I primi risultati delle prestazioni dell’Intel Core i9-7960X

Un leak del prossimo processore in uscita, l’Intel Core i9 7960X, mostra il punteggio su Geekbench registrando prestazioni impressionanti grazie ai suoi 16 core, e si scontrerà contro la nuova CPU di AMD Threadripper 1950X. L’arrivo del Core i9 7960X è previsto per il prossimo anno e sarà pienamente compatibile con la piattaforma X299 per Skylake-X. Avrà un prezzo di 1699 $, che in Italia equivale a circa 1457 Euro e, calcolando l’iva, andrà oltre i 1600 Euro, un prezzo molto alto anche se le prestazioni sono degne di nota. Il processore vanta 5238 punti nei risultati single core e 33.672 punti nei risultati multi core. Questi sarebbero numeri impressionanti per qualsiasi altro chip ma, rispetto a quanto ci si aspettava dai 16 core, sono numeri bassi. Infatti, se si esaminano i punteggi ottenuti dal Core i9 7900X che ha 10 Core / 20 thread, si possono vedere risultati molto simili in tutte le categorie, eccetto la categoria Floating Point & Memory. La ragione è ovvia: il chip sembra essere fissato a 2,5 GHz, che è un clock molto basso, parlando di un 16 core.

Il benchmark è stato condotto il 21 luglio 2017 e il sistema di prova ha le seguenti specifiche:

OS: Windows 10 64 bit
Motherboard: ASUS PRIME X299-Deluxe
RAM: 32 GB
CPU: Core i9-7960X (16 Cores / 32 Threads)
CPU Clock: 2.51 GHz (All-Core)
L1 Cache: 1 MB
L2 Cache: 16 MB
L3 Cache: 22.5 MB

Inoltre capiamo un paio di cose sul Core i9 7960X da queste specifiche. Intel non ha ufficialmente rivelato la dimensione della cache L3 del processore, ma possiamo vedere che dovrebbe essere di 22,5 MB. Il sito wccftech ha creato un confronto della nuova CPU contro il Threadripper 1950X di AMD (anche questo 16 core e 32 thread) e con le “vecchie” CPU Skylake-X, precisamente il Core i9 7900X.

Il Core i9 7900X attualmente vince in termini di prestazioni per prezzo, ovviamente stando ai risultati di Geekbench 4.0. Tuttavia bisogna tenere presente che questi risultati sono molto diversi dai parametri di calcolo come quelli su Cinebench R15, dove Threadripper supera Intel. In questi scenari AMD è più prestante di circa il 40% in base ai numeri di Cinebench. Dal momento che esiste un mercato molto grande per quanto riguarda le applicazioni di rendering, si può prevedere che questi chip andranno a ruba. AMD ha infatti portato il mondo delle CPU multi core anche a portata di consumer medio. Tuttavia, il Core i9-7960X ha un rapporto prestazioni/prezzo assolutamente esagerato. Il punteggio è certamente frutto del  fatto che si tratta di un Engineering sample, a giudicare dal clock da 2,5 GHz. Si spera in un aumento di clock di almeno 500 Mhz che incentiverebbe non poco gli utenti all’acquisto.




I nano-device promettono prestazioni ultra veloci per le console

Un team internazionale di scienziati guidato dall’ANU (Australian National University) ha progettato un nuovo nano-device che promette un rendering ultra veloce della grafica sulle console.

Il ricercatore senior del Nonlinear Physics Centre dell’ANU Research School of Physics and EngineeringDragomir Neshev, ha dichiarato che l’invenzione – una piccola antenna che è 100 volte più sottile di un capello umano – potrebbe anche aiutare i computer utilizzati per creare animazioni e effetti speciali:

«Uno dei grossi problemi che incontrano i giocatori durante le sessioni di gioco sono i cali di framerate, che il nostro nano device potrebbe migliorare notevolmente accelerando lo scambio di dati tra i multi processori nella console» afferma Neshev, che prosegue 

«La velocità di questo tipo di trasferimento di dati è attualmente limitata dalla velocità degli elettroni lungo i cavi di rame che collegano i processori nelle console di gioco. 

