I giochi che hanno lasciato l’early access nel 2018

Col passare del tempo, la creazione di titoli videoludici e la nascita di start-up che ne favorissero lo sviluppo è aumentato vertiginosamente. Il tutto, è favorito da una crescita del settore, dovuta a vari metodi usati per raccogliere fondi.
Uno di questi è l’Early Access, usato dagli sviluppatori per riuscire a racimolare i contributi necessari a portare avanti la creazione del loro gioco prima dell’uscita vera e propria. Questo metodo permette di ottimizzare i tempi di sviluppo e, soprattutto, aiuta gli sviluppatori a migliorare la propria creazione grazie ai feedback degli utenti. Sfortunatamente, come ogni “fenomeno” del momento, anche l’early access è colpito dagli “approfittatori”. Infatti, si presentano casi di programmatori che creano giochi per poi abbandonarli dopo aver ricevuto delle donazioni. Oppure, esistono altri casi di videogiochi che si trovavano in un accesso anticipato infinito riducendosi a essere aggiornati periodicamente per miglioramenti infimi. Questo problema è presente prevalentemente nei titoli survival.

Ma tempo al tempo, dopo un paio d’anni, finalmente nel 2017 Ark: Survival Evoled e The Long Dark uscirono dal loro stato di beta.
Tutto questo potrà sembrare del tutto casuale ma, fortunatamente altri titoli che sembravano essere destinati a rimanere incompleti (Rust, The Forest, Subnautica, H1Z1, DayZ) usciranno nel corso del 2018 o sono già usciti in maniera definitiva qualche mese fa.
Questi, sono alcuni tra i titoli più conosciuti per il loro lunghissimo periodo di beta. Tra essi, il primo a esser stato rilasciato è Subnautica (precisamente nel mese di gennaio), annunciato nel 2013 ma, dopo svariati anni di sviluppo e di miglioramenti grazie all’aiuto della community, è diventato un titolo davvero ottimo, che ha riscontrato tantissime recensioni positive. A seguire troviamo Rust, titolo survival che inizialmente era basato sulla sopravvivenza co-op contro gli zombie ma, tutti gli anni di modifiche lo hanno completamente stravolto, privandolo della componente principale (i non morti) e passando quindi a un PvP più tradizionale. Personalmente, tra tutti questi titoli ho avuto il piacere di giocare proprio a quest’ultimo. I passi avanti fatti dal team di sviluppo sono giganteschi: le texture hanno ricevuto un deciso upgrade e i molti bug che affliggevano il titolo sono quasi del tutto risolti, i server sono più stabili, gli oggetti presenti in game sono stati ampliati, e tanto altro mi hanno reso felice d’aver supportato il loro progetto.
Un altro titolo è H1Z1, che è stato diviso in due: mentre la variante Battle Royale mantiene il nome originale, la variante survival sè stata chiamata Just Survive (ancora in attesa del rilascio).
DayZ, con uscita programmata per il 2012, è uno sparatutto dove ci ritroveremo a combattere fino alla morte insieme ai nostri fidati compagni mentre, The Forest, è un grande esempio di cambiamento radicale nei giochi in early access, visto anche l’introduzione del multiplayer che ha portato all’allontanamento dalle idee iniziali del team di sviluppo, che prevedevano un’avventura solitaria all’interno di un’isola abitata da cannibali.
Tutto quello che accomuna questi titoli è, difatti, la loro progressiva crescita grazie ai fondi e alle idee dalla community. Tuttavia, al momento, si presentano titoli di primo piano nella scena videoludica come Fortnite, che sfortunatamente sembrano destinati a rimanere in beta ancora per parecchio tempo, visto il continuo rinvio dell’apertura gratuita della sezione PVE. L’utilizzo dell’early access dunque, è molto importante, principalmente per le case di sviluppo emergenti, visto che i feedback degli utenti possono essere essenziali per creare un buon gioco ma – visto i precedenti – l’importante è non abusare di questa ottima possibilità.




Bandai Namco ha tre nuovi marchi registrati in Europa

Bandai Namco ha appena registrato tre nuovi marchi della serie Taiko: Drum Master in Europa.
In particolare i giochi sono: Drum Master (29 giugno), Drum Session! (13 luglio) e Drum ‘n’ Fun!  (13 luglio).
Il primo marchio non ha bisogno di presentazioni, mentre il secondo dovrebbe riferirsi a Taiko Drum Master: Drum Session! uscito su PS4 nel 2017 sia in Giappone che in Asia con i sottotitoli in inglese. Il terzo marchio si riferisce probabilmente al prossimo titolo per nintendo Switch: Taiko Drum Master: Nintendo Switch Version! , che uscirà il Giappone il 19 luglio, e in Asia  con una patch per i sottotitoli in inglese il 9 agosto.




LEGO Gli Incredibili

Gli Incredibili ritorna dopo 14 anni con un nuovo lungometraggio che uscirà in Italia il 19 settembre 2018. Nell’attesa che il film esca anche nelle sale europee e italiane, gli amanti della serie potranno consolarsi con il nuovo titolo LEGO, che racconta in maniera molto precisa e minuziosa quasi l’intera trama del nuovo film.
Il tanto atteso sequel del celebre film Gli Incredibili ha riscosso non poco clamore negli Stati Uniti, ottenendo il primato di film d’animazione più redditizio di sempre, incassando oltre 500 milioni di dollari, solamente negli USA.
LEGO Gli Incredibili è il classico gioco della LEGO, in cui poter dare libero sfogo alla propria fantasia, divertirsi con i famosissimi mattoncini e, nel frattempo, poter seguire la storia che il titolo offre.
Come detto in precedenza, LEGO Gli Incredibili segue la trama del secondo film, ancora inedito in Italia, contenendo non pochi spoiler e creando qualche problema a chi volesse godersi il film appena uscirà nelle sale nostrane.
La trama segue i fatti accaduti subito dopo il precedente capitolo: Bob Parr, Mr. Incredibile, rimane a casa a badare ai figli, Violetta, Flash e Jack-Jack, mentre sua moglie Helen (Elastigirl) prosegue la lotta contro il crimine e alla legalizzazione dei supereroi. Ma in poco tempo si presenta il supercattivo di turno, pronto a conquistare l’intera città: l’Ipnotizzaschermi, che ha il potere di ipnotizzare la gente con l’aiuto di schermi e monitor; subito i membri della famiglia Parr, insieme all’amico di famiglia Siberius, dovranno la nuova minaccia salvando la città.
La storia è narrata da lunghe e divertenti cutscene che spiegano in maniera esaustiva tutti i fatti accaduti.

