Pro Evolution Soccer 2019: le impressioni dalla Demo

Ogni anno, lo scontro tra i calcistici di punta del panorama videoludico diventa sempre più acceso anche se il 2018 ha visto susseguirsi numerose novità in tal senso, come le licenze UEFA di Champions ed Europa League, per anni vanto del titolo Konami, passate a Electronic Arts, aumentando a dismisura la mole di contenuti presente nel suo FIFA. Quest’anno dunque, sembra quasi uno scontro impari in cui il nuovo Pro Evolution Soccer 2019 dovrà farsi strada, cercando di portare soluzioni alternative. Ma basteranno le nuove licenze e qualche piccolo miglioramento per affrontare un colosso come FIFA 19? Effettivamente la demo provata e disponibile da ieri su PlayStation 4, Xbox One e Steam, è riuscita a regalarci qualche sorriso, ma andiamo con ordine.

Come Naruto

Nonostante lo scontro di quest’anno sembra essere sbilanciato, Konami non si è arresa, lavorando di fino, cercando di appagare ancor di più il proprio pubblico.
Come ormai abitudine, la demo non spicca per numero di contenuti, portando in sostanza un biglietto da visita atto a testare le nuove capacità tecniche e di gameplay in questo nuovo capitolo. Abbiamo a disposizione 12 squadre, principalmente quelle con cui Konami ha stretto una forte partnership: Barcellona, Inter, Milan, Schalke 04, Liverpool le più importanti e due nazionali come Francia e Argentina. Purtroppo non vi sono novità eclatanti sul design dei menu che, negli ultimi anni, hanno adottato uno stile simile alla concorrenza ma con colori fin troppo spenti e che, in un certo senso, annoiano. Si tratta pur sempre di sottigliezze ma è un peccato che non si lavori per migliorare questo aspetto. Navigando tra le varie sezioni troviamo a disposizione tre modalità: la classica Esibizione in cui possiamo affrontare delle amichevoli offline, Partita Veloce online e il co-op tre contro tre. Tutte le partite potranno essere svolte soltanto in due “teatri” come il Camp Nou e la Veltins Arena dello Schalke, perfettamente riprodotti, persino nella planimetria della città adiacente; inoltre, come segnalato da un evidente disclaimer a demo avviata, il mercato è aggiornato solamente sino a fine Maggio 2018 per cui, niente Nainggolan all’Inter o Allison al Liverpool; si può tranquillamente chiudere un occhio in vista del maxi aggiornamento del 30 Agosto, data d’uscita del titolo completo.
Uno degli aspetti in cui si differenzia maggiormente Pro Evolution dal suo concorrente diretto è la gestione del gameplay, più lento nella manovra e soprattutto più tattico. A colpire inizialmente sono una serie di nuove animazioni per giocatori e portieri, risultando più fluide ma soprattutto più realistiche. Si ha la sensazione che ogni movimento o contrasto possa generare delle conseguenze tangibili che non solo influenzano l’aspetto estetico ma anche il gameplay. Sì perché il peso di ogni calciatore avrà un impatto diverso negli scontri e anche il tocco col pallone sembra esserne coinvolto. Tutto merito dell’evoluzione del First Touch Impact che lavora sul primo impatto tra giocatore e pallone, calcolandone in tempo reale gli effetti, anche se non parliamo di novità eclatanti; quello che ci apparso è che la fisica che gestisce questi micro-impatti sia molto più precisa delle precedenti edizioni e questo, non fa altro che favorire una maggiore varietà e complessità delle azioni che avvengono in una partita di calcio. Tutta una nuova serie di animazioni è stata implementata per rendere visibile la fatica, elemento che andrà ulteriormente approfondito ma che in qualche modo sembra funzionare: una volta notato delle difficoltà motorie in uno specifico avversario saremo più propensi a “puntarlo” per saltarlo più facilmente ma, questo aspetto, vale anche per le squadre gestite dall’utente e si dovrà fare maggiore attenzione nel gestire le energie.
Per quanto riguarda l’online sembra già procedere tutto per il meglio con un buon matchmaking e rari problemi di lag. Giocare online però fa notare come l’intelligenza artificiale nelle partite offline abbia fatto piccoli passi avanti, soprattutto per quanto riguarda l’arbitraggio, ma anche alcuni indietro, visibili dalla gestione di pressing e possesso palla degli avversari decisamente poco varia. Ricordiamo che si tratta pur sempre di una demo ragion per cui, tutti questi aspetti andranno valutati al meglio alla release ufficiale.

Una luce nuova

Il lavoro svolto quest’anno, dal punto di vista tecnico, è davvero ammirevole: il Fox Engine sembra tirato a lucido e l’implementazione di un nuovo sistema di luci, denominato Enlighten, ne ha migliorato ulteriormente le skill. Già dalla vista esterna degli stadi si più osservare il bel salto di qualità, avvicinandosi al fotorealismo. Il colpo d’occhio, sia all’esterno che all’interno è davvero suggestivo e, a tratti, sembra davvero di vedere una partita in TV. Tutto risulta più definito, come più realistica è la gestione di luce e ombre che rendono giustizia agli shader utilizzati. Come da tradizione anche anche i calciatori, soprattutto quelli sotto partnership, sono riprodotti con dovizia, e anche se sono visibili in dettaglio soltanto nelle cutscene, sono sempre un bel vedere. Il tutto sembra già ottimizzato anche se si ha ancora bisogno di una certa rifinitura. Fortunatamente abbiamo a disposizione abbastanza impostazioni da grafiche da regolare, in modo da cucirci addosso il titolo secondo la nostra disponibilità hardware.

In conclusione

La differenza quest’anno potrebbero davvero farla i contenuti. Indubbiamente il titolo Konami ha bisogno di puntare su un gameplay più rifinito e probabilmente più affine ai palati italiani, rispetto al calcio rapido presente in FIFA. In attesa di provare anche il concorrente, Pro Evolution Soccer 2019 sembra aver imboccato la strada giusta, con uno stile ormai definito e accompagnato da un comparto tecnico che vuol fare la voce grossa. Attenderemo la release definitiva per dare un giudizio concreto.




Captain Bone

L’universo dei giochi indie è immenso, con moltissimi titoli sviluppati da piccole software house sparse per il mondo. Una si trova a circa 50 Km da Agrigento, in quella Licata dove lo chef Pino Cuttaia è riuscito a portare due stelle Michelin facendo gridare al miracolo. E un piccolo miracolo – o una sanissima follia – sembra quella di sviluppare videogame in un angolo sperduto di una regione che non si distingue per avanzamento tecnologico e industriale.
Ma il team di sviluppo Orange Team non pare essersi scoraggiato e ha deciso di provarci, sviluppando dal 2016 a oggi quanto basta per produrre la pre-Alpha di Captain Bone che ci consente di completare una singola missione e di visitare un piccolo villaggio.