La nostra invenzione può essere utilizzata per collegare questi processori con cavi ottici che trasmetteranno i dati tra i processori migliaia di volte più veloci dei cavi metallici, consentendo un rendering veloce e un calcolo parallelo su larga scala necessari per una buona esperienza di gioco.»

L’ANU ha collaborato con Friedrich-SchillerUniversität Jena, il Leibniz Institute of Photonic Technology e la Technische Universität Darmstadt in Germania.

Il professor Neshev ha affermato che i ricercatori hanno utilizzato l’antenna a nano scala per trasmettere e indirizzare i segnali di telecomunicazione dall’aria in diverse direzioni in un filo ottico per la prima volta.

«Siamo i primi a realizzare una piccola nano antenna ottica con la capacità di ordinare e percorrere segnali di telecomunicazione a bitrate ultra veloci.

Siamo stati inoltre in grado di ridurre i componenti ottici per colmare la differenza di dimensioni con le parti elettroniche sempre più piccole»

L’invenzione ha impiegato due anni per avere questi risultati, ed è stata sostenuta dall’ARC attraverso il CUDOS, Centre of Excellence e l’Australian National Fabrication Facility.
La ricerca è stata pubblicata su Science Advances.




Rocket Wars

Rocket Wars è un titolo indie action in 2D, sviluppato da Archon Interactive e pubblicato da Rooftop Panda su Steam. Armati della nostra navicella spaziale, dovremo fronteggiare all’interno di un’arena altre navicelle per riuscire infine a completare l’obiettivo prefissato.
Rocket Wars dispone di un gameplay abbastanza semplificato: per riuscire a contrastare i nemici dovremo disporre di un’elevata capacità nell’usare le armi che abbiamo a disposizione. Ogni navicella disporrà di un’arma base, alla quale potremo affiancare anche un’arma speciale che si potrà acquisire tramite power-up all’interno dell’area di gioco. Potremo quindi disporre di cannoni, mine, bombe nucleari e cosi via. Questo titolo è stato creato principalmente come shooter-arena con pvp locale, ed è infatti possibile giocare con altri utenti (fino a un massimo di 4).
Il titolo però è tutta via privo di pvp multiplayer, e questo è un difetto non da poco, che rende il gioco noioso se non si hanno amici con cui giocarlo.

Nel corso del gioco sarà possibile affidarsi alla coppia tastiera-mouse oppure utilizzare il joypad. Vi consiglio vivamente di usufruire di un joypad, se possibile, la precisione al contrario ne risente molto.
Il gioco possiede un numero sufficiente di modalità di gioco, da scegliere tra sette differenti: Deathmatch (free for all), Survivor (nella quale ogni giocatore avrà a disposizione 5 vite e dovrà riuscire a tenersele strette il più possibile), Nuke King (dove vince chi ottiene il punteggio più alto), Team Deathmatch (dove vince il team che ottiene il maggior numero di uccisioni), Team Survivor (ogni team ha 10 vite a disposizione e l’obiettivo è quello di non terminarle prima del team nemico), Team Nuke King (dove per vincere, bisogna far conseguire al proprio team il maggior numero di punti) e Free Play (dove il giocatore può giocare all’infinito senza alcun obiettivo).
Rocket Wars dispone soprattutto di un’intelligenza artificiale davvero ben fatta che riuscirà a metterci sempre in difficoltà. La grande intelligenza dei bot rende le partite molto combattute e intriganti.
All’interno del titolo sono presenti ben 12 navicelle completamente diverse l’una dall’altra. Sarà possibile sbloccarle con l’avanzare dei livelli. Ogni navicella che sbloccheremo avrà un vantaggio e uno svantaggio: ad esempio, alcune avranno una cadenza di tiro maggiore ma avranno una vita minore, altre avranno una velocità superiore a scapito della maneggevolezza. Sbloccare una skin sarà inutile, cambierà l’aspetto  della nostra navicella ma non avremo nessun vantaggio in battaglia.
In sé, Rocket Wars ha una grafica molto scarna e una colonna sonora abbastanza rilassante e piacevole, che riesce a rendere il gameplay in singolo di certo più avvincente. La mancanza del multiplayer penalizza però non poco un titolo che sarebbe potuto risultare molto più interessante, e la presenza della coperativa locale colma solo in parte questo vuoto che lascia il gioco globalmente monco.




