Guillemot pessimista su Vivendi

Nell’ultimo periodo si è parlato tanto dell’acquisizione di Ubisoft da parte di Vivendi,  società francese attiva nel campo dei media e delle comunicazioni. Molti sembrano felici di questo passaggio multi milionario tranne Yves Guillemot, CEO della software house interessata. È un periodo molto intenso per Ubisoft, vista l’uscita di Mario+Rabbits per Nintendo Switch e l’imminente rilascio di Assassin’s Creed Origins, che potrebbe segnare, nel bene o nel male, il futuro di questo franchise. Ed è proprio in questo periodo che le perplessità di Guillemot si fanno più aspre: secondo il suo pensiero acquisire una software house imponente come Ubisoft non porterà benefici a nessuno dei due. I tempi, la gestione, i ripensamenti, sono pratiche completamente diverse da comuni aziende e se Vivendi non sarà in grado di capirlo potrebbero esserci grossi problemi.
Il CEO di Ubisoft fa notare come, da quando Vivendi non possiede più quote di Activision, il valore delle azioni della società statunitense si è quadruplicato, portando un netto miglioramento in tutti i settori dello sviluppo di un videogioco.
È un tema prettamente economico ma possiamo immaginare che qualunque sarà l’esito finale di questa acquisizione le conseguenze non saranno limitate al solo mercato videoludico.




Einar

Qualche settimana fa sullo store di Steam, si è aggiunto alla sezione Free To Play, un nuovo interessante gioco, che con un buon sviluppo e con il giusto tempo potrebbe anche risultare un titolo innovativo. Einar è una beta sviluppata e rilasciata da DreamPunks, sviluppatore indie dei Paesi Bassi, è un gioco single-player di genere hack ‘n’ slash basato sulla mitologia norvegese. Nel gioco il giocatore assume il ruolo del guerriero Einar, che sta cercando di uccidere gli abitanti di un villaggio di pescatori infetti da un meteorite misterioso schiantatosi nei paraggi. Nel gioco vi sono diverse armi di cui si è in possesso dall’inizio della beta come l’arco, il martello e l’ascia con lo scudo che ci serviranno a liberare il villaggio dai mostri, affrontando anche dei boss. Questa piccola beta è nata come demo universitaria e creata insieme a un team di 40 studenti universitari del NHTV University of Applied Sciences di Breda come esperimento per capire come vengono creati i giochi AAA. Come detto in precedenza, nel gioco assumiamo il ruolo di un guerriero vichingo di nome Einar che nella beta dovrà farsi strada da una spiaggia fin dentro al villaggio, per arrivare a una piccola arena dove finirà la beta del gioco. Sono disponibili solo 3 tipi di mostri, quelli “base”, alcuni nemici da affrontare a distanza che ci lanceranno contro palle infuocate, e infine i boss, che incontreremo in sole due occasioni. La demo dimostra che usando un buon motore grafico, avendo un buon team e la voglia di creare qualcosa di buono e di nuovo è possibile creare un gioco che non sfiguri al confronto con i tripla A anche non avendo a disposizione un grosso budget.

Combattimento

Einar è un gioco d’azione dal sapore soulslike, con roll, parate e attacchi in pieno stile; se giocato con mouse e tastiera risulta molto legnoso, è consigliabile usare un pad. I combattimenti risultano ben fatti: vi sono solo 2 tipi di attacchi per ogni arma, l’ascia con lo scudo permette di dare dei colpi a ripetizione veloci e potenti e si può finire il gioco anche usando questo solo attacco; lo scudo dopo aver ricevuto un paio di colpi, si distrugge e bisognerà aspettare alcuni secondi perché si rigeneri. Il martello è l’arma pesante e viene usata o con il colpo normale o con il colpo caricato che, grazie alle rune, rende l’arma magica e capace di arrecare maggior danno; l’arco ha anch’esso il colpo normale e il colpo caricato e, come per il martello, anche qui le rune possono potenziare il colpo: l’utilizzo di quest’arma risulta buggato e non ben congegnato, non sempre i colpi possono andare a buon fine (e non sarà per forza colpa del giocatore).

Grafica e Sonoro

Il motore grafico del gioco viene gestito da Unreal Engine 4, le texture sono ben curate, dall’erba, agli alberi sino all’ambiente circostante, compresi i colori, gli effetti e i filtri; a voler essere pignoli, un risultato non ottimale si è avuto nella cura dei capelli del personaggio, i quali risultano poco belli da vedere nonostante l’antialiasing accentuato, e anche in alcune texture che presentano risultati di scarsa qualità – le assi di legno risultano ad esempio sgranate e sfocate – ma non sono molte le sbavature di questo tipo. Il gioco non è esente da bug e glitch, notiamo vari glitch grafici, linee che sembrano artefatte, una fisica del gioco che a volte pare deliberata: un esempio su tutti, i mostri che, una volta morti, volano in aria non appena attacchiamo altri nemici vivi nei paraggi, senza alcuna giustificazione. Un altro piccolo problema – anche se qui non si può parlare propriamente di bug – riguarda ancora i mostri che quando sono in modalità “pacifica” – e quindi non ci vedono – laggano non poco nella camminata, finendo col “teletrasportarsi” di qualche passo. Sul piano sonoro invece è stato fatto un buon lavoro, ogni traccia audio è stata creata in collaborazione con Moana Production e il risultato pare appropriato all’ambiente di gioco.

Ottimizzazione

Sul piano dell’ottimizzazione è stato fatto un lavoro notevole, e il risultato non era scontato con un motore che, se non gode di un buon lavoro, risulta pesante e rischia di penalizzare il gameplay. Giocato al massimo delle prestazioni, con dettagli “Epic” da scegliere tra le impostazioni, in 1080p, si è avuta una media di 70/80 FPS con dei minimi di 50 FPS, parametri normali, considerando anche che il gioco pesa solo 1,15 GB e la zona giocabile è piccola, con pochi caricamenti da effettuare nonostante le texture siano ben fatte.
Doppiaggio e testo sono 
solo in inglese, l’unica voce che si sente è quella del personaggio che useremo, una voce molto corposa che rende l’idea di uomo forte e ricorda vagamente quella di Duke Nukem.