Il gameplay è molto simile, se non identico, alla gran parte dei giochi LEGO in circolazione, apportando poche novità e mantenendosi molto semplice e intuitivo, per facilitare i più giovani, anche se in alcuni frangenti diventa parecchio difficile e ostico scovare i numerosi indovinelli che, se non completati, non permetteranno di andare avanti con la storia.
Durante alcune missioni si incontreranno enigmi che appariranno tanto contorti quanto evidenti, facendo perdere numerosi minuti al giocatore per riuscire a scovarli e pochissimi secondi per completarli. Ad aggravare la situazione anche l’assenza di messaggi guida, che dovrebbero fornire delle indicazioni su come proseguire, se si rimane bloccati in un punto per parecchio tempo, lasciando il giocatore ignaro sul da farsi.
Tralasciando questo problema (di certo non da poco), il gameplay risulta abbastanza fluido, ma a lungo andare ripetitivo. La storia ci lascerà visitare liberamente Municiberg a bordo della nostra auto o sottraendo i veicoli ai malcapitati cittadini, effettuare acrobazie con l’auto, proprio come in Grand Theft Auto, combattere contro dei malviventi o completare missioni secondarie. Inoltre, durante la main quest si dovranno edificare delle costruzioni speciali e maestose che permetteranno l’avanzare della storia, tutte interamente fatte di mattoncini LEGO. Fortunatamente, però il combat system sembra non dare grandi problemi, con scontri e boss fight non molto impegnative, ma parecchio gradevoli.

LEGO Gli Incredibili contiene moltissimi collezionabili che si troveranno sparsi per la città o finendo determinate missioni, come d’altronde in tutti i giochi LEGO. Durante il viaggio si potranno ottenere ben 200 mattoncini rossi, chiamati MattonIncredibili, che ci permetteranno di sbloccare vari bonus in game e si potranno trovare più di 200 personaggi, che si potranno trovare in alcuni pacchetti, come in FIFA Ultimate Team, che varieranno il contenuto in base alla rarità e al costo.
A risollevare una situazione che non brilla per varietà arrivano i dialoghi e il sonoro. Le conversazioni con altri personaggi sono ben gestite e molto divertenti, piene di esilaranti sketch che strappano sempre una risata, mentre il sonoro è di discreta fattura, con le soundtrack originali del film.
La grafica è migliorata rispetto ai precedenti capitolo LEGO, con un mondo di gioco pieno di dettagli, arricchendo l’esperienza e rendendola molto più gradevole, soprattutto grazie ai colori molto accesi e vivaci utilizzati. Mentre il comparto tecnico non spicca per la sua ottimizzazione, infatti, durante i parecchi caricamenti alcuni richiederanno circa 1 minuto e mezzo, creando un’attesa interminabile.
Tutto sommato, però, LEGO Gli Incredibili si rivela un gioco divertente con cui trascorrere circa 5/6 ore per completare la storia e visitare un po’ la cittadina di Municiberg, un titolo adatto a tutti, dai più giovani agli adulti. Ovviamente se ci si vuole godere il film senza alcuno spoiler sulla trama è sconsigliabile giocare a questo titolo, che TT Games e Warner Bros. hanno certamente immesso subito sul mercato per sfruttare l’hype del lancio americano, ma che non risparmia in tal senso quello europeo, che dovrà attendere ancora qualche mese prima di poter godere della nuova avventura cinematografica de Gli Incredibili.




Agony – Pacatamente, come non piace a noi

Quando fu annunciato tramite Kickstarter nel 2016, Agony riscosse un certo interesse tra il pubblico, per via della sua visione molto cruda dell’Inferno e soprattutto, di una direzione che mal si sposava con organi di controllo come l’ESRB (Entertainment Software Rating Board). Infatti, Agony, sin dalle prime battute, era così al di là di ogni titolo horror visto finora che l’organo lo valutò come titolo “per soli adulti”. Una classificazione che al team di sviluppo polacco Madmind Studio non è andata giù, al punto da indurli a cercare in tutti i modi di ottenere una categoria PEGI che non fosse rossa. Una volta ottenuta, le cose non sono comunque andate per il verso giusto: Agony è gradualmente divenuto un titolo potenzialmente castrato sotto quasi tutti i punti di vista e alla sua release definitiva fu valutato con diverse insufficienze. Noi di GameCompass ci siamo presi il nostro tempo, attendendo alcune patch riparatorie e giocato con attenzione questo titolo che però – come vedremo – non merita il paradiso ma nemmeno l’inferno nella misura in cui vi è stato scagliato da molte testate.

Attento a cosa chiedi quando preghi…

Riassumere gli eventi di Agony non è operazione semplice: impersoniamo Amraphel/Nimrod (il protagonista viene chiamato in entrambi i modi, ma il perché non è del tutto chiaro), un’anima dannata, arrivata all’inferno dopo una morte probabilmente violenta. Il suo desiderio è quello di tornare in vita, ma solo la Dea Rossa è in grado di esaudire la sua ambizione. La sua ricerca coincide con il nostro obiettivo, anche se non tutto andrà nel verso giusto. E non ci riferiamo soltanto alla storyline del protagonista, ma anche al gioco nel suo insieme. Tutto è riassumibile con la parola “confusione” e lo svolgimento della trama ne è un chiaro esempio.
Il nostro peregrinare tra le lande degli Inferi sembra non portare da nessuna parte, ogni avvenimento risulta abbastanza slegato da quanto accaduto precedentemente. Ogni nostra azione ha delle conseguenze, ma di questo ce ne accorgeremo una volta scoperto che Agony propone ben sette finali diversi, molto “criptici” e di cui probabilmente uno soltanto – almeno secondo il ragionamento di chi scrive – comunica realmente qualcosa. La “questione delle scelte” è uno dei tanti problemi di game design del titolo e, per far capire meglio di cosa stiamo parlando, è bene procedere con metodo comparativo: prendiamo Prey di Arkane Studios, che ha tra l’altro ricevuto un recente aggiornamento; all’interno del titolo possiamo compiere diverse scelte, alcune di queste “invisibili”. Per intenderci, se in Mass Effect la scelta da intraprendere ci viene letteralmente sbattuta in faccia, in Prey tutto è molto più velato e dipendente davvero dal nostro tipo di gameplay. E in Agony? Nel titolo Madmind risultano invisibili nel vero senso della parola, soprattutto perché si ha sempre la sensazione di non possedere alcun libero arbitrio. Non è chiaro cosa influisca e cosa no, e se da un certo punto di vista può sembrare un’ottima cosa – quasi un espediente meta-ludico – la realtà dei fatti è che questo aspetto non è stato progettato nel migliore dei modi, con il risultato che la confusione regna sovrana. Non bastano nemmeno le tante note sparse qua e là, le quali aggiungono informazioni che si fatica a mettere assieme, finendo facilmente nel dimenticatoio, così come tutte quelle citazioni bibliche volte a crear atmosfera, ma che rimangono tristemente fine a se stesse.
L’offerta ludica di Agony si amplia con altre due modalità: Agonia ci porterà ad affrontare il titolo attraverso ambienti generati proceduralmente, mentre la più interessante modalità Succube ci consentirà di impersonare un demone, portando il giocatore a scoprire nuovi percorsi e nuovi modi di affrontare il gioco. Questa modalità secondaria – a conti fatti – è forse quella più gradevole tra quelle offerte dal titolo.

