilità e ai loro diversissimi livelli. Fjong purtroppo sembra un gioco sviluppato un po’ a caso e senza troppe attenzioni, specialmente in termini di gameplay e, per quanto piacevole, è difficile trovare un elemento che valga l’acquisto del gioco. Tuttavia il costo di 1,99€ (che durante i vari saldi di Steam scende spaventosamente) di certo può essere un buon incentivo per l’acquisto. Fjong potrebbe essere un bel gioco da regalare a un bambino entro i 6 anni d’età e che comincia a muovere i primi passi verso il mondo dei videogiochi; un gioco semplice, facile, corto e libero da pubblicità che potrebbe introdurlo con levità e spensieratezza all’universo videoludica,  un’esperienza gradevole anche se molto, molto corta.




Dead Space gratis su Origin per un tempo limitato

Dead Space per PC Windows è attualmente disponibile gratuitamente tramite il servizio Origin di EA come parte del programma dell’azienda “Offre la ditta“. Il gioco è completo al 100% per un periodo limitato, quindi assicuratevi di prenderlo prima che la promozione scada. Dead Space è stato rilasciato nel 2008, quindi non necessita di un PC di ultima generazione per poter godere al meglio l’esperienza di gioco, ma rimane comunque uno dei migliori titoli horror pubblicati negli ultimi dieci anni.




Kamiya spiega perché Bayonetta 3 sarà esclusiva Switch

Il direttore di Bayonetta 3, Hideki Kamiya, ha spiegato su Twitter un’interessante storiella. Più specificamente, ha parlato del brand di Bayonetta e degli eventi che hanno portato il terzo capitolo a essere un’esclusiva Nintendo Switch.
È certamente interessante sapere che Bayonetta 2 è nato come progetto multipiattaforma, ma tweet rilasciati e ordinati in sequenze numeriche da 1 a 15 spiegano in linea generale la genesi di Bayonetta 3: 

«C’è qualcosa che voglio dire a tutti voi. Riguarda Bayonetta 3. (1/15)»

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«La nostra è una casa che sviluppa e crea giochi firmando contratti con publisher e ricevendone i fondi per coprire i costi di sviluppo. (2/15)»

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«Per Bayonetta 1, abbiamo firmato un contratto con Sega e abbiamo ricevuto dei fondi da loro, quindi abbiamo proposto un design per il gioco e siamo entrati in fase di produzione. Tutti i diritti appartengono a Sega. (3/15)»

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«All’epoca, la nostra azienda era appena stata fondata e non eravamo adeguatamente attrezzati per lo sviluppo multipiattaforma quindi, dopo averne discusso con Sega, abbiamo deciso di sviluppare il gioco esclusivamente per Xbox 360. (4/15)»

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«Tuttavia, successivamente, uno dei partner commerciali di Sega ha finito per creare una versione per PS3, per volere di Sega. Più recentemente, hanno anche deciso di sviluppare una versione Steam, che è stata rilasciata lo scorso anno. Sega possiede i diritti su tutte queste versioni. (5/15)»

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«Quando abbiamo iniziato a creare Bayonetta 2, inizialmente abbiamo ricevuto fondi da Sega per sviluppare il gioco per più piattaforme, ma il progetto è stato interrotto a causa di circostanze sfavorevoli da parte del nostro finanziatore. Nintendo quindi è intervenuta per continuare a finanziare il gioco, permettendoci di completarlo. (6/15)»

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«Così i diritti appartengono a Sega e Nintendo. I proprietari dei diritti hanno deciso che il gioco sarebbe stato sviluppato per Wii U. (7/15)»

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«Nintendo è stata così gentile da finanziare anche Bayonetta 1 per Wii U, e ci ha persino permesso di usare la traccia vocale giapponese, che abbiamo creato per la versione Wii U, anche nella versione PC di Bayonetta 1. (8/15)»

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«Sono estremamente grato a Nintendo per aver finanziato il gioco e a Sega per aver permesso loro di utilizzare l’IP di Bayonetta. (9/15)»