Conclusioni

Tirando le somme, la demo beta di Einar da ben sperare, e fa piacere un simile risultato – pur non esente da difetti – considerando che si partiva da un esperimento universitario. Il tempo di completamento è di quasi 1 ora e mezza, tempo che si allunga se si vogliono cercare gli Easter Egg di cui il gioco è pieno. Con del lavoro adeguato, si potrà avere un prodotto finale interessante e vario. Einar ricorda in qualche modo Dark Souls in versione nordica, e proprio l’ambientazione nelle terre norrene sarebbe una ventata di aria fresca in giochi di questo genere.
Aspettando la versione definitiva,
Einar è consigliabile a chiunque voglia provare dei nuovi indie e cerchi un gioco d’azione divertente e dall’ambientazione non consueta.

Processore: Intel Core i5 6600K @4,60 GHz
Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 960 2 GB Gigabyte Mini ATX OC Version
Scheda Madre: MSI z270 Gaming M7
RAM: G.SKILL Trident Z RGB 2×8 GB 3200 MHz DDR4
Sistema Operativo: Windows 10 Home 64 Bit




Radeon RX Vega: molta richiesta e poche GPU disponibili

Le schede grafiche AMD Radeon RX Vega sono state appena lanciate e pur essendo maggiormente prodotti dedicati al mercato del gaming, sembra che i miners e gli sviluppatori di contenuti siano i segmenti del mercato più interessati alle nuove GPU, dando ai giocatori; questo significa che è un momento difficile per mettere le mani sulle ultime novità di punta di AMD dopo più di due anni di attesa.

Carenza di RX Vega fino a ottobre 2017

La mania del mining ha colpito infatti l’intera gamma di GPU di AMD che vanno da Polaris a Vega. In particolare la serie Vega sembra stia attirando parecchia attenzione da parte di sviluppatori di contenuti che vedono queste GPU come un’opzione migliore rispetto alla Vega Frontier Edition, che arriva a costare anche fino il doppio. Il problema è comunque che le schede grafiche AMD Vega sono state prodotte in pochi lotti e la domanda è alta, talmente alta che molte volte dai preorder non farle arrivano neanche sugli scaffali dei negozi. Secondo Videocardz, nonostante le affermazioni da parte di AMD, la quale afferma che la fornitura di schede grafiche Radeon RX Vega è stata ritardata per fornire un volume superiore al lancio, i numeri sono ancora troppo bassi. Si dice che questo lunedì il Giappone abbia ricevuto il loro primo lotto di schede grafiche Radeon RX Vega e in una quantità che non basterà a contenerne la richiesta. A causa di queste quantità limitate di vendita al dettaglio, i prezzi sono in aumento, il che comporta la scarsa probabilità di riuscire ad acquistare le RX Vega ai prezzi al dettaglio suggeriti da AMD, prezzi che non sono mai stati soddisfatti dopo il lancio. Le schede Radeon RX Vega 64 costano tra le 500 – 670 €, per le varianti raffreddate ad aria. È indicato da alcune fonti che i retailer hanno forti responsabilità riguardo i prezzi più alti, ma i rivenditori non stanno ottenendo una quantità abbastanza grande per sostenere la domanda e AMD non ha spedito abbastanza schede RX Vega, il che significa che non solo c’è una carenza enorme, ma le unità disponibili hanno prezzi alti.

HardOCP ha intervistato Chris Hook, Senior Director del Global Marketing and Public Relations presso AMD, il quale afferma quanto segue:

«Sarò sincero, una parte dei motivi che ci ha portato a lanciare Vega in poche unità è stato che volevamo assicurarci che ogni videogiocatore potesse mettere le mani su Vega, cosa per noi importante. Ora invece dobbiamo compensare le richieste dei miner, che sono alte.»

Di seguito la video intervista:

Ancora sottolineato da Digitimes, la loro relazione afferma che la carenza di schede RX Vega può durare fino a ottobre. Non dicono però se la fornitura ritornerà a uno stato normale, cioè se possiamo aspettarci di vedere la vendita di Vega vicino ai prezzi al dettaglio suggeriti. Mentre AMD è riuscita a chiudere il divario in termini prestazionali rispetto alla GTX 1080 e alla GTX 1070 di nVidia. Le varianti personalizzate di Radeon RX Vega 64 sono in arrivo a settembre, perciò ci si può aspettare qualche problema legato al raffreddamento e alle prestazioni ottimizzate.




Battlefield 1

La Prima Guerra Mondiale vissuta in Battlefield 1, gioco prodotto dalla Dice, ha fatto sognare molti appassionati con il suo ritorno al passato, al periodo finale della Grande Guerra. In un mercato ormai saturo di giochi che puntano al futuro, alla tecnologia e ai robot, Battlefield 1 si distingue proprio per questo passo indietro, con un’atmosfera tragica, raccontando la storia di un conflitto duro e spietato che ha segnato la storia e il mondo, oltre che gli uomini.

Nello sviluppo di questo titolo, la DICE si è superata creando ben sei storie, raccontate al meglio tramite i protagonisti e meravigliosi scenari unici e profondamente diversi, che spaziano dai cieli inglesi ai deserti arabi, offrendo protagonisti con caratteri diversi, destini diversi, accomunati tutti da una sola cosa: la guerra, e la sua ineluttabilità. Tutti i protagonisti hanno, infatti, lo stesso scopo: sopravvivere, combattere e proteggere, chi per scelta, chi per obbligo. I titoli di queste storie sono memorabili e richiamano alla fantasia nomi di romanzi o opere note: Tempeste d’acciaio, Sangue e Fango, Amici nelle alte Sfere, Avanti Savoia!, Il portaordini, Nulla è Scritto.
Le storie si riescono a godere fluidamente, l’oggetto di ogni storia emerge nitido come il messaggio che le accompagna, e che finisce per appassionare il giocatore, che in qualche modo si fa lettore.
Se i contenuti sono ben congegnati, la grafica riveste una parte fondamentale e viene sfruttata in ogni istante del gioco, curata nei minimi particolari, inattaccabile. In molti videogame la storia viene usata come tutorial e Battlefield 1 non sottovaluta quest’aspetto, dedicando addirittura interi capitoli per addestrare i giocatori nell’utilizzo di veicoli e nelle strategie di battaglia. L’insieme è unito da un ottimo doppiaggio italiano che contribuisce nella resa autoriale delle interpretazioni dei personaggi e riesce a catturare per la sua intensità dall’inizio alla fine.

