A novembre sarà il turno di RIDE 3

Con RIDE, Milestone ha sicuramente fatto centro: un “Gran Turismo delle moto”, riportando in auge quanto fatto dalla stessa Polyphony Digital con Tourist Trophy su PlayStation 2. Se il primo capitolo è stato un buon tentativo è col secondo che le cose si sono fatte interessanti, con una struttura ludica più matura e soprattutto la realizzazione di un gran numero di moto, vincendo il Guinness World Record per il maggior numero di moto su licenza presenti in un videogame.
RIDE 3 alzerà ulteriormente l’asticella e, puntando ancor di più sull‘Unreal Engine 4, porterà la migliore esperienza motociclistica videoludica mai vista.
Il numero delle moto arriverà a 230, suddivise in sette categorie mentre, le piste saranno 30, di cui 12 inedite. Nella realizzazione dei circuiti reali è stata utilizzata la tecnologia Drone Scanning System, utilizzata anche in MotoGP 18, per una riproduzione certosina di ogni minimo dettaglio. La varietà è garantita, spaziando da piste famose come Laguna Seca, a tracciati su sterrato e cittadine e per la prima volta, gare in notturna.
Ancora più importanza è stata data alla personalizzazione, non solo estetica: oltre 500 parti saranno modificabili, dai freni ai cerchioni più un editor per le livree, da condividere all’interno della community.
L’utilizzo del nuovo motore grafico permetterà un’evoluzione tecnica tangibile, con una migliore qualità di rendering, migliori effetti particellari e nuovo sistema di luci.

RIDE 3 uscirà l’8 Novembre su Steam, PS4 e Xbox One.




Annunciato F1 2018

Come poteva mancare l’annuale gioco dedicato alle vetture più veloci al mondo. F1 2018 sarà un’ulteriore evoluzione di quanto sviluppato con l’ottimo F1 2017 che, a detta di Paul Jeal (F1 Franchise Director di Codemasters) è stato fondamentale per per mettere le basi al capitolo migliore di sempre.
Tra le novità annunciate, vi sarà una maggiore attenzione alla modalità carriera, con molte aggiunte richieste dai fan, che verranno svelate più avanti. Inoltre verranno realizzate più auto storiche, spaziando ancor di più tra le diverse epoche dello sport motoristico più famoso al mondo.
Il gioco vedrà il suo rilascio il 24 Agosto in concomitanza con il Gran Premio del Belgio, a Spa-Francorchamps




Mamme e videogiochi possono andare d’accordo

Sin da piccolissima, casa mia è stata letteralmente piena di strumenti “tecnologici”: computer, telefoni fax, i primi cellulari, stampanti, tutti oggetti che avrei imparato a usare crescendo; ma da quando ho ricordi, erano quattro gli apparecchi che sapevo più o meno usare: la tv, il videoregistratore (sfruttato prevalentemente per guardare e riguardare i VHS dei film Disney), la prima PlayStation e il Game Boy, questi ultimi appartenenti a mio fratello. Non era raro che mentre uno di noi due giocava, sopratutto alla console di casa Sony, nostra madre ci guardasse, un po’ per capire per cosa avesse speso quelle 50 mila lire, un po’ per aspettare il suo turno.
Ebbene sì, sono tra i pochi fortunati cresciuti tra la fine degli anni ’90 e i primi del 2000 ad avere una mamma “gamer”,o che almeno, lo è stata un po’ da giovane. Avendo vissuto a pieno il periodo della nascita delle console, aveva in casa un’Amiga 600 e un Commodore 64 con giochi come Impossible MissionArkanoidPac-ManTetris Donkey Kong, che usava insieme ai fratelli più piccoli. Forse per sentirsi di nuovo ragazza, o forse per vedere personalmente come fossero cambiati i videogiochi nell’arco di 10-20 anni, ogni tanto accorreva in nostro aiuto quando non riuscivamo a superare un determinato livello in Crash Bandicoot, e la cosa la faceva divertire molto, tanto da aver trovato in quella serie i suoi videogiochi preferiti.

Passano gli anni, in casa arrivano una PlayStation 2  e un Game Boy Advance SP, la prima console che ho chiesto personalmente, che potevo considerare mia e che fu una delle ragioni che mi portò ad amare Nintendo. Trascorrevo intere giornate a giocare a Pokémon Smeraldo e Rosso Fuoco, che però non suscitarono interesse in mia madre,  troppo occupata a capire giochi come GTA Vice City e San AndreasNon era certo la prima volta che vedeva giochi violenti, avendo comprato in precedenza Tekken 3 Mortal Kombat 4, sempre a mio fratello, sempre sotto la sua supervisione, ma la vastità di cose che era possibile fare, il linguaggio scurrile e la grafica (ai tempi) fotorealistica sono sicuramente fattori che possono sì intrigare un bambino (personalmente li vedevo come qualcosa di totalmente nuovo e fu per questo che mi avvicinai a titoli del genere), ma anche allertare una mamma, specie se li associa all’influenza che questi possono avere sui figli di 6 e 11 anni. Insomma, non era proprio contentissima di quegli acquisti, nonostante le fosse chiaro che ci divertivamo come matti e mai avremmo voluto fare quelle cose nella vita reale. Non arrivò mai a sequestrarceli completamente, ma temeva che giocarci troppo potesse influenzarci in modo negativo, sopratutto me, che ero la piccola di casa e sopratutto femmina.
Ammetto di essere sempre stata un po’ maschiaccio dentro, nonostante mamma avesse provato di tutto per farmi essere più femminile (e tutt’ora ci prova), e quando ero piccola, la distinzione tra “cose da uomini” e “cose da donne” era sicuramente molto più marcata di adesso; e giocare ai videogiochi, secondo il pensiero comune, non sarebbe dovuto rientrare nei miei canoni, figurarsi farne una vera e propria passione. Forse è stato proprio questo che per un po’ ha messo mamma in allerta non facendole accettare totalmente la cosa, poiché per lei giocare era solo un passatempo come un altro, ma per me era molto di più. Ogni tanto mi chiedeva se non preferissi fare qualcos’altro, mi esortava a giocare di meno, mi diceva, un po’ per spaventarmi, che rischiavo di rimanere incollata alla tv senza capire più niente (cosa che ho scoperto essere possibile, ma impiegando il triplo delle ore che trascorrevo davanti allo schermo) o addirittura di poter diventare violenta. Ma tutt’altro, sono sempre stata tra le persone più miti sia a scuola che con gruppi di amici.
Lentamente ho ottenuto la mia “vittoria”: ora ho 20 anni, ormai da tempo non ho più bisogno di chiedere a mia madre se le sta bene che io compri un determinato videogioco (a meno che non abbia bisogno di soldi) e ho iniziato a portare questa passione su un altro livello, ricevendo anche supporto da parte sua. Sono stata arbitro di videogiochi Pokémon per circa un paio d’anni e dovevo recarmi molto lontana da casa per andare ai tornei, trascorrendo l’intera giornata fuori, ma non mi è mai stato impedito di andarci. Inoltre, scrivo da più di un anno per questa testata e vedere i miei contenuti pubblicati non può che riempirla d’orgoglio, a prescindere da quale sia il tema che tratto.
Grazie mamma, per darmi sempre la possibilità di fare ciò che amo di più.