Captain Bone si presenta come un action-adventure in single player, che ambienta la sua storia nelle isole dei Caraibi durante il XVII secolo, più precisamente nell’isola di Nassau. Il protagonista è un buffo pirata scheletrico rimasto in mutande dopo il suo ultimo sbarco: la prima unica missione di questa versione è quella di recuperare dei vestiti per procedere con la sua avventura.
Dopo esserci ritrovati sul pontile ci avvieremo verso la cittadina. La prima sensazione è di leggero spaesamento: sin dai primi minuti si soffre un po’ la mancanza di indicazioni atte a indirizzare verso il completamento delle quest, che potrebbero essere implementati in futuro con una mappa o qualche espediente che eviti al giocatore di perdersi per ore a girovagare per il borgo in mutande.
Sono presenti pochi NPC con cui poter interagire e allo stato attuale non tutti forniscono indizi grandemente rilevanti. Se dei tre elementi in quest’unica quest da trovare il cappello risulta abbastanza agevole, lo stesso non può dirsi per il giubbotto e per i pantaloni: chi scrive ha dovuto chiedere indicazioni direttamente agli sviluppatori. La risoluzione in effetti non era ardua, ma alcuni asset di gioco (banalmente quello che permette di accedere allo strumento per recuperare i pantaloni) andrebbe forse maggiormente messo in evidenza nell’environment: la cittadina ha una sua ampiezza, è ricca di elementi, e si potrebbe girare molto prima di notare il punto giusto in cui guardare, a scapito della fluidità di gioco. Qualche bug attualmente presente potrebbe inoltre mettere i bastoni fra le ruote o addirittura impedire il completamento della quest: un personaggio molto importante a un certo punto è letteralmente sparito e abbiamo dovuto iniziare nuovamente la partita per dargli modo di riprendere il suo moto e ritrovarlo.
Se le interazioni in termini di indizi sono migliorabili, i dialoghi risultano invece parecchio divertenti e ben studiati, con riferimenti chiaramente lucasiani (se l’ambientazione piratesca non bastasse a richiamare la saga di Monkey Island, i fan più attenti troveranno conferma nella presenza del simbolo ™ al termine di alcune parole) che seguono un algoritmo random: ogni volta che parleremo con loro la conversazione non sarà la stessa, ma con frasi generate in modo casuale, così da  conferire molta varietà ai dialoghi.
Un limite attuale in questa pre-alpha di Captain Bone è l’impossibilità di saltare i dialoghi: bisogna aspettare diversi secondi per potere leggere la battuta successiva, elemento che rischia di appesantire l’esperienza  e che verrà probabilmente corretto permettendo di poter andare avanti premendo un tasto, come ci si aspetta venga implementata nella prossima release l’interfaccia dei dialoghi, al momento abbastanza spoglia e minimale, testo bianco su sfondo nero, che non rende giustizia a dei dialoghi in realtà molto divertenti.

Le animazioni sono fluide e già ben curate, con alcuni movimenti del protagonista da migliorare, come quando, dopo una corsa, ci si ferma e si vede il personaggio scivolare per un po’ prima di fermarsi del tutto.
L’AI, che è sempre un problema non da poco, vede ancora dei margini di miglioramento, con NPC che si lanciano dalle alture o finiscono incastrati tra le varie case, oppure che se colpiti da un gancio del protagonista finiscono per rincorrerlo per tutta la città, non lasciandogli tregua. La vita del capitano non è molta e si perde facilmente, anche solamente saltando da una parte all’altra di una scala o discesa, causando danno. In tal senso, sembra un po’ eccessivo che Captain Bone possa morire a seguito di un semplice salto che ci costringerà a ricominciare da capo.
Come detto, è possibile colpire i personaggi non giocati: ci si aspetta dunque un combat system che in questa fase non è possibile valutare.
Il motore grafico utilizzato da Captain Bone è l’Unreal Engine 4, che riesce a gestire in maniera ottimale luci e ombre di giorno, mentre la luminosità scarseggia dopo il tramonto, presentando qualche piccolo inestetismo nelle lanterne sparse per tutta la città; le luci delle lanterne, molte volte risultano scarse o assenti, lasciando il giocatore quasi completamente al buio.
I modelli tridimensionali dei personaggi hanno una loro personalità: niente spigoli o visi squadrati, ma volti e corpo molto arrotondati che sembrano modellati a mano, creando un effetto simile alla plastilina.
Il comparto sonoro presenta un buon ventaglio di suoni che possono ancora vedere qualche revisione in termini di utilizzo durante la run. La soundtrack, infatti, è molto orecchiabile, in pieno tema piratesco, con un jingle che rimangono facilmente impressi, ma alcuni elementi sono decontestualizzati, come il sound del mare, che si continua a sentire, in maniera abbastanza marcata, anche all’interno della città.
Dei piccoli errori e bug attualmente presenti possono essere risolti senza difficoltà, come delle piccole implementazioni, quali l’uso del tasto Esc per uscire dai vari menù o il caricamento automatico del salvataggio dopo essere andati Game Over, potrebbero essere comunque di peso.
Tirando le somme, possiamo comunque dire con certezza che i ragazzi di Orange Team stiano facendo un bel lavoro con Captain Bone: i difetti riportati sopra sono abbastanza normali in questa fase e c’è di certo ancora non poco da migliorare. Ma la base del gioco c’è tutta, implementando delle buone quest, continuando con dei dialoghi divertenti e dal buon ritmo, e innestando la parte action in maniera equilibrata può venir fuori un prodotto di tutto rispetto.
Restiamo dunque in attesa di sviluppi, e non vediamo l’ora di vedere il resto del gioco.




Double Kick Heroes

Come dice un blog che seguo appassionatamente da anni, «la gente non sa cosa si perde a non essere metallari»: devono essere dello stesso avviso anche gli sviluppatori francesi di Headbang Club, autori di questo Double Kick Heroes, inizialmente creato per la Ludum Dare 34 a fine 2015, e poi arrivato in early access su Steam da circa un mese.

Il titolo si presenta come un rhythm game misto a shoot ‘em up, un particolare ibrido che ben si sposa con l’atmosfera apocalittica e decadente, ispirata dai lavori cinematografici del regista americano Robert Rodriguez: infatti qui l’ispirazione viene principalmente dal seminale Dal Tramonto all’Alba. Quindi aspettatevi tonnellate di zombie e soprattutto una colonna sonora trascinante e potente: ma andiamo per gradi.

All’avvio di Double Kick Heroes, oltre alle opzioni, vedremo le tre modalità del gioco: arcade, storia e editor, e la modalità inferno da sbloccare una volta completata la modalità storia.
La modalità arcade ci presenta i vari livelli del gioco in modo separato, affrontabili in quattro difficoltà di grado ascendente: si va dal rock, più facile e con un solo strumento da gestire, a estremo, più complicato avendo tre tracce e tutti gli strumenti della band da suonare. La modalità arcade è formata da 18 livelli, più uno in arrivo nel prossimo futuro; gli stessi presenti nella modalità storia, che riprende i livelli della modalità arcade, ma ci aggiunge delle cutscene disegnate in una pixel art di buona fattura. La storia è quanto di più semplice si possa pensare: è scoppiata un’apocalisse zombie e bisogna salvare la pellaccia. Cosa che ricorda, fra l’altro, il recente video di Ten Thousand Ways to Die degli Obituary, leggendario gruppo death metal statunitense.
Durante il nostro viaggio, faremo conoscenza dei personaggi che fanno parte del gruppo dei Double Kick Heroes e, andando avanti nei livelli, affronteremo boss che sembrano usciti proprio da alcuni b-movies della Troma, e incontreremo alleati che prendono spunto da musicisti o attori: è il caso di Marlene Branson, citazione del celebre anticristo del rock americano, Marilyn Manson, oppure troveremo anche James Hetfield dei Metallica, nel ruolo di co-capo di una prigione insieme al celebre attore di film d’azione Danny Trejo.