30 minuti di gameplay per Ni No Kuni 2: Revenant Kingdom

Lo avevamo già visto all’E3, oggi si presenta con un inedito video di gameplay. Ni No Kuni II: Revenant Kingdom, sviluppato da Level 5 e Bandai Namco, subirà un ritardo nell’uscita, slittando al 2018. Il video è un walkthrough a cura proprio del team Bandai, che ci mostra in maniera più accurata la demo già presentata alla fiera E3 2017.
Ni No Kuni II: Revenant Kingdom uscirà il 19 Gennaio 2018 per PS4 e PC.




Abandon Ship: trailer mostra nuovi mostri marini

Abandon Ship è un titolo che uscirà quest’anno, il cui gameplay si basa sulla navigazione, dove si salperà con la propria nave e il proprio equipaggio per esplorare un mondo generato proceduralmente e impegnando navi nemiche in combattimenti tattici. Oltre ai nemici e alle tempeste adesso si aggiungeranno anche alcuni mostri degli abissi che ostacoleranno il nostro viaggio, come mostra il nuovo trailer che potete vedere di seguito.




Grossi investimenti negli e-sports

Gli e-sports stanno prendendo sempre più piede: stadi gremiti, fama e soprattutto ricchi premi stanno ormai diventando una normalità. Probabilmente nel prossimo futuro affiancheranno gli sport fisici che tutti conosciamo e gli investimenti, per far sì che ciò accada, stanno cominciando a registrare cifre esorbitanti. Proprio in questi giorni, infatti, la software house Eyedentity Entertainment sta per investire circa 45 milioni di dollari in questo settore, fondando anche un nuovo marchio: WEGL (World Esports Games and Leagues).
L’obiettivo principale è quello di espandersi in tutto il mondo, partendo dai paesi in cui gli e-sports sono ormai una realtà come Cina o Corea del Sud, per poi divenire leader nell’organizzazione e trasmissione dei vari eventi. Oltre a questo, gli investimenti saranno mirati a costituire vari team e soprattutto la costruzione di varie infrastrutture come gli stadi.
Sarà questo quindi il futuro?




Get Even: rilasciato un trailer che mostra le zone del gioco

Da poche ore è stato rilasciato da Bandai Namco un trailer riguardante l’ultimo titolo di casa The farm 51, Get Even. Il video raffigura il giocatore in diverse zone del gioco, da camere inquietanti a strutture abbandonate.
Inoltre, un trailer mette in contrapposizione le zone del videogioco e le zone da cui gli sviluppatori hanno preso spunto.
Di seguito i due trailer rilasciati:

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Il titolo di Batman si presenta con immagini esclusive

Batman: The Enemy Within, il nuovo titolo di Telltale Games che è stato preceduto da Batman: The Telltale Series, si mostra in una serie di screenshot.
Ricordiamo inoltre che il titolo uscirà su PS4, Xbox One e PC, e sarà disponibile anche su mobile entro la fine dell’anno.

 




Shadow Warrior: Special Edition, disponibile gratis per 48 ore

Humble Bundle ha reso disponibile gratuitamente per 48 ore il gioco Shadow Warrior: Special Edition per PC. Una volta registrati sul sito basterà aggiungere il gioco al carrello e tramite email attivarlo su Steam per avere per sempre la special edition completa con tutti i DLC e anche il gioco Viscera Cleanup Detail: Shadow Warrior. Non è la prima volta che Humble Bundle regala key di titoli di questo calibro.




Perception

«Quando si è ciechi si imparano un paio di cose sulla fiducia». Cassie lo sa sin da bambina, e con questa frase ha inizio il rapidissimo racconto che dall’infanzia di Phoenix, Arizona, ci porta al giorno della sua partenza alla volta di Gloucester, nel Massachusetts.
È lì che si trova, infatti, la villa che ricorre nei frequenti incubi che non le danno pace negli ultimi mesi, ed è proprio dal vialetto della fantasmatica e antica magione di Echo Bluff che ha inizio l’avventura della nostra protagonista, animata da un unico, irrefrenabile imperativo: «I need to do this».