FIFA 19: cosa aspettarci dal nuovo titolo EA?

Ogni anno, durante le fasi finali di campionati e coppe, comincia a delinearsi un altro scontro importante, combattutto sin dall’alba dei tempi dai due calcistici per eccellenza: FIFA e Pro Evolution Soccer. Oggi ci occuperemo di analizzare il titolo EA che, nonostante manchi ancora di presentazione ufficiale – come invece accaduto per il rivale made in Konami – i rumor cominciano a essere insistenti, soprattutto per una licenza in particolare, che potrebbe segnare molto prima del previsto il vincitore di questa stagione calcistica digitale.

L’urlo dei campioni

Partiamo proprio da qui, da quella Champion’s ed Europa League che tanto si accosta al nuovo FIFA 19. Di ufficiale non vi è ancora nulla, sia ben chiaro, ma se tre indizi fanno una prova, allora la probabilità di vedere la coppa per club più prestigiosa al mondo tra i menu del titolo Electronic Arts si avvicina alla certezza.
Sappiamo già che il contratto che lega le competizioni UEFA a Konami scadrà non appena una tra Real Madrid e Liverpool alzerà la “coppa dalle grandi orecchie”, ma è chiaro che i giochi siano stati già decisi. Del resto una licenza così importante non può essere acquisita nel giro di qualche settimana.
Ecco quindi che, se tutto andrà come previsto, con una presentazione in grande stile all’E3 di Los Angeles, FIFA 19 potrà vantare la più grande esperienza calcistica mai vista su console e PC, contando, oltre già le numerose licenze di squadre e campionati in possesso, anche il torneo più prestigioso. L’implemetanzione di tale feature permetterebbe infatti in aumentare ancor di più il coinvolgimento nelle numerose modalità presenti: pensate alla terza stagione del Viaggio di Alex Hunter, pronto a solcare anche il palcoscenico della UEFA Champion’s League, o le varie trasposizioni della modalità carriera che, oltre ad avere miglioramenti generali, vanterebbe una resa indubbiamente migliore, facendo vivere la stagione dei sogni al proprio club.
Insomma, l’entrata in scena di questi due tornei, oltre alla UEFA Super Cup che vedrà scontrarsi la vincitrice della Champion’s League e la vincitrice dell’Europa League, porterebbe, oltre a un evidente aumento del “contorno”, anche un’ulteriore varietà nei già innumerevoli contenuti del titolo EA, e vivere il sogno di realizzare un vero Triplete.
Del F.U.T. ci occuperemo più avanti, ma l’implementazione delle nuove licenze potrebbe portare una ventata di aria nuova, con tornei appositi e nuove feature da abbinare ai nostri campioni.

L’abito non fa il monaco

Fin qui tutto interesante ma un gioco di calcio deve innanzitutto divertire e appagare. Lo scontro tra i due colossi non è più accessa come qualche anno fa e l’evoluzione del gameplay ne ha risentito. Certo, l’entrata in scena di nuovi motori grafici quali Fox Engine e Frostbite, hanno permesso numerose migliorie, soprattuto dal punto di vista “fisico”.
Siamo al terzo anno nell’uso del motore DICE nel calcistico EA ed è evindente che molti si aspettino il vero salto di qualità: FIFA 17 e 18 potrebbero essere solo stati un assaggio di quel che il 19 si appresta a presentaci, contando soprattutto su una maggiore esperienza e su console più performanti quali PS4 Pro e Xbox One X. L’anno scorso, si è spinto molto sulla differenziazione di calciatori e squadre più importanti, con movenze e tattiche distinte in grado di far riconoscere al volo le caratteristiche del proprio avversario e approcciarci di conseguenza. Queste, sono risultate però meno incisive del previsto, soprattutto con i successivi aggiornamenti che, in base ai suggerimenti – un modo educato per dire feroci lamentele – da parte degli utenti, hanno un po’ appiattito il tutto, influenzando sopratttuto la velocità della manovra. Ma l’idea, sviluppata già da Konami con PES 2015, è assolutamente da portare avanti e su più squadre e calciatori, soprattutto nella nostra Serie A.
Nonostante sia uno dei campionati più importanti al mondo, il nostro torneo è stato sempre un po’ snobbato, un po’ per colpa nostra – ovvero la FIGC –, un po’ per la mancanza di stadi di proprietà per la maggior parte e per quella mancanza di appeal che la Serie A ha perso da qualche anno a questa parte. Qualche stadio in più dunque, oltre ai classici San Siro, Olimpico e Allianz Stadium sarebbe ben gradito, realizzando almeno il Marassi di Sampdoria e Genoa e la Dacia Arena dell’Udinese, un vero gioiellino da questo punto di vista. Inoltre, rimane la questione annosa della riproduzione dei volti dei calciatori nostrani, lasciata troppo in disparte, anche per calcatori con notorietà mondiale.
Da questo punto di vista, dalla scorsa edizione, EA ha sviluppato un nuovo sistema di scan 3D dei volti, che oltre a renderne più precisa e realistica la realizzazione, ha anche velocizzato il processo. l’uso di questo nuovo tipo di scansione è stato sicuramente ampliato per FIFA 19, sperando che non sia stato trascurato il nostro campionato.
Per questa nuova e auspicata resa della Serie A, è necessario anche un netto miglioramento del commento del duo Pardo-Nava. Il problema principale, riscontrabile un po’ da tutti, è il numero di frasi ma soprattutto la lettura del copione, accentuato fin troppo dall’ex difensore del Milan. Il commento inglese, affidato a Martin Tyler e Alan Smith, probabilmente rimarrà inarrivabile, soprattutto perché vario e naturale. “Andare a braccetto”, cosa che a Pardo riesce più che bene, porterebbe quella ventata di freschezza alle partite, rendendole più reali anche da un punto di vista sonoro.