Da denotare rilevanti novità anche nel multiplayer: oltre alle classiche modalità di combattimento Conquista, Corsa, Deathmatch a squadre e Dominio, vi sono due modalità rivoluzionarie: Piccioni di Guerra e Operazioni.
Nella prima saremo alla ricerca di piccioni viaggiatori per poter inviare segnali e messaggi sulla mappa. Durante la prima Guerra Mondiale, infatti, questi erano il principale mezzo di trasmissione dei messaggi sui campi di battaglia. Una volta trovato il volatile sulla mappa, dovremo recuperarlo e trovare il tempo per scrivere le coordinate. Il piccione si librerà in volo verso i nostri alleati, ma potrà ancora essere abbattuto dai nemici. Finita questa mansione verrà assegnato il punto alla squadra; il primo che arriverà a tre punti avrà vinta la partita. La cosa interessante di questa modalità è che in ogni momento è possibile ribaltarne l’esito, cosicché anche sullo 0-2 non risulta mai saggio rilassarsi.
Per quanto riguarda Operazioni, si tratta della modalità più autentica e più azzeccata di questo titolo: normalmente in qualsiasi FPS si può trovare un 4vs4 o un 5vs5; nella modalità Operazioni si ha la bellezza di 64 giocatori, per una sessione di gioco che supera la mezz’ora se si è rapidi, e oltre i 45 minuti per una più impegnativa. Tutto questo porta il giocatore a immedesimarsi ancor più nel mondo straziante della guerra di trincea, in un mix di difesa e attacco.
Ovviamente non poteva mancare l’aspetto delle classi, con quelle specifiche per i veicoli, quali pilota o carrista, a quelle normali, come assalto, medico, supporto e scout. Ogni classe sarà personalizzabile, creando fino a tre preset predefiniti, le armi si sbloccano nel modo classico, aumentando di livello, personalizzandole come più si vuole. DICE riesce benissimo a far fronte alla concorrenza in un genere ormai estremamente competitivo, studiando un multiplayer spettacolare e coinvolgente.

Battlefield 1 è un gioco riuscito al 100%,: la DICE ha dato il massimo, rischiando molto con un’idea – quella di ambientare tutto in un passato ormai lontano un secolo – che poteva tradursi in un terribile flop ma che al contrario ha riscosso un enorme e meritato successo.
Con meccaniche e modalità di gioco impeccabili, puntando più al multiplayer che alla storia – la quale risulta in ogni caso ben congegnata, come si accennava – cogliendo in pieno lo spirito della guerra da trincea e portandolo a livelli mai visti finora in un videogioco, la DICE centra il bersaglio con questo Battlefield 1. Se ve lo siete persi vi consiglio di provarlo, su PC, se possibile, per godervi al meglio la grafica e le dinamiche di gioco.  O forse il mondo stesso, se è vero che, come si recita nel titolo stesso, «La guerra è il mondo, il mondo è la guerra».




Die Young

In un mondo in cui tutto sembra scorrere inesorabile verso un’unica direzione, scontata, prevedibile e noiosamente tranquilla, ci sono persone che cercano invece di vivere la propria vita “day by day”, attimo dopo attimo, all’insegna dell’avventura; una vita ricca di emozioni e alla costante ricerca di quelle forti sensazioni che ti fanno sentire realmente VIVO.
Non vi sto rifilando una filippica sul senso della vita: vi ho appena illustrato il background della coraggiosa protagonista di Die Young, survival-thriller-horror (e chi più ne ha più ne metta) della giovane software house IndieGala.

Tasselli Mancanti

Siamo su un imbarcazione in compagnia di 5 amici, ci dirigiamo verso un’isola, sarebbe stata la cosa più cool dell’estate diceva uno di loro, poi… il buio. Ci ritroveremo all’interno di un pozzo buio, qualcuno ne sposta il coperchio e lascia cadere al suo interno una mappa disegnata a mano con diversi punti di interesse; sul retro, un volto nascosto da un velo ci lascia intendere che quella mappa ci è stata consegnata in segreto per aiutarci a muoverci sull’isola. La nostra missione sarà quella di trovare i nostri compagni di viaggio – ovviamente dispersi – e di abbandonare quella maledetta isola.

Nonostante la storia possa sembrare solamente un mero pretesto giusto per contestualizzare la nostra protagonista sull’isola, è meglio non fermarsi alle apparenze e cercare di andare oltre il piccolo dettaglio riguardo il perché questi ragazzi si trovino su un minuscolo gommone, diretti verso un’isola di cui non si sapeva nulla in mezzo all’oceano e riguardo perché tutti scompaiano inspiegabilmente ancor prima di arrivare mettere piede sull’isola stessa . Insomma, roba di poco conto…