…potresti ottenerlo

Tutta la struttura ludica di Agony si basa sullo stealth. Come survival horror il gioco riprende i canoni classici che ultimamente siamo abituati a vedere nel genere in termini di gameplay: fare poco rumore, nascondersi ove necessario e scampare dalle grinfie di creature di qualsivoglia natura, in questo caso demoni. Il problema però è che alcune meccaniche inserite non funzionano a dovere, rovinando per la maggior parte l’esperienza. La morte – come ci viene detto – fa parte del gioco e, al suo sopravvenire, abbiamo la possibilità di far migrare la nostra anima verso un ignaro malcapitato e prenderne possesso. Se questa meccanica a prima vista sembra interessante, richiedendo di “scappucciare” i dannati per poter trasmigrare – sempre che sia stata attivata l’opzione “possessione facile”, altrimenti… – una volta inserita la possibilità di possedere un demone crolla l’intero castello di carta. Il survival horror diviene tutt’altro, con quasi la sensazione “di aver rotto il gioco”. La possessione di un demone infatti – se usata con astuzia – può liberarvi l’intero campo dai nemici, trasformando gli inferi in una stravagante vacanza. C’è da dire che la possessione ha un limite di tempo, in cui, se non trovassimo proprio nessun corpo da controllare, scoccata l’ora, sarà game over. Ma anche qui, fatta la legge, si trova l’inganno.
È proprio questo il punto. Agony sembra ancora un work in progress in cui nessuno degli elementi proposti funziona a dovere. Un altro esempio è – l’incredibile – gestione dei checkpoint, mal calibrati in termini di distanza e soprattutto utilizzabili soltanto tre volte. Una volta sfruttati tutti i jolly – morti – dovremo utilizzare quello precedente e, di conseguenza, rifare intere porzioni di gioco. Questo si scontra anche con un level design spesso caotico e in cui risulta difficile orientarsi, dato che molti luoghi soffrono dell’eccessiva ripetitività degli asset. Fortunatamente, in nostro soccorso arrivano i fasci di luce – non quelli del ’25 – proiettati dalla nostra mano e in grado di indicarci la via. Di numero limitato e ricaricabili solo nei checkpoint o raccogliendo idoli sparsi per le mappe, che risultano molto utili a districarsi nei diversi percorsi verso la meta, rappresentando la classica “manna dal cielo” anche se, la direzione indicata alle volte, è quella più scomoda o contraria a quella intrapresa.

Se non vedi non ci credi

Uno degli elementi maggiormente castrati è la direzione artistica dell’Inferno e delle sue creature. La ricostruzione degli ambienti rende l’insieme molto tangibile, soprattutto nei luoghi chiusi, nei quali si può notare anche una certa ripetitività di oggetti e strutture. Fortunatamente è anche in grado di offrire scorci di un certo spessore, in cui si ha davvero l’impressione di viaggiare in un luogo trascendentale. Ma questi bei momenti, in cui si può assistere a ottimi giochi di luce e direzione artistica ispirata, sono anche – e per la maggior parte – di un anonimato disarmante. Molto di quanto mostrato sa di già visto, e anche le creature realizzate ad hoc per il titolo non sono certo memorabili. Questo nonostante alcuni riferimenti cristiani palesi e soprattutto l’intento di portare il tutto verso il concetto di lussuria, anche se a volte in maniera quasi volgare e posticcia.
Gli aspetti strettamente tecnici presentano elementi senza infamia e senza lode, dove le ultime patch hanno messo la pezza su alcuni problemi – ormai classici – da day one: il framerate risulta abbastanza stabile e i vari filtri funzionano discretamente bene. È un titolo che non colpisce per pura potenza tecnica, e quel che è presente non viene nemmeno risaltato da un impianto luci di livello; la maggior parte delle volte faremo veramente fatica a vedere cosa succede. Tutto è buio… anche con una torcia in mano. Manca una vera e propria rifinitura anche dopo alcune patch riparatorie, visibile soprattutto nella gestione dei geo data e nella fisica.
Anche l’audio non spicca particolarmente, vantando un discreto doppiaggio inglese (sottotitolato in italiano) e un’adeguata campionatura di suoni “classici” da horror.

In conclusione

Dove si posiziona dunque Agony? Come potete aver capito, non è un titolo affatto eccelso, ma non si tratta nemmeno di quell’ “agonia” di cui si è spesso parlato riferendosi al titolo. È un lavoro che merita senza dubbio il Purgatorio, in attesa di una versione (Agony Unrated) che probabilmente non arriverà mai. Alla fine della fiera dunque, Agony  è un classico menù scozzese: poca roba e nulla di veramente interessante, prendere o lasciare. Vi farà arrabbiare? Probabile. Vi chiederete cosa succede? Sicuramente. Vi lascerà qualcosa? Difficile, ma non «lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




God of War

A metà tra un reboot e un sequel, l’ultima fatica di Santa Monica Studio approda su PS4, perdendo la numerazione e cambiando genere da hack’n slash ad action adventure con elementi ruolistici.
Cambia anche l’ambientazione: non si affronteranno più le divinità appartenenti alla  mitologia ellenica (anche perché sono morti praticamente tutti nei capitoli passati), ma le divinità norrene (tema già trattato nell’ottimo Hellblade: Senua’s Sacrifice)

In barba all’Olimpo

Dopo aver decimato gli dei dell’Olimpo ed essere scampato alla morte, Kratos appare molto più maturo rispetto ai titoli passati: è invecchiato nell’aspetto (anche grazie alla barba), si è ritirato nelle gelide lande della Scandinavia e ha avuto un figlio di nome Atreus dalla sua nuova compagna, la quale viene a mancare all’inizio del gioco. Padre e figlio dovranno attraversare una moltitudine di insidie per poter versare le ceneri della donna dal monte più alto dei nove regni e onorare la sua memoria.
Durante questo lungo viaggio, Kratos approfondirà il rapporto con il bambino, e gli insegnerà a combattere e sopravvivere contro gli innumerevoli avversari che affronterà insieme a lui.
La storia ha un tono decisamente più maturo rispetto al passato, e viene prevalentemente raccontata durante i dialoghi tra padre e figlio, il più delle volte quando si trovano in barca mentre navigano nel Lago dei Nove, una mappa aperta dove si possono raggiungere tante aree più piccole e lineari, il loro rapporto si consoliderà proseguendo nel gioco, e Atreus, oltre a imparare a combattere, cambierà carattere a seconda di ciò che gli accadrà intorno o di come verrà trattato dal padre.

