God of War: Vita e Morte di un Deicida

Lira incontrollabile, la sete di vendetta e il sacrificio, sono tre delle innumerevoli sfaccettature di Kratos, la personificazione della potenza e della rabbia, protagonista di una delle saghe che è entrata con prepotenza nell’Olimpo dei videogiochi. In questo articolo ripercorreremo le vicende del “fu” Dio della Guerra, dai concept sino all’imminente God of War su PlayStation 4. Attenzione a possibili spoiler.

Sviluppato da Sony Santa Monica, God of War ebbe una gestazione particolare e il cui successo fu del tutto inaspettato. God of War non fu il primo progetto di Santa Monica: tutto iniziò con un gioco meno ambizioso ma capace di dare i primi asset ed esperienza al team che avrebbe realizzato il noto titolo d’ambientazione mitologia, Kinetica. Fu proprio uno degli sviluppatori di Kinetica, David Jaffe, a divenire capo del nuovo team che, ispirandosi a titoli come Ico e Devil May Cry volle portare sulla nuova console Sony qualcosa che non si era mai visto e dal tono epico. Due aspetti erano fondamentali: il contesto e il protagonista. L’ambientazione scelta fu quella della antica Grecia, con quell’immancabile epica che permetteva di prendere innumerevoli spunti sia dal punto vista dei nemici, della trama e delle sezioni platform. Se questa fu relativamente semplice, la scelta del protagonista non lo fu altrettanto: il team di sviluppo era deciso a creare un personaggio originale, carismatico e brutale ma lontano dagli stilemi dell’epica classica. Furono passati in rassegna diversi modelli, come soldati con maschere ma abbastanza anonimi, guerrieri dalla spiccata vena africana fino a un personaggio che portava sulle spalle un bimbo o un cane, ma anche qui nulla di fatto, grazie a Zeus. Fu così deciso di realizzare un personaggio a torso nudo e che al posto dell’armatura avrebbe avuto un grosso tatuaggio per dare un tocco di colore. Inizialmente blu, il tattoo divenne rosso dopo che fu notata un’eccessiva somiglianza con un personaggio di Diablo II. Anche le armi hanno caratteristiche particolari: sono due lame, denominate Spade del Chaos, fuse con una lunga catena direttamente sulle braccia del protagonista, per gentile concessione di Ares. A questo punto manca solo il nome: visto che nella mitologia greca spesso ogni personaggio personificava una qualità (una virtù o un vizio), al personaggio in questione fu affibbiata la Potenza, che in greco antico si traduce appunto con Kratos (Κράτος). Il corpo bianco di Kratos è dovuto alle ceneri della moglie e della figlia da lui uccise mentre si trovava sotto il controllo di Ares, e attaccate per sempre alla sua pelle – di base scura –, attraverso una maledizione dell’Oracolo della sua stessa città.

L’inizio della fine

Dopo tre anni intensi di sviluppo venne presentato finalmente il nuovo titolo: God of War. Il gioco si apre con il potente Kratos, pronto a gettarsi dalla montagna più alta della Grecia. Ma le vicende interessate cominciano tre settimane prima. Kratos è tormentato dai molti mali che ha causato, ma soprattutto uno gli impedisce di dormir bene la notte: l’aver ucciso sua moglie e sua figlia, nonostante in quel momento fosse sotto l’influsso di Ares, è il suo peccato più grande. Proprio il Dio della Guerra sarà il principale antagonista del primo capitolo e darà filo da torcere al nostro paladino. Molti saranno i momenti esaltanti e ci troveremo a interagire con molti degli Dei che abbiamo studiato a scuola – o che, al limite, abbiamo visto in Pollon : Zeus, Artemide, Ade, Poseidone e Atena consegneranno a Kratos i loro poteri, tornando molto utili durante il corso del gioco, soprattutto una volta circondati da orde di nemici. Ares è ormai nemico dell’Olimpo e del mondo intero e sarà proprio Kratos a sconfiggerlo in una boss fight ben coreografata. Nonostante la vittoria, Kratos non avrà pace, succedendo ad Ares come nuovo Dio della guerra.
God of War fu un successo su vasta scala, apprezzatissimo dalla critica e amato dal pubblico, e dalla sua uscita costituì uno dei pilastri del grande tempio Sony. Tanta sana violenza viene immersa in un contesto – quello della mitologia greca – assolutamente originale e credibile e con una trama che a poco a poco lascia intravedere tutti gli aspetti del mondo di gioco e di Kratos, un antieroe che all’inizio faremo fatica a comprendere ma che col tempo impareremo ad apprezzare. Era dai tempi di Devil May Cry che non si vedeva un hack ‘n slash di tale potenza, perfetto sotto tutti i punti di vista e originale grazie all’impiego delle Spade del Caos e dei vari poteri messi a disposizione dagli Dei, il tutto contornato da una reattività dei comandi fuori scala. Oltre ai combattimenti, erano in scena anche sezioni platform e qualche puzzle ambientale da risolvere; un esempio su tutti è quello del Tempio di Pandora. Importante è anche la possibilità di potenziare Kratos e le sue armi, dando così un forte senso di crescita all’interno del gioco.
God of War ha anche il merito di aver sdoganato i quick time event, trasformando l’eliminazione dei nemici e soprattutto dei boss in scene altamente coreografiche e suggestive, e la particolarità della telecamera fissa, perfetta in tutte le situazioni e che in un gioco del genere fa davvero la differenza, essendo gestita direttamente dal motore di gioco, dando sempre il punto di vista migliore e rendendo l’azione cinematografica e adrenalinica.
Sul piano tecnico, GoW era quanto di più bello visto su PlayStation 2: modellazione certosina di personaggi principali e comprimari così come gli ambienti di gioco, tutti ricchi di dettagli e accompagnati da ottimi filtri, e soprattutto senza caricamenti di sorta. Ottimi particellari ed effetti speciali sono arricchiti da un comparto artistico d’eccezione e da un comparto sonoro perfetto sia nelle musiche che nel doppiaggio.
God of War rimane senza dubbio uno dei migliori videogiochi della storia. Allo Spike Video Game Award 2005 ha ricevuto il premio “Gioco d’azione dell’anno” e David Jaffe, il suo creatore, ha ricevuto il premio “Sviluppatore dell’anno“. Cominciarono anche a farsi vivi rumor su un lungometraggio cinematografico, ma non si ebbero più notizie.

Non solo monolite

Sorpresi? Esiste anche un God of War per smartphone denominato Betrayal, che cronologicamente si interpone tra Chains of Olympus e il secondo capitolo. Kratos, ormai vero e proprio Dio della Guerra, conquista, grazie al suo esercito spartano. Una volta giunto al suo prossimo obbiettivo, Rodi, viene fermato da Argo, un mostro mandato dalla regina degli Dei, Era, per dissuaderne i piani di conquista. Kratos, lo imprigiona senza ucciderlo, ma la bestia troverà comunque la morte per mano di un misterioso assassino. Kratos darà la caccia a quest’individuo in lungo e in largo senza riuscire a prenderlo. Il piano prevedeva di screditare Kratos agli occhi degli Olimpici, cosa che accade comunque per la stessa mano del nostro eroe, il quale uccide il nipote di Zeus, Ceryx (anche figlio di Hermes). Sarà proprio in questo momento che a Kratos verrà affibbiato il titolo di “uccisore degli Dei“, ponendo le basi per la guerra totale che si scatenerà di lì a poco.
La caratteristica di Betrayal è la sua grafica 2D e il suo essere più un platform game che altro. I combattimenti sono presenti ma ovviamente non hanno nulla a che vedere con quanto visto su console. Essendo un titolo per cellulari si son dovuti fare dei sacrifici, a cominciare dal sistema di controllo – in certi casi fastidioso – fino al comparto tecnico e sonoro. Resta un buon titolo, ma ovviamente i God of War a cui si riferisce il grande pubblico e la critica sono ben altri.