Salta qui, aggrappati lì

Ovviamente uno dei punti forti di Die Young dovrebbe essere il gameplay. Dico “dovrebbe” perché gli assets delle animazioni non danno alcuna sensazione di feeling, anzi a volte risultano frustranti perché poco precisi; risulta quasi ingiocabile con il joypad per via di alcuni movimenti – soprattutto in fase di scalata – che in alcune circostanze saremo costretti a fare con tanta minuzia, essendo presente anche una barra di “stamina” che spesso e volentieri si scaricherà facendoci cadere rovinosamente. Saltare, aggrapparsi, scalare… sembrano quasi le stesse animazioni di Sniper Ghost Warrior 3 (gioco che abbiamo recensito qualche mese addietro). Oltre al fatto che non aggiunge nulla di nuovo alle animazioni di un normale action-FPS, giocando a Die Young non facciamo altro che avere sensazioni di “déjà vu”, forse perché in questi ultimi tempi, il genere “survival” in prima persona sembra essere diventato il re della scena.
All’inizio del gioco potremo scegliere se cominciare la partita in modalità “adventure” o “survival“, la prima all’insegna dell’esplorazione, la seconda invece per chi ama un elevato grado di sfida nel giochi. Una delle cose più rilevanti del gioco è infatti è proprio questo altissimo livello di sfida offerto dalla modalità “survival“. I nemici in questo gioco sono molto pericolosi e le armi a nostra disposizione sono ridicole e quasi del tutto inutili contro alcuni di loro. Ci potremo limitare a eliminare qualche serpe che vorrà addentarci durante le nostre passeggiate nell’erba alta o al massimo qualche grosso topo che salterà fuori dagli edifici abbandonati sparpagliati sull’isola; per il resto, che sia un cane, o uno degli omoni giganti incappucciati, la cui presenza sull’isola rimane un mistero, il mio consiglio è quello di correre, correre, correre, a trovare un appiglio da scalare o un riparo come se non ci fosse un domani, perché in un confronto diretto non avrete scampo. Stranamente in questo gioco (rispetto ad altri survival) pur dovendo mantenere alto il livello di energia e idratazione, non avremo alcuna difficoltà a farlo, si troverà acqua in abbondanza e potremo craftare noi stessi le medicazioni necessarie per curarci. Forse un po’ troppo striminzito l’inventario che infatti ci darà la possibilità di portare solo pochi pezzi per ogni tipo di item. Il crafting dovrebbe essere al centro di ogni survival che si rispetti ma, proprio a causa del ristretto numero di oggetti che si possono stivare, l’uso di questa skill rimane spesso marginale; eppure il gioco ci offre lo spunto per creare altri oggetti o armi, ma spesso ci sarà impossibile per via dei materiali mancanti che magari abbiamo utilizzato un attimo prima per creare un kit medico.

Uno dei punti a favore del gioco è l’ambientazione, molto curata e piacevole da esplorare.
È doveroso sottolineare che Die Young al momento è in versione in early-access, quindi ancora in fase di sviluppo. Proprio per questo motivo riponiamo fiducia nel team di IndieGala confidando in qualche buon aggiornamento che possa migliorare quelli che sono gli aspetti più deboli del gioco e le lacune narrative. Sì, il mistero spesso nutre noi avventurieri digitali, ma purché sia sempre giustificato da una buona storyline atta a supportarlo.

Tirando le somme, al momento il gioco appare un’accozzaglia di materiale di vario tipo, buono, per carità, ma purtroppo mal contestualizzato, un cattivo mix di elementi che lo fanno risultare forse pretenzioso. Mi domando se non sarebbe stato meglio, a questo punto, sviluppare il titolo seguendo un’unica direzione, quella di un adventure game in prima persona – mettendo così da parte il crafting, che purtroppo rimane spesso inservibile – oppure un survival puro al 100%, ma studiato con criterio e dovizia.
Ad ogni modo, attenderemo la versione definitiva del gioco per poterlo rigiocare ,sperando che IndieGala possa farci cambiare idea.




Top 7: le peggiori boss fight dei videogames

Le boss fight dovrebbero essere il punto più alto in un videogioco, la summa di tutto il lavoro svolto e l’apoteosi del gameplay. Eppure a volte qualcosa non va per il verso giusto, e i supernemici diventano dei corpi estranei rovinando soprattutto il finale. Ed ecco a voi le peggiori boss fight del mondo videoludico.

#7 Joker – Batman: Arkham Asylum

Joker, antagonista principale di Batman in Arkam Asylum, riesce a essere se stesso per tutto il gioco fino quando, decide di diventare un Hulk vestito da pagliaccio. Le doti di Joker sono per lo più i sotterfugi e un’innata scaltrezza, eppure Rocksteady, che ha lavorato in maniera quasi perfetta sul gioco, decide di mandare tutto a rotoli regalando un personaggio completamente snaturato. Oltre a questo, nemmeno il combattimento in sé riesce a mitigare le cose, essendo praticamente un’arena nella quale far fuori orde di nemici come si è fatto per tutto il gioco, mentre lo scontro con Joker, che dovrebbe essere il fulcro, dura tutto sommato una manciata di secondi che non lasciano il segno.

#6 Rodrigo Borgia – Assassin’s Creed II

Non capita tutti i giorni di prendere a pugni il Papa: ciò che spinge le azioni di Ezio Auditore in Assassin’s Creed II è cercare vendetta nei confronti di Rodrigo Borgia. Quando finalmente si arriva al dunque, quindi l’inizio della Boss Fight, cominciano a spuntare anche buone premesse, visto che bisogna utilizzare tutto ciò che si è imparato nel corso del gioco, con addirittura due frutti dell’Eden in campo.
Purtroppo finisce tutto con una scazzottata da bar, con uno scontro che risulta abbastanza ridicolo, visto che alla fine, si tratta di picchiare un povero vecchio.

#5 Razziatore umanoide – Mass Effect 2

Se la missione suicida è tra le parti finali di un videogioco migliori della storia, non altrettanto si può dire del vero boss finale. Il Razziatore umanoide è una rivelazione agghiacciante, ma il combattimento in sé risulta abbastanza deludente, troppo facile e sicuramente dimenticabile. Spara ai condotti e riparati è in sostanza il riassunto della battaglia, contornato da qualche Collettore tanto per non rendere le cose troppo facili… Inoltre sembra incredibile, visto la potenza dei Razziatori, che basti sparare a qualche condotto d’alimentazione per chiuderla qui. Insomma, probabilmente è il punto più basso della saga di Mass Effect.