Il pallone è nostro amico

Infine, addentriamoci nel rettangolo di gioco e nell’Ultimate Team. FIFA è costantemente aggiornato ma alcune criticità permangono. Non ci addentreremo in leggende metropolitane e complotti come il momentum, che segnerebbe le partite in maniera del tutto arbitraria, falsando il gioco. Basterebbe ragionare un attimo per capire che tale meccanica sia frutto della fantasia di Adam Kadmon; del resto, se tutto fosse vero, non si spiegherebbe come molti utenti riescano a vincere centinaia di partite semplicemente impegnandosi. Ma andiamo avanti.
La caratteristica più riuscita è sicuramente la totale libertà di movimento permessa al giocatore, affinata costantemente durante il corso degli anni e che ha visto ulteriori implementazioni, come difesa tattica e la maggiore precisione sul tocco palla. Ma proprio il pallone o meglio, la sua fisica, è  quella che ha impressionato meno negli ultimi anni, risultando molto al di sotto come resa rispetto al suo rivale. Probalmente è necessario restiuire maggiori feedback dalla sfera, dal suo peso e magari uno studio approfondito sui suoi movimenti, soprattutto sulla sua dinamica, influenzata magari dall’Effetto Magnus. Resta inoltre la questione velocità di gioco, sempre molto elevata – per noi italiani sicuramente troppo – anche nei minuti finali di partita. PES 2019 porterà novità da questo punto di vista, rendendo la fatica estremamente visibile, influenzando dunque le capacità di calciatori e squadre nell’imbastire nuove azioni. Se anche FIFA riuscisse nell’intento, porterebbe quel realismo in più che ogni tanto viene meno, restituendo partite ancor più varie e, in un certo senso, tattiche.
Ma veniamo al F.U.T., vera pietra miliare del calcistico EA. Tralasciando le polemiche sulle loot box – probabile che aggiusteranno il tiro da questo punto di vista –, sarebbe ora che si implementasse maggiore personalizzazione del proprio team, a cominciare da un editor di maglie e loghi. Il senso dell’Ultimate Team è proprio questo, realizzare la squadra dei propri sogni e tutto ciò che ne consegue ma, in fin dei conti, l’appartenenza verso la propria squadra decade quando dobbiamo scegliere kit e loghi di squadre già esistenti. Importare o editare noi stessi, con appositi strumenti, ciò che ci rappresente sarebbe la “trovata” definitiva per una delle modalità più giocate al mondo: lo scontro non solo di calciatori digitali ma anche di ideogie e creatività, rendendo gli avversari ancora più umani.

Manca poco dunque alla presentazione ufficiale. La presenza di UEFA Champion’s League e UEFA Europa League potrebbe realizzare il sogno di molti utenti e segnare già l’andamento di mercato per quanto riguarda i calcistici.
Konami di certo non starà a guardare e l’anticipo della data di lancio al 30 Agosto del suo PES 2019 mostra la volglia del team giapponese di dare battaglia fino alla fine, magari evitando di rimanere bloccato “al confine”. Ma questo, lo vedremo al prossimo articolo.




Bravo Team

La software house SuperMassive Games, già nota per titoli di spessore come Until Dawn per PS4, The Inpatient e Until Dawn: Rush of Blood per PSVR, abbandona la sua “safe zone” della ambientazioni horror, per lanciarsi in tra gli scenari degli scontri militari.
Bravo Team, è un gioco che come genere si piazza tra un FPS e un On-Rail Shooter, il tutto in rigorosa salsa Co-Op. Il titolo è completamente tradotto in italiano, ed è uscito il 6 Marzo 2018.

Scorta al Presidente

Bravo Team ci cala nelle vesti di un soldato americano demandato a fare da scorta alla Presidente di un non meglio precisato Stato dell’est Europa. L’incipit ci vede insieme ai nostri compagni d’arme su un SUV blindato per scortarla a destinazione, ma il viaggio viene interrotto da un gruppo di terroristi che rapiscono il nostro Capo di Stato.
Ripresasi dallo shock dell’attacco, la squadra abbandona il SUV per trovarsi sotto il fuoco incrociato delle milizie locali, che fino a poco prima erano ritenute nostre alleate. In breve i nostri compagni vengono decimati, e si rimane soltanto in due, guidati tramite contatto radio dal centro di controllo della missione.
La prima impressione è subito positiva e la storia si lascia scoprire piacevolmente, riservandoci qualche interessante sorpresa.