La maledizione di Kratos

Lo sviluppo di God of War II era ampiamente previsto, e la palla passò da David Jaffe al responsabile delle animazioni, Cory Barlog, aprendo anche di fatto la leggenda della “maledizione di God of War”: un nuovo capitolo, un nuovo producer. Il team era diviso in due: chi voleva sviluppare il titolo sulla nuova e più potente console (PlayStation 3), e chi voleva sfruttare al massimo l’ampio numero di unita vendute di PS2. Fu Yoshida, presidente Worldwide di Sony, a prendere la decisione: God of War II fu sviluppato su PlayStation 2.
Le vicende si aprono sempre a Rodi, con Kratos, nelle vesti di Dio della guerra che porta distruzione nella città con lo scopo di conquistarla. Un’aquila appare dal nulla dando vita al Colosso che sarà il nostro super avversario nella prima parte del gioco. L’unico mezzo per sconfiggerlo è la Spada dell’Olimpo, una potentissima arma forgiata da Zeus per sconfiggere i Titani anni addietro. Grazie a essa Kratos configgerà il Colosso di Rodi ma, nel farlo, perderà tutti i suoi poteri, tornando mortale. L’aquila si rivela essere Zeus stesso, che uccide Kratos portando così ordine nel caos. Ma il nostro eroe troverà soccorso nei Titani, che l’aiuteranno a compiere la sua vendetta ai confini del tempo e dello spazio. Solo la sequenza finale vale il prezzo d’acquisto del titolo.
Il secondo capitolo rappresenta un affinamento di quanto visto in precedenza: il sistema di combattimento è rimasto pressoché invariato nella forma ma con un miglioramento della risposta ai comandi e feeling con armi. Le nuove armi e magie rappresentano le vere novità in ambito di gameplay, cosi come il Vello d’Oro, capace di respingere gli attacchi se usato con il giusto tempismo, e le Ali di Icaro, che permette di coprire grandi distanze e modi più fantasiosi di uccidere i nemici. Anche la trama risulta meglio raccontata, grazie anche a bellissime cutscene in CGI, ricca di colpi di scena e momenti drammatici, arricchita da molte più boss fight e con una durata maggiore. Il comparto tecnico è eccezionale, probabilmente la produzione migliore su PlayStation 2, con ottime texture e, in generale, una pulizia maggiore rispetto al primo capitolo. Sempre nel 2007, God of War II vinse i Premi Bafta come Technical Achievement e Story and Character.

Il brand ebbe un tale successo da essere trasposto, sotto forma di prequel, nella portatile Sony: PSP. Con il sottotitolo Chains of Olympusil God of War su handheld avrebbe raccontato quanto accaduto prima degli eventi di nostra conoscenza, fornendo uno sguardo più ampio su Kratos. Sviluppato da Ready at Down (sviluppatore che vanta anche il discusso The Order 1886), questo titolo mostra tutte le potenzialità della portatile Sony, toccando vette d’eccellenza un po’ dappertutto. Il motore base è quello utilizzato per Dexter ma è servito un aggiornamento apposito del firmware di PSP per far fruttare tutte le idee che aveva in serbo il team di sviluppo.
Qui si assisterà al piano – un po’ contorto, a dir la verità – di Persefone in cerca di vendetta nei confronti di Ade, reo di averla imprigionata, e degli Dei, che non avevano in alcun modo interferito. Il suo obbiettivo è quello di distruggere il pilastro che sorregge la Terra grazie al potere di Elios, grazie anche all’allontanamento di Kratos verso i Campi Elisi, dove il nostro protagonista, rinunciando alla malvagità e i suoi poteri, ha potuto finalmente ricongiungersi alla figlia. Kratos, compiendo una difficile scelta, riuscirà a fermare Persefone e a portare di nuovo la luce nel mondo.
Il team di Ready at Down è riuscito a trasporre un titolo perfetto anche sulla console portatile, a cominciare dal comparto tecnico, impressionante visto il contesto, aiutato sicuramente dallo schermo più piccolo per la pura resa grafica. Gli ambienti, le animazioni e tutto il resto è da primato, portando la PSP ad avere una sua killer application. Anche i comandi, sulla cui resa si temeva non poco, sono stati adattati regalando quasi le stesse sensazioni del DualShock. Ovviamente, rispetto ai titoli principali, questo capitolo ha qualche mancanza, come la durata della campagna tra le 6-8 ore, puzzle e boss più semplici, ma il tutto è comunque rigiocabile per sbloccare i numerosi extra.
È presente anche una specie di trollata: sul libretto d’istruzioni figura un invito a cercare le cosiddette Urne del Potere, in grado di conferire poteri inauditi e difficili da trovare. Peccato solo che nel frattempo gli sviluppatori decisero di eliminarle dal gioco completo per cui, chi non era a conoscenza di ciò, probabilmente ha vagato in cerca di urne che effettivamente non erano presenti.
In ogni caso, Chains of Olimpus fu il gioco piu venduto e con i voti piu alti presente su PSP.

Niente sarà più come prima

Nuovo God of War, nuovo producer, dicevamo: si passa da Cory Barlog a Stig Asmussen, l’art director di God of War II. Siamo al primo salto generazionale per questo franchise, approdando, nel 2010 su PlayStation 3, God of War III, in grado di mostrare tutta la sua potenza in una delle sezioni introduttive migliori di sempre.
Il Monte Olimpo è assediato da Kratos e dai Titani; Poseidone sarà il primo Dio a cadere per mano del deicida ma, subito dopo, Zeus, ricordandosi improvvisamente del suo ruolo, usa tutto il suo potere per ostacolare la scalata del Titano Gaia e il nostro pelatissimo eroe. Proprio quando Kratos si appresta a chiedere aiuto capisce di essere stato una pedina in mano dei Titani, interessati solo alla loro volta vendetta nei confronti degli Dei. Kratos partirà alla ricerca della sua doppia vendetta, eliminando chiunque si opponga alla sua strada, siano essi Dei o Titani, fino allo scontro finale con Zeus che vedrà il protagonista redimersi utilizzando il vero potere del Vaso di Pandora, utilizzato nel primo capitolo per sconfiggere Ares. Si scoprirà come e quando gli Dei divennero malvagi, pieni di istinti omicidi nei confronti di Kratos, e i veri piani di Atena.

Con il terzo capitolo, visto anche un nuovo e più potente hardware, si vantano diverse novità anche dal punto di vista del gameplay. Innanzi tutto magie e armi non sono più elementi separati: ogni arma infatti possiede la sua magia intrinseca, selezionabile grazie alla croce direzionale, con la quale è possibile cambiare arma rapidamente, continuando così le combo senza interruzioni. Inoltre, sono state modificate anche  postura e animazioni del protagonista e l’introduzione di una barra apposita per l’utilizzo di alcuni oggetti come l’Arco di Apollo e gli Stivali di Hermes, oltre che un maggior numero e varietà di nemici.
A livello tecnico è essenzialmente un capolavoro, capace di lasciare sbalorditi ancora oggi nonostante siano passati otto anni. L’utilizzo del nuovo hardware ha permesso un boost spaventoso in tutti gli aspetti del gioco regalando una perla di pregevole fattura. Come detto, è la prima ora di gioco che risulta assolutamente straordinaria e picco più alto di tutta la produzione, difficilmente replicabile. In quell’ora di gioco si è avvolti da God of War alla massima potenza.
Oltre all’eccezionale comparto tecnico non si è badato a spese anche nel sonoro, che si fregia di ben quattro compositori differenti, che sono riusciti ad arrangiare brani dal tono epico in grado di esaltare ogni situazione possibile. Assolutamente impeccabili.
Durante lo sviluppo molte idee furono scartate come una modalità multiplayer o la possibilità di utilizzare gli Stivali di Hermes per correre sui muri alla stessa maniera di Prince of Persia.