Un lunghissimo piano sequenza

Sin dalla schermata del titolo, fino ai titoli di coda, il gioco verrà mostrato con la tecnica del piano sequenza, con una telecamera sempre in movimento e alcuno stacco nel cambio di prospettiva, che segue costantemente KratosAtreus con movimenti cinematografici e cambi di zoom, mantenendo una sostanziale linearità nell’inquadratura, anche grazie al fatto che nel gioco sono totalmente assenti le schermate di caricamento, sapientemente nascoste dalle cut-scene o da piccoli segmenti di gioco interattivi.
Alla tecnica registica si affianca un comparto tecnico che fa gridare al miracolo: tutto è rappresentato con una cura ai dettagli vista raramente, sia su console che su PC, i personaggi principali sono modellati in maniera impeccabile, e i paesaggi sono ricchissimi di particolari che ammalieranno il giocatore con piante rigogliose o distese innevate o ancora ambientazioni vulcaniche.
Se a tutto ciò aggiungiamo un gameplay frenetico e che raramente scende sotto ai 30 fps anche su una PS4 standard, possiamo dire a cuor leggero di trovarci di fronte al punto più alto toccato al momento sulla console di casa Sony.
Anche il comparto audio è d’eccezione, con una colonna sonora azzeccatissima che il vincitore di Emmy Award, Bear McCreary, ha composto per il gioco, la quale adesso si sposa a meraviglia con le ambientazioni nordiche e con i temi più maturi e a volte anche più emozionanti che il titolo di Santa Monica Studio ci offre.
Anche il doppiaggio in italiano questa volta non delude rispetto a quello originale in inglese, a parte forse la voce di Atreus che sembra molto più grande rispetto alla voce anglofona, i dialoghi sono recitati benissimo e gli attori si comportano bene sia nelle situazioni comiche che in quelle più cupe.

Un’ascia chiamata Leviatano

Un cambiamento fondamentale rispetto al passato è l’arma principale di Kratos,:il nostro ex dio della guerra sembra essersi liberato delle Lame del Caos, donategli da Ares (precedente dio della guerra) e causa di innumerevoli atrocità.
Adesso lo spartano impugna l’ascia chiamata Leviatano donatagli dalla moglie, grazie alla quale si gode di un rinnovato combat system che riflette benissimo il cambio di genere del gioco: i comandi sono simili a quelli di un souls-like, con il tasto dorsale destro dedicato all’attacco leggero, il grilletto destro all’attacco pesante, dorsale sinistro dedicato alla parata con lo scudo, con il grilletto sinistro si mira con l’ascia per poi lanciarla con un attacco leggero o pesante, adesso non è più possibile saltare, ma si può schivare premendo la x , dare ordini ad Atreus con il tasto quadrato, e interagire con leve o porte o casse con il tasto cerchio.
A questo si aggiunge anche il sistema di crescita del personaggio, con un albero delle abilità con cui è possibile imparare nuove mosse o abilità legate alle armi di Kratos e Atreus; inoltre adesso anche le armature aumentano le caratteristiche dei personaggi, alle quali si possono anche aggiungere delle gemme per potenziarle ancora di più. Le armature e i potenziamenti variano per rarità, vanno dal “comune” al “leggendario”, con i classici colori che contraddistinguono le categorie, ben noti ai giocatori di action rpg à la Diablo.
Al contrario degli episodi precedenti, il gioco parte molto lentamente per permetterci familiarizzare con il nuovo sistema di combattimento. I giocatori più esperti potrebbero anche annoiarsi un po’ ma, se si ha la pazienza di andare un po’ avanti, si apprezzera l’ottimo lavoro fatto dagli sviluppatori, con un parco mosse sempre in crescita che da un certo punto in poi esploderà e non avrà più nulla da invidiare ai capitoli in puro stile hack’n slash. La varietà di modi con cui affrontare i nemici lascia di stucco, è possibile ucciderli a distanza, stordirli con Atreus, colpirli a mani nude, congelarli con i poteri del Leviatano per poi frantumarli, e tanto altro ancora.
La storia principale ci terrà impegnati per almeno una ventina di ore mentre, se si vuole esplorare ogni angolo della mappa, le due aree opzionali dedicate all’end game, finire le quest secondarie e raccogliere tutti i collezionabili ce ne vorranno almeno il doppio.

Conclusioni

God of War rappresenta il punto più alto toccato da un action-adventure in terza persona, con un valore produttivo al passo con le migliori esclusive di casa Sony, un comparto tecnico eccellente, un gameplay che riesce a stupire anche i fan più scafati degli hack’n slash, e una longevità di tutto rispetto.
Se si avrà la pazienza di superare una fase iniziale un po’ lenta, le sorprese che riserverà il gioco sapranno ripagare ampiamente l’impegno.




Il pessimismo di Keita Takahashi

Se avete vissuto appieno la sesta e la settima generazione PlayStation (gli anni di PlayStation 2 e 3), quello di Keita Takahashi è un nome che sicuramente non può esservi sfuggito. Un tempo parte di Namco Bandai e ora sviluppatore in proprio, il game designer giapponese ha ottenuto una certa fama grazie ai suoi titoli particolari e fuori dagli schemi per quanto i temi trattati siano semplici e talvolta persino bambineschi: dall’inglobare all’interno di una palla oggetti, persone e continenti per farla diventare talmente grande da diventare una stella nella serie di Katamari all’essere una sorta di verme quadrupede in Noby Noby Boy che deve allungarsi sempre di più per raggiungere, a partire dalla Terra, pianeti sempre più lontani.
Nel 2010 Takahashi ha lasciato Namco a causa della non buona esperienza avuta in azienda e per qualche tempo si è dedicato alla creazione di un parco giochi a Nottingham, progetto che però non è mai stato concluso.