Sparatorie in Co-op

Bravo Team ci propone la sua versione di combattimenti urbani in co-op. Saremo assistiti da un compagno durante tutto il gioco, dovremo collaborare, alternandoci con le coperture e sferrando attacchi combinati. Potremo anche rigiocare le stesse missioni della campagna anche in modalità co-op online, avendo quindi come compagno un altro giocatore.
Il gioco dà il meglio di sé con l’AIM controller, ma può essere giocato sia tramite il classico gamepad della Playstation 4 che tramite i Playstation Move.
I movimenti nel gioco sono gestiti tramite salti da un riparo all’altro in posizioni prestabilite. Gli spostamenti vengono mostrati come un’animazione in terza persona, e un simile approccio risulta inizialmente abbastanza strano, ma in breve si comincia ad apprezzare la possibilità di ammirare le azioni di combattimento da una prospettiva diversa anche in VR.
Le armi che ci vengono messe a disposizione sono davvero poche e poco potenti, anche gli approvvigionamenti di munizioni sono scarsi, soprattutto nei livelli più difficili. Purtroppo la carenza di armi veramente potenti toglie non poco divertimento al titolo, che avrebbe tratto giovamento dall’aggiunta di qualche bomba a mano e qualche arma più incisiva, mentre un punto a favore è certamente l’aver previsto la possibilità che il fucile si inceppi, elemento che nelle azioni più concitate ci causerà non pochi grattacapi e che alza l’asticella della sfida.

La grafica non basta

La SuperMassive Games si supera sul piano tecnico sfornando un gioco graficamente tra i migliori titoli per PSVR finora sfornati, con texture eccellenti, ambientazioni immersive e ben dettagliate, un effetto nebbia davvero ben riuscito e un generale realismo abbastanza fedele. Le animazioni dei personaggi sono discrete, si registra qualche movimento legnoso di troppo, visibile.
Gli spostamenti da un riparo all’altro si eseguono puntando l’arma verso l’appostamento prescelto e premendo il tasto X. La visuale, a questo punto, si sposta in terza persona e vedremo così il nostro personaggio spostarsi da un riparo all’altro. Proprio grazie a questo approccio, la SuperMassive Games riesce a eliminare completamente qualsiasi possibile problema legato al “motion sickness“, problema che affligge finora la gran parte dei titoli in VR.
Il comparto audio è davvero buono, tutto doppiato in italiano in maniera eccellente, condito da effetti sonori abbastanza realistici si lascia apprezzare durante tutto il gioco.
Il sistema di mira con AIM Controller è molto preciso e immediato, soltanto l’assenza di un vero rinculo ci ricorda che non abbiamo una arma reale tra le mani.
Purtroppo il titolo pecca in termini di longevità. La campagna base single player dura al massimo 3 ore e la seconda modalità in single player ci riproporrà gli stessi scenari, cambiando solo l’assegnazione dei punteggi per i colpi messi a segno.
A peggiorare la situazione arriva la modalità co-op online che, rappresentando il cuore pulsante di Bravo Team, dovrebbe aggiungere ore di divertimento e novità da scoprire. Sfortunatamente la SuperMassive Games va un po’ al risparmio, non disegnando delle mappe specifiche per il co-op online, costringendoci a rigiocare insieme a un compagno reale le stesse identiche missioni già completate nella campagna single player.
La mancanza di divertimento aggiuntivo, nella modalità multiplayer, non deve aver generato molto richiamo, e non di rado bisognerà aspettare tra i 10 e i 20 minuti prima di trovare un compagno online, per poi abbandonare definitivamente questa modalità una volta conclusa la partita.

Bravo, ma non bravissimo

Bravo Team è assolutamente un titolo da provare per apprezzare il proprio AIM Controller in azione, ma la scarsa longevità e la carenza di armi lasciano un po’ l’amaro in bocca, rendendo evidente come un titolo che avrebbe potuto avere tutte le carte in regola per essere un capolavoro si sia perso nel classico bicchiere d’acqua.
Non tutto è perduto, però, il potenziale rimane ancora immutato, le basi ci sono tutte e un bel DLC che ci offra nuove e più potenti armi, qualche ambientazione aggiuntiva e una modalità online dedicata potrebbe risolvere molti problemi e rianimare un gioco nel quale il divertimento dura per un tempo troppo limitato.




Battlefield V includerà la campagna single player

Nuovi dettagli ci attendono in vista dell’uscita dell’FPS principale di Electronic Arts, la cui software house, ha rivelato la presenza di una avvincente campagna in single-player, che sembra seguire lo stile già introdotto in Battlefield 1, mirando alle battaglie su vasta scala. Al contrario della serie Battlefield, il suo concorrente Call Of Duty, sembra aver tralasciato, almeno per Call of Duty: Black Ops 4, la modalità in single-player, ma DICE ed EA non sembrano condividere l’idea. Il CEO EA, Andrew Wilson, ha dichiarato a proposito:

«Con il nostro prossimo Battlefield, il team di DICE sta dando vita all’intensità del combattimento in modi totalmente nuovi e inaspettati. Ogni battaglia è unica e ogni modalità porta le sue sfide, dal modo in cui interagisci con l’ambiente intorno a te, ad avvincenti storie per single-player, al multiplayer su larga scala che si estende su più mappe e modalità. »

Questo titolo, che secondo alcune fonti si ambienterebbe all’interno dei maggiori conflitti della Seconda Guerra Mondiale, dovrebbe includere (anche se non si hanno conferme ufficiali) una modalità Battle Royale, seguendo dunque la moda del momento. Non ci resta che aspettare le novità che verranno sicuramente annunciate all’E3 2018 che si terrà il 9 giugno.