Ascensione e declino

Sempre nel 2010 arriva un altro capitolo per PSP, ancora una volta realizzato da Ready at DownGhost of sparta, cronologicamente posto tra il primo God of War e God of War: Betrayal. Qui entrano in scena la madre di Kratos e il fratello, Deimos, apparsi in una visione del neo Dio della Guerra molto sofferenti. Kratos cercherà di trovare spiegazioni nella Città di Atlantide, eretta in nome di Poseidone e culla della conoscenza umana. Durante il suo pellegrinaggio verso il tempio del Dio dei Mari, Kratos “ritroverà” sua madre e avrà varie informazioni sul fratello, scoprendo che è stato rapito da Atena ed Elios per via di una profezia che narrava di come un uomo con la faccia dipinta avrebbe posto fine agli Olimpici. Essendo Deimos l’unico con queste caratteristiche, viene rapito causando anche la famosa cicatrice di Kratos sull’occhio. Deimos è prigioniero di Tanatos, il Dio della Morte, e, dopo una bellissima  e coreografica boss fight in coop, e una volta “uccisa” la Morte, Kratos diventa un vero “Distruttore dei Mondi” – una sorta di Robert Oppenhaimer  ma con la faccia dipinta–. Nel frattempo scopriamo anche che il padre di Kratos è Zeus.
Ghost of sparta rappresenta il canto del cigno di PSP, una gioia per gli occhi sia dal punto di vista meramente tecnico che artistico, anche se purtroppo non raggiunge le cifre di vendite degli altri capitoli.
Questo capitolo e Chains of olympus furono poi rimasterizzati nella Origin Collection per PS3.

Nuovo God of War, nuovo producer, come da tradizione: la palla passa da Stig Asmussen a Todd Papy. Arriviamo all’utimo God of War uscito finora, Ascension, un prequel di tutto quanto visto fino a questo momento.
Avendo tradito il patto siglato con Ares, Kratos è prigioniero di tre Furie, esseri impegnati nel “gestire” traditori e colpevoli.  In questo meno riuscito capitolo, vediamo Kratos agli inizi, subito dopo aver siglato il patto con Ares e tormentato in maniera violenta dalle visioni. Kratos verrà aiutato da un’altra Furia, Orkos, che, resosi conto della crudeltà del patto, aiuterà il protagonista fino al sacrificio finale che renderà finalmente Kratos libero.
Ascension non vanta una trama che lascia il segno: sì, è ben raccontata, ma avara di colpi di scena risultando piuttosto prevedibile. Ovviamente il comparto tecnico anche qui è fuori scala, nonostante PS3 sia ormai sul viale del tramonto, con qualche piccola innovazione dal punto di vista del gameplay come avvenuta sul tasto cerchio del pad, non più adibito alle prese ma alle armi secondarie, che è possibile raccogliere durante il gioco. Anche i diversi amuleti, che potremmo utilizzare lungo il corso dell’avventura, diventano fondamentali ai fini del gameplay: quello di Uroboro, per esempio, permetterà di distruggere o ricostruire elementi dello scenario, mentre quello di Orkos permetterà di sdoppiarsi. Tutte ciò regala una boccata d’aria fresca alle sezioni platform, molto lunghe e costruite sulla base dei suggerimenti degli sviluppatori di Uncharted. Ma la vera novità è il comparto multiplayer, sia competitivo che cooperativo: una volta scelto il personaggio ci verrà richiesto a quale divinità votarci, avendo così da parte di queste un potere unico. Le modalità di gioco sono molte e permettono una buona progressione. Forse il multiplayer risulta a conti fatti un po’ forzato, visto che il franchise ha sempre puntato forte sul single player, ma è anche vero che David Jaffe ha sempre desiderato includere una modalità cooperativa sin dal primo capitolo, modalità che fu sempre scartata poiché Kratos rischiava di essere snaturato.
In Ascension, sono presenti tante novità ma, complice una trama non particolarmente ispirata ed elementi che sanno di già visto, questo God of War risulta il meno riuscito dell’intera saga.

Sei davvero tu?

Siamo nel 2018 e come al solito tocca a un nuovo producer, ma questa volta a una vecchia conoscenza: Cory Barlog è pronto a rilanciarsi con un nuovo capitolo dal semplice titolo di God of War che sposta parecchi focus su altrettanti elementi. Si passa infattidalla mitologia greca a quella norrena, in un futuro in cui Kratos ha ormai una certa età, prendendosi cura di Atreus, suo figlio. Cambiano completamente anche il combat system e il sistema di telecamere, non più fisso, ma spostato direttamente alle spalle del protagonista. Tutti questi cambiamenti rendono questo God of War effettivamente un altro gioco e difficilmente paragonabile ai titoli precedenti ma, da quanto abbiamo potuto vedere, di qualità sembra essercene tanta e non vediamo l’ora di reimpersonare la Potenza, ancora una volta.

Dopo sei giochi, uno mobile, un romanzo, una serie a fumetti, un lungometraggio sempre in cantiere, remastered e un nuovo capitolo pronto a stravolgere tutto, con Kratos apparso un po’ in giro in diversi altri media, ci si rende conto di quanto God of War sia entrato nella storia di questo mondo. Pensate che tra i piani di Santa Monica la serie doveva concludersi con il secondo capitolo, quando Kratos, dopo aver sterminato gli Dei greci avrebbe continuato la sua caccia ad altre deità di altre mitologie come quella nordica e addirittura quella cristiana. Infatti, riferimenti in tal senso, sono presenti in God of War II, in un dipinto che raffigurava i Tre Magi e un’arma, chiamata Lancia del Destino, come quella che trafisse Gesù crocifisso. Dopo tutto ciò, Kratos sarebbe diventato la Morte in persona, con le sue due lame che sarebbero diventate una falce, appunto come quella della morte.
Il nuovo Kratos è ora pronto a sfidare gli dèi nordici, e non più da solo.

 




Alla conquista del podio: la guerra dei Battle Royale

Cos’è una Battle Royale? È questa la prima domanda da porre. Il genere “Battle Royale” è stato sdoganato dall’omonimo film giapponese (tratto a sua volta dall’omonimo romanzo di Koushun Takami) uscito nel 2000,  realizzato da Kinji Fukasaku, ultima sua opera prima della morte, avvenuta nel 2003. Il film narrava la storia di una classe di adolescenti bloccati su un’isola remota e costretti a combattere fino alla morte, che avrebbe lasciato soltanto un sopravvissuto. Questo genere è stato adattato successivamente in produzioni cinematografiche di ampio rilievo come Hunger Games (a sua volte tratta dalla trilogia letteraria di Suzanne Collins)
Un simile concetto non ha tardato a essere inserito all’interno di una struttura videoludica che oggi è di grande successo, vedendo come attuali campioni del genere titoli come PlayerUnknown’s Battlegrounds e Fortnite, i quali al momento si battono a colpi d’aggiornamenti per la “corona” del re dei Battle Royale.
Al momento il genere è molto in voga tra i giocatori di tutto il mondo e, di conseguenza, tutte le software house che vogliono garantirsi un posto di rilievo tra i “big” del settore (e soprattutto sul mercato) stanno cercando di sfruttare il trend a proprio favore. Non pare lontana l’ipotesi di un “bagno di sangue” tra le varie aziende, visto che, al momento, ci sono circa una dozzina di concorrenti che inseguono il successo di Pugb e Fortnite, nella speranza di usurpare il trono o com,unque di ritagliarsi una fetta di rilievo sul mercato. Ogni volta che un genere vede un boom, non poche software house si gettano alla cieca in progetti di emulazione nella speranza di spuntarla, in una Battle Royale nella quale solamente una uscirà vincitrice. I titoli che al momento comandano il genere sono in realtà delle “copie”: beninteso, non parliamo di plagio, ma del fatto che il titolo che attualmente registra i numeri più alti, PUBG, è in realtà nato da una mod di Arma II, DayZ: Battle Royale, a sua volta variante della mod DayZ ispirata al film omonimo.
Fino a pochissimi anni fa era il genere MOBA a farla da padrone e, anche allora, tutto partì da una mod, più precisamente da alcune mappe: quella di Aeon of Strifetratta da Starcraft, fu la prima, anche se ancor più celebre fu quella sviluppata per Warcraft III, quella di Defense of the Ancients (DotA). Seguirono una miriade di esponenti del genere, da giochi in flash come Minions, sviluppato da The Casual Collective nel 2008, sino ad arrivare al notissimo League of Legends, a oggi probabilmente il MOBA più giocato al mondo, passando per il secondo capitolo di DotA.
Durante gli anni, quindi, l’universo videoludico ha visto l’evolversi di varie tendenze, dal boom degli MMO, come World of Warcraft, per poi passare agli FPS come Call of Duty, fino ai MOBA e ai titoli Battle Royale.