Buona parte delle sue creazioni ha riscosso un buon successo tra il pubblico, e anche il suo ultimo titolo, Wattam, attualmente in cantiere e atteso entro la fine di quest’anno per PS4 e PC, sembra stia già riscontrando un feedback positivo. Questa volta non si dovrà diventare fisicamente grandi o lunghi, ma l’unica cosa che si dovrà ingrandire sarà la nostra cerchia di amici. Sì, l’obbiettivo principale di Wattam è quello di creare legami con ogni sorta di personaggio che si incontrerà durante la nostra avventura.
Come già detto, sono tutti tutti giochi molto vivaci che ispirano felicità e spensieratezza, ma paradossalmente ciò che prova l’autore riguardo la sua carriera è tutt’altro che felice. Nonostante i numeri parlino chiaro, Takahashi non crede che i suoi giochi siano stati dei veri successi, non al pari dei tripla A, e pensa che non sia riuscito a fare davvero la differenza all’interno dell’industry videoludica. Si sente pessimista persino sul titolo a cui sta attualmente lavorando, nonostante voglia veramente andare controcorrente e cambiare la visione standard del videogioco. Proprio come accadde con Katamari e Nobi Nobi, teme che la sua opera non possa piacere proprio per il suo essere diversa dai giochi più amati dal grande pubblico.
È vero che molti dei videogiochi più famosi hanno tante cose in comune che aiutano a renderli, appunto, famosi, ma è anche capitato, sopratutto nel mondo indie, di assistere a dei veri e propri boom di notorietà che hanno portato giochi di generi discostanti da quelli che attirano di più a diventare delle vere e proprie pietre miliari. Sarà la stessa sorte che toccherà a Wattan o avrà ragione il suo creatore?




Shuhei Yoshida racconta gli alti e bassi di PlayStation

PlayStation è da sempre stata uno dei migliori brand di console al mondo, vivendo anch’essa di alti e bassi, lanciando sul mercato console di successo come PlayStation 4 Pro ma anche PlayStation Vita, di cui noi tutti conosciamo storia ed esiti. Il presidente di Sony Interactive Entertainment Worldwide Studios, Shuhei Yoshida, ha fatto luce su cosa è andato bene e cosa no nella storia di PlayStation.
Ricordando il successo di PlayStation 2, Yoshida ha dichiarato:

«A causa della rapida transizione tra PlayStation e PlayStation 2, non avevamo idea di come l’industria avrebbe reagito»

Yoshida ha scherzato sul fatto che quando è stata lanciata PlayStation 2 non c’erano molti titoli disponibili, ma ha notato che i prezzi delle console erano sconvolgenti, soprattutto quando gareggiavano per emergere anche sul mercato dei lettori DVD. A tal proposito:

«È stato davvero un successo fin dall’inizio; PS2 è stata venduta oltre le aspettative. Ma quando è stata lanciata in Giappone, il software più venduto era in realtà il DVD Matrix. Il DVD stava ancora prendendo piede, ma era un sistema molto costoso ma PS2 uscì con la stessa capacità di lettore DVD di alta qualità con prezzi molto più bassi e dirompenti»

Il successo è stato molto meno incisivo con il lancio di PlayStation 3 e Yoshida ha ricordato il prezzo rivelato all’E3 come un “momento orribile”. Accoppiato con un catalogo limitato di terze parti e un’infrastruttura hardware che era notoriamente difficile da realizzare per i giochi, PS3 è stata nei guai fin dal primo minuto.

«Ken Kutaragi è stato un geniale ingegnere: la squadra che ha lavorato per lui era molto motivata, infatti era un grande motivatore»

E a proposito:

«Forse stava usando i videogiochi come un trampolino di lancio per realizzare la sua visione e i suoi sogni. Voleva diventare il prossimo Intel o qualcosa del genere. Non ha visto il bisogno di coinvolgere gli sviluppatori di giochi nella progettazione del sistema: è così che è stata realizzata PS3 ed è stato molto efficace»




Il prossimo The Witcher non sarà un quarto capitolo

La saga dello Strigo ha aiutato CD Project a farsi conoscere al grande pubblico, partendo da un piccolo studio, fino a diventare una delle software house più famose e premiate al mondo.
Dopo la trilogia che concludeva la storia di Geralt di Rivia e con  Cyberpunk 2077  in arrivo, sembrava che CD Project Red avesse messo la parola fine alla saga di The Witcher, ma parrebbe (anche se non nell’immediato futuro) che la serie possa continuare, anche se probabilmente con una nuova trilogia. Dunque, niente The Witcher 4.
In un’intervista, il presidente di CD ProjectAdam Kicinski, ha dichiarato che i tre giochi dedicati allo Strigo , sono per definizione una trilogia, quindi non potranno chiamare il nuovo gioco The Witcher 4; questo però, non significa che si dimenticheranno del mondo di The Witcher, sul quale hanno lavorato per più di 12 anni, e che rappresenta uno dei pilastri su cui si basa la compagnia.




Not for the players: Sony e la tutela dell’utente

Analizzando case study riguardanti grandi aziende come Amazon salterà subito all’occhio anche ai meno esperti di pianificazione strategica come uno dei fattori di successo del colosso di Bezos sia la “customer experience”. Locuzioni quali “customer care” o “focus on the customer” lasciano bene intendere quanto l’attenzione, la tutela e il supporto del cliente siano considerati condizioni essenziali per mantenere certe aziende ai vertici del mercato. Questa “customer obsession” — come la chiamano dalle parti di Seattle — ha portato il re dell’e-commerce occidentale a più di 76 milioni di account registrati, a quasi 1 milione e mezzo di venditori attivi nel proprio marketplace e a un fatturato annuo che si aggira attorno ai 60 miliardi di dollari. Se si considera che l’ACSI (American Customer Satisfaction Index, che misura il grado di soddisfazione dei clienti di un’azienda negli Stati Uniti) ha rilevato nei confronti di Amazon il livello di gradimento più alto di sempre, certi numeri di mercato in continua crescita non possono stupire.
Come insegna la teoria economica di base, i comportamenti efficienti di alcune aziende influenzano i competitor, ma Amazon ha determinato un “culture change” anche al di fuori del proprio mercato, inducendo molti produttori e fornitori di servizi a un aumento del grado di attenzione verso il cliente, e alzando al contempo le aspettative di protezione da parte dei consumatori, i quali in certi casi possono permettersi di riporre, in termini di tutela dei propri acquisti,  una fiducia tale da non temere conseguenze negative e tentare l’acquisto anche in presenza di probabili truffe online ai propri danni − seguendo il semplice principio del “tentar non nuoce” −  nelle quali, senza servizi come Paypal, avrebbero perso irrimediabilmente il proprio denaro.
L’assistenza al cliente, che si traduce soprattutto in una garanzia di transazioni sicure e in un efficace e pronto rimedio ai problemi conseguenti all’acquisto, è un parametro non da poco nell’orientamento della scelta di un consumatore. Perché, come i veri amici, anche l’affidabilità di un’azienda si vede nel momento del bisogno.
Per questo chiunque abbia avuto la sventura di perdere o di vedersi sottratto un prodotto Apple, ha provato un sollievo non da poco nel poter andare sul proprio iCloud e bloccarlo in remoto, e questo è uno dei fattori che hanno contribuito − numeri alla mano − a livelli altissimi di customer satisfaction e di customer loyalty  in favore dell’azienda di Cupertino.