«Looking on darkness, which the blind do see»

Cassie varca la soglia della dimora in cui è interamente ambientato Perception impugnando l’unica arma di cui dispone, un bastone con il quale ha imparato fin da piccola a “vedere” il mondo attorno a sé. La sua vista si compone di un tratteggiarsi di linee chiare sullo sfondo di tenebra dei suoi occhi, nel quale le forme si delineano a ogni vergata e a ogni rumore di passi. La nostra protagonista ha imparato fin da piccola a distinguere gli oggetti e gli spazi in relazione al suono prodotto, facendo del proprio bastone un sonar e dell’udito il suo senso principale.
Esploreremo dunque la casa in prima persona «osservando l’oscurità che i ciechi vedono» e cercando di capire la composizione delle stanze in un percorso che ci porterà a ricostruire le storie sepolte tra le mura della casa, che apprenderemo sotto forma di audiolognote e documenti. Ed ecco che qui subentra il secondo strumento a disposizione di Cassie, lo smartphone, grazie al quale riusciremo a conoscere il contenuto di ogni testo trovato in giro.
Da buona figlia del suo (nostro) tempo, Cassie ha infatti a disposizione le app che servono a facilitarle la vita quotidiana, e che diventano fondamentali per poter ricostruire la storia celata nella villa di Echo Buff: il Delphi, app “text-to-speech” per mezzo della quale avremo la lettura di un testo dopo averlo fotografato, e il servizio “Friendly Eyes“, nel quale un operatore verrà in nostro soccorso nei casi in cui per Delphi sia impossibile la lettura, “prestandoci” i suoi occhi e descrivendoci ciò di fronte a cui ci troviamo.

Presenze

«Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità»
(José Saramago, Cecità)

Armati di smartphone e bastone vagheremo, dunque, tra stanze e storie che porteranno Cassie alla rivelazione di atroci verità, ma non saremo soli: la casa, in apparenza disabitata, è in realtà infestata da una misteriosa entità chiamata “La Presenza” alla quale il nostro curiosare non piacerà affatto, e dalla quale dovremo fuggire per evitare il game over.
Il gameplay di Perception è sostanzialmente tutto qui: divisa in quattro atti, la trama si dipana in un percorso nel quale andremo avanti per obiettivi e ascolteremo tutti i documenti che ci permetteranno di ricomporre l’intero puzzle della storia mentre stiamo attenti a non farci catturare dalla Presenza.
In assenza di una scelta tra livelli di difficoltà, l’unica selezione possibile all’inizio sarà fra “Chatty Cassie” (“Cassie chiacchierona”) e “Silent Night” (“Notte silenziosa”), modalità, quest’ultima, scremata da molte spiegazioni inerenti il plot, nella quale trovano spazio prettamente le linee di testo utili ad andare avanti nel gioco.
Il consiglio è quello di scegliere senz’altro la prima modalità, sia per non perdersi una storia per molti versi interessante, sia perché molto del resto del titolo lascia a desiderare. Pur prendendo, infatti, le mosse da un concept indubbiamente affascinante e in gran parte originale, Perception mostra i propri evidenti limiti proprio sul piano del gameplay. Il titolo di The Deep End Games è un survival horror in prima persona che richiama lavori come Amnesia e Outlast, con un’impostazione da walking simulator e una ricostruzione a ritroso dei tragici accadimenti degli abitanti della casa che ricorda il recente What Remains of Edith Finch. Pur non raggiungendo lo spessore del titolo di Giant Sparrow, l’impianto narrativo risulta comunque molto godibile, nel pieno rispetto della tradizione del genere; sul piano della giocabilità, invece, quel che penalizza Perception è, da un lato, la presenza di meccaniche ripetitive e poco avvincenti, ma soprattutto, dall’altro, la mancanza di un basamento di vera tensione, la quale va scemando con l’abituarsi ai routinari meccanismi che caratterizzano il gameplay.
Il titolo inizia bene, specie se giocato in cuffia e con la giusta atmosfera: ci si sente isolati, indifesi nell’oscurità e insicuri del fatto di poter sfuggire all’imprevedibilità della Presenza, la quale potrebbe coglierci impreparati in ogni momento e in ogni stanza. Col progredire del gioco si prendono però ben presto le misure e ci si accorge che, in realtà, La Presenza non è poi così presente: si capisce ben presto che è infatti difficile che questa si manifesti (se non in determinati punti del gioco o solo in seguito a una dose massiccia di rumore) e, anche in questo caso, sfuggirle non risulta particolarmente problematico, grazie anche ai numerosi nascondigli piazzati nelle varie stanze. Insomma, alla lunga vengono a mancare livelli di imprevedibilità e di rischio che, in titoli del genere, diventano il sale della sfida (e chi ha giocato a titoli come Clock Tower Haunting Ground questo lo sa bene).
C’è da aggiungere che Cassie possiede un’altra skill, un Sesto Senso che le permette ogni volta di sapere verso quale obiettivo andare, facilitando non poco il nostro compito all’interno della casa e risparmiandoci molta fatica sul piano esplorativo, a meno che non si abbia l’intento di trovare tutti gli audiolog e i documenti utili a ricostruire l’intera storia (approccio, ripeto, caldamente consigliato a chi voglia godere dei contenuti).
Concettualmente l’operazione di Perception potrebbe ricordare Beyond Eyes, adventure game in terza persona nel quale si vestono i panni di una ragazzina immersa in una bianca cecità che ricorda quella di Saramago e che crea attorno a sé un mondo a colori col progredire del gioco, mentre qui l’effetto del bastone di Cassie richiama molto più quello di Scanner Sombre, nel quale si cammina in ambienti totalmente bui nei quali gli oggetti si ergono nei loro contorni tramite uno scanner atto a rilevarli.