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«Per quanto riguarda Bayonetta 3, è stato deciso sin dall’inizio che il gioco sarebbe stato sviluppato utilizzando i finanziamenti di Nintendo. Senza il loro aiuto, non avremmo potuto avviare questo progetto. (10/15)»

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«Tutti i diritti appartengono ancora a Sega e Nintendo. I proprietari dei diritti hanno deciso che il gioco sarebbe stato sviluppato per Switch. (11/15)»

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«Il game development è un business. Ogni azienda ha i propri contesti e strategie. Questo significa che a volte i giochi vengono fatti, a volte  vengono cancellati. (12/15)»

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«Ma credo che ogni singola persona coinvolta sia impegnata a offrire la migliore esperienza possibile. Lo so, almeno per me è uno degli obiettivi principali ogni volta che mi metto al lavoro. (13/15)»

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«Non posso esprimere quanto sono contento di avere tra le mani il progetto di Bayonetta 3 e intendiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per renderlo il migliore possibile. Questo è tutto ciò che possiamo fare e lo consideriamo la nostra più grande missione. (14/15)»

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«Ci è voluto un po’ prima che la produzione di Bayonetta 3 partisse, ma ora che è iniziata spero che si trasformi in una esperienza meravigliosa per tutti voi. (15/15)»

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D’altra parte, Bayonetta 3 ha richiesto un po’ di tempo per vedere la luce: il progetto è iniziato direttamente con il supporto di Nintendo, e per questo è esclusiva di Switch.

Il primo capitolo di Bayonetta è stato lanciato per PS3 e Xbox 360 nell’ottobre del 2009. Bayonetta 2 è stato rilasciato a settembre 2014 e Bayonetta 3 è stato annunciato lo scorso dicembre durante i The Game Awards.

Prima di vedere il risultati del terzo capitolo, gli utenti di Switch potranno godersi una remastered di Bayonetta e Bayonetta 2, che saranno rilasciati in bundle il 16 febbraio 2018.




Sparkle 2

Preparate i vostri  riflessi e siate pronti ad affrontare complicatissimi rompicapo, arriva Sparkle 2, un puzzle game veramente originale che vi terrà letteralmente attaccati allo schermo come un’ape al miele! Già rilasciato per PC, iOS, Android, Xbox One, PS4 e persino PS3, questo titolo dal carattere molto forte, dai toni fantasy/epici, è stato sviluppato da 10Tons ed è di recente arrivato su Nintendo Switch, una console in cui titoli del genere, rivolti ad un pubblico principalmente casual, possono riscuotere un successo inaspettato.

Alla ricerca delle 5 chiavi

Che ci crediate o no, Sparkle 2 ha una storia… eh già! A quanto pare, tanto tempo fa furono create 5 chiavi per custodire qualcosa di molto prezioso, qualcosa di inimmaginabile: toccherà a noi dunque andare alla ricerca di queste chiavi, usando tutto il nostro ingegno e avvalendoci delle magie a nostra disposizione. Davanti a noi un lungo sentiero, che tal volta si ramifica in incroci che ci porteranno in certi luoghi misteriosi, nel quale ogni giorno dovremmo affrontare un puzzle, ogni giorno sempre più intricato, ogni giorno sempre più vicini ad una delle chiavi.
Il gameplay è decisamente molto simile a quello di Actionloop o Zuma, che a sua volta richiama molto quello di Puzzle Bubble: un serpentone di sfere colorate verrà incanalato in un corridoio al termine del quale ci sarà una buca che risucchierà tutto il campo da gioco se più sfere cadranno al suo interno, facendoci perdere così la partita. Per evitare tutto ciò dovremmo utilizzare il nostro Orb Swift, una sorta di fionda per lanciare delle sfere e crearne dunque una serie di tre o più dello stesso colore; una volta creata la serie le sfere scompariranno e, se riusciremo a concatenare più serie di diverso colore in successione, il serpentone sarà presto disfatto e potremmo procedere dunque al livello successivo.