Lo stesso sollievo che ho provato io qualche mese fa quando, appena subito un furto, ho avuto la possibilità di bloccare in remoto e in totale autonomia il mio MacBook Air e un vecchio iPhone 4S direttamente dalla sala d’attesa della stazione di Polizia. Possibilità non prevista per la PS4 Pro che figurava tra la merce rubata: in quel caso mi sono limitato a cambiare la password dal mio account PSN e a disconnettere il dispositivo a esso collegato. Non sono un tipo che demorde però e, facendo ulteriori ricerche, leggo su vari thread del forum Playstation che sarebbe possibile richiedere blocco e localizzazione della console al centro assistenza Sony: mi pare una scelta giusta e sensata e decido dunque di aspettare l’indomani per chiamare l’Assistenza Clienti.
Il mattino seguente alla denuncia (che ho sporto in tarda serata) chiamo e chiedo di bloccare la mia PS4 (della quale nel frattempo avevo recuperato i numeri seriali sulla scatola); la signorina del call center mi spiega (piuttosto sgarbatamente) che è necessario che la polizia chiami l’assistenza Sony, alla quale loro stessi avrebbero indicato un numero di telefono ad hoc con un team dedicato a queste situazioni. Resto un attimo basito. Riprendo fiato e domando: «Quindi deve contattarvi telefonicamente la polizia? Ne è sicura?». Lei si dice sicurissima, «è la prassi».
Mi pare assurda la sola idea che la polizia debba alzare il telefono per chiamare l’assistenza Clienti Sony, ma non mi vengono date alternative e non mi resta che provare. Torno in Questura con i seriali della console, sporgo una denuncia integrativa e spiego all’agente quel che mi è stato detto dall’assistenza. Lui mi guarda come se gli avessi appena riferito di aver visto un’orda di Coboldi in piazza Duomo o l’Enterprise sopra lo stadio di San Siro, e mi dice di non aver mai sentito nulla di simile. Gli rispondo che lo so, che pare assurdo anche a me, ma è quel che mi hanno detto e gli chiedo la cortesia di provarci, perché non mi hanno dato alternative. L’agente una persona gentile, si rende disponibile a parlare con chicchessia e mi domanda di chiamare io stesso l’assistenza e passargli l’operatore. Dentro me penso sarebbe meglio una chiamata dalla sede della Questura, cosicché Sony possa magari verificare che sia effettivamente la polizia a chiamare, ma faccio come mi dice lui, al limite ce lo diranno loro e rifaremo la chiamata, penso ancora.
Risponde un’altra signorina: spiego anche a lei la situazione e mi dice di attendere un attimo in linea, per informarsi riguardo la procedura della quale non è a conoscenza.
Dopo circa un minuto di attesa, la stessa signorina mi dice di essersi informata, la procedura è chiarissima: la polizia deve inviare una PEC (!!!) con copia della denuncia e una richiesta di blocco della console alla mail assistenza@playstation.it (alla linea telefonica ad hoc e del team dedicato che immaginavo già come una sorta di intelligence nascosta negli scantinati della sede di Sony, con tanto di Fox Mulder a scartabellare fra cataste di vecchie PSX e EyeToy impolverati, nessun riferimento). Resto un attimo zitto, dentro me sono ancora più basito (F4! F4! F4!): riferisco tutto all’agente che attende paziente di fronte a me. Questi giustamente strabuzza gli occhi, mi guarda con gli occhi che deve aver avuto il generale Zieten quando gli dissero che l’Austria aveva dichiarato guerra alla Prussia: mi dice di passargli la signorina, alla quale chiede conto della situazione.
La ragazza deve avergli ripetuto quanto mi aveva già detto e lui prova a spiegarle che la Polizia è autorizzata a fare uso della propria PEC soltanto per rapporti con enti pubblici e amministrazioni, che gli agenti non possono utilizzarla ad libitum, che per una richiesta di blocco di una console non hanno mai avuto istruzioni specifiche (“e ci mancherebbe”, penso io, e pare pensarlo anche lui). Aggiunge con logica elementare che comunque la denuncia è un atto pubblico, protocollato, che rilasciato al denunciante fa fede per sé, che anche nei casi di furto d’auto il denunciante per prassi porta il documento autonomamente alla compagnia assicurativa senza che questa abbia bisogno di un riscontro ufficiale dal corpo di polizia. La signorina spiega che questa è la procedura e che lei non può farci nulla.

L’agente chiude la telefonata e mi guarda sbigottito: condivido il suo stupore, mi dice che per lui è una situazione senza precedenti. Concordo, ovviamente, e aggiungo che in questa maniera un’azienda crea un danno al proprio utente, rendendogli seriamente difficile la procedura, nonostante tutta la buona volontà. L’agente è comunque una persona paziente e disponibile, mi dice che ne parlerà al suo superiore per sapere se è possibile inviare una simile PEC, e mi invita a chiamare il mattino seguente. Lo ringrazio e vado via.
L’indomani chiamo la Questura a metà mattinata e chiedo di parlare con l’agente che aveva redatto il mio verbale: me lo passano, lui mi dice di trovarsi con l’ispettore, al quale aveva esposto il mio caso. Mi passa l’ispettore, il quale mi dice di non aver mai sentito di una situazione simile: mi spiega che loro non possono assolutamente avanzare una richiesta di blocco di una console a un’azienda privata, perché le loro procedure in tal senso sono abbastanza rigide e la PEC risulterebbe ingiustificata, al di fuori delle loro mansioni, a meno che il privato in questione non dimostri loro che il Ministero dell’Interno, in virtù di un accordo con Sony, autorizza la polizia a mettere in atto una simile procedura. «Altrimenti quanto richiedono resta un loro regolamento interno, che hanno stabilito in completa autonomia senza porsi il problema della fattibilità», mi dice.
Conclude dicendomi in ogni caso di provare a inviare autonomamente la mail con la mia PEC personale − per noi iscritti all’ordine dei giornalisti è obbligatoria, per fortuna − di allegare le denunce e di invitarli a contattare la Polizia loro stessi per un riscontro, se non gli bastasse un atto ufficiale: di fronte a una richiesta di Sony, avrebbero tranquillamente potuto dar conferma della veridicità della denuncia, ma agire in autonomia no, una telefonata erano pure disposti a farla in mia presenza, ma la PEC è un mezzo ufficiale, avrebbero dovuto giustificarne l’uso, e una richiesta di blocco non ha nemmeno finalità d’indagine.