Esistono vari fattori che possono determinare il successo di un videogioco: primo tra tutti è il costo del titolo poiché, se un giocatore ha acquistato H1Z1, ovviamente sarà meno propenso a comprare PUBG, visto che dovrà spendere altri soldi per giocare a un titolo che potenzialmente presenta le medesime caratteristiche. Il secondo problema è il fattore “compagnia“, in virtù del quale un giocatore sarà più o meno propenso ad acquistare un titolo posseduto dagli amici, effettuando battaglie in co-op e non. Ultimo, ma non meno importante, è il fattore accessibilità: essere un free-to-play può avere dei vantaggi, da questo punto di vista, rispetto a un titolo a prezzo pieno, permettendo a più persone di provarlo ed eventualmente effettuare ulteriori acquisti in-game. Per esempio Fortnite ha chiaramente questo target, fornendo a tutti gli utenti la possibilità di giocare gratuitamente la modalità battle royale.
Durante queste variazioni di tendenza della domanda da parte degli utenti, le software house minori, osservando l’andamento sul mercato di titoli massivi come PUBG, ritengono di riuscire a replicare simili successi, addirittura migliorando il prodotto. Ma gli eventuali upgrade apportati difficilmente riescono a spostare una grande fetta d’utenza dal titolo preferito dai più a quello dei più piccoli: semplicemente perché, a parità di caratteristiche e struttura, il gioco non vale la candela.
Per poter creare qualcosa di nuovo e coinvolgente, in grado di smuovere il mercato, bisogna analizzare e capire cosa sia possibile aggiungere e migliorare, così da poter rendere il proprio lavoro unico e interessante agli occhi del pubblico, al fine di essere promotori di una nuova tendenza.




Nuovo Bioshock in arrivo?

Dopo l’arrivo delle remastered e dei rumor che indicavano un grosso ritorno su un importante franchise da parte di 2K Games, sembra che un nuovo capitolo di Bioshock sia in dirittura d’arrivo. Secondo quanto affermato da Jason Schreier, giornalista di Kotaku, questo progetto è affidato a un “reparto segreto” della software house, il che – mettendo assieme tutte le tessere del puzzle – farebbe pendant con un’altra notizia, ovvero il rientro del figliol prodigo Shawn Elliot, sviluppatore della famosa saga. Tutto quindi fa presuporre che un nuovo Bioshock potrebbe arrivare nel giro di quanche anno.
Che arrivi qualche annuncio “a sorpresa” al prossimo E3?




Attack on Titan 2 – JÄGER!

Attack on Titan – o Shingeki no Kyojin per i più pignoli – è stato un fulmine a ciel sereno: l’opera di Hajime Isayama ha subito conquistato il Giappone, divendendo vero e proprio cult e piazzandosi nelle zone alte della classifica dei manga più venduti. A dare man forte al successo ci ha poi pensato l’anime, prodotto da Wit Studio, capace di rendere al meglio ed esaltare quanto avvenuto nel manga, restando fedele all’idea originale.
Nonostante il target sia rivolto ai ragazzi (shonen), è un’opera a tutto tondo, volta a esplorare le profonde paure dell’uomo e come questo si pone alle più grandi difficoltà, quelle dalle quali sembra non esserci via di scampo. Lo stile, così come la qualità della narrazione, sono valsi a Isayama numerosi riconoscimenti, elevandolo a uno dei migliori autori degli ultimi anni.
Ovviamente non poteva mancare una trasposizione videoludica: Shingeki no kyojin: Hangeki no tsubasa e altri titoli per Nintendo 3DS, ma soprattutto Attack on Titan: Wings of Freedom, hanno permesso di provare “in prima persona” l’ebbrezza del movimento tridimensionale, prendendo le vesti dei protagonisti della saga.
Attack on Titan 2 non è solo un sequel ma rappresenta la presa di coscienza di Omega Force di avere tra le mani un brand dal grande potenziale. Ecco quindi che tutte le feature del gioco precedente sono state potenziate, trasformando questo titolo quasi in un vero e proprio reboot. Ma vediamo tutto più nel dettaglio.

Io sono Nessuno

Le vicende di Attack on Titan si svolgono in un mondo ormai tenuto sotto assedio dai misteriosi quanto temuti Giganti, esseri divoratori di uomini nonostante non gli servano come nutrimento. Quel che resta dell’umanità è arroccato in un’unica immensa città costituita da tre mura concentriche alte 50 metri (Maria, Rose e Sina) e sostenuta da tre corpi militari atti a proteggere le stesse mura e i cittadini: il Corpo di Guarnigione, il Corpo di Gendarmeria e il protagonista principale di manga e anime, il Corpo di Ricerca. Dopo 100 anni di pace, l’apparizione del Gigante Colossale e del Gigante Corazzato riporteranno scompiglio nell’umanità, ed è da qui che partiranno tutte le vicende. Attack on Titan 2 riprende interamente la narrazione dall’inizio, ma utilizzando un nuovo punto di vista dato dalla creazione di un nostro personaggio che avrà un suo background e interagirà con il cast del manga. Questo espediente mitiga un po’ l’effetto di “già visto” derivante dall’aver giocato gli stessi eventi nel capitolo precedente Wings of Freedom, portando nuova luce ma forzando anche alcuni eventi che invece hanno seguito tutt’altro percorso. Il racconto in generale rimane abbastanza fedele nonostante un’evidente censura, grazie all’utilizzo di buone cutscene che riproducono quasi alla perfezione i momenti salienti dell’anime, fino al termine della seconda stagione. Dunque, niente utilizzo dei nostri beniamini con le loro peculiarità, (come, per esempio, la potentissima trasformazione in Gigante) relegate alla Moldalità Alternativa, in cui potremo scegliere (una volta sbloccati nella campagna principale) ogni personaggio della saga.
Entra in scena anche il Multiplayer Online: dalla semplice co-op quattro giocatori in cui il vincitore sarà chi eliminerà il maggior numero di Giganti, una co-op che interessa in parte la modalità storia, ripercorrendone dunque le vicende e infine, l’interessante Modalità Predatore, dove guideremo un’orda di Giganti con il solo intento di divorare più umani possibili. Queste modalità funzionano abbastanza bene, con pochi elementi di disturbo come lag o disconnessioni improvvise. C’è da dire però, che i giocatori connessi non erano poi così tanti.

Tanta carne al fuoco

La novità più evidente di Attack on Titan 2 è la creazione di un proprio alter ego, personalizzabile in diversi aspetti, da quello fisico al vestiario. La sua creazione consentirà di vivere le vicende da un punto di vista esterno, alla stregua di quanto avvenuto negli ultimi Dragon Ball Xenoverse, interagendo con i protagonisti anche attraverso dialoghi a scelta multipla che possono plasmare non solo il rapporto con i nostri compagni ma anche il nostro carattere. L’interazione e la vita tranquilla in città sono dunque elementi fondamentali in quanto potremo approfondire certi aspetti caratteriali poco sviluppati in manga e anime ma, soprattutto, una volta aumentato il cosiddetto grado di amicizia, verranno sbloccati perk che potremmo inserire nel nostro inventario, migliorando le nostre caratteristiche. I perk variano da un aumento degli attributi fisici all’aumento dell’inventario e il loro utilizzo dipenderà esclusivamente dal nostro livello di esperienza.
Oltre a questo, entra in gioco una maggiore personalizzazione delle armi e degli elementi utili al movimento tridimensionale, molto più varie rispetto al capitolo precedente e potenziabili una volta acquisito le componenti necessarie, che variano in base alla rarità. Sono tanti quindi gli aspetti di cui tener conto, e in questo Attack on Titan 2 si dimostra un gioco estremamente ricco e vario, senza considerare i punti esperienza derivanti dalla cattura e lo studio dei Giganti, le missioni secondarie e tanti altri piccoli aspetti che vi lasciamo il gusto di scoprire. Una volta preparato il tutto, saremo pronti a dare battaglia ai tanto temuti Giganti.
Tutto ruota attorno al movimento tridimensionale, una delle caratteristiche fondanti del brand e veramente spettacolare a vedersi, portando una certa fluidità e teatralità nelle azioni di manga e anime. Renderlo in un videogioco non è un compito semplice in quanto sono tanti gli elementi che devono coincidere per rendere l’esperienza poco frustrante: una buona gestione di fisica e telecamere, risposta dei comandi e via dicendo, sono fondamentali e, fortunatamente, vista anche l’esperienza derivante dal capitolo precedente, l’insieme funziona abbastanza bene.
Il gameplay risulta estremamente dinamico, ci fermeremo solo per sostituire le lame e le bombole di gas consumate durante il corso della battaglia. Grazie ai rampini potremmo arrampicarci dappertutto con estrema facilità e sfruttare l’effetto dondolo, permettendo di muoverci velocemente da un punto a un altro della mappa come un novello Tarzan o Spider-Man, a voi la scelta. Tutto ciò non è ovviamente possibile in campo aperto, dove l’utilizzo del nostro fedele cavallo sostituirà il movimento tridimensionale che sarà nuovamente disponibile non appena avvistato il nostro bersaglio.
Questi movimenti fanno da preludio allo scontro con i Giganti, diversi per altezza e movimenti e quindi capace di variare il giusto i combattimenti, colpendo il loro unico punto debole dietro la nuca. Di altra pasta sono i boss, dal Gigante Femmina a quello Corazzato, terrificanti e davvero difficili da abbattere. Fortunatamente verranno in aiuto i nostri compagni, richiamabili attraverso il dorsale sinistro, e a cui potremmo impartire l’ordine di attaccare, di catturare o di potenziarci, in relazione alle loro caratteristiche base. Formare un team adeguato in base ai loro attributi, aiuterà – e non poco – la nostra sopravvivenza. Un ulteriore aiuto arriva dalla costruzione di determinate edifici, come cannoni automatici e manuali, recupero materiali e tanto altro.