Sparkle 2 si differenzia principalmente per i suoi power-up che appariranno di tanto in tanto nel campo di gioco e che, attivati lanciando una sfera, sprigioneranno una magia particolare, un raggio gelato che spazzerà via grossa parte delle sfere, indipendentemente dal loro colore, o una pioggia di comete che libererà il campo dandoci un attimo di tregua; inoltre, un po’ come in un RPG, alla fine di ogni livello il nostro Orb Swift si potenzierà e piano piano riusciremo a ottenere dei power-up permanenti come una sfera speciale ogni 10 sfere, un gameplay meno frenetico ma più lungo o degli effetti speciali per una serie di un determinato colore. La versione per Switch offre inoltre sia la modalità di controllo offerta in mobile, dunque tramite touch screen, sia quella offerta nelle versioni console, ovvero mirando col control stick e lanciando la sfera con un tasto, dando modo di giocare così a una versione decisamente più completa di ogni altra sua apparizione precedente. Il titolo di 10Tons offre al giocatore una campagna principale di ben 92 livelli rigiocabile, se non altro, in modalità difficile e “nightmare”, ma se non vi va di rimettervi alla ricerca delle 5 chiavi ancora una volta potrete comunque passare altre ore con le modalità Survival, ovvero una modalità infinita (il classico dei giochi puzzle), una Challenge mode che vi permetterà di rigiocare dei singoli livelli a diverse difficoltà, e la modalità Cataclysm, le cui sfere arriveranno di continuo senza darvi un attimo di tregua. Sparkle 2 ci vuole dunque spingere a pensare sempre in fretta e, per quanto statico, fuori dagli schemi, vuole regalare così al giocatore un gameplay avvincente, che ci porterà a divorare un livello dopo l’altro senza freno, con una learning curve molto gradevole che permette di familiarizzare gradualmente col gameplay e con le novità che verranno introdotte nei livelli (come l’aggiunta di un nuovo colore o un nuovo power-up), e dunque offrendo una difficoltà congrua con l’avanzare del gioco, rendendo il titolo molto accessibile ad appassionati dei puzzle game e non.

In un mondo fantastico dove tutto può accadere

Sparkle 2, per essere un puzzle game, presenta uno stile molto definito e la sua presentazione è singolare e ben riuscita: la grafica e le tonalità dei colori sono ben definite, il campo di gioco chiaro e mai confusionario e il design delle sfere, anche se sono delle semplici forme geometriche, è ben realizzato, queste restituiscono in tutto e per tutto quel senso di magia che il titolo ci propone, sono veramente… belle! Mai succederà che in un livello potremo confonderci o assistere a dei bug che rovineranno l’esperienza; Sparkle 2 fila liscio come l’olio e, durante le ore di gioco, ci sentiremo veramente immersi nel mondo fantastico proposto in questo titolo. Insieme ai campi di gioco, alle sfere e alla mappa ci sono anche alcune semplici cutscene che appariranno quando arriveremo in dei luoghi specifici, che consistono, più che in delle cinematiche, in immagini fisse con semplici animazioni (come delle foglie che volano o qualche fulmine all’orizzonte) accompagnate da una calda voce narrante che ci descriverà lo scenario che ci troveremo davanti, nonché il nostro stato d’animo, e ci comunicherà se in quel luogo specifico è presente una chiave oppure no.
Il comparto sonoro, dalla voce narrante alla colonna sonora, è veramente ben curato e molto professionale, quasi quanto quello di un gioco prodotto da una grande casa produttrice. Alla composizione c’è Jonathan Geer, veterano che aveva già lavorato al precedente Sparkle e che è apparso in altri videogiochi come Owlboy, Heart Forth, Alicia e Cook, Serve, Delicious!; le sue musiche restituiscono quel senso di epico presente in questo titolo e riescono perfettamente a richiamare immagini come foreste, cavalieri e calderoni magici che ribollono, tipiche dello stile fantasy. Presentissima è l’influenza dello stile di Danny Elfman, quel fare pomposo seppur pacato e misterioso che tanto può piacere agli amanti delle colonne sonore di Edward Mani di Forbice, Batman o Nightmare Before Christmas.