Mi lancio in un ultimo tentativo, un’ultima chiamata a Sony: questa volta mi risponde un ragazzo a cui riassumo l’intera vicenda. Lui mi ascolta ma non sa che dirmi. È quasi mortificato per la situazione, mi dice di non poter farci nulla, e mi offre la possibilità di inserire la 2-step verification («Già fatto», dico) o di disattivare la PS4 principale: «Già fatto anche questo», dico. Sta zitto un attimo e mi risponde che, oltre questo, lui non ha altre possibilità, e la sua voce è davvero dispiaciuta. Mi lascio andare in uno sfogo estemporaneo contro Sony, sottolineando come in questo modo l’azienda rende impossibile la procedura, arrecando di fatto un danno all’utente e permettendo al contempo il traffico di console rubate: la mia PS4 dovrà prima o poi essere connessa a internet dal prossimo che vorrà utilizzarla, Sony ha la possibilità di tracciarla e bloccarla. Non prendendo alcuna contromisura, nessuno può avere alcun deterrente a comprarla rubata piuttosto che in un negozio. Lui ascolta, poi farfuglia qualcosa ribadendo quel che lui poteva fare per aiutarmi: capisco bene che non può parlar male dell’azienda per la quale lavora, specie durante una chiamata registrata, e gli dico che lo so, quasi mi scuso per lo sfogo, gli preciso di non avercela con lui che sta solo facendo il suo lavoro, ma che è la persona più vicina a Sony che mi ritrovo al momento, che sono reduce da un’esperienza che comunque non è stata piacevole per me e che da due giorni provo a bloccare la mia console a distanza (non ne avrò alcun vantaggio, ok, ma mi consola in parte il pensiero di rendere ai ladri le cose meno facili). Spero possa far presenti le mie lamentele e il disagio arrecatomi (cosa di cui dubito), lo ringrazio e chiudo.

Ho inviato le denunce e la richiesta di blocco via PEC, ma non ho avuto alcun riscontro, neanche negativo: Sony in questo caso ha non solo arrecato disagio a un utente, impendendogli di bloccare una console che ha regolarmente acquistato e mettendola nella disponibilità di un terzo che usufruirà del suo sistema, ma ha danneggiato in qualche modo se stessa, favorendo un mercato nero che non trova deterrenti né timori sul piano delle conseguenze (mentre, a quanto mi dicevano in Polizia, di prodotti Apple grazie ai servizi disponibili via iCloud se ne ritrovano non pochi).
Una delle distorsioni più grosse del mondo videoludico odierno, sostengo da tempo, sono i giochi in esclusiva, perché è su quello che si gioca la partita fra i pochi grandi operatori presenti sul mercato: la scarsa concorrenza in un mercato che vedo solo tre produttori di console, di cui uno (Nintendo) pare giocare una partita trasversale e un’altro che ha fatto numerosi errori in questa generazione, portano a grandi inefficienze in termini di servizi, e fra queste probabilmente anche quella di cui ho raccontato, portando Sony a non sentire un’adeguata assistenza al cliente come necessaria. Gli utenti PS4 se li è già accaparrati grazie ad altre mosse, di cui le esclusive costituiscono un tassello importante, e forse non conta molto altro. Ma Sony fa da anni suo il motto “For the players“, frase con la quale vuole chiaramente far passare il proprio impegno, la propria dedizione nei confronti dei propri utenti. Esempi di customer service come quello appena illustrato mostrano al contrario un ampio disinteresse nei confronti di problematiche degli utenti che vadano oltre la perdita dell’account: su quello sono molto solerti, ma è abbastanza? La risposta la darà al solito il mercato: come l’esperienza Amazon insegna, se un’azienda comincerà a dare di più in questi termini, l’ago della bilancia potrebbe sforzarsi a favore di chi tutela maggiormente l’utente, di chi, fra le aziende, si mostri davvero più “for the players”.




I migliori volanti per PlayStation 4

I migliori volanti  fanno davvero una grande differenza per i simulatori di guida su PS4. Con titoli come GT SportThe Crew 2 di recente uscita, sembra essere un buon momento per investire su un volante completo pedaliera. Non solo si avrà maggior realismo quando si tratta di controllo grazie alla qualità del volante, ma si ottiene anche il vantaggio di funzioni come il force feedback (un rumble molto sofisticato) e pulsanti posizionati ergonomicamente per rendere l’esperienza di guida più naturale. Anche i pedali possono fare una grande differenza, perché tenere premuto un grilletto per accelerare o frenare può incidere sulla sensibilità e, di conseguenza, le prestazioni in pista. La seguente guida esamina tutte queste funzionalità e molto altro in cui la qualità di ognuno varia anche in base il marchio, tuttavia, abbiamo elencato i migliori kit per ogni budget. Ricordiamo che tutti i volanti di seguito sono anche compatibili con PC.

Logitech G29 Driving Force

Uno dei migliori volanti PS4: pieno di funzionalità a un prezzo imbattibile.

Rotazione: 900° | Pedali: 3 | Tasti: 16 | Pedali regolabili: No

PRO

  • Force feedback di qualità
  • Ottimi pedali
  • Rapporto qualità/prezzo

CONTRO

  • Di fronte ad alcuni concorrenti soffre di alcune mancanze

Logitech ha una lunga storia riguardo i volanti per PlayStation, risalenti ai tempi di Gran Turismo 3. L’attuale versione offre Force Feedback, tre pedali e compatibilità sia con PS4, PS3 e PC. Come bonus, è anche attualmente a un prezzo molto conveniente. Il volante, non intercambiabile, ha un potente Force Feedback e una pinza ben solida per agganciare il volante su una scrivania o sedile da corsa.
Il controllo è fluidissimo e le buone rifiniture del volante danno una buona sensazione di qualità, che si combina con un buon posizionamento dei pulsanti e un manettino integrato che regala la sensazione di avere il pieno controllo sul veicolo. Anche le levette in acciaio del cambio sono ben posizionate: è un’unità solida con tutto a portata di mano.