Il gameplay è quanto di più intuitivo ci possa essere: basta seguire le note che si trovano in basso sullo schermo e andare più a tempo possibile. Più si azzecca il timing delle note, e più aumenteremo il nostro punteggio e la possibilità di ottenere armi più potenti come il fucile, che ha uno sparo più ampio, come nelle più classiche delle spread gun, o un potente cannone.
I livelli tradizionali sono ben strutturati e offrono delle buone sfide, soprattutto alle difficoltà più elevate. Rivedibile, a mio avviso, la meccanica dei boss: ho trovato abbastanza confusionario il fatto di poter spostare la direzione della Gundillac, ovvero la nostra Cadillac armata di tutto punto, mentre dovevo fare attenzione alle note da azzeccare e al raggio d’azione degli attacchi nemici. È un’idea che magari offre più profondità al titolo, ma rende il tutto più complicato da giocare, visto che bisogna tenere d’occhio non solo la parte bassa dello schermo, dove troviamo le note, ma anche la parte superiore dove troviamo i nostri eroi e l’armata di zombie e mob.
Menzione d’onore per la colonna sonora, come ogni buon rhythm game che si rispetti: tutto a cura del compositore francese Fredric Elmobo Botte, già autore delle musiche di titoli come i due Nightmare Creatures o Pac in Time, che qui ritroviamo a spaziare dal rock da classifica fino a generi più pesanti come death e black metal, il tutto coadiuvato da alcuni musicisti della scena francese.

Ci manca da analizzare solamente la modalità editor: quella che, poteva essere un grandissimo punto a favore del titolo, si ritrova, alla fine, a essere un’opera incompiuta. Il tutto funziona importando il nostro file mp3 preferito, da unire al livello e i nemici scelti sempre da noi: peccato che il gioco non offra un’analisi automatica del file, come viene fatto da titoli procedurali come Beat Hazard Ultra o Audiosurf. Invece, Double Kick Heroes ci propone tre alternative: creare le note da zero, seguendo il brano di nostra scelta (ipotesi che, francamente, trovo folle sotto ogni punto di vista), importare un file MIDI (cosa che, sì, funziona, ma non benissimo come dovrebbe), oppure controllare se si trova qualcosa di già pronto sul workshop di Steam. Peccato che quest’ultimo sia letteralmente deserto, ma voglio pensare che sia dovuto allo status early access del titolo che altro.

In conclusione, l’opera prima di Headbang Club presenta degli alti ma anche dei bassi: l’atmosfera del gioco è ben congegnata e si sposa perfettamente con le musiche di Elmobo. Il gameplay, per quanto buono nella sua base, avrebbe bisogno di una leggera sistemata, così come l’editor dei livelli, davvero scomodo e poco user friendly. Diciamo che Double Kick Heroes è come la prima demo di un gruppo formato da pochi mesi: acerbo, ma con del potenziale che può uscire fuori magari in un prossimo lavoro. E in tal caso, li aspetteremo con impazienza!




The Horus Heresy: Betrayal at Calth

Siamo nel 31mo Millennio e un oscuro destino sta per rivelarsi nell’Imperium.

Un destino che darà inizio a una battaglia che durerà 10.000 anni. Facendo 2 calcoli, da qui viene il nome Warhammer 40.000. The Horus Heresy: Betrayal at Calth, ci racconterà l’epico origine dello scontro tra gli Ultramarine e i Word Bearer, due potenti eserciti che uniti in principio, formavano le forze imperiali più potenti dell’intera galassia conosciuta.

Prima di tutto, una “piccola” premessa

Di certo la storyline non sarà di chiara lettura per tutti. La trama di background di Warhammer è enorme, epocale, complessa, intricata. A tal proposito farò del mio meglio per far comprendere, in un succinto riassunto, le ragioni che spinsero Horus a tradire il padre, l’imperatore del genere umano e successivamente, cosa portò alla scissione del corpo degli spacemarine – se conoscete già la storia perché magari siete dei fan sfegatati della saga, allora potete saltare direttamente al punto 2.

Tutto inizia quando Horus Lupercar, Primarca dell’imperatore, mandato in missione nel selvaggio pianeta Davin, viene ferito gravemente in battaglia. Sotto il consiglio di Erebus, cappellano dei Word Bearer – nell’universo di Warhammer sono gli spacemarine con le armature rosse – i nativi del posto curano Horus ma, all’insaputa di tutti, sia i curatori che Erebus stesso erano stati corrotti dai tentacoli oscuri del Chaos e già al tempo orchestravano complotti contro l’Imperium.
A quel punto Erebus sottopone Horus a un rito del Chaos e, insinuandosi nella sua mente sotto false spoglie e servendosi di visioni terrificanti, lo convince che un giorno il padre, l’imperatore, avrebbe deposto tutti i Primarchi, lui compreso, e avrebbe governato come un dio, convincendolo anche che gli dei del Chaos fossero invece esseri pacifici e che fosse il padre, un guerrafondaio, a volerli distruggere per poter governare come un dio. Gli fece credere tante altre cose, ma la sostanza sta qui.
Una volta rimessosi, Horus abbraccia la causa degli dei del Chaos e inizia davvero a credere che il padre fosse un traditore.
In un secondo momento storico, prima degli avvenimenti di The Horus Heresy, l’imperatore punisce pesantemente i Word Bearer e il loro Primarca Lorgar Aurelian per aver commesso atrocità contro coloro che non volevano accettare il loro credo, ordinando al Primarca Guilliman, degli Ultramarine – gli spacemarine con le armature blu, per intenderci – di radere al suolo Monarchia, la più grande conquista dei Word Bearer. Questi eventi spingono Lorgar ad allontanarsi definitamente dall’impero e intraprendere un sentiero oscuro, portandolo poi a giurare fedeltà al signore della guerra Horus Lupercar e agli dei del Chaos. Si crea così una scissione definitiva dell’esercito degli Spacemarine: Ultramarine e Word Bearer. A questo punto Horus, essendo riuscito a portare tutti i rimanenti Primarchi dalla propria parte, si rende conto che l’unico grande ostacolo tra lui e la conquista dell’impero era il Primarca Guilliman e il suo corpo degli Ultramarine, una minaccia che doveva essere eliminata.

Bene, dopo avervi raccontato, anche se solo una piccola porzione di questo capolavoro della narrativa, sarete in grado di comprendere meglio ciò che accadrà nella modalità campagna del gioco. Procediamo.

Prendo il solito, grazie!

Se c’è una cosa che ha sempre caratterizzato tutti i Warhammer mantenendoli sulla stessa lunghezza d’onda questo è, al di fuori d’ogni dubbio, il navigato sistema di combattimento. Incentrati quasi completamente sui turni o i combattimenti in tempo reale, i titoli di casa Games Workshop hanno finito per diventare un punto di riferimento per i videogiochi strategici. Raramente hanno cercato di sondare acque sconosciute come con Warhammer 40k Space Marine, sviluppato da Relic Entertainment, uno shooter in terza persona misto a un hack’n slash, graficamente ben realizzato, ma purtroppo povero di contenuti, tanto da rivelarsi successivamente un grosso flop commerciale per il brand inglese.