Col tempo migliora

Nonostante il titolo mostri una certa beltà nel restituire al meglio i contenuti dell’anime, migliorando in generale quanto visto nel capitolo precedente, non si può che storcere il naso di fronte ad alcuni deficit tecnici: prima di tutto il framerate, mai stabile, soprattutto nei momenti più concitati. Una volta circondati da Giganti e NPC, i frame saranno fin troppo ballerini, provocando a volte disagio, visto che il movimento tridimensionale esige la massima fluidità per eseguire al meglio manovre fondamentali per l’eliminazione o il mettersi al riparo dai nemici. Ma è un po’ tutto il gioco a risultare poco rifinito, e ciò è visibile anche dall’utilizzo di filtri che faticano a “pulire” quanto vediamo a schermo e l’eccessivo pop-up anche da distanze ridicole, senza parlare di bug e glitch di vario tipo. Anche la gestione della fisica non risulta perfetta, comportando imprecisione nelle movenze e di conseguenza frustrazione del giocatore.
C’è da dire però che la resa generale risulta abbastanza gradevole: tutto, dagli ambienti sino ai Giganti e le loro movenze e fattezze sono ben riprodotti, dando effettivamente la sensazione di trovarci all’interno del manga di Isayama. Da lodare l’enorme varietà dei Giganti, mentre si poteva far qualcosa in più sui modelli dei comprimari e dei cittadini, davvero troppo pochi.
Sul piano audio, spiccano le voci del cast originale dell’anime, che svolgono un ottimo lavoro nonostante il “trasporto” da un medium all’altro, e anche le musiche finalmente rendono giustizia all’opera originale, anche se siamo ben lontani dalle vette toccate dalle puntate animate.
A completare il tutto un comparto sonoro preciso e in grado di riprodurre egregiamente tutti i suoni che ormai siamo abituati a sentire, dalla fuoriuscita dei rampini ai colpi di spada che trafiggono la nostra vittima.

In conclusione

Attack on Titan 2, nonostante qualche difetto, riesce a portare avanti il progetto videoludico del manga di Isayama. L’espediente dell’ater ego del giocatore funziona discretamente bene, fornendo il più delle volte un nuovo punto di vista delle vicende e soprattutto un approfondimento della caratterizzazione dei personaggi. Un gameplay capace di regalare momenti esaltanti, chiudendo un occhio su alcune mancate rifiniture, restituiscono agli appassionati e non, le gesta del Corpo di Ricerca in tutte le sue sfumature, diventando un titolo imprescindibile per i fan dell’opera di Isayama.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Limbo

Il Limbo: un luogo senza pena e senza beatitudine divina, nella concezione dantesca; un vero e proprio Inferno per il protagonista dell’omonimo gioco.
Limbo è un puzzle-platform in 2D firmato Playdead, uscito per la prima volta nel 2010 per Xbox 360, per poi arrivare su PS3, PS4, Xbox One, PC, iOS e da un paio d’anni anche su smartphone e tablet Android. Tirare in ballo Dante non risulta una forzatura, molte sono le similitudini tra le ambientazioni della Divina Commedia e Limbo. A partire dal primo mezzo utilizzato dal nostro protagonista, un’imbarcazione che ricorda quella di Caronte, il traghettatore di anime che conduce Dante e Virgilio nel Limbo, fino alla presenza di soli bambini, probabilmente morti prima di ricevere il battesimo; lo stesso titolo, Limbo, fa riferimento al primo cerchio dell’Inferno e quindi richiama alla memoria direttamente l’opera dantesca. L’approccio al mondo di Limbo è alquanto diretto, e a tratti spiazzante: non ci sono introduzioni che spieghino perché il protagonista si trovi in quell’inquietante mondo in bianco e nero, nel quale si sveglia confuso, disorientato, spaventato, senza alcun preambolo. L’unica cosa che possiamo fare è accompagnarlo in questo viaggio, sperando che quest’incubo finisca presto. Il gioco non presenta alcuna narrazione esplicita, l’unico accenno alla trama lo troviamo nella descrizione del gioco presente in alcuni store: «Incerto del fato della sorella, un ragazzo entra nel LIMBO.» E in effetti nel corso del gioco si incontrerà presto una figura femminile, di cui andremo alla ricerca sino alla fine, muovendoci in un ambiente buio e ostile.

Ogni area è disseminata di trappole e ostacoli, dalle semplici buche iniziali da saltare sino a seghe circolari e complessi macchinari con i quali bisognerà giocare con la gravità per poter andare avanti, passando per alcuni personaggi come bambini armati di frecce e sassi e un minaccioso ragno gigante. Se da un lato il titolo gode di puzzle ben congegnati e di un level design studiato ad arte, quel che fa la differenza in termini di gameplay sta probabilmente in un attento studio della fisica, che induce il giocatore a essere quanto più preciso nell’affrontare determinate fasi di gioco, grazie anche all’engine Box2D, che risulta estremamente efficace allo scopo, e a un’architettura dei rompicapo che non risulta mai frustrante nonostante si basi su un meccanismo “die and try”: alla prima run sarà inevitabile infatti fallire un bel po’ di volte, ma si avrà la soddisfazione di superare anche le zone più difficili una volta fatte proprie le dinamiche e le tempistiche del relativo rompicapo. Limbo non presenta dei livelli o delle pause tra un’ambientazione e l’altra, ma è completamente lineare e il cambio di ambientazione non risulta mai forzato.

Dopo la pubblicazione di Limbo, sono nate diverse teorie sulla trama: c’è chi pensa che il protagonista sia morto e che abbia qualche “conto in sospeso”, rappresentato dalla figura della sorella, chi che entrambi i fratelli siano morti e che lui stia semplicemente cercando di ricongiungersi alla sorella, chi addirittura ipotizza che il mondo di Limbo sia stato creato dalla mente di un bambino che ha subito abusi o traumi. Gli sviluppatori non hanno rilasciato alcuna interpretazione ufficiale, e questi misteri rendono ancora più interessante un gioco che risulta in ogni suo aspetto suggestivo.
Ad amplificare la componente arcana del titolo c’è anche un comparto grafico che porta in scena un mondo di ombre interamente in bianco e nero con sfumature di grigio nel quale tutto appare rarefatto e indecifrabile: neanche il nostro protagonista ha un volto, risultando una mera sagoma vagante in un universo ostile. Nonostante l’uso dei colori risulti dunque estremamente essenziale, non si ha mai un senso di monotonia o di ripetitività, giovandosi di un art style accattivante e con ambienti eterogenei, da fitte foreste nere a fabbriche tetra passando per luminose insegne di Hotel.