Qualcosa manca

Un puzzle game come questo, tuttavia, dovrebbe avere delle caratteristiche che a oggi dovremmo considerare imperative, primo fra tutti il multiplayer. È vero, Sparkle 2 ci offre tante modalità che possono offrire diverse ore di longevità, ma il gameplay, seppur molto avvincente, si fa alla lunga ripetitivo, dopo un po’ potremmo annoiarci a giocare da soli; il multiplayer è un elemento che spezza del tutto la monotonia dei giochi puzzle e Sparkle 2 purtroppo ne è sprovvisto. Anche la modalità survival acquista poco significato poiché non esiste alcun elemento di competitività, né contro altri, con una tabella dei migliori punteggi online, né contro se stessi, tentando di battere il proprio miglior punteggio, dato che il titolo non ha un sistema di punteggi e dunque, dopo la campagna principale, che dura comunque per parecchie ore, anche se ci sono buoni elementi per continuare a giocare, ci saranno comunque pochi stimoli per affrontarli. È un vero peccato, anche perché in passato altri titoli simili, come Actionloop, presentavano una bella modalità multiplayer e offrivano dunque nuovi stimoli per giocare diverse partite a colpi di intuito con gli amici. Inoltre, come già detto, sono presenti due metodi di controllo, ma si tenderà spesso a giocare solamente con uno di questi, rendendo difficile il giocare con l’altro sistema; sembrerebbe un problema da poco ma, in realtà, chi si troverà meglio a controllare la fionda tramite touch screen, rischia di limitare la propria esperienza a Sparkle 2 come “portable only” e dunque difficilmente vorrà attaccare la console al dock per giocare sullo schermo di casa. È consigliabile dunque imparare a giocare con i controlli da console ed evitare così dolori al braccio e torcicollo dovuti a uno sguardo allo schermo spesso appoggiato sulle nostre gambe perché, ahimè, il display di Switch si estende per larghezza, è una console dura da tenere con una mano sola ed è per questo che titoli come Sparkle 2 si riveleranno difficili da fruire; tuttavia, anche se il gioco non lo permette, sarà possibile tenere lo schermo verticalmente, assumendo dunque una postura più comoda e continuare a giocare come se niente fosse, senza alcuna particolare difficoltà.

Un’occasione in parte mancata

Abbiamo dunque un bellissimo gioco, con un bel gameplay molto accessibile, con un bello stile grafico e sonoro, tanta longevità, prezzo abbordabile sullo store ma con alcuni difetti. Tirando le somme, Sparkle 2 è decisamente un gioco molto valido, che può risultare curatissimo sotto molti aspetti ma al quale è stata dedicata poca attenzione sotto altri. L’assenza di multiplayer e di un sistema di punteggio rende Sparkle 2 un gioco a ¾ (dire che è un gioco a metà non sarebbe corretto) ed è un vero peccato perché con qualcosa in più Sparkle 2 avrebbe potuto dare filo da torcere anche a Puyo Puyo Tetris e dimostrare che un prodotto destinato al mercato mobile non è affatto da buttare. Si potrebbe finire il titolo senza stimoli, o alla fine dell’avvincente campagna principale o gradualmente durante quest’ultima, dipende dal tipo di approccio del singolo giocatore.
In ogni caso, Sparkle 2 riuscirà a darvi quel senso di quasi dipendenza tipica dei puzzle game il che, unito anche alla bellissima atmosfera all’interno del titolo, lo rende già un vincitore all’interno della sua categoria. Dategli una chance, non vi deluderà!