Nel caso specifico di The Horus Heresy: Betrayal at Calth, sviluppato dal team statunitense Steel Wool Studios, stiamo parlando di uno strategico a turni molto semplice. Con pochi comandi su schermo, un HUD molto intuitivo e con meccaniche meno complesse dei classici Warhammer a cui siamo abituati, questo risulta essere forse uno dei giochi più intuitivi dell’intera saga. Lo scopo del gioco è semplice – per alcuni anche banale – sin quanto si dovranno semplicemente completare gli obiettivi per ogni missione assegnata. Le schermaglie si svolgeranno sempre in un campo ristretto e ognuna di esse andrebbe affrontata tenendo conto di tutti quelli che sono i fattori che potrebbero influenzare positivamente o negativamente l’esito dello scontro, poiché affrontare il nemico a viso aperto porterà quasi sempre al game over. Per esempio studiare il campo di battaglia solitamente, è una delle strategie migliori per assicurarsi un vantaggio non da poco, sfruttando a nostro favore barriere o ostacoli per coprirci durante i nostri attacchi. A ogni modo, tendendo conto che si sta analizzando un gioco in versione “early access”, non possiamo trarre conclusioni affrettate riguardo tutte le dinamiche di gioco, ne è possibile sbilanciarsi nella valutazione, perché in fase finale di sviluppo il gioco potrebbe variare. Proprio per questo motivo graficamente sembra essere ancora molto scarno, tra texturing di basso livello ed effettistica che lascia un po’ a desiderare, ma confidiamo che la situazione possa migliorare con la versione completa del gioco.
Il comparto audio al momento si limita a una buona base d’accompagnamento ben riprodotta: nonostante tutto si sente la mancanza di una vera colonna sonora ad accompagnarci nella nostra avventura.

Ovviamente in THH:BaC, avremo la possibilità di giocare in multiplayer tramite matchmaking o partita privata, costruendo anche il nostro esercito, tramite la sezione army builder, avremo la possibilità di personalizzare la nostra squadriglia in base a quello che è il nostro tipo di approccio alla battaglia.

Tirando le somme, non si può dire che The Horus Heresy: Betrayal at Calth sia un prodotto originale o mai visto, ma sicuramente è un titolo che merita l’attenzione di chi è avvezzo all’universo degli strategici e, allo stesso tempo, proprio per la sua incredibile intuitività, potrebbe essere adatto anche a chi si accosta per la prima volta a questa tipologia di videogiochi. Una caratteristica, probabilmente la più interessante, è quella di poter essere giocato completamente con il VR, alimentando ancor di più in questo modo, l’interesse per chi cerca nuove esperienze che si distacchino da quelle che sono le solite “killer app” per la realtà virtuale.




Sekiro: Shadows Die Twice

Presentato allo scorso VGA con un piccolo teaser, il nuovo titolo From software, come da tradizione, ha aperto le porte a mille speculazioni e desideri: la scritta “shadows die twice” poteva riferirsi a qualsiasi cosa, se armati di di buona fantasia. Demon Souls II, Dark Souls IV, Bloodborne II e Tenchu erano le idee più gettonate, sino a quando la possibilità che si trattasse di una nuova IP si fece strada. Sekiro: Shadows Die Twice è il nuovo titolo From, fresco fresco di presentazione alla conferenza Microsoft e che ha incuriosito non poco, non solo per la struttura da souls-like ma anche per la partership con Activision, un’associazione che probabilmente nessuno poteva immaginare.

Sembra Tenchu ma non è

Il trailer mostratoci mostra già molte delle caratteristiche del nuovo lavoro From Software, a cominciare dall’ambientazione che nei primi istanti, molti utenti, collegarono a un nuovo Tenchu appunto, ma anche a Nioh II, giusto perché non si sa mai.
Il Giappone Feudale non è certo un periodo storico poco sfruttato ma da quanto si è potuto vedere, il lavoro fatto sugli scenari e la ricercatezza dei dettagli è sempre di primo ordine, pur non vantando una potenza grafica d’eccezione. Gli ambienti sembrano decisamente più vasti e sviluppati anche in altezza, involgiando il giocatore all’esplorazione, pur facendo attenzione ai mille pericoli presenti sul suolo giapponese.
Tutto richiama, in forma più o meno voluta, le gesta intraprese nei vari souls, a cominciare dal protagonista, un anonimo guerriero (o qualunque altra cosa visto che probabilmente saranno presenti diverse classi) che dovrà compiere il proprio destino, anche se ancora del contesto narrativo non si sa praticamente nulla, se non per il fatto che saremo chiamati a salvare il nostro maestro, vendicandoci di chi ci ha mozzato il braccio a inizio trailer. Anche la resurrezione del nostro alter ego presenta caratteristiche particolari: forse, invece di ritornare al “classico falò” potremo riprendere immediatamente dal punto in cui ci abbiamo lasciato le penne, magari con qualche malus  non meglio specificato. Si tratta ovviamente di speculazione, ma nei titoli From è la norma.

Il problema del rampino

Uno degli elementi che ha colpito maggiormente è il braccio meccanico del protagonista, che sembra esser munito di numerosi gadget o che comunque potranno esser inseriti all’interno di esso. Una sorta di coltellino svizzero malefico che permette di utilizzare uno scudo (molto simile a quello di Kratos nel nuovo God of War), un’accetta e, soprattutto, un rampino. Quest’ultimo elemento è quello che lascia un po’ perplessi i puristi, abituati a procedere guardinghi lungo le vie di Lordran, Drangleic e così via. Il suo utilizzo è chiaro: velocizzare il gameplay e permette nuove strategie. È possibile utilizzarlo in aperta esplorazione, raggiungendo mete altrimenti inavvicinabili, e soprattutto in combattimento, catapultandoci verso i nemici anche da lunghe distanze. Se questo elemento si sposa bene con il genere è ancora presto per dirlo, ma potrebbe portare una ventata di aria fresca in un contesto forse fin troppo statico.
Ovviamente si tratta di scontri all’arma bianca, abbastanza spettacolari e che si avvicinano più a Nioh che ai Souls. Più dinamicità e spettacolarizzazione del tutto (… Activision) potrebbe risultare una carta vincente, soprattutto per avvicinare utenti fin troppo spaventati dal freddo approccio dei classici titoli From.
Elemento da non trascurare e che anzi ha avuto una certa enfasi nel trailer, è la componente stealth che sembra collocata direttamente nelle fasi di gioco. Appiattirsi lungo i muri o trovare vie alternative (di conseguenza maggiore complessità nel level design) sembrano tecniche utilizzabili a discrezione del giocatore, anche se il loro reale impatto resta da valutare.

In conclusione

Il nuovo lavoro di Hidetaka Miyazaki ha attirato la nostra attenzione, nonostante l’ambientazione, inevitabilmente, sa di già visto. Poco più di due minuti di trailer ci hanno dato alcune risposte ma, come da tradizione, ci ha lasciato anche con il doppio delle domande, a cominciare dal processo di resurrezione. Gameplay più spettacolare e nuove idee sono in grado di collocare Sekiro: Shadows Die Twice a metà strada tra un souls-like e un action, e potrebbero essere le giuste scelte per attirare maggior pubblico, pur non perdendo di vista gli affezionati, proponendo maggior libertà d’azione in un mondo che non aspetta altro di essere esplorato.