#4 Lady Comstock – Bioshock Infinite

Sorpresi? Bioshock Infinite è quasi un capolavoro e, per chi conosce il suo contesto, trovarsi improvvisamente a sparare contro zombie e un fantasma non è di certo una gran cosa. Per quanto poi risulti relativamente spiegato tutto ciò, non si può fare a meno di notare come il tutto risulti fuori luogo e soprattutto estenuante, diventando un mero espediente per riuscire a carpire i segreti di Zackary Comstock e procedere così nella narrazione.
Sta di fatto che la boss fight risulta per lo meno impegnativa e questo mitiga un po’ la cosa ma il senso di inadeguatezza è lampante e porta il tutto quasi al disagio visivo.

#3 Lord Lucien – Fable II

Come dicevamo, il boss finale è quello che si attende di più, la ciliegina sulla torta, eppure in Fable 2 , trovandosi di fronte a un nemico di una certa potenza, basta un colpo per farla finita. Nessuna sfida e nessun senso di gratificazione: tutto si risolve senza lasciare traccia, talmente scialbo che il gioco avrebbe potuto concludersi senza la boss fight. Eppure, come vedremo, c’è di peggio.

#2 Star Destroyer – Star Wars: il potere della Forza

Sarebbe difficile pensare di far combattere uno Jedi contro un’incrociatore imperiale a chilometri di distanza: fare il mimo, portando una nave di quelle dimensioni a precipitare da quella distanza non fa sentire super potente ma abbastanza interdetto, in quanto lo scontro è paragonabile a quando Micheal, in GTA V, deve fare yoga, schivando una manciata di laser e distruggendo un po’ di caccia. Nemmeno la visuale aiuta in quanto ciò che dovrebbe risultare epico diventa soltanto una parodia creata dall’Asylum.

#1 Brumak contaminato – Gears of War II

Premi un tasto e vinci. Il secondo capitolo di una delle saghe migliori negli ultimi anni è famoso per i miglioramenti apportati e per la non boss fight finale. I colpi del Martello dell’alba in Gears of War II lasciano soltanto l’amaro in bocca visto la mancanza di sfida e l’impossibilità di morire.
È una boss fight che non ha senso di esistere visto che poteva essere tranquillamente sostituita da una cutscene: sarebbe stato più dignitoso.




Ricognizione facciale in Star Citizen: terribilmente realistica

Una delle nuove funzionalità di Star Citizen, forse la più ambiziosa, è quella denominata Face Over Internet Protocol (FOIP), che utilizza il mocap (motion capture) per riprodurre le espressioni facciali dei giocatori in game. Una dimostrazione fatta per Polygon al Gamescom di Colonia, dimostra che questa tecnologia, oltre a essere qualitativamente impressionante, è anche abbastanza inquietante.

Prodotto in collaborazione con Faceware Technologies, FOIP utilizza la webcam per rilevare e animare i volti dei giocatori all’interno del gioco. È una caratteristica avanzata che Chris Roberts, CEO di Cloud Imperium Games, ha spiegato così in un comunicato stampa:

«Per la prima volta saremo in grado di fornire tutta la gamma di emozioni umane, non solo la voce. Le espressioni facciali dei nostri giocatori verranno trasposte sul volto dei loro avatar virtuali. Combinate questa feature con la vera voce del giocatore nel mondo virtuale e otterrete la più realistica comunicazione player-to-player di sempre.»

La tecnologia FOIP arriverà ufficialmente su Star Citizen non prima della versione 3.1 del gioco, ma per questo vi invitiamo a seguire l’intervista a Chris Roberts:

Per aiutare i giocatori ad avere una buona e fedele trasposizione delle loro espressioni facciali in gioco, Cloud Imperium Games metterà in vendita, ma solo successivamente alla data di rilascio del gioco, una webcam ad-hoc, ad altissime prestazioni a 60-fps.




Annunciato il remake di Secret of Mana

Un po’ a sorpresa arriva il remake di un titolo che, agli inizi degli anni ’90 ebbe un grande successo: Secret of Mana.
Pubblicato infatti nel 1993, con il titolo originale Seiken Densetsu 2, era uno dei titoli di punta del SNES di Nintendo e, dalle prime indiscrezioni, sembra che tale remake godrà di tutti i benefici portati dal XXI secolo come, ad esempio, un grande miglioramento grafico (sarà in 3D) e audio, compreso il totale doppiaggio dei personaggi, nuova musiche e nuovi elementi di gameplay. Il titolo sarà disponibile – almeno per ora – su Playstation 4, Playstation Vita e PC.
L’annuncio è arrivato come un fulmine a ciel sereno e mancano ancora molti dettagli. Resteremo vigili per darvi ulteriori aggiornamenti.




Tekken 7: svelata la data di uscita del DLC Ultimate Tekken Bowl 

Bandai Namco ha annunciato il primo DLC per Tekken 7 dove verrà introdotta la modalità Ultimate Tekken Bowl, presente già in Tekken tag tournament e Tekken 5 Dark Resurrection, nella quale i personaggi di Tekken giocano a bowling.
Inoltre nel pacchetto troviamo svariati costumi tra cui: uniformi scolastiche per Xiaoyu e Alisa, costumi da bagno per tutti i personaggi femminili, costumi da bagno in stile vintage anni ’20 e per i personaggi maschili. Il nuovissimo DLC sarà disponibile a partire dal 31 agosto su PlayStation 4, Xbox One e PC.
Ovviamente Bandai Namco ha rilasciato un trailer che potete trovare qui sotto.

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Gli infiniti mondi di BioShock

In occasione dei suoi primi dieci anni, cogliamo l’occasione di parlare di una delle saghe che più hanno segnato il mondo videoludico, un gioiello sotto tutti i punti di vista: BioShock. Se ne è già detto molto, forse tutto, ma dopo l’uscita dei due DLC per BioShock Infinite, Burial at the sea, questo universo si è ulteriormente espanso coinvolgendo tutti i capitoli, unendoli. Vediamo dunque cosa c’è alla base del progetto, i significati e soprattutto di capirci qualcosa riguardo una delle trame più complicate della storia umana. Buona lettura.

