Kholat
Dopo gli avvenimenti del 1959 sul passo di Djatlov, molti autori hanno preso spunto dall’accaduto per scrivere opere e sceneggiature, come il film Devil’s Pass, diretto da Danny Harlin o Il mistero del passo Djatlov, romanzo scritto da Anna Matveeva, e nel 2015 uscì anche un videogioco, ispirato proprio alle misteriose morti avvenute la notte del 2 febbraio 1959.
Una doverosa premessa
Durante il rigido inverno dell’anno 1959, un gruppo di 10 ragazzi organizzò un escursione attraverso gli Urali settentrionali. I ragazzi arrivarono a Ivdel’, cittadina della Russia Siberiana, in treno, e pochi giorni dopo partirono per l’escursione.
Tutti i ragazzi avevano molta esperienza alle spalle, avevano effettuato scalate, escursioni in montagna, ma la notte del 2 febbraio qualcosa sembrò non andare per il verso giusto.
Al rientro, il gruppo doveva informare la propria associazione sportiva del buon esito dell’escursione e rassicurare le famiglie, ma questo non accadde; giorni dopo i parenti delle vittime, non avendo più notizie dei propri cari, chiamarono i soccorsi, che iniziarono subito le ricerche.
Dopo settimane di ricerche, il 26 febbraio furono ritrovati i primi 5 corpi, distanti quasi 500 metri dall’ultima tenda, la quale, come sostengono le indagini, aveva subito uno squarcio dall’interno, indicando che gli sciatori erano scappati dalla tenda in preda al panico, come se qualcuno o qualcosa avesse bloccato l’entrata. Dopo quasi due mesi dal ritrovamento dei primi cadaveri, i soccorritori riesumarono altri 4 corpi sepolti sotto quasi due metri di neve: l’unico a salvarsi fu il decimo escursionista, il quale poco prima dell’inizio della spedizione ebbe un malore improvviso che gli impedì di partire.
A rendere molto più inquietante la storia, fu lo stato dei corpi degli escursionisti, ritrovati in condizioni alquanto strane e misteriose: uno dei cadaveri aveva subito una grave frattura cranica, due corpi avevano la gabbia toracica gravemente fratturata, uno anche privo di lingua, di occhi e di parte della mascella, gli altri avevano subito delle gravi lesioni agli organi interni, ma i loro corpi non avevano segni di violenze e questi danni furono paragonati agli stessi causati da un incidente d’auto.
Secondo delle analisi forensi, i vestiti delle vittime risultavano contaminati da un alto livello di radioattività.
Una scena abbastanza inusuale e inquietante per un semplice incidente di montagna.
Su questo incidente, non ancora risolto, furono elaborate teorie di tutti i generi; molti sostenevano che le cause della morte dei ragazzi fossero d’origine paranormale, anche perché alcuni studiosi del luogo, proprio la notte del 2 febbraio, avrebbero visto delle sfere arancioni in cielo, che in seguito si rivelarono dei lanci di missili balistici R-7; altri sostenevano che il tasso di radioattività fosse riconducibile a esperimenti del governo, altri ancora credevano che gli indigeni Mansi avessero attaccato il gruppo per aver invaso il loro territorio. E sono queste le teorie che ci accompagneranno in Kholat, survival horror sviluppato da IMGN.PRO, che prende ispirazione dai fatti precedentemente raccontati.
Narrazioni in soggettiva
Il protagonista è un uomo, non sappiamo se un semplice ricercatore o un investigatore, e non sappiamo nemmeno cosa lo abbia spinto sul luogo dell’incidente.
La scelta da parte degli sviluppatori di creare un protagonista anonimo non sembra essere delle migliori, anche perché la storia viene narrata attraverso dei ritrovamenti di pagine di giornale, registri o diari che raccontano grossolanamente la storia, accompagnati dalla profonda voce del narratore fuori campo (Sean Bean) che ci guiderà per tutta la nostra avventura, rendendo ancora più impersonale la storia.
All’inizio del gioco, come racconta la storia ci ritroveremo a Vizaj, l’ultimo posto in cui i ragazzi si erano fermati prima di intraprendere il loro lungo viaggio, ed è da lì che inizieremo la nostra escursione per il Passo di Djatlov.
Per arrivare al primo rifugio bisognerà superare un sentiero innevato che condurrà direttamente alla tenda da cui partirà la tetra avventura narrata in Kholat.
La tenda servirà sia per salvare la partita, sia per utilizzare i viaggi veloci da un accampamento all’altro per raggiungere facilmente una tenda già visitata fra le nove presenti sulla mappa.
Perdere la bussola
Il gameplay è abbastanza scarno, quasi inesistente: il gioco ci darà l’opportunità di recuperare solo delle pagine del diario di viaggio del gruppo, pagine di registri e articoli di giornale, nient’altro.