Call of Duty: Black Ops 4 e la presa di coscienza

Sono passati dieci anni da quando il primo Call of Duty: Black Ops arrivò sui nostri schermi, riuscendo a sorprendere critica e pubblico per un single player accattivante e un multiplayer che però, con i successivi capitoli, venne stravolto, sfruttando elementi fantascientifici che ne minarono la qualità.
Call of Duty: Black Ops 4 era atteso, soprattutto per avere conferma alle tante dicerie susseguitesi in queste ultime settimane. «È il CoD più ricco e rigiocabile di sempre»; questa è stata la frase più ricorrente nella conferenza di presentazione dedicata direttamente alla community. Black Ops 4 dunque rivoluziona il franchise e forse, è il primo di una nuova stirpe di FPS, completamente dedicata all’online. Partiamo proprio da qui, da quell’abbandono della classica campagna che essenzialmente, risponde un po’ alle mode del momento. Lo stesso David Vonderhar (Game Designer Director di Treyarch) non si è sbottonato più di tanto sui perché di tale assenza, forse in fin dei conti, non ce n’era bisogno: sentiamo da mesi, forse anni, che il single player così come lo conosciamo, non si sposa più con le esigenza della massa. Fortunatamente le eccezioni esitono (basti vedere Prey o Wolfenstein II: The New Colossus), ma la tendenza è ormai segnata.
Questo non vuol dire però che Call of Duty: Black Ops 4 non sarà dotato di impianto narrativo: il tutto sarà ambientato tra il secondo e terzo capitolo, con linee sottili di trama che collegheranno tutto l’impianto ludico del titolo. Tutto si baserà su degli incarichi che fungono da pretesto per prendere confidenza con le novità, scoprendo nel frattempo, piccoli retroscena sui vari personaggi. Ma basterà a darne un senso?

Tutti giù per terra

È inutile girarci intorno: la novità più apprezzata dalla community è sicuramente l’abbandono del jetpack. Nonostante sia sempre ambientato nel futuro, Black Ops 4 segna un netto distacco col passato, favorendo un gameplay più classico e sicuramente meno frenetico. Tutto ciò ovviamente non avrà un minimo di fondamento narrativo – e ci mancherebbe… – e sancisce una volta per tutte come la community di un videogioco sia fondamentale nello sviluppo di un nuovo titolo.
Se a prima vista, tutto sembra esattamente com’era, facendo attenzione si scorgono tante piccole novità, a cominciare da un numero più elevato di specialisti e abilità che portano il gioco ad avvicinarsi a concorrenti un tempo distanti: è possibile utilizzare onde d’urto in grado di spazzar via i nemici o estendere in men che non si dica barriere in grado di difendere noi e i nostri compagni; queste e altre migliorie, portano il titolo a essere più tattico, anche se sempre legato a vecchi stilemi, fatti di frenesia e pluri uccisioni come Steven Segal insegna. Modifiche sostanziali sono intervenute nel feeling con le armi e al loro rinculo, reso sicuramente più accentuato e meno “arcade” nella sua gestione. Questo porta a rivedere le proprie considerazioni sulle armi  in dotazione: Black Ops 4 avrà la più vasta gamma di armamenti mai vista in un CoD, contando su tutte quelle presenti nei capitoli precedenti più, ovviamente, le novità presenti in questo. Con una così vasta scelta, e il loro aggiornato comportamento, sperimentare tutto l’armamentario presente porterà ancora più profondità o magari riscoprire l’utilizzo di qualcosa che prima scartavamo a priori.

Benvenuti a Zombieland

Prima di arrivare al piatto forte delle novità, dobbiamo fare una sosta in una delle modalità più sorprendenti di Call of Duty: la modalità Zombie. Elemento più caciarone dell’offerta, questa modalità si è districata tra tanti capitoli e via via ha riscosso sempre più successo; era naturale un ulteriore e massiccia evoluzione in Black Ops 4. Prima di tutto partiamo dalla mole di contenuti, ben tre campagne disponibili già al lancio, più altre rilasciate tramite DLC successivamente. Probabilmente, l’aver lasciato da parte la modalità single player, ha permesso di usufruire di maggiori risorse e questo, lo si vede sopratutto nel gameplay, con maggiore enfasi dato al melee e alla maggiore fisicità.
Tutto si basa sui viaggi nel tempo e sull’inedità crew estremamente diversificata. Abbiamo avuto modo di vedere ambientazioni all’interno del Titanic e nell’antica Roma, estremamente diverse sia nel level design che negli obbiettivi.
Sembra esserci tanta carne al fuoco, ma bisognerà verificare l’effettiva varietà e il supporto post-lancio.

Quello che volevate (e che meritate)

Siamo in piena era battle royale e ovviamente questo successo, non poteva che minare le basi su cui poggiano i franchise più importanti. Il primo a cedere alla moda del momento è dunque Call of Duty: Black Ops 4 che, con la sua modalità Blackout, vuole dire la sua in questo difficile campo di battaglia.
Non si sa ancora molto: la mappa di gioco sarà grande 1500 volte Nuketown e conterrà tutti gli elementi che hanno caratterizzato tutte le precedenti mappe. Nella volontà di Treyarch c’è quella di voler inserire tutti i mezzi possibili, tra aerei, veicoli su ruote e navali. Tutto ciò si scontrerebbe con diversi fattori: il primo è il ritmo di gioco, ben lontano dalle caotiche partite principali e sarà interessante testare l’efficacia del gameplay da questo punto di vista. Il secondo è quello tecnico: si vociferà già delle limitazioni in termine di numero di partecipanti, massimo 32 giocatori contro i consueti 100. Siamo ancora nel campo dei rumor, ma di certo gli sviluppatori non aiutano, asserendo che per il momento “non vogliamo parlare di numeri”. Staremo a vedere.
Infine, è la piega che potrebbe prendere il mercato: sta forse passando un po’ sottotraccia, ma in fin dei conti, stiamo assistendo a un colosso come Activision adeguarsi alle circostanze, senza provar a far qualcosa di nuovo. Se sul piano economico è un mossa tutt’altro che discutibile, considerando anche che non sappiamo ancora quali siano le effettive novità apportate al genere (ammesso che ce ne siano), fa specie come uno dei più grossi esponenti dell’industry non abbia tirato fuori un asso dalla manica, in grado di far vera concorrenza ai vari Fortnite e Player Unknown Battlegrounds. Forse può essere considerato un segno di debolezza pericoloso, lanciando la tendenza “dell’andare sul sicuro” che rischia di appiattire ancor di più il mercato, preferendo i soldi alle idee. Certo, può anche esser visto nel senso opposto, quello in cui vede Treyarch fare la voce grossa, “dando una bella lezione” ai protagonisti del momento. Anche qui, non ci resta che attendere gli esiti.

Call of Duty: Black Ops 4 segna dunque un decisivo cambio di rotta per lo sparatutto Activision. Numerose novità, anche azzardate, come l’abbandono del single player, potrebbero segnare una nuova via per gli FPS, aspettando anche il reveal del suo concorrente diretto Battlefield V. L’interesse più grande ricade sopratutto nella modalità Blackout, che segna l’entrata in scena di CoD nelle battle royale, sperando di vedere nuova linfa per il genere.
Call of Duty: Black Ops 4 arriverà il 12 Ottobre su PS4, Xbox One e PC, ma non dove ve lo aspettereste. Questo capitolo segna anche l’addio a Steam per abbracciare Battle.net. Questo permetterà, oltre a risparmiare il 30% dei ricavi destinati a Valve, anche di usufruire di tutti gli aspetti social del portale. La versione PC conterà inoltre di server dedicati. Anche questo passaggio di consegne è abbastanza rilevante: se da un lato si guadagnerebbe di più, dall’altro, si potrà contare su un numero inferiore di utenti. Ma per questi calcoli, dobbiamo attendere i primi dati.