Una città in fondo l’oceano

Tutto nasce dal genio di Ken Levin, già creatore dell’amatissimo Sistem Shock del 1994, che, ispirandosi a George Orwell e soprattutto ai romanzi di Ayn Rand decise di creare un mondo utopico, in tutti i suoi aspetti. I romanzi della Rand da cui trasse maggiormente ispirazione furono La rivolta di Atlante e La fonte meravigliosa che contengono temi rivolti all’Oggettivismo, teoria filosofica creata dalla scrittrice, andando contro i sistemi totalitari dell’epoca. Tra le cose più interessanti di questo modo di pensare vi è che lo scopo morale della propria vita sia l’interesse razionale di se stessi, il cosiddetto Egoismo razionale, un individualismo che non danneggia il prossimo; il sistema politico ed economico deve garantire il rispetto dei diritti individuali, nella forma più pura del capitalismo; infine il ruolo dell’arte, che nella vita dell’uomo deve essere utilizzata per trasformare le idee metafisiche più grandi in opere d’arte che l’uomo possa comprendere e a cui possa rispondere emotivamente.
Da queste idee partirà la stesura della sceneggiatura di BioShock.

Dopo il nostro precipitare in pieno oceano a bordo del nostro aereo, notiamo subito qualcosa di strano: un faro, in mezzo al nulla, ma unica chance di sopravvivenza. Una volta entrati vi è una batisfera, ci saliamo, e comincia il viaggio con il celebre discorso di Andrew Ryan, sulla creazione di una città lontana da vincoli morali, religiosi e politici. Molto sarà collegato alle Sister e all’ADAM, sostanza necessaria alla fabbricazione dei Plasmidi. Alle bambine, quindi,  venne impiantata, nello stomaco, la lumaca di mare generatrice di ADAM, trasformandole, diventando ossessionate dalla sostanza e addestrate a raccoglierla ed estrarla dalle lumache marine stesse o dai cadaveri dei ricombinanti morti. Essendo vulnerabili vennero creati i Big Daddy, enormi creature geneticamente modificate e corazzate.
In BioShock ogni personaggio principale porta con sé la sua dose di simbolismo: il Dottor Steinman, ad esempio, è alla continua ricerca dei canoni di bellezza perfetti, a simboleggiare, come l’uomo sia un essere vanitoso e di come sia più importante l’apparire che essere. Tema trattato sapientemente e raccontato anche da audiolog di personaggi secondari – donne soprattutto – che hanno utilizzato i plasmidi per ricostruire il proprio corpo, non riconoscendosi più e facendo perdere loro la consapevolezza dell’io.
Sarà un percorso ricco di ostacoli e colpi di scena da maestro e i finali multipli saranno indicativi, non solo sulla nostra condotta di gioco, ma soprattutto sulla reale natura dell’uomo e su sul destino.

BioShock si presenta come un classico sparatutto in prima persona, immediato, e con alcuni elementi da gioco di ruolo, come potenziamenti per armi o plasmidi, i quali possono essere attivi o passivi: quelli attivi possono essere iniettati per poter utilizzare poteri speciali dalla mano sinistra, come fiamme, ghiaccio, elettricità, sciame d’api e tanto altro. Quelli passivi possono rendere più veloci, far subire meno danni o far fare meno rumore. Uno dei pochi elementi criticati risiede nelle cosiddette camere della vita, dispositivi in cui il protagonista resuscita una volta morto. Il loro utilizzo effettivamente facilità le cose in quanto è possibile superare le sezioni più ostiche con un pizzico di perseveranza, anche perché i nemici sconfitti non tornano in vita. Sono comunque contestualizzate nella trama ma è possibile disabilitarle tramite l’apposito menu. Il comparto audio è eccellente: doppiaggio in italiano ottimo e musiche malinconiche, opprimenti avvolgono il giocatore in un atmosfera dai tratti horror e claustrofobici. A livello tecnico era un gioiello, non solo per quanto riguarda texture luci e modellazione ma anche per la resa dell’acqua, elemento cardine del gioco, e sicuramente la migliore mai realizzata sino ad allora. Ciò che colpisce comunque è il comparto artistico: tutto in stile Art Decò, devastato da conflitti interni alla città, esprime a chiare lettere il degrado e la decadenza nella quale Rapture è caduta.

Rapture, è lei la vera protagonista del gioco. Rapture è un’immensa città sottomarina segretamente costruita nel 1946 nelle profondità dell’Atlantico, alimentata da energia termica generata da vulcani sottomarini e rifornita di ossigeno da migliaia di piante cresciute in enormi serre. Fondata da Andrew Ryan, Rapture fu la sua soluzione all’oppressione delle autorità politiche e religiose a favore della libera iniziativa dell’individuo che, slegato da confini etici, religiosi o politici, avrebbe potuto dare il meglio delle proprie capacità esplorando così i confini della mente umana. La città è popolata da coloro che Ryan riteneva essere il meglio dell’umanità.
Non esiste un vero e proprio governo, ognuno è padrone di se stesso, libero da leggi e moralismi che viviamo ogni giorno. Vi è quindi una sorta di anarchia controllata, dove tutti possono dare il massimo per il bene della collettività.
Ma 15 anni dopo, quando arriviamo per la prima volta nella città capiamo che tutto questo non ha funzionato. BioShock è un opera pessimistica, che vede l’uomo soltanto come un egoista e alla ricerca di più potere. Tutti potevano vivere felici, completi eppure la natura umana, ha rovinato questo sogno portando la città perfetta al declino.
Ma in questa città tutti hanno perso, soprattutto la speranza, la speranza di tornare ai fasti di un tempo. I nemici che affronteremo durante il gioco non sono malvagi, ma soli, disperati, alla ricerca costante di se stessi, cose che messe tutte assieme possono portare alla follia. Diventa così un circolo vizioso: l’egoismo genera solitudine, abbandono, che col passare del tempo creano un vuoto che si cerca di colmare con tutto ciò che si pensi possa aiutare come il denaro, o il potere.
BioShock risponde a domande come il perché abbiamo bisogno di governi, leggi ed etica e perché non siamo liberi di esprimerci come vogliamo, facendoci vedere come la vera natura dell’uomo non possa portare a nulla di costruttivo se lasciata a se stessa. Ma è comunque presente la speranza, attraverso le nostre scelte cambiamo il mondo, e attraverso le nostre scelte nel gioco possiamo illuminare un po’ il futuro dell’uomo.