Tutti i colori del buio

«La capacità sensoriale del cieco dotato di qualche residuo di vista può essere, di volta in volta, magica e inquietante. Non hai niente davanti, niente alle spalle; ed ecco emergere dalla nebbia un’ombra di forma umana: quanto è incantevole e tremenda! È una visione folle e sacra, l’ininterrotto apparire e scomparire del mondo fisico» (Stephen Kuusisto, Tutti i colori del buio)

A causa di tutti questi accorgimenti, il gioco globalmente non sembra restituirci con efficacia l’esperienza della cecità, la quale sembra a tratti un mero pretesto.
Dobbiamo dunque abbandonarci alla sospensione dell’incredulità e goderci un comparto grafico di certo perfettibile, ma la cui resa è comunque suggestiva, tra onde sonore di radio e giradischi, bambole in movimento, fasci di luce esterna che intuiamo dallo sferzare del vento fino ad alcune scoperte inaspettate in cui incapperemo nel nostro oscuro tour. Sullo schermo nero i contorni si tingono di azzurro, «il colore dello zucchero, delle zebre e delle zanzare», mutuando le parole del cieco protagonista di Almost Blue; ma in realtà i colori cambiano in prossimità della Presenza, tingendo la vista di giallo quando questa si trova nelle vicinanze, gradandosi di arancione intenso e infine di rosso con il suo progressivo avvicinarsi, rappresentando così il livello di tensione di Cassie.
Suono e visione hanno dunque una stretta correlazione ma, se la grafica ci offre dei risultati gradevoli e di una certa suggestione, lo stesso non può dirsi del comparto sonoro che dà del suo meglio in alcuni jumpscare (affidati praticamente solo all’architettura sonora) ma risulta nel complesso poco curato, al punto che la trasposizione visiva del suono diventa più importante del sonoro stesso, il quale dovrebbe essere invece il fondamento dell’intero gameplay, essendo la fonte della vista di Cassie e l’elemento di maggior suspense del titolo. Quel che davvero manca è il bilanciamento tra le parti: perseguendo l’intento di offrire al giocatore una maggior possibilità visiva, si penalizzano tutte le potenzialità che un audio design ben congegnato avrebbe potuto offrire, allontanando il giocatore da un’autentica esperienza di cecità in un contesto orrorifico. Ciò che Perception ha di ammaliante perde il proprio fascino e la propria potenza evocativa dopo circa mezz’ora di gioco, quando la casa comincia a essere percepita come un luogo “da ricostruire” piuttosto che come uno spazio reale da tirar fuori dal fondo pozzo dell’ignoto, sensazione ulteriormente accentuata dalla luminescenza degli obiettivi che possiamo mettere letteralmente in luce ogni volta tramite un sesto senso che trova poca giustificazione.