Will To Live Online

Will To Live Online è un MMORPG post-apocalittico prodotto e distribuito dalla casa russa AlphaSoft LLC. Il gioco è ambientato in un mondo danneggiato da un evento catastrofico e misterioso di chiara ispirazione verso i classici del genere post-apocalittico nucleare, in particolar modo S.T.A.L.K.E.R, al quale sono presenti numerosi richiami. Il giocatore impersonerà uno dei tanti sopravvissuti e bisognerà farsi strada attraverso la brutalità di terre desolate, mostri, animali e altri giocatori. L’aspetto RPG del gameplay è molto accentuato con quest, esplorazioni, progressione di livello, e un albero delle abilità ben strutturato, guerre PVP e tanto altro. L’analisi del gioco e di tutti i suoi aspetti è stata fatta sull’Alpha 0.49.5, disponibile in Early Access.

Gameplay 

Il gameplay di Will To Live Online richiama le più classiche esperienze MMORPG: parlare con gli NPC in città, andare in luoghi che ci sono stati assegnati per  recuperare vari oggetti, esplorare zone, uccidere nemici o addirittura boss in alcuni casi. Quindi, una volta ritornati a reclamare la ricompensa della missione compiuta, si otterranno XP, soldi e alcune volte oggetti. In parallelo alle quest, è presente un sistema di progressione del personaggio che si ha ogni 5 livelli e ci verranno distribuiti dei punti skill per potenziare le nostre abilità; ogni personaggio in base alla classe scelta (Miner, Hunter, Mercenary e Engineer)  ha il propria Skill Tree e attributi da sviluppare, così come anche le armi, più verrà utilizzata un’arma, più il nostro personaggio diventerà esperto nel maneggiarla. Il mondo di gioco è completamente aperto, eccezion fatta per le città sicure come quella di partenza che sono isolate dal resto e richiedono una zona di transizione per essere attraversate. Ci sono anche funzioni come la creazione di gruppi per vedere la posizione dei propri amici sulla mappa in ogni momento, una minimappa, una serie di marcatori personalizzati checi daranno una mano a ricordare posti già esplorati. Particolare attenzione è stata posta sulle armi, le diverse tipologie di munizioni come FMJ o HP funzioneranno in modo diverso ed efficace a seconda dell’obiettivo su cui verranno utilizzate. Ad esempio le FMJ fanno meno danno e hanno una maggiore penetrazione sulla corazza dei nemici, invece le HP fanno più danno ma hanno meno penetrazione. Molte le tipologie di munizioni per ogni arma.
Oltre alla lotta, l’esplorazione libera del mondo senza essere legato a nessuna missione è anche un’attività praticabile, ma bisognerà affrontare nemici anche ben oltre il proprio livello e quindi si potrebbe non essere in grado di proseguire. Nel mondo di gioco ci sono anche i mercanti per vendere e comprare attrezzature e la casa di aste per vendere i propri oggetti ai player, c’è anche l’attività di raccolta di risorse rare e preziose per racimolare qualche Token, come ad esempio raccogliere funghi, fiori di camomilla o posate sparse in varie casse disseminate per le mappe sono un ottimo modo per fare velocemente soldi.  C’è anche un sistema di fazioni (attualmente due) in cui i giocatori possono unirsi per poi essere alleati o nemici di altri giocatori della stessa o di un’altra fazione, ricevere missioni, ricompense e equipaggiamenti specifici dai venditori di fazioni. C’è una quantità considerevole di dialoghi e script per le missioni con i vari NPC principali, e molto materiale da leggere. Purtroppo la traduzione inglese non è ottimale, la lingua ufficiale del gioco è il russo e si spera che in futuro si abbia una miglior localizzazione anche in lingua britannica.

Sistema di combattimento

Il combattimento in questo gioco è basato principalmente sulle armi da fuoco, anche se il corpo a corpo quando utilizzato può risultare molto efficace. Esistono vari tipi di armi come pistole, fucili d’assalto, fucili a pompaDMR, fucili di precisione e persino esplosivi, molte delle quali richiedono non solo denaro ma anche un livello minimo per utilizzarle. Tutte le armi hanno anche delle statistiche che bisogna rispettare come in molti MMO, ad esempio se si vuole usare un fucile base come lo Squirrel (il primo cecchino) bisogna avere almeno 1 di intelligenza. Le sparatorie risultano fatte bene con una balistica molto realistica e precisa, essendo questo un MMORPG il livello del player e delle armi avrà un forte impatto sul risultato di un combattimento specialmente se si tratta di PVP: si possono anche uccidere però tranquillamente mostri e personaggi di livello più alto mirando ai punti del corpo meno protetti poiché il gioco ha un sistema di danno diviso per area. La lotta contro i mostri e gli animali è semplice in quanto i mob sono divisi in campi quindi si possono non solo aggirare i mob in gruppi ma attirarli anche uno alla volta. Usare armi a lungo raggio come i fucili è una buona idea contro i nemici in PVE poiché probabilmente saranno morti prima che entrino nella mischia, a meno che non siano dei boss, in quel caso serviranno altri colpi. Se si muore in combattimento verranno persi alcuni oggetti casuali dal proprio inventario, tra cui quelli non equipaggiati. Questi possono anche essere oggetti della ricerca, quindi morire durante una missione può risultare frustrante. Ovviamente è possibile ritornare al punto dove si è morti (viene segnato sulla mappa) così si potranno recuperare gli oggetti persi, sempre se un giocatore non è arrivato prima e ha preso tutto. Esistono anche dei server solo PVE per i giocatori che non vogliono fare il PVP, e ciò risulta una cosa buona per gli amanti del PVE.

Contenuti

Attualmente ci sono 35 livelli di esperienza per progredire, che richiederanno circa 100-125 ore di gioco. Come detto ci sono diverse classi e in ogni server ci sono 4 slot per la creazione dei personaggi, quindi per ogni server è possibile creare tutte e 4 le classi.
Non ci sono specifici problemi nell’equilibrio del gioco stesso tranne che personalmente gli oggetti delle missioni dovrebbero essere esclusi dalla caduta quando si muore.
La sfida è quella di un MMORPG medio, i livelli e l’equipaggiamento contano molto in PVE, invece le abilità riguardano per di più per il lato PVP.

Comparto tecnico

Nonostante l’utilizzo del moderno e potente motore grafico Unreal Engine 4, la grafica è molto semplice e sembra risalire a qualche anno fa rispetto agli attuali standard del settore: lo stile grafico presta fedeltà alla serie S.T.A.L.K.E.R. ma rende anche il gioco alla portata di qualsiasi PC. Alcuni aspetti paragonabili a ombretrame, modelli di prop, mesh e ambienti sono la maggior parte delle volte di bassa qualità. Per quanto riguarda i modelli di nemici e personaggi sono stati lavorati benissimo e con gran cura.
Il sistema audio è di ottima qualità elaborato con fmod restituendo un feed sonoro 3D in base all’ambiente in cui ci si trova. Giocando con delle cuffie 7.1 si potrà apprezzare al massimo la resa sonora data dal suono 3D di fmod che riesce ad avvolgere il giocatore nel mondo di Will To Live Online rendendo bene la provenienza di spari e rumori.
Sul piano delle performance è stato fatto un lavoro di ottimizzazione impeccabile che riesce a far girare il gioco su qualsiasi macchina.
Il gioco, come detto in precedenza, è ottimizzato molto bene: può però accadere che ci siano problemi di stabilità, come nei cambi di area, in cui il gioco ha ogni tanto un calo di FPS che potrà essere risolto riavviando il titolo.
C’è da dire che il gioco consta davvero di pochi bug piuttosto insignificanti, che non ne intaccano per niente la godibilità.