Capcom rilascerà due titoli tripla A entro il 31 marzo 2019

Capcom ha annunciato che rilascerà due titoli AAA, in aggiunta ad altri entro il 31 marzo 2019, come riportato nell’ultima presentazione dei propri risultati finanziari.
Non si sa ancora quali siano: potremmo sperare si tratti del tanto atteso Deep Down, oppure  un titolo assente da lunga data come Onimusha. La risposta arriverà probabilmente all’E3 2018 che si terrà dal 12 al 14 giugno a Los Angeles.
Inoltre le vendite di Monster Hunter: World sono arrivate a quota 8 milioni in data 16 aprile, davvero un ottimo risultato per Capcom.




Yakuza 6: The Song of Life

Yakuza 6 rappresenta l’avventura finale della saga che vede al centro l’apprezzatissimo protagonista Kazuma Kiryu. Nonostante i sette episodi,  questo è soltanto il terzo titolo della saga principale a sbarcare su PS4 e l’unico a essere stato sviluppato esclusivamente per la console Sony (ricordiamo che Yakuza 0 e Kiwami sono usciti anche su PS3 in Giappone), con un motore nuovo di zecca, il Dragon Engine, che sfrutta a dovere la console targata Sony.

Il canto del drago

Il gioco ha inizio con un flashback che riprende le sequenze finali del quinto capitolo: Kiryu è gravemente ferito e viene ricoverato in ospedale, mentre Haruka (in un certo senso sua figlia adottiva) rinuncia alla sua carriera di idol per dedicarsi all’orfanotrofio di cui si occupava in precedenza insieme al Drago di Dojima.
Purtroppo Kiryu viene arrestato (per sua stessa volontà) mentre è ancora in ospedale e passerà tre anni in prigione per ripulire il suo nome e uscire una volta per tutte dai legami con la Yakuza, così da potersi dedicare a Haruka e all’orfanotrofio.
Scontati gli anni di prigionia, Kiryu viene a sapere che Haruka ha avuto un grave incidente a Kamurocho finendo in coma; inoltre ha avuto anche un bambino del quale non si conosce il padre.
Queste sono le premesse di una trama ricca di colpi di scena che non deluderà i fan della saga e ci farà conoscere la determinazione del Drago di Dojima nel cercare i colpevoli dell’incidente, prima a Kamurocho e poi a Onomichi (prefettura di Hiroshima).
Rispetto agli ultimi titoli della serie, questa volta l’assoluto protagonista, nonché unico personaggio controllabile, sarà Kiryu: conosceremo il Drago di Dojima nel profondo, come anche il rapporto che lo lega alla giovane Haruka, assistendo a momenti davvero toccanti.

La potenza del Drago

Per questo capitolo Sega ha utilizzato un motore nuovo di zecca e ha pensato appositamente per l’hardware odierno. Il Dragon Engine segna un punto di svolta con il passato: infatti, i giochi precedenti, portavano dietro il peso di essere stati sviluppati anche su PS3, con un motore che sebbene offrisse una resa grafica decente, non poteva tenere il passo con altri giochi pensati per le console moderne.
Adesso invece il nuovo motore, oltre a gestire un numero di poligoni nettamente superiore, effetti particellari, texture e animazioni migliori, permette ai giocatori di potere affrontare i combattimenti senza alcun caricamento, così come nei cambi di schermata (ad es. entrare dentro i locali) rendendo il gameplay molto più fluido e meno spezzettato rispetto al passato.
Rispettando le buone pratiche dei precedenti capitoli, il comparto audio è ottimo, la qualità recitativa dei doppiatori giapponesi (l’audio è soltanto in giapponese con sottotitoli in inglese) è sempre di alto livello. In questo episodio è presente anche un mostro sacro del cinema giapponese, Takeshi Kitano, nei panni di un boss di Onomichi modellato a sua immagine e somiglianza.
Le musiche e gli effetti  sono sempre scelti con cura, adatte ai contesti le prime e rispondenti alle azioni su schermo le seconde, in linea con lo standard al quale ci ha abituati la serie.

La determinazione del Drago

Le novità non riguardano soltanto l’aspetto tecnico, ma anche il gameplay: il sistema di combattimento a un primo sguardo potrebbe anche risultare peggiorato rispetto al passato, non essendo più presenti i quattro stili di combattimento di Yakuza 0 e Kiwami, con conseguente limitazione del combat system, ma giocando ci si rende conto che gli scontri sono stati bilanciati in modo da offrire una sfida più soddisfacente rispetto al passato. L’intelligenza artificiale dei nemici, sia comuni che i boss, è stata migliorata parecchio e dovremo impegnarci di più rispetto al passato; in poche parole gli scontri risultano sì meno spettacolari, ma sicuramente più impegnativi.
I comandi rimangono agganciati ai classici stilemi, permettendo di sferrare pugni, calci, effettuare prese (o raccogliere armi), schivare e parare, e infine il tasto adibito alle mosse speciali (heat moves). È concessa la possibilità di imparare nuove mosse spendendo punti esperienza, con i quali potremo anche aumentare la nostra barra della vita e quella per le mosse speciali (heat bar, la quale adesso può essere anche usata per potenziare per un tempo limitato gli attacchi).
Come al solito, oltre alla storia principale, ci saranno anche moltissime missioni secondarie e mini-game di ogni tipo, compresa la versione completa di Virtua Fighter 5: Final Showdown in modalità arcade, insieme ai grandi classici coin-op di Sega presenti nei capitoli precedenti.
Potremo anche frequentare una palestra e seguire una dieta per acquisire punti esperienza, giocare a freccette, frequentare delle hostess nei night club o videochattare con ragazze giapponesi (sono presenti delle vere pornostar giapponesi che interpretano le ragazze in video)
Per finire il gioco saranno necessarie più di 30 ore, ma come al solito per vedere tutto ciò che offre ne saranno necessarie più di 100.