Avremo a disposizione solamente una torcia, che utilizzeremo in poche occasioni, una bussola e una mappa. Per rendere più verosimile il gioco e avvicinarlo ancora di più alla realtà, nella mappa non è stata inserita un’icona giocatore, ma dovremo essere bravi a orientarci tra la neve, per riuscire a trovare la giusta direzione. La bussola è uno strumento che potrebbe sembrare utile per potersi orientare, ma molte volte complica solo le cose, facendo prendere vie sbagliate o facendo ritornare il giocatore al punto di partenza. Anche l’orientamento risulta molto difficile, visto che l’ambiente non ha particolari punti di riferimento a cui affidarsi.
Il nemico silenzioso
I ragazzi di IMGN.PRO hanno però pensato di agevolare il giocatore posizionando delle coordinate su alcuni massi, che indicano la posizione in cui si trova il protagonista. Questo metodo aiuta un po’ il giocatore a capire quale strada stia percorrendo e a evitare che si smarrisca, come succede la maggior parte delle volte.
Durante il nostro vagare tra i percorsi desolati e pieni di pericoli potremmo incontrare degli spiriti arancioni, i nostri nemici, che ci rincorreranno per qualche metro per poi desistere dall’inseguirci. Se dovessero catturarci non avremo via di scampo, non potremo colpirli con un arma o scacciarli via, potremo solo correre e sperare di non cadere in qualche dirupo o moriremo e ripartiremo dall’ultimo salvataggio o dall’ultima pagina trovata. Altro lato negativo è la mancanza di una soundtrack specifica o effetti audio ogni volta che si incappa in loro, l’incontro sarà talmente rapido che molte volte non si è in grado di capire da dove siano sbucati e come ci abbiano ucciso. Sarebbe stato molto gradito un qualche effetto sonoro che possa avvertirci della presenza di questi esseri o un audio ambiente atto a suggestionare e a creare quella tensione che caratterizza qualsiasi horror.
Suoni e visioni dalla Montagna dei Morti
I comparti sonoro, grafico e artistico sono molto buoni: il sonoro offre una serie di effetti che, se giocato con delle cuffie (vi suggerisco delle cuffie con surround 7.1), il gioco gode di un’atmosfera perfetta, piena di mistero e al contempo tetra e malinconica. È consigliato l’uso delle cuffie per potersi immergere quasi del tutto nell’avventura, e anche per rintracciare e raccogliere facilmente le pagine che troveremo durante il nostro vagabondare nelle fredde montagne russe.
Il comparto artistico, invece, impressiona parecchio: per essere un gruppo di sviluppatori indipendenti, IMGN.PRO è riuscito a creare un paesaggio molto caratteristico, con il colore bianco che domina sulle scene e una serie di colori freddi utilizzati per il paesaggio, accompagnati da sfumature di rosso per rappresentare le torce, fuoco e soprattutto le sagome arancioni che incontreremo durante il nostro viaggio.
Indagine sugli Urali
Kholat non è un semplice gioco, ma una ricostruzione atta a far rivivere l’incidente e a far sentire l’angoscia e il terrore che provarono gli escursionisti, la paura dello sconosciuto, la paura del non rientrare a casa, il terrore che ha spinto i ragazzi a scappare dalla tenda squarciandola dall’interno.
Kholat non è sicuramente un capolavoro, ma riesce a incuriosire, con una storia che forse non gode della migliore narrazione ma che crea quella tensione degna di un buon horror: all’inizio potrebbe sembrare frustrante non poter sapere dove si sta andando, se si sta prendendo la strada giusta e non sapere cosa ci attende alla fine del percorso, ma, con l’avanzare del gioco, la storia intriga parecchio e ciò invoglia non solo ad andare avanti, ma anche a documentarsi sull’accaduto, sia online che con i documenti che troveremo sparsi per la montagna.
Kholat si dimostra un’opera di respiro ampio, che va oltre gli standard di un gruppo indipendente: l’uso del motore grafico ha contribuito parecchio, anche se il titolo pecca non poco nella narrazione e presenta qualche piccolo difetto tecnico, tra bug o alcune imperfezioni che potrebbero essere risolte con qualche patch.
Rimane comunque un prodotto da giocare per ricostruire uno dei più suggestivi e criptici avvenimenti degli Urali, sul quale tutt’oggi si continua a faticare a stabilire una verità definitiva.
Processore: Intel Core i5-6500
Scheda video: Nvidia GeForce Gtx 1060 6GB Gigabyte G1-Gaming
Scheda Madre: MSI Z170A Gaming M3
RAM: Corsair Vengeance LPX 8GB 2400MHz DDR4
Sistema Operativo: Windows 10