Percezioni

«Ora che ho perso la vista, ci vedo di più»
(Alfredo in Nuovo Cinema Paradiso)

Sviluppato da una parte di quel team di Irrational Games che ha lavorato su BioShockPerception nasce da un’idea originale e suggestiva che ha permesso allo sviluppatore di raccogliere più di 150.000 dollari su Kickstarter. Il titolo doveva uscire nel giugno del 2016, ha subito un ritardo di quasi un anno e in questi casi si spera che più tempo si traduca in migliori risultati, ma evidentemente non è bastato.
Il gioco mette davvero in atto uno spreco di tanto buon potenziale, considerando che alla base vi è un impianto narrativo ben congegnato, un buon doppiaggio e anche un meccanismo di ecolocalizzazione globalmente ben architettato.
Ma ci si ferma lì: il resto si perde nella routine che porta ciclicamente il giocatore a camminare, toccare, prendere un oggetto, ascoltare un ricordo, attivare il sesto senso, andare avanti e poi ripetere tutto da capo, con qualche intermezzo da brivido offerto dall’avvento della Presenza e qualche piccolo jumpscare. Troppo poco sul piano della suspense, troppo poco in termini di sfida per un survival horror di questo genere, e i contenuti non sono buoni abbastanza da compensare, non raggiungendo questi uno spessore autoriale ed essendo rimaste inespresse anche alcune intuizioni sulle quali sarebbe stato interessante lavorare, come quella di creare un racconto leggendario attorno alla proprietà di Echo Bluff, idea nata e morta nei 5 minuti di un singolo mockumentary che avrebbe potuto invece costituire la base di una serie di storie, creepypasta e leggende urbane sulle quali costruire un’aura di mistero tra finzione e realtà attorno alla villa. Un peccato anche per Cassie, personaggio ben costruito del quale emergono personalità e carattere e che quindi avrebbe meritato un altro sviluppo, mentre qui si limita a quasi a subire il fluire degli eventi e al mero ascolto delle singole storie.
Ad aggravare un quadro retto dunque quasi esclusivamente da una linea narrativa ben curata e da una grafica comunque accattivante sono inoltre i non pochi bug e glitch presenti nel titolo, alcuni dei quali bloccano di fatto l’avanzamento del giocatore, costringendo a ripartire dall’ultimo checkpoint (che per fortuna è quasi sempre abbastanza vicino): nella versione per PS4 che abbiamo giocato, mi sono ritrovato in una stanza dalla quale era impossibile uscire a causa di un dislivello nel pavimento che coinvolgeva tutta la mobilia attorno, insensatamente sollevata da terra (e no, non era un effetto di telecinesi spiritica).
Anche la traduzione italiana sembra essere figlia di una certa fretta e di approssimazione, non solo per l’evidente mancanza di cura della trasposizione nella nostra lingua, ma perché non di rado i sottotitoli italiani si alternano a quelli inglesi o addirittura si ritrovano intere sequenze in cui la voce scorre senza essere accompagnata da alcuna didascalia. Il linguaggio non è così complesso da non essere inteso da chi mastichi un po’ di inglese, ma qualunque backer nostrano che ha contribuito al finanziamento dell’opera avrebbe ragione di arrabbiarsi.
Titolo dedicato «a chi sia stato incompreso, mal giudicato, sottovalutato, a tutti quelli che non sarebbero mai riusciti a far qualcosa» e in parte ispirato a una storia vera accaduta alla fine del XVII secolo, Perception rappresenta una grossa occasione mancata, tradendo ottime premesse dal punto di vista del concept e della storia e rivelandosi un gioco certamente godibile ma globalmente privo di spessore, povero di sfida e mal congegnato dal punto di vista del gameplay, in un genere – quello del survival horror – che offre oggi omologhi ben più degni d’attenzione.