Gran finale

Sega ha chiuso nel migliore dei modi l’arco narrativo riguardante Kazuma Kiryu, con un gioco che mostra un netto miglioramento nel comparto tecnico e una trama e una sceneggiatura tra le migliori dell’intera saga, con un combat system meno vario ma più equilibrato e un’ottima longevità grazie alla moltitudine di cose da fare. Yakuza 6  entra di diritto tra le migliori esclusive PS4 del 2018, anche se dovremo dire addio al nostro amato protagonista che ci ha tenuto compagnia dal 2006 (ma che ritornerà in Yakuza Kiwami 2, remake del secondo capitolo in arrivo ad Agosto).




Far Cry 5 – La Storia del Grande Pdor, Figlio di Kmer

Il franchise Far Cry ha da sempre avuto un buon successo, sin dai tempi in cui Crytek e il suo CryEngine fecero sfoggio della potenza tecnica senza compromessi. Dopo un secondo capitolo e un lungometraggio alquanto discutibile, la serie ha conosciuto una lunga pausa sino al 2012, quando Far Cry 3 stravolse i sandbox portando enorme varietà d’azione e personaggi del calibro di Vaas Montenegro alla ribalta. Il quarto capitolo ha seguito la strada intrapresa, migliorando alcuni aspetti, e rendendosi in tutto e per tutto una semplice evoluzione di quanto visto in precedenza, mentre Primal è stato in grado di portarci nella preistoria e, nonostante alcuni evidenti difetti, ad apportare qualcosa di nuovo nel panorama videoludico.
Far Cry 5 non si allontana dal sentiero tracciato dai capitoli principali, replicando, ma in maniera ancor più esagerata, tutto il meglio della serie. Cominciano però a delinearsi gli stessi segnali che hanno poi portato alla pausa già di un franchise Ubisoft: Assassin’s Creed, e a Far Cry potrebbe toccare lo stesso turnover.

Justice League

Approcciarsi alle vicende narrate in Far Cry 5 non è così semplice: l’impianto narrativo vede le sue radici nella fittizia Hope County, piccola cittadina del Montana, sotto il controllo della famiglia Seed e il loro Eden’s Gate, una setta religiosa militarizzata, che “veglia” sui suoi credenti per salvarli dalla fine del mondo. Quel che contraddistingue questo capitolo è la totale serietà con cui sono raccontate e sviluppate le varie storie, il cui fulcro, Joseph Seed, Padre e guida del proprio “popolo”, risulta essere molto diverso da Vaas Montenegro e Pagan Min. La sua sana e controllata follia e la sua pacatezza, sia nelle parole che nei modi, rendono il suo personaggio quasi divino e a tratti magnetico.
Tutt’altro discorso riguarda i tre fratelli John, Jacob e Faith, ognuno con una propria precisa caratterizzazione e idee, tutte racchiuse nella cieca fede verso il culto. La forza di Far Cry 5 sta tutta qui, in un poker di personaggi ben scritti e che giocano un ruolo fondamentale all’interno di Hope County; la loro presenza è tangibile in ogni strada, accampamento e “nell’aria”, confermando ancora una volta la capacità di Ubisoft di creare personaggi memorabili.
Tutto ciò si contrappone però a un contesto molto caciarone e un set di compagni di viaggio molto sopra le righe. Proprio come il film del duo Snyder/Whedon, Far Cry 5 è un titolo schizofrenico, che alterna la massima serietà e una cupezza a tratti tragica, alla leggerezza disarmante che caratterizza la sua narrazione per la maggior parte del tempo. Manca appunto quell’amalgama perfetta presente nel terzo e quarto capitolo e, nonostante ci si trovi davanti a personaggi migliori, una storia più matura e ricca di colpi di scena, tra cucinare testicoli di toro e dar fuoco a edeniti sulle note di Burn Baby Burn, finisce per perdere efficacia. Un’ulteriore botta alla credibilità del titolo è data dall’isolamento forzato della cittadina nel bel mezzo degli Stati Uniti dei nostri giorni: per quanto si sia cercato di spiegarne i motivi, non risulta comunque sufficientemente credibile che al paese più potente al mondo, in un’era di telecamere, internet e satelliti in ogni dove, possa sfuggire una setta violenta, autrice di atti ai limiti del crimine contro l’umanità. Certo, l’ispirazione è chiara: il Tempio del Popolo era una setta realmente esistita a Jonestown, fondata e guidata da Jim Jones che indusse 909 credenti a suicidarsi con il cianuro, dopo l’omicidio di cinque persone, tra cui un deputato del Congresso degli Stati Uniti e l’imminente intervento dell’esercito.
Se già negli anni ’70 tutto questo era difficile da nascondere, figuriamoci alle soglie degli anni ’20 del XXI secolo.
A completare l’offerta ci pensano il multiplayer e soprattutto la Modalità Arcade, dove è presente anche un editor di mappe in cui è possibile utilizzare asset provenienti dagli ultimi successi di casa Ubisoft. Si possono selezionare classi predefinite ed essere catapultati in tantissime aree, sia per sessioni cooperative che competitive. Un’ottima aggiunta in grado di prolungare di molto la longevità del titolo.