Gli antipodi

Nel 2010 esce BioShock 2 in cui la storia si svolge otto anni dopo gli eventi narrati nel primo capitolo. Tutto ha  però inizio nel 1958, poco prima della caduta di Rapture.

Un prototipo di Big Daddy chiamato Soggetto Delta è impegnato nello scortare la propria Sorellina, Eleonore Lamb. Ma all’improvviso la madre della bambina, Sofia Lamb interrompe la missione. Attraverso un plasmide in grado di ipnotizzare la vittima, spinge il soggetto Delta a spararsi sul posto. Risvegliatosi dopo 10 anni, il Soggetto Delta trova Rapture sull’orlo di una guerra civile, in mancanza di molte sorelline e quindi meno Adam. In questo contesto Sofia Lamb, psicologa, nonché avversaria in politica di Andrew Ryan, conquista pieni poteri. Nei panni del Big Daddy sperimentale, faremo di tutto per ritrovare la nostra sorellina Eleonore, in una città ancora più pericolosa del primo capitolo.

BioShock 2 è un’evoluzione di quanto visto nel primo episodio. Gameplay ulteriormente affinato, più frenetico e con un feeling migliore di armi e plasmidi. Una delle maggiori novità è la trivella, utilizzabile fin da subito e devastante nei corpo a corpo. La trama è molto coinvolgente, ben raccontata, grazie anche ad un ottimo doppiaggio, molto espressivo, e alle musiche ed effetti sonori che accompagnano sapientemente ciò che vediamo su schermo.
Qui passiamo dal capitalismo puro di Ryan al comunismo estremo della Lamb, assolutamente contraria all’individualismo, preferendo una collettività, in cui tutti fossero uguali e con pari opportunità; tutto racchiuso ne La famiglia.
Per quanto sia interessante questo cambiamento radicale rispetto al primo capitolo Sophia Lamb non raggiunge mai le vette carismatiche di Andrew Ryan, facendo sì che BioShock 2 sia vittima del successo del predecessore. Sa un po’ tutto di già visto per quanto riguarda le ambientazioni con alcune aggiunte che potevano essere tranquillamente evitate. Un’ottima aggiunta invece sono le Big Sister, nemici completamente diversi rispetto dai Big Daddy, essendo molto più agili e veloci.

Essendo noi stessi un Big Daddy possiamo comportarci come tali: possiamo prendere una sorellina, scortarla verso cadaveri per prendere l’ADAM e proteggerla da tutti i nemici.
BioShock 2 è sicuramente un gran bel titolo, con un voto superiore a 9, ma semplicemente non è BioShock.

Infinite porte

Nel 2013 esce BioShock Infinite che, tutto sommato, può essere considerato un capolavoro mancato, per via di un gameplay che non porta nulla di nuovo alla saga ma con una trama tra le più affascinanti mai viste. Affascinante come i personaggi di Elizabeth soprattutto, Booker deWitt e Zackary Comstock.

Ambientato nel 1912, il titolo si basa sulla scomparsa nei cieli di Columbia, città volante fondata da Zachary Hale Comstock (auto nominatosi “il Profeta“).
Impersoniamo Booker deWitt, un detective alcolizzato e accanito giocatore d’azzardo, con un passato burrascoso e in congedo forzato dall’agenzia Pinkerton. Gli viene offerta la possibilità di coprire il suo debito attraverso un incarico dato da un losco individuo: «portaci la ragazza e annulla il debito». Il suo compito consiste nel trovare la città di Columbia e, una volta arrivato, trovare una certa Elizabeth e portarla da loro. Sarà uno dei viaggi più incredibili mai intrapresi.

Più avanti mi occuperò di mettere assieme tutti i vari pezzi del puzzle ma già da ora importante soffermarsi su un DLC, diviso in due parti, denominato Funerale in mare. In questo contenuto aggiuntivo c’è molto più di quanto molti di noi si aspettavano, facendo luce non solo su Infinite, ma su tutto il mondo di BioShock.

All’inizio del DLC la storia comincia come se nulla fosse successo: Booker deWitt è addormentato, perseguitato da ricordi confusi e traumatici. All’improvviso una donna misteriosa entra nel suo ufficio proponendogli un lavoro: ritrovare una certa Sally. Booker è sorpreso dalla richiesta, perché quella bambina era la sua figlia adottiva, un’orfana della guerra tra Andrew Ryan e Frank Fontaine, a cui si era affezionato. Capiamo di essere a Rapture mentre la committente si rivela essere Elizabeth, ma lui non sembra riconoscerla. Usciti dall’ufficio i due trovano durante il Capodanno del 1958, come l’inizio di BioShock 2. Anche in questo caso sarà un viaggio allucinante, con una scrittura perfetta, facendo diventare il tutto una delle migliori opere di fantascienza mai create. Ma ci arriveremo.

BioShock Infinite tratta un infinità, appunto, di tematiche più o meno esplicite all’interno di Columbia. Uno di questi è il puro razzismo e lo sfruttamento dei deboli che però, non fermerà le idee di ribellione, venendosi a creare situazioni che porterà ai Vox Populi, gruppo che cercherà di portare la democrazia nella città volante.
Altro tema importante è quello della religione: tutto è intriso di ambiguità, con Zackary Comstock nella veste di un profeta onnipresente e onnisciente, praticamente una vera e propria divinità per il suo popolo. Nonostante una fede incrollabile, guidata dal cristianesimo più radicale, in molte circostanze i columbiani arriveranno a ignorare persino i principi base della loro fede e, come per le Crociate, sfruttare le ideologie del bene per giustificare il male.