Il comparto sonoro fa certamente il paio con quanto detto sinora: non troviamo alcuna pomposa o elaborata soundtrack, l’audio è essenziale ma efficace, basato su ronzii, scricchiolii, rumori ambientali e altri particolari che possono essere goduti al meglio giocando con dei buoni headset alle orecchie. Il principale difetto di Limbo risiede forse in una non sempre lineare armonia nella successione dei puzzle, che si fanno improvvisamente più complessi rispetto ai precedenti in certi punti (specie nella parte centrale); alcuni hanno visto anche dei difetti nella scarsa longevità e nella mancanza di una vera e propria trama, che sono però in realtà due tratti coerenti con le intenzioni dello sviluppatore: se da un lato, infatti, 4 o 5 ore di gioco risultano congrue in un titolo indipendente e zeppo di puzzle sfidanti, dall’altro la scelta di lasciare implicita una storia consente maggior spazio all’interpretazione dei giocatori e accresce il livello di suggestività dell’opera.
Con un’ambientazione accattivante e un sonoro minimale ma ricercato che si amalgamano benissimo in un’atmosfera inquietante e sinistra, Limbo è un titolo che unisce divertimento, ritmo e un buon livello di sfida, risultando uno dei migliori puzzle game degli ultimi anni, superato – fra i pochi – dal suo successore spirituale, l’acclamato Inside che, nella sua bellezza, serba un profondo debito nei confronti del titolo precedente.




Ubisoft si appresta ad aprire un nuovo studio a Winnipeg

La nota software house e publisher Ubisoft si appresta ad aprire un nuovo studio in suolo canadese. In aggiunta alle sedi di Montreal, Quebec City, Saguenay, Toronto e Halifax, la società ha scelto Winnipeg come sede per il suo nuovo studio.
A capo del nuovo studio vi è suo primo e unico impiegato al momento, l’amministratore delegato Darryl Long. Quest’ultimo ha trascorso gli ultimi 15 anni all’interno della sede di Montreal, inzialmente come programmatore specializzato in intelligenza artificiale e, al momento, ricopre la carica di produttore di Far Cry 5.

Il team di GamesIndustry.biz ha approfittato di quest’occasione per intervistare Long, il quale ha affermato che la possibilità di avviare uno studio da zero è stata un’opportunità irripetibile e che, inoltre, lo avvicinerà alla sua città natia.
L’amministratore delegato ha affermato che questa sede  è stata creata per contribuire alla realizzazione di giochi AAA del calibro di saghe quali Assassin’s Creed, Far Cry e Watch Dogs. L’obiettivo della sede è quello di ricercare, sviluppare strumenti, aumentando la qualità del “fattore open world” dei loro giochi.
Long ha affermato che lo studio conta di raggiungere i 100 impiegati entro 5 anni; Ubisoft conta di trovare impiegati talentuosi e, ha specificato, che tra Manitoba e Winnipeg è presente un’ampia quantità di talenti videoludici nascosti. Infatti, ha sottolineato che i vari corsi della Red River College e i programmi d’ingegneria, informatica, intelligenza artificiale e robotica dell’Università di Manitoba siano adatti a produrre sviluppatori in grado di aiutarli nel loro progetto.
Prima di ricoprire le vesti d’amministratore delegato, Long, si è appunto occupato della costruzione di 1/3 del mondo di Far Cry 5 presso Ubisoft Toronto, popolando l’universo di gioco con la fauna insiema al team di Shanghai mentre, con il team della sede di Kiev, ha lavorato sul motore grafico e sulla versione per PC.
Attualmente Ubisoft conta 13.000 dipendenti distribuiti in 30 paesi di tutto il mondo, anche se 4.500 di lavorano in Canada.




La dura vita di un recensore e di Destiny 2

Moltissimi giochi hanno subìto lanci disastrosi per poi essere scartati pochissimo tempo dopo, sono stati abbandonati per lunghi mesi fino ad avere improvvisamente un boom di vendite, diventando quasi virali. Ma ne esistono altrettanti che hanno visto avverarsi un meccanismo inverso, vendendo parecchie copie al lancio, per essere abbandonati dopo aver deluso la maggioranza dei giocatori. Ottimi esempi sono sicuramente Tom Clancy’s Rainbow Six Siege, The Division, Destiny, Watch Dogs e moltissimi altri titoli, tutti accomunati da un lancio accompagnato da un fortissimo hype da parte degli utenti ma che poi si sono rivelati disastrosi o deludenti.
Il feedback negativo dei giocatori, nel caso di Rainbow Six per esempio, ha acceso una lampadina in casa Ubisoft, che ha subito contattato dei player professionisti e competenti che, lavorando in team, hanno evidenziato tutte quelle problematiche che, secondo loro, affliggevano il gioco. Una simile mossa ha dato nuova vita a R6Sche è riuscito, durante l’inizio del 2017, a vendere moltissime copie e vive tuttora con la pubblicazione di diversi bundle e aggiornamenti gratuiti.
Il caso non si è ripetuto con un titolo che mi sta particolarmente a cuore, e che dopo l’iniziale boom, ha visto decrescere l’interesse nei suoi confronti, lasciando poche speranze su una sua eventuale risalita: Destiny 2.

In molti, dai più noti redattori delle grandi testate videoludiche ai più piccoli e meno noti, hanno dibattuto riguardo la scelta di recensire un gioco pochi giorni dopo la pubblicazione o se attendere qualche settimana in più per non incorrere nel rischio di non approfondire alcuni aspetti fondamentali, e compiere dunque una buona analisi. Le grandi testate tendono sempre più a pubblicare le recensioni di titoli più importanti e famosi al day one, o comunque pochi giorni dopo, ma c’è chi sostiene – e fra questi ci includiamo noi di GameCompass, che sposiamo dall’inizio del nostro percorso la filosofia dello Slow Journalism – la necessità di prendersi il tempo adeguato per riuscire a fare una disamina più articolata e approfondita di un gioco.
Un simile dibattito riguarda molto da vicino titoli come Destiny 2, recensito su queste pagine poco dopo l’uscita – seppur dopo altre testate di settore –  non facendo completamente caso a problemi, anche abbastanza gravi, che sono presenti tuttora all’interno del gioco.
Questo articolo può essere considerato in parte una rettifica postuma della recensione, andando in parallelo a una community intenta tutt’oggi a segnalare le problematiche che affliggono l’ultimo titolo di casa Bungie, ma difficilissime da notare durante la concitata fase di recensione.
Questo non significa “non fidatevi di ciò che scriviamo”, ma serve a segnalare come, a volte, l’analisi di videogiochi complessi non venga adeguatamente approfondita per mancanza di tempo, in un mondo estremamente competitivo come quello dell’editoria.

Destiny 2 è un gioco che a primo acchito sembra davvero ben strutturato e degno erede del primo Destiny, ma che dopo pochi mesi dall’uscita si è rivelato abbastanza noioso e poco convincente per i fan.
Il primo capitolo della saga non ha avuto inizialmente un grande successo, ma pian piano, con i vari aggiornamenti ed espansioni, ha ricevuto una spinta tale da arrivare a essere considerato uno dei migliori FPS degli ultimi anni. Il titolo di Bungie è riuscito a raggruppare una vastissima community in tutto il mondo, accogliendo nuovi player e facendo ritornare chi l’aveva mestamente abbandonato. Per sfortuna, Destiny 2, ha avuto un “destino” molto simile a quello del suo predecessore, ma per vari versi ben peggiore: la maggior parte della community, formatasi già durante il ciclo di vita del primo capitolo, è rimasta molto delusa e – come il sottoscritto – amareggiata dopo aver giocato praticamente per due mesi intensivi.
Destiny 2 presenta parecchi problemi che, all’occhio di un neofita, possono sembrare semplici scelte tecniche, ma per chi ha già molta familiarità con il mondo di gioco e con le scelte di Bungie, risultano in maniera più lampante il frutto di una cattiva gestione delle meccaniche del gameplay.