Conclusione

Nel complesso il gioco è divertente, sia giocato in solitaria, che in compagnia, e, per essere un’Alpha con accesso anticipato, ha molti contenuti da offrire e centinaia di ore di divertimento assicurato. Se gli sviluppatori continueranno ad ascoltare la community come stanno facendo al momento e ad aggiungere contenuti migliorando sempre più il gioco, in futuro si avrà un gioco che colmerà il vuoto lasciato dalla saga di S.T.A.L.K.E.R. nel cuore dei fan, ma in versione multiplayer: un sogno per chi ama il post apocalittico nudo e crudo.

Processore: Intel Core i5 6600K @4,60 GHz
Scheda video:  ROG STRIX GTX 1060 6 GB
Scheda Madre: MSI z270 Gaming M7
RAM: G.SKILL Trident Z RGB 2×8 GB 3200 MHz DDR4
Sistema Operativo: Windows 10 Home 64 Bit




Oppaidius Summer Trouble!

Dalle abili mani di Vittorio Giorgi, fumettista italiano, arriva Oppaidius Summer Trouble!, visual novel tutta italiana. Genere videoludico che trova natali in Giappone, in anni recenti ha preso piede anche in Occidente grazie a saghe come quella di Phoenix Wright o il successo di giochi come To The Moon. Il raggiungimento (esuperamento) della cifra necessaria per procedere allo sviluppo vero e proprio di Oppaidius dimostra l’affezione e la passione dei fan, specialmente quelli italiani, verso un genere messo spesso da parte, e che valorizza la narrativa videoludica. Oppaidius – spiega il creatore su Tuttotek –  fonde le due principali passioni del proprio autore, ovvero i fumetti e i videogiochi, e lo fa consegnandoci una storia piccante, dotata di un umorismo simpatico, bizzarro, che non scade mai nel volgare. L’uscita di Oppaidius è prevista per l’autunno 2018 ma intanto, nell’attesa, possiamo avere un assaggio di ciò che sarà l’intero gioco grazie alla demo gratuita presente su Steam.

È una calda estate in una città di mare (con buona probabilità italiana) e noi vestiremo i panni di una persona poco incline a uscire, che preferisce stare a casa a giocare ai videogiochi nonostante l’afa estiva. La quotidianità viene interrotta quando la nuova vicina, Serafina, viene a bussare alla nostra porta per chiedere del latte, approfittando di fare un po’ di conoscenza nel vicinato. Diciamo che da quel momento in poi il nostro protagonista avrà un “determinato” pensiero fisso, anzi due, particolarmente grandi (!!!).
Dopo questo caldo incontro, una boccata di aria fresca a mare insieme all’amico Jimmy sembra essere quello che ci vuole per liberare la mente da “certi pensieri” ma la nostra Serafina si sta rilassando proprio da quelle parti. Vi lasciamo scoprire il seguito.
La demo è molto corta ma in fondo riesce benissimo a dare un idea di ciò che sarà il progetto finale: una visual novel dai dialoghi spiritosi e dai toni erotici e la contempo goffi e ironici. Le scelte di dialogo per la demo sono sicuramente pochine ma sulla pagina Kickstarter si promette una storia di ben oltre 11.000 parole e diverse diramazioni che sicuramente andranno a modificare il finale. L’abilità di Vittorio Giorgi si può già ben notare dalle splendide illustrazioni fatte a mano per una visual novel che si rivela molto promettente: riguardo lo stile grafico dei personaggi, l’influenza manga/anime è lampante, e molto in tono con il genere videoludico, ma in realtà ci sono probabilmente influenze diverse, anche proprie di stili fumettistici occidentalI. L’influenza giapponese c’è e non c’è, ma questo stile di disegno servirà sicuramente a Oppaidius per distinguersi all’interno di un genere videoludico particolarmente dominato dall’art style nipponico. Tutto è disegnato in toni caricaturali, nulla è da prendere con serietà e ovviamente la fantasia dell’artista è viva e arriva a pieno al giocatore.
Quanto il Sol Levante c’entri in questa storia è già annidato nel titolo: “oppai“, infatti, se in giapponese serve a indicare dei seni particolarmente grandi, è una parola usata spesso anche in contesti scherzosi e mai con volgarità, allontanando possibili timori di maschilismo o misoginia all’interno del titolo. E ancora ricordiamo anche che il progetto è una visual novel ecchi, fermandosi tutto dunque ad allusioni sessuali e ammiccamenti erotici non di rado utilizzati anche a scopi umoristici: non ci sarà alcuna scena di sesso esplicito (altrimenti saremmo di fronte a un hentai), ma varie scene di “vedo non vedo” e, tuttavia, un finale “hot” super-segreto. Il gioco andrà quindi accolto con la massima apertura, ed è già adesso una buona occasione per fatersi quattro risate con dialoghi pieni di doppi sensi, autoironia e momenti imbarazzanti.
Un vero e proprio tocco di classe, e chiaramente un tributo, sono i background, la cui grafica richiama quella del Nec PC-9801, popolarissimo computer giapponese noto proprio per aver ospitato diverse visual novel a sfondo erotico, e a tratti anche quella del PC Engine (cui il modello Duo-RX fa anche un’apparizione all’interno della stanza del personaggio).
Particolarissima la colonna sonora composta da Luca della Regina, compositore dello SHMUP italiano in corso di lavorazione Xydonia, e che si avvale principalmente del chip sonoro YM2151, utilizzato nei computer Sharp X68000 e in alcune schede arcade Konami e Sega; i temi sono su uno stile synthpop, a cavallo fra anni ’80 e ’90, perfetti per un’avventura retrò di questo genere, specialmente per la natura “da PC-98” del titolo. Interessante anche il brano Liberty che ricorda a tratti il singolo Boys di Sabrina Salerno… coincidenze? In fondo la cara cantante italiana era “particolarmente rotonda” e il video della canzone in questione particolarmente… Oppai! Infine, il progetto includerà ben 3 guest musician giapponesi di altissimo rango, ovvero Norihiko Hibino (Metal Gear, Zone of Enders, Bayonetta), che ha già rilasciato la preview di un suo pezzo sul canale Youtube di Vittorio Giorgi, Masashi Kageyama (Gimmick!, Sunsoft) e Tsuyoshi Kaneko (Segagaga, Yakuza, Thunder Force IV).

Oppaidius Summer Trouble! dimostra come la scena videoludica italiana sia tuttora in gran fermento e quanto i fan di tutto il mondo siano pronti a supportare game designer italiani come Vittorio Giorgi; gli amanti delle visual novel, i manga/anime ecchi e avventurosi riscopritori dei vecchi PC-98 e PC Engine ameranno sicuramente il progetto e potranno apprezzare di cuore tutta la passione che vi è stata trasfusa. Non possiamo fare altro che augurare il meglio a Vittorio Giorgi per il suo lavoro già pieno di potenziale e che ha coinvolto personalità molto influenti del mondo videoludico. Potrete seguire i risvolti di questo progetto dalla pagina Kickstarter ufficiale, dove è possibile ancora contribuire alla realizzazione, come è possibile scaricare la demo gratuita di questa bizzarra avventura su Steam, non dateci la colpa però se poi non riuscirete a dormire la notte pensando alle giga-boobs di Serafina!