Tuttavia il gioco è chiamato Infinite per un motivo. Il tema del Multiverso è sempre stato affascinante, prevedendo un’infinità di universi simili al nostro ma esistenti contemporaneamente. Questa teoria, prende piede nella prima metà del novecento grazie a Hugh Everett III che dopo attenti studi, arrivò a teorizzare che se è possibile effettuare misurazioni a livello quantistico allora è probabile che per ognuna di queste possa esistere un altro Universo in uno spazio-tempo differente. Può risultare complicato ma con qualche esempio ne verremo a capo.
Il gioco comunque, è sempre uno sparatutto in prima persona, praticamente simile ai precedenti capitoli, con un comparto tecnico che non fa gridare al miracolo. Il comparto artistico è invece ciò che risalta maggiormente e pressoché perfetto. È letteralmente poesia in movimento, ed è impossibile non farsi colpire da Columbia. Elizabeth e Booker, indipendentemente da loro legame, sono personaggi ormai iconici, aiutati da un perfetto doppiaggio in italiano, veramente molto espressivo e dalla giusta tonalità. Musiche usate magistralmente, ricalcano le atmosfere sempre col giusto tempismo. E il finale è letteralmente da brividi, uno dei migliori mai visti.

Un miliardo di mondi

Ci sono domande alla quale non possiamo rispondere ma fortunatamente in questo caso, grazie alla deliziosa scrittura di Levine possiamo tirare delle conclusioni. Se avete notato non ho voluto approfondire di proposito le trame per evitare spoiler che rovinerebbero l’esperienza. Ma questa in fin dei conti è una recensione di un intera saga, cercando di far luce su tutti gli aspetti nascosti. Quindi da ora in poi ci saranno grossi – ma proprio grossi – SPOILER, siete avvisati.

 

Terminando BioShock Infinite, compresi i DLC alcune domande sorgono spontanee e per poter trovare le risposte, bisogna diventare dei fisici quantistici e cominciare ad avere qualche nozione su Micro-Universo e Macro-Universo.
Per Macro-universo intendiamo un Universo completamente diverso da un altro, esistente su un piano spazio-temporale differente. Quindi, nel gioco, possiamo osservarne due: uno dedicato a Rapture e uno dedicato a Columbia. Entrambe le città, entrambi questi mondi, sono esattamente contemporanei ma, mentre a Rapture è circa il 1960 a Columbia è il 1912. Da essi derivano i Micro, simili ai Macro, ma che esistono nello stesso spazio-tempo. Tutto ciò, possiamo osservarlo quando viaggiamo tra le Columbia alternative che in BioShock Infinite, durante la rivoluzione dei Vox Populi.
In questi Universi così diversi, troviamo dei fatti che sono in comune e che daranno vita alle vicende di tutto il mondo di BioShock. Sono eventi, anche in questo caso, contemporanei, ma in tempi e luoghi diversi.

Sappiamo che le vicende del primo capitolo iniziano quando Andrew Ryan comincia a costruire Rapture, la sua città ideale. Sappiamo anche che, nel frattempo, a Colunbia Booker deWitt, decide di battezzarsi, divenendo Zachary Hale Comstock. L’onniscienza del Profeta è data dalla capacità di vedere infinite realtà grazie al dispositivo spazio-temporale creato dai Lutece e, proprio in una di queste realtà scorge la città in fondo l’oceano, all’inizio della sperimentazione dell’ADAM sugli umani.
Anche i fatti di Funerale in mare derivano da una di queste conseguenze, generando così due diverse realtà: in una Booker avvia gli eventi di BioShock Infinite, nell’altra, Booker, avvia gli avvenimenti del DLC. Capito questo, abbiamo una maggiore consapevolezza della cronologia dei fatti:

  1. Funerale in mare è ambientato dopo il finale principale di Infinite, ma solo dal punto di vista di Elizabeth, colei che impersoniamo. Cronologicamente però, è precedente ad esso. Ecco perché Comstock è ancora vivo.
  2. Quando Elizabeth porta Songbird a Rapture per affogarlo, notiamo una città devastata dalla guerra civile, semi distrutta e con i Big Daddy e Sorelline che raccolgono l’Adam. Ma tutto questo, nel DLC, non esiste. Non vi è ancora alcun legame tra le bambine e il colosso corazzato.

Nella parte finale di Infinite possiamo apprezzare meglio i concetto di Macro e Micro Universo. Nella scena dei Fari, Elizabeth entra in un ambiente con infiniti Fari simili a quello che porta a Rapture, e che quindi, rappresentano i Micro-Universi di BioShock. Sempre nella stessa situazione, siamo catapultati in un mondo con dei Fari simili alle costruzioni su Columbia, con conseguenti Micro-Universi.
Quando Booker decide di sacrificarsi, nel finale principale, quest’ultimo Macro-universo Columbia viene cancellato. Ma Elizabeth decide comunque di seguire Comstock a Rapture, cercando di salvare in ogni modo Sally, la bambina che tanto le ricordava la se stessa da piccola. Se lei non fosse andata lì, Jack Ryan (colui che impersoniamo nel primo capitolo) non si sarebbe mai recato a Rapture e quindi non avrebbe salvato tutte le sorelline e, di conseguenza Sally. Tutto quello che abbiamo vissuto in BioShock e Bioshock 2 lo dobbiamo ad Elizabeth che però, al collassare del Macro-Universo Columbia, ne perde i ricordi, incontrando così l’Elizabeth inconsapevole di Infinite.
In poche parole scopriamo che BioShock Infinite, DLC compreso, è un prequel di BioShock.

BioShock, inteso come saga, è assolutamente uno dei più grandi, se non il più grande viaggio che potreste fare. È la dimostrazione che anche il mondo videoludico può essere considerato alla pari, se non superiore, a film o libri di qualsivoglia genere. Non troverete da nessuna parte musiche, dialoghi, trama, lato artistico racchiuse in una sola opera. Ringraziamo di cuore Ken Levine per averci portato in mondi che chi lo sa, magari esistono da qualche parte, nei meandri dello spazio-tempo.