Si potrebbe partire parlando del drop rate, una feature parecchio equilibrata nel precedente capitolo, che è riuscita ad aumentare di parecchio le ore di gioco, con la possibilità di trovare l’arma con i perk giusti e con le giuste caratteristiche, versatile sia in PvE che in PvP, oppure un materiale/arma di grande rarità. Una simile meccanica in Destiny 2 è stata completamente cancellata: le armi sono facilmente ottenibili dopo qualsiasi attività e hanno un set di abilità programmato, quindi non si possono trovare più armi differenti. A detta di Bungie questo doveva servire per equilibrare il lato PvP, creando un gunplay meno sbilanciato, ma così non è stato. Il drop rate è aumentato esponenzialmente a ogni partita, come in “Crogiolo” o in ogni attività PvE, in cui si riceve sempre un cospicuo bottino, rendendo le partite PvP sì più bilanciate, ma troppo monotone e soprattutto poco competitive, vista la presenza delle stesse identiche armi, con lo stesso identico roll.
Altra modalità bistrattata è stata “Cala la Notte“, una delle attività più difficili e riuscite di Destiny, ma resa inutile da questo ultimo capitolo (anche se, a essere onesti, la sua decadenza era iniziata durante l’ultimo periodo di vita di Destiny). I drop ottenuti nei “Cala la Notte” sono praticamente sempre gli stessi e la possibilità di trovare un’arma esotica è quasi pari a zero; scelta davvero infelice perché, dopo svariati minuti o addirittura ore passate a provare a completare questa modalità, resa più difficile da buffer e malus per aumentare la sfida, il drop ottenuto non riesce a ricompensare le nostre fatiche e, in molti casi, frustra il giocatore fino a disinteressarlo alla modalità per farmare. Molti scelgono di virare verso il “Crogiolo” o altre attività, meno difficili e sicuramente più redditizie.

Dulcis in fundo, il problema che ha fatto impazzire letteralmente l’intera nazione italiana: l’infrastruttura online, il network. Proprio così, un gioco che basa tutto il proprio gameplay sul comparto online ha avuto problemi di questo, più precisamente ha sofferto di una mancanza di compatibilità. Dopo che Bungie ha aperto le porte della closed beta, sia su PC che su console, molti utenti, soprattutto italiani, hanno riscontrato un problema specifico, un codice d’errore che ha terrorizzato mezza utenza: il codice Cabbage.
Un’incompatibilità tra i modem Technicolor e i server di Bungie, ha creato non pochi problemi al D1 (non ancora risolto), che ha costretto tutta l’utenza a impostare il tipo NAT 1 o, addirittura, cambiare modem, una decisione abbastanza drastica per un videogioco.
Fortunatamente però, questi problemi, principalmente l’ultimo elencato, sono stati presi in considerazione dalla stessa Bungie che sta cercando, con i vari aggiornamenti futuri, di sistemare o quantomeno arginare le problematiche. Infatti è già stato annunciato un nuovo grande update che porrà fine alla maggior parte degli errori e complicazioni vari. Sperando che con il nuovo DLC, in uscita per il prossimo Maggio, Destiny 2 possa risollevarsi e riesca a riottenere la gloria e l’utenza che non ha ancora avuto, rimane ancora un problema: quanto tempo occorre davvero per recensire un titolo in un’epoca come quella che stiamo vivendo? Ed è il caso di pensare, in certi casi, a dei “richiami” alla recensione, degli update che fotografino lo stato dell’arte in parallelo all’andamento dei videogame nel medio periodo e ai loro cambiamenti in presenza di update sostanziosi?
Interrogativi da tener presenti se si vuole un giornalismo videoludico sempre migliore.




Dimmi cosa giochi e ti dirò chi sei

Facile dividere i videogiochi per genere: RPG, Fantasy, Adventure, FPS, TPS e così via, ma nella nostra mente non funziona allo stesso modo, non si pensa per genere. Se pensiamo di voler giocare un Fantasy, lo si mette in relazione col tempo che abbiamo a disposizione per giocare oppure, può anche succedere il contrario, dove per far passare del tempo decidiamo di giocare qualcosa che normalmente non toccheremmo nemmeno. Per questo abbiamo deciso di classificare i giochi in base a nuovi generi, del tutto soggettivi e che in qualche modo, riguardano tutti noi.

La fissazione

Da questo tipo di gioco si è quasi ossessionati, ci si gioca di continuo senza sapere perché e una volta smesso, non fai altro che pensare a lui, sognando il momento in cui sarete ancora insieme. Non è un gioco, è IL gioco che sembra fatto apposta per voi, un gioco che, per quanto vi riguarda, non finirà mai. Nemmeno dopo i titoli di coda.

Il passatempo

Siete in coda alle poste? Ci giocate. Siete al lavoro e lo sguardo del vostro capo non si posa su di voi? Ci giocate. Non avete un preciso obbiettivo nella vostra vita? Giocate. Spesso si tratta di titoli per smartphone, semplici e con molti livelli, ma è anche la difficoltà alle volte a stimolarvi, trasformando un titolo da passatempo a fissazione in men che non si dica.

Il rigiocabile

Alert: se siete under 20 potrebbe non essere il vostro caso. Si tratta di quei giochi che puntualmente ri-completate una volta l’anno, vecchio ma bello, vi appassiona da subito ma poi, per qualche motivo, finisce nel dimenticatoio. Ma periodicamente, come un Fenice, la voglia di rigiocarlo risorge, facendo risalire quei vecchi brividi lungo la schiena, ormai dimenticati. Con buona probabilità si tratta di giochi old gen.

Il passatempo (da viaggio)

Probabilmente si tratta di un porting su telefono della versione PC/console di un titolo che giochereste se foste rimasti a casa. Fallout Shelter o gli ultimi arrivati PUBG Mobile e Fortnite sono stati e probabilmente saranno amici della relatività generale di Einstein, riuscendo a trasportarvi da un punto A a un punto B in men che non si dica. Non parliamo poi di Switch! La console Nintendo ha ormai portato questi concetti all’estremo, facendo sorgere ai giocatori l’idea di viaggiare solo per il gusto di giocare a Zelda tra i sedili di un aereo.

Il “perché gioco con gli altri” (online e locale)

Tra online e locale cambia molto ma la finalità resta quella: stare insieme divertendosi. L’online può essere anche una scusa per stare in contatto con vecchi amici ma ciò che cambia veramente è la dinamica di gioco. Di questi tempi, le battle royale a squadre e non riescono a creare fazioni, eserciti o semplicemente simpatizzanti come se ci trovassimo in un liceo americano, cosa che offline, risulta abbastanza mitigato. Se è vero che stare assieme può essere piacevole, rafforzando dei rapporti che normalmente sarebbero stantii è anche vero che le più grandi amicizie (o amori) sono terminati per un gol al novantesimo o un sorpasso all’ultima curva, per cui, occhio!

Il bello da leggere e il bello da guardare

Probabilmente non giocate entrambe le tipologie ma, in qualche modo, vi sentite parte integrante della community, leggendo news, aggiornamenti e vi basta questo per immaginarvi il gameplay di un titolo di cui avete visto solo qualche immagine. Poi ci sono gli stalker, che godono di un gioco soltanto guardandolo, magari con un pò di distacco ma con al contempo, la voglia di sentirsi parte di qualcosa. È il gioco perfetto per gli streamer, il tipico titolo che magari, si gusta meglio da fuori.

L’incentiva ego

Era probabilmente il vostro gioco preferito: tante ma tante ore di sano gameplay che vi hanno reso i migliori al mondo. Siete talmente bravi che nonostante non giochiate da un po’, battereste chiunque a mani basse, sentendovi come “un Principe dei Saiyan” che però vince, a dispetto delle invidie altrui.

Il “lo gioco mentre”

Tangente alla categoria “passatempo” è solitamente un titolo a cui dedicate più tempo del previsto, nonostante qualche leggero impegno e che in qualche modo riempie le nostre giornate. Non si tratta di un AAA, ma ci va vicino: è quel titolo che piace ma che non ci ha catturati a sufficienza, portando la sua conclusione con un mesto “meh!”.