Mushroom Wars 2

Quando Shigeru Miyamoto uscì con il primo Pikmin per Nintendo Gamecube, i ragazzi inglesi di Zillion Whales pensarono «perché non facciamo anche noi uno strategico simile?»
Probabilmente è stata questa la genesi del primo Mushroom Wars, hit indie da più un milione di download uscita nel 2009 su iOS, Android, Playstation 3 e Steam. Dopo essersi ripetuti con Mushroom Wars: Space, datato 2014 e disponibile solo sui sistemi mobile, tre anni dopo arriva il seguito ufficiale, un Mushroom Wars 2 che punta a confermare la buona riuscita della serie.

Mushroom Wars 2 è uno strategico in tempo reale con piccoli elementi presi dai MOBA e dai tower defense che aggiungono un po’ di carattere al tutto. All’avvio del gioco ci troveremo davanti a due scelte: le due imponenti campagne single player da più di 100 missioni e le varie sessioni di multiplayer, sia libero che competitivo, dove potremo giocare da un minimo di due a un massimo di quattro giocatori. È possibile sfidarsi in singolo e in partite cooperative due contro due, con la possibilità di aggiungere bot, aggiunta utile per quelle volte in cui manca l’amico di turno o per allenarsi in vista delle partite rankate.

La modalità single player ricorda un po’ quella di Kingdom Wars: all’inizio ci vengono introdotte le meccaniche del gioco tramite dei semplici tutorial, per poi lasciare spazio ai livelli veri e propri, dove dovremo sovrastare numericamente il nemico usando una buona dose di strategia.
La sfida offerta è sostanziosa e per tutti i palati: i primi livelli saranno più semplici e, andando avanti nella campagna, verranno sbloccati quelli più difficili, dove avremo meno aiuti visivi (come il segnale per evolvere le proprie basi, o il baloon che ci indica il numero delle truppe in ogni base) e un’intelligenza artificiale più aggressiva.
Il tutto giova alla longevità del titolo, visto che per sbloccare la seconda storia bisognerà ottenere tutte le stelle nella precedente campagna, completando i vari livelli a ogni difficoltà. Ad aggiungere pepe al gioco avremo anche qualche quadro con dei boss (per esempio, una rana che mangerà le nostre truppe quando passeranno nei suoi dintorni) e, più avanti nella campagna, un sistema di abilità che ricorda quello di alcuni noti MOBA.

Parlando della grafica, rispetto al primo Mushroom Wars i disegni sono tecnicamente più puliti, anche se peccano in carisma: le basi tendono a somigliarsi un po’ tutte, e le truppe avrebbero potuto giovare di qualche animazione in più. Molto ben disegnate, invece, le schermate di caricamento.
Tecnicamente siamo sulla linea di molte produzioni indie, in primis quelle uscite sia su sistemi casalinghi che su mobile: nessun requisito stellare, si può giocare al massimo dei dettagli senza nessun calo di framerate anche su PC datati o laptop poco performanti.
Il gameplay è ben calibrato: le mappe sono variegate, con diversi ostacoli ambientali e zone di bonus e malus, come i prati fioriti (che aumenteranno la produzione dei nostri funghetti guerrieri) o le paludi (che non ne produrranno affatto). L’unico difetto riscontrato è la mancata personalizzazione delle hotkey: i tasti rapidi delle abilità e del frazionamento delle unità da mandare da un fungo all’altro tendono a sovrastarsi l’uno con l’altro, soprattutto nelle tastiere piccole.
Il sonoro è di buona fattura, con musiche orecchiabili che ben si sposano con l’atmosfera generale, anche se a lungo andare si scade nella ripetitività, e ascoltare i soliti 3-4 brani presenti nella colonna sonora per tutta la sessione di gioco non aiuta molto.

Tirando le somme, questo Mushroom Wars 2 è uno strategico “mordi e fuggi” che funziona e che può offrire tante ore di divertimento: il tutto grazie alle due lunghe campagne single player e al multiplayer online. I limiti tecnici vengono sopperiti da un gameplay intuitivo e veloce, che regala sfide appassionanti sia per i completisti che per i giocatori più casual. Trovate il gioco su Steam, su tutte le console casalinghe e anche sugli store Apple e Android.