La definizione di follia

Il feeling è sempre lo stesso: come detto poc’anzi non sono presenti particolari innovazioni e tutta la libertà che ha caratterizzato i precedenti capitoli è ancor più presente in Far Cry 5. La mappa di gioco è enorme, suddivisa in tre zone principali, ognuna controllata da uno dei fratelli Seed. Ogni zona è ampiamente caratterizzata ma ogni elemento di gameplay è riscontrabile un po’ dappertutto. Colpisce sin da subito la totale assenza delle classiche scalate delle torri radio per liberare sezioni della mappa, in favore di un’esplorazione più terragna e in fin dei conti piacevole. Tutto l’ambiente di gioco è costellato di piccole missioni secondarie, nuovi personaggi con cui interagire, luoghi segreti e tanto altro, fornendo un pacchetto ludico capace di intrattenere ben al di là della progressione principale.
Una delle più grandi novità riguarda il reclutamento di mercenari (classici NPC o personaggi originali) con determinate peculiarità caratteriali e di gameplay; potremmo assoldarli – una volta reclutati attraverso apposite missioni – due per volta, fornendo un supporto fondamentale in certi casi: alcuni arriveranno su un aereo o un elicottero da combattimento, altri saranno più improntati allo stealth, mentre altri ancora adorano farsi sentire fino ai confini della mappa. Questo sistema porta molta varietà d’approccio durante le missioni o durante i classici scontri per la conquista degli avamposti o in campo aperto, permettendo di gestire la posizione e quando aprire il fuoco. Purtroppo molte volte l’intelligenza artificiale non aiuta, rendendo le situazioni difficili più di quanto dovrebbero essere. Ogni AI avrà la propria specifica arma mentre noi, fortunatamente, potremo contare su un buon arsenale, anche se non estremamente vario: pistole, mitra, fucili e armi per così dire “esotiche”, sono personalizzabili sia nell’estetica che nella costruzione, aggiungendo mirini avanzati o caricatori più capienti. Visto l’andazzo del titolo, una maggiore personalizzazione degli strumenti di morte di certo non avrebbe guastato, aumentando ulteriormente il senso di possesso della propria arma. Stesso discorso vale anche per i mezzi di trasporto, molto vari ma “costretti a rimanere se stessi” per tutta la durata del gioco.
Sparisce anche il crafting in favore dei potenziamenti (Tratti) che potremmo accumulare aumentando la nostra esperienza: l’albero delle abilità dunque non conterrà solo il miglioramento delle “doti” del nostro protagonista ma permetterà lo sblocco di alcune feature come la tuta alare o la capienza delle munizioni, un tempo possibile solo con la costruzione di una borsa più grande. Questo ha permesso uno snellimento delle meccaniche, abbracciando ancor di più la natura arcade del titolo.
Anche i mezzi con cui ci muoveremo per le strade di Hope County risultano abbastanza semplici da guidare, soprattutto barche e veivoli. Ognuno di essi però possiede delle piccole differenze: l’intento di diversificare il comportamente delle vetture è ampiamenti visibile ma tutto questo sparisce, di fronte al caos che si genera nella tumultuosa cittadina americana.

Anche il gunplay rimane rimane ancorato ai suoi classici stilemi, dove tutto tende alla facilità d’uso. Ogni arma è però ben caratterizzata e non faticherete a trovare la vostra preferita. Potremmo portarne quattro, una volta attivato i potenziamenti necessari e questo, assieme al resto dell’arsenale fatto di granate, C4, esche per animali e chi più ne ha più ne metta, favorisce la massima libertà d’approccio; possiamo essere furtivi come un ninja, disattivando tutti gli allarmi e attaccare come un’ombra i nemici; possiamo bombardare e mitragliare dal cielo a bordo di elicotteri e aeri oppure, per i più smaliziati, l’approccio alla Rambo, con mitragliatrice pesante e lanciagranate.
Ognuno di questi approcci è estremamente appagante e spinge il giocatore a ingegnarsi per trovare nuovi modi di affrontare il pericolo. Far Cry 5 diverte, nonostante il forte senso di déjà vu, ma non si tratta comunque di un gioco semplice: trovarsi a corto di munizioni può accadere spesso e i nemici, benché non brillino di Q.I. digitale, sono numerosi e discretamente vari.

Cartoline interattive

L’evoluzione del Dunia Engine sembra aver raggiunto il suo apice. Gli splendidi paesaggi del Montana restituiscono meraviglia, quasi da indurre a fermarsi per ammirare i panorami. Ogni regione di Hope County è ben caratterizzata dal punto di vista delle ambientazioni, passando da praterie sconfinate a boschi nei quali perdersi, alte vette da scalare e fiumi da navigare. Insomma, il mix perfetto per una vacanza reale nelle wilderness areas statunitensi.
Tutto ciò fortunatamente è anche ben ottimizzato e senza problemi evidenti, dove l’utilizzo dei vari filtri regalano un’esperienza pulita e priva di cali di frame che possono compromettere la giocabilità, tralasciando un po’ di pop-up, soprattutto quando ci si ritrova in aria e qualche glitch qua e là. A colpire è l’impianto luci, in grado di rendere la cittadina quasi un paradiso, evocativo e idilliaco, visibile soprattutto in zone specifiche della mappa. La varietà di ambientazioni non combacia però con la varietà di flora e fauna, dove si è fatto davvero poco: nonostante l’enorme mappa a disposizione saranno pochi gli animali che incontreremo e le cui specie si contano su due mani scarse.
Il comparto audio si fregia dei migliori doppiatori, non solo per i protagonisti ma anche per i comprimari, restituendo credibili e freddi nella loro follia nel caso dei villain o del tutto fuori di testa per i nostri compagni. Peccato solo per la ripetitività dei dialoghi – quasi ossessivi – tra i membri della nostra crew e soprattutto l’interruzione delle conversazioni (che riguardano anche l’accesso a nuove missioni) nel caso in cui qualche nemico si trovi a moderata distanza senza rappresentare una minaccia. Un po’ di cura in più da questo punto di vista non avrebbe di certo guastato.
Per finire le musiche, perfette per accompagnare l’azione sia quelle create ad hoc per il titolo che quelle su licenza. Incredibilmente molto belle anche quelle Edeniti, nella loro versione di Radio Maria.

In conclusione

Far Cry 5 è la summa di tutto il meglio proposto dal 2012 a oggi nel franchise. Forse rappresenta anche l’ultima evoluzione possibile: sì, ci si diverte, intrattiene come pochi, portando su schermo personaggi assolutamente memorabili, ma è anche vero che molto sa di già visto e a tratti si percepisce una mancanza di idee o la voglia di andare sul sicuro. Ben vengano in questo caso i Blood Dragon e i Primal, così diversi eppure capaci di portare una ventata di aria nuova a una formula collaudata ma che rischia di fare la fine di un’altra setta, quella degli assassini.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Ni No Kuni 2: Il Destino di un regno

Level-5 approda su PS4 e PC con questo nuovo jrpg in cel-shading, seguito del Ni No Kuni uscito su DS nel 2010 e su PS3 nel 2011 che aveva ricevuto un riscontro molto positivo dal pubblico, anche grazie allo stile grafico a cui ha contribuito il famosissimo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki.