La brutta abitudine

Il tipo gioco di cui parliamo non è necessariamente bello o il migliore, ma affascina; Lo giochiamo tutti i giorni a tutte le ore trattandosi molto spesso di un Free-To-Play che si è scaricato per noia e non abbiamo più disinstallato. Come drogati coscienti, sappiamo che fa male, fa perdere solo tempo e non aggiunge nulla alla nostra vita però è lì, pronto per essere avviato e giocato un’ultima volta, come con una sigaretta.

Quello brutto (per gli altri)

Si tratta di un gioco fatto male, né più né meno, ma che vi piace, senza capire bene perché. Quelle piccole grandi cose fatte male in qualche modo divertono, come fosse un film dell’Asylum e che ci spinge a dire «dai su, un sei glielo do». È il gioco più subdolo di tutti, un manipolatore per eccellenza, in grado di far gli occhi dolci solo per essere accarezzato, nonostante non lo meriti.

Lo zenzero

Ora penserete, che cosa c’entra lo zenzero? E invece c’entra. Lo usano i giapponesi tra una portata e l’altra per pulire il palato, e questo tipo di gioco serve per questo motivo, a disintossicarsi dalle “brutte abitudini” o dai “passatempo”. Si tratta di un gioco alquanto moderato per riposarsi tra un nighiri di FPS e un uramaki di GDR.

Lo pseudo lavoro

Un gioco può anche essere simile a un lavoro: organizzare, gestire, smistare, management, ecc. Può essere anche simile al nostro vero lavoro, per poterlo immaginare come lo si vuole, ordinato, senza intoppi e senza antipatie, perfetto insomma. Bel sogno, non trovate?

La frustrazione

Ogni uomo ha bisogno di adrenalina, allora perché non trovarla in un videogioco difficile? La linea che divide difficile da frustrante è sottile e questo tipo di gioco la supera con facilità. Il livello di sfida è alto e poco importa l’esser preso a calci per la maggior parte delle ore di gameplay. L’obbiettivo è uno soltanto: sopravvivere per raccontare ai futuri nipoti le nostre gesta.

Quello che “forse un giorno”

Su Steam c’erano i saldi? Avete comprato molti giochi a prezzo stracciato? Brutta notizia per quei videogiochi, saranno sempre visti e mai avviati, comprati solo per il gusto di farlo. Diventano in tutto e per tutto come una dieta, che dovremmo fare ma che non faremo mai, ma è bello pensare averne solo la possibilità. Non si sa mai.

Queste sono le categorie più comuni e con cui noi tutti dobbiamo convivere giorno dopo giorno. Ma ce ne saranno sicuramente altre, per cui fateci sapere se le vostre categorie coincidono con le nostre.




Far Cry 5 è il capitolo della serie venduto più velocemente

Far Cry 5, anche se è sul mercato da poco tempo, è già diventato il titolo più venduto della serie. Ubisoft ha dichiarato che durante la prima settimana, Far Cry 5 ha raddoppiato il numero di vendite raggiunto dal precedente quarto capitolo, diventando così il secondo più grande lancio nella storia di Ubisoft, appena al di sotto di Tom Clancy’s The DivisionFar Cry 5 registra numeri eccellenti anche sul fronte streaming e contenuti video con oltre 55.000 ore di trasmissioni su Twitch e 117 milioni di visualizzazioni per i contenuti pubblicati su YouTube.

Il produttore esecutivo di Far Cry, Dan Hay, ha dichiarato:

«Sono davvero lieto di vedere che il culmine di tanti anni di lavoro da parte del team stia dando i suoi frutti. Siamo commossi dall’accoglienza che i giocatori hanno riservato a Far Cry 5 e sopprattutto, desiderosi di continuare a espandere e supportare la community di Far Cry nei mesi e negli anni a venire».




Epic Games: la barriera tra Xbox e Playstation cadrà inevitabilmente

Fortnite è uno di quei prodotti che ha fondato un nuovo modello di gioco nella games industry, secondo Tim Sweeney, CEO di Epic Games,  e uno dei motivi per il quale le barriere tra le piattaforme verranno presto abolite promuovendo il cross-platform.

Sweeney, parlando durante la sessione State of Unreal di Epic al GDC, ha descritto il boom dei giochi mobile negli ultimi dieci anni come una delle cose più eccitanti che possano accadere nel settore videoludico. Tuttavia, quello che una volta risultava essere nuovo ed entusiasmante forse oggi non lo è più:

«Per un po’, questa industria mobile è stata stagnante. Ci sono oltre 100.000 giochi pubblicati ogni anno sugli store, molti dei quali sono giochi ad-driven e molti di loro hanno modelli di monetizzazione abbozzati. L’industria ha davvero bisogno di rivitalizzazione».

Tuttavia, nei mercati asiatici si è sviluppata una nuova tendenza, una che mette in discussione l’ipotesi che il mercato della telefonia mobile sia dominato dai “casual games”. Parlando con GamesIndustry.biz in una riunione prima dello State of Unreal, Sweeney ha descritto questa “tendenza” come: «la cosa più eccitante per Epic nel settore in questo momento.»

«Stiamo assistendo a un cambiamento di tendenza, dove prima esistevano i casual games, adesso, come successo in Corea e in Cina, ci sono dei veri e propri giochi per “gamer”. Lo abbiamo visto con Lineage 2, un MMO open-world che ha avuto un successo enorme. Adesso in moltissimi paesi giochi come questo, segnano grandi numeri per le entrate, per il tempo di gioco e per la nuova forma che stanno dando al settore nella games-industry

Epic ritiene che stia cominciando ad accadere lo stesso processo in mercati come gli Stati Uniti e l’Europa, grazie in gran parte alle rifiniture e ai miglioramenti apportati al motore grafico Unreal Engine. Sempre durante lo State di Unreal, i co-fondatori di Studio Wildcard, Doug Kennedy e Jesse Rapczak, sono saliti sul palco per parlare di Ark: Survival Evolved su smartphone, annunciando anche il porting su Nintendo Switch.

Un altro esempio è ovviamente Fortnite della stessa Epic Games, che secondo Sweeney è l’esempio migliore, considerato lo sviluppo su Unreal Engine oltre che ovviamente per il “trend” che ha fino a ora sviluppato il gioco in sé.

La versione per Android di Fortnite deve ancora essere rilasciata, ma quando  questo avverrà, sarà il prodotto che girerà su tutte le principali piattaforme, con la stessa esperienza condivisa al suo interno e proprio questo, secondo Sweeney, sarà un aspetto essenziale di come la game-industry cambierà e continuerà a crescere negli anni a venire.

«Non riesco a immaginare nulla di meglio per la crescita collaterale del settore console rispetto a questa nuova generazione di bambini, cresciuta con dispositivi Android e iOS e che stanno imparando a giocare lì. Magari giocando a Fortnite [sui dispositivi mobili, ndr], che poi magari vorranno giocare sulla TV di casa, con controlli più precisi grazie a un joypad e una migliore esperienza visiva, facendo quindi un passaggio a piattaforme come PlayStation o Xbox.»

Ovviamente, l’idea che i possessori di PlayStation e Xbox possano un giorno giocare insieme, è e rimane un tema di grande attualità. Fortnite sarà solo uno in più tra quei giochi che non possono essere riprodotti su entrambe le piattaforme, con Microsoft che sostiene molto più la necessità di cross-play rispetto a Sony. Da parte sua, Sweeney è un grande sostenitore del cross-platform, ma è attento anche a sottolineare la natura senza precedenti di Fortnite, pienamente inter-operabile su mobile, PC, Mac e console. Proprio per questo motivo crede fermamente che questa situazione di stallo, non durerà ancora per molto. Sempre durante l’evento, il CEO di Epic, menziona anche la legge di Metcalfe, secondo la quale “il valore di qualsiasi esperienza connessa per un determinato utente è direttamente proporzionale al numero di persone a cui è possibile connettersi nel mondo reale”. In parole povere il prossimo passo logico nel settore console, sarebbe quello di eliminare le barriere tra gli utenti Sony e il resto del mondo.

In effetti ormai i giochi sono diventati esperienze sociali allo stesso modo di Facebook o Twitter, e queste esperienze hanno davvero senso e possono definirsi tali, solo se gli utenti possono comunicare con tutti i loro amici indistintamente.