La resistenza non è un punto di forza invece per il set di pedali, ma considerando l’equivalente Xbox, non si comporta poi così male. Si hanno tre pedali, con la possibilità quindi di poter utilizzare la frizione. La base del pedale non è particolarmente grande, conferendo un leggerissimo feeling da “giocattolo”, ma visto il prezzo, non c’è motivo di lamentarsi.

Fanatec CSL Elite Starter

Il migliore volante PS4 a “basso costo” per chi cerca una guida realistica senza compromessi.

Rotazione: 1080° | Pedali: 2 | Tasti: 15 | Pedali regolabili: Si

PRO

  • Potente force feedback
  • Feeling di una vera auto
  • Enorme customizzazione

CONTRO

  • Costa più di un’intera PS4

Sì, il prezzo è più alto rispetto rispetto l’intera console su cui si gioca, ma sul bilanciamento qualità/prezzo, questo è senza dubbio il miglior racing wheel su PS4. Anche se non è il top di gamma nel catalogo di Fanatec, la qualità di questo set di volante e pedaliera è di gran lunga superiore ai concorrenti di questa guida, grazie ai fantastici pedali e un formidabile motore di force feedback si avrà una sensazione di realismo. Il volante viene fornito con un morsetto in modo da poterlo fissare a una scrivania o sedile da corsa in modo non definitivo, che ciò è utile per coloro che non vogliono una installazione permanente nella loro stanza. La qualità del volante in sé, non può essere messa in dubbio, che può essere rimosso e sostituito con uno custom. C’è anche uno schermo integrato nella parte superiore, che può essere utilizzato per armeggiare con i parametri di calibrazione del volante, o utilizzato per i dati di telemetria nei giochi compatibili.
Il set di pedali, di bassa specifica di Fanatec, non ha un pedale della frizione, quindi se si desidera utilizzare il cambio in modo realistico, bisogna considerare i pedali ClubSport o aggiornare il pedale del freno esistente a una versione Loadcell, e utilizzare invece il vecchio pedale del freno come una frizione. L’alloggiamento in metallo consente di spostare i pedali come meglio si crede, aggiungendo comfort e flessibilità a una configurazione già formidabile. Tuttavia, i pedali di base sono di per sé una gioia da usare, con una resistenza eccezionale sotto il pedale del freno e un ingresso della valvola a farfalla fluido e controllabile.

Thrustmaster T300 Ferrari GTE

Buon Force Feedback per un volante mid range.

Rotazione: 1080° | Pedali: 2 | Tasti: 12 | Pedali regolabili: Si

PRO

  • Eccellente Force Feedback, davvero realistico
  • Compatibile con PS3

CONTRO

  • Pedali non proprio ottimi
  • Prezzo più alto rispetto a Logitech G29

Thrustmaster ha una vasta gamma di opzioni, ma il T300 è lo standard per i volanti con Force Feedback di livello medio su PS4, anche se al momento, è molto più costoso rispetto al bundle Logitech. Ciononostante, questa unità è altamente raccomandata, in quanto le sensazioni di guida che è capace di regalare sono semplicemente sublimi: un controllo preciso e coinvolgente. La qualità del Force Feedback è eccellente grazie al motore brushless all’interno. Questo permette di sentire l’aderenza della vettura sulla superficie della strada, mentre lo sterzo si presenta abbastanza leggero. È anche compatibile con PS3, il che è eccellente se si desidera giocare con  titoli come Need for Speed: Shift. Ha licenza ufficiale, il che significa che la lista dei giochi compatibili è ampia rispetto i classici volanti. Questo è un volante da corsa solido e modulare, il che significa che è possibile cambiare il volante. È dotato di un interruttore a levetta a cui è possibile assegnabile qualsiasi comando e una striscia rossa per poter capire quando il volante è centrato. Tuttavia, manca il pedale della frizione e il freno a mano, quindi è necessario utilizzare uno dei pulsanti del del volante.
Anche se questo non è il miglior set di pedali Thrustmaster (come ad esempio il T3PA, venduto separatamente) si ha un set perfettamente funzionante con un controllo preciso sugli input, il che significa meno wheelpin e frenata più controllata. La piastra di base è grande abbastanza per appoggiare i piedi, rendendo meno probabile lo spostamento involontario.

HORI Racing Wheel Apex

Il volante meno costoso a portata di tutti.

Rotazione: 270° | Pedali: 2 | Tasti: 16 | Pedali regolabili: Si

PRO

  • Volante e pedali per una guida divertente
  • Prezzo molto basso

CONTRO

  • Nessun Force Feedback
  • Rotazione a 270° resistivo

HORI si è fatto un nome con i suoi controller per picchiaduro, ma si è esteso anche ai volanti, in particolare con questo dispositivo, disponibile per PS4 e PS3 a budget veramente basso. È dotato di licenza ufficiale, anche se potrebbe essere necessario regolare alcune delle opzioni di controllo sia sul volante che nei menu di gioco per ottenere il massimo dalla compatibilità: infatti, questo volante non viene trovato in nessun preset, tuttavia è perfettamente funzionante con la maggior parte dei giochi. Ha a disposizione alcune caratteristiche di base, come le ventose per uso da tavolo e un morsetto in caso si voglia utilizzarlo su una postazione da corsa. Manca il Force Feedback, essendo un volante “molto” entry-level. È di buone dimensioni, con un angolo di rotazione regolabile di 180 gradi di movimento per cambi di direzione rapidi soprattutto nei titoli arcade, oppure 270 gradi di rotazione per titoli più simulativi. È ancora lontano dagli angoli di rotazione realistici degli altri volanti in questa lista, ma la scelta è apprezzata.
Il volante risulta abbastanza “plasticoso”, ma con un design piacevole. I pulsanti sono completamente personalizzabili, dando il massimo controllo durante la gara. È anche piacevole vedere due pulsanti incorporati nel volante stesso che possono essere assegnati a proprio piacimento. Non è presente il pedale della frizione e la pedaliera è di bassa qualità, tuttavia è possibile regolare la sensibilità dei pedali e possiede un poggiapiedi retrattile per aiutare a tenere l’unità salda. Considerando il prezzo è un buon volante, ma se si cerca qualcosa di più simulativo meglio considerare altro.