Nino chi?

La storia si svolge centinaia di anni dopo quella del prequel, e ha un setting totalmente diverso: il gioco inizia mostrandoci una persona di mezza età in macchina con il suo autista, che si rivolge a lui chiamandolo Presidente; dopo pochi istanti, una bomba atomica viene lanciata nelle vicinanze, spazzando via tutta la città.
L’uomo (il cui nome è Roland) viene trasportato per magia su un altro mondo, nella stanza del principe Evan di Gatmandù, un ragazzino biondo con orecchie e coda da gatto, e guardandosi allo specchio si rende conto di essere tornato giovane.
I due fuggono dal castello, dove è in atto un colpo di stato in cui è rimasto ucciso il Re (padre di Evan), per evitare di essere uccisi a loro volta, diventano amici, e qui inizia la nostra storia, nella quale assisteremo alla creazione del Regno di Eostaria da parte di Evan e degli alleati che incontrerà nel suo cammino.
La storia, nonostante gli eventi tragici della premessa, ha un tono leggero e scherzoso, da favola adatta a grandi e piccini, anche se risulta lievemente inferiore a quella del primo capitolo, pur risultando ben scritta, con qualche colpo di scena non del tutto imprevedibile ma comunque godibile.

Spettacolo in cel-shading

Ni No Kuni 2 è un titolo che mette in mostra in maniera impeccabile l’uso del cel-shading (tecnica che simula l’effetto da cartone animato su modelli tridimensionali), sono stati fatti dei notevoli passi avanti rispetto al prequel (che era già notevole su PS3), i personaggi sono animati egregiamente, le texture, anche se a volte non sono in altissima risoluzione, sono usate in maniera sapiente e ben si amalgamano nei paesaggi, molto suggestivi e vari, e negli sfondi per creare un vero e proprio anime interattivo,  e su PS4 Pro e PC a settaggi alti lo spettacolo è garantito; il frame rate è tutto sommato buono, con qualche sporadico rallentamento nelle fasi più concitate.
La colonna sonora è di altissimo livello, con il tema principale ripreso dal primo capitolo e remixato a seconda dei momenti di gioco, e tracce originali anch’esse notevoli.
Il doppiaggio in inglese è anch’esso ottimo, anche se non tutti i dialoghi sono stati doppiati, il che fa storcere un po’ il naso, in quanto si passa da un momento all’altro da frasi ben doppiate ad altre in cui dovremo soltanto leggere i sottotitoli (in italiano).
Si nota una certa discrepanza su certi nomi tradotti in maniera differente nella nostra lingua (ad esempio la città di Ding Dong Dell è stata tradotta in Gatmandù in italiano), quando vengono pronunciati in inglese durante le cut scene.
Come nel primo capitolo, vengono utilizzate cadenze di svariate regioni italiane per caratterizzare certi personaggi nella localizzazione nostrana, il che può risultare simpatico, ma quando non è presente il doppiaggio nella nostra lingua dobbiamo per forza di cose leggere i sottotitoli e interpretare gli accenti, e questo crea una uno spiacevole dualismo all’interno del gioco.

Più azione, meno turni

La più lampante differenza con il prequel risiede nei combattimenti, che adesso non sono più a turni, bensì in tempo reale: potremo creare il nostro party utilizzando fino a 3 personaggi, tutti controllabili e con mosse speciali uniche, avremo a disposizione un tasto per gli attacchi leggeri, uno per quelli pesanti, un tasto per la parata e la schivata, uno per selezionare le magie, un altro per gli attacchi a distanza e infine il salto.
Un’altra novità è l’introduzione dei Cioffi (che sostituiscono in un certo modo i famigli del primo capitolo), i quali sono degli esserini capaci di lanciare degli incantesimi che ci aiuteranno in battaglia, alcuni cureranno il party, altri lanceranno incantesimi offensivi, altri aumenteranno le difese, e via dicendo.
Potremo usare fino a 4 diverse tipologie di Cioffi in battaglia, e durante il gioco potremo scoprirne tantissimi.
Anche se il gameplay risulta ben strutturato e i comandi funzionano molto bene, i combattimenti risultano di una facilità estrema, il che fa pensare che sia stata una scelta dei programmatori per far sì che il gioco risulti godibile anche ai giocatori più giovani, ma chi cerca una sfida impegnativa rimarrà con l’amaro in bocca.
Le novità non si fermano pero al solo sistema di combattimento: in particolare ci sono due nuove modalità, la gestione del regno di Eostaria, in cui potremo costruire edifici con cui potenziare le armi, le armature, le magie e i Cioffi, e potenziare le nostre truppe che ci serviranno nelle battaglie campali, le quali sono un mini game dal taglio strategico.
Sono presenti anche delle missioni secondarie che allungheranno di molto l’esperienza di gioco, che se si vuole completare al 100% ci vorranno più di un centinaio di ore (almeno 30 soltanto per la storia principale).

Conclusioni

Level-5 fa di nuovo centro con questo splendido jrpg pensato per tutta la famiglia, che stupirà tutti con una grafica in cel-shading realizzata ad arte, una colonna sonora che rimarrà impressa per molto tempo, e un ottimo gameplay, forse troppo facile per i giocatori esperti, ma apprezzabile dai player di ogni expertise.
Pur essendosi persa un po’ la magia del primo episodio, Ni No Kuni II è una fiaba interattiva che ci sentiamo di consigliare senza riserve, che terrà i giocatori impegnati in un piacevole divertimento per tantissime ore.