The Darwin Project (Beta)

Viviamo in un periodo particolare, dove l’online sta gradualmente sovrastando titoli single player che, una volta conclusi, trovano spazio solo tra gli scaffali di casa. Le battle royale sono in voga in ambito videoludico, dove fanno la voce grossa IP del calibro di PlayerUnknown’s Battlegrounds e Fortnite ma, nonostante questo tipo di mercato veda come massimi esponenti i titoli di Bluehole ed Epic Games, si sente ancora la mancanza di qualcosa, di quel “pepe” che potrebbe portare le battaglie su un altro livello. La risposta arriva da dove non la si aspetta, ovvero da Microsoft: nonostante non si vedano nemmeno con il cannocchiale titoli esclusivi di livello sulla propria console, la casa di Redmond ha dato fiducia a Scavengers Studio e al loro The Darwin Project, passato per la verità un po’ in sordina durante la presentazione allo scorso E3. La domanda è: questo ennesimo titolo “battle royale”, può veramente dire la sua di fronte ai mostri sacri del genere? La versione da noi testata era ancora in fase preliminare ma abbiamo voluto analizzare con calma tutti gli aspetti di un titolo che non andrebbe sottovalutato.

Canada, una terra violenta

Non è passato tanto tempo dall’uscita nelle sale di Hunger Games, omonimo film tratto da una serie di opere letterarie ambientate in un mondo distopico, in cui un gruppo di giovani ragazzi viene scaraventato in una specifica location con l’unico scopo di eliminarsi a vicenda. Se siete fan della saga o – ancora meglio – del celebre manga di Koushun Takami, Battle Royale, troverete di vostro gusto The Darwin Project, che promette molta più profondità di quanto visto finora. Il tutto ha anche un contesto narrativo: un famoso show televisivo canadese crea il The Darwin Project, trasmissione dove dieci detenuti sono costretti a uccidersi a vicenda pur di sopravvivere.
Elemento che balza subito all’occhio è il discostarsi sapientemente dalla concorrenza, proponendo qualcosa di nuovo e probabilmente di più complesso. Tutto parte proprio dal numero: scordatevi il dare la caccia e l’esser cacciati da decine e decine di altri giocatori; qui, più che in ogni altro titolo di questo tipo, a far la differenza tra la sopravvivenza o meno è la capacità d’adattamento, elemento che Charles Darwin ritenne fondamentale per la sopravvivenze delle specie viventi. Avremo a che fare dunque, non solo con altri nove contendenti ma soprattutto con le rigide temperature canadesi e quindi con difficili condizioni ambientali che possono rendere ancor più difficoltoso e stratificato il gameplay del titolo.
Buttati nella mischia con addosso una semplice tuta, un arco e un’ascia, sarà fondamentale sin da subito “craftare” e ottenere qualcosa che possa proteggerci dalle intemperie. Qui entra in scena uno dei tanti elementi fondamentali: l’esplorazione. L’unica mappa a disposizione è abbastanza grande da permettere la ricerca di alcuni elementi essenziali senza incrociare lo sguardo di qualcuno. Disseminati qua e là, sono disponibili zone in cui reperire risorse importanti, utili per aumentare il livello del nostro alter ego attraverso il suo equipaggiamento. La mappa è suddivisa in sette zone distinte ma collegate tra loro e che via via verranno distrutte per favorire un maggiore accentramento dei giocatori nelle fasi finali. Questo elemento non è nuovo ovviamente ma è ben studiato ed evita che alcuni utenti possano venire isolati dalla partita.
Il modo di affrontare la situazione dipende da molti fattori ma soprattutto dalla nostra strategia e forza d’animo: può risultare utile restare in disparte, cercando di potenziare il proprio equipaggiamento oppure diventare dei cacciatori, seguendo le orme della vostra ignara preda e colpirla alle spalle. I diversi approcci portano a pro e contro che variano di partita in partita; essenzialmente, dipende da che tipo di contendenti avrete di fronte e adattarvi di conseguenza.

Come detto, ogni angolo può nascondere nemici e prima o poi, vi toccherà combattere. Tastiera o pad alla mano, il combat system risulta assai semplice: il buon utilizzo dell’arco dipende solo dai vostri riflessi e mira e il corpo a corpo da come siete attrezzati. Il vero nemico è l’ambiente stesso e il freddo influenzerà letteralmente la vostra resistenza. L’unico modo per difendersi dalle rigide temperature è ripararsi creando un vestiario adatto o, soluzione più rapida ma anche più rischiosa, accendere un fuoco per scaldarsi; il fuoco acceso ha però un effetto non trascurabile, quello di segnalare ai nemici la vostra posizione. Se da un lato risulta essere dunque un grosso svantaggio, dall’altro The Darwin Project vi permette di vedere ogni cosa da un altro punto di vista come, in questo caso, attirare gli avversari in una trappola grazie all’accensione del falò.
Anche nel titolo Scavengers non mancano i rifornimenti che, una volta raccolti, permettono di sfruttare alcuni potenziamenti passivi, in grado di cambiare le sorti del match: resistenza, velocità o una migliore visione dell’ambiente e dei nemici sono perk essenziali per aumentare le proprie chance di sopravvivenza.

Buon pomeriggio, buonasera e buonanotte

The Darwin Project, prima di essere un videogioco e un fittizio programma televisivo, è un titolo che riesce a portare anche quella giusta dose di innovazione. La sua duplice natura di Battle Royale e Truman Show viene espressa in maniera diretta sulle principali piattaforme streaming come Twitch: il pubblico reale potrà decidere il suo favorito, mettendo a disposizione del giocatore risorse in grado di aumentare le sue possibilità di vittoria. Facendo un paragone motoristico, il tutto sembrerebbe simile al Fan Boost presente in Formula-e dove il pilota votato dal pubblico riceve un surplus di potenza extra. È una meccanica davvero interessante e che ben si sposa alle logiche degli e-sports: ogni giocatore potrà essere un gladiatore del XXI secolo, con il vantaggio di non essere ucciso realmente in battaglia.
Interessante è anche la possibilità di prendere le veci del (Mega) Direttore (Galattico) che, da spettatore interessato (grazie a un drone indistruttibile) potrà seguire le gesta del manipolo di uomini decidendo – non direttamente però – il corso del match: potrà scegliere quale settore della mappa distruggere, elargire perk a piacimento e anche curare uno dei partecipanti. Questo giocare a fare Dio è forse uno degli elementi più difficili da gestire, presentandosi come una lama a doppio taglio. Questa meccanica andrà approfondita  non appena verranno rilasciate altre release pre-lancio.
Dal punto di vista tecnico, il titolo sembra già ben ottimizzato, garantendo i 60fps in ogni situazione. Certo, non è un gioco che si perde in dettagli “soulsiani”, preferendo uno stile molto vicino a Fortnite, volutamente cartoonesco, forse per sdrammatizzare il più possibile l’evento su cui poggia il titolo.

In conclusione

Nonostante sia ancora in fase Beta, The Darwin Project riesce a introdurre una serie di idee innovative sfruttando la propria natura di show televisivo. Una battle royale dalle molte facce, in cui il nostro istinto di sopravvivenza può davvero fare la differenza. Andranno valutate più attentamente le meccaniche social, che rischiano di minare l’equilibrio del titolo ma, in ogni caso, il lavoro Scavengers Studio è davvero da tenere in considerazione.




Brawlout

Nel composito panorama dei giochi indie, non ne spiccano tanti che si possano annoverare alla categoria dei picchiaduro: per questo è un piacere Brawlout, un picchiaduro indie sviluppato da Angry Mob e prossimo all’uscita.
Entrato in early access su Steam nei primi mesi del 2017, e già rilasciato per Nintendo Switch lo scorso 19 Dicembre, l’uscita di Brawlout è prevista per tutte le console di ultima generazione (PS4, Xbox One) e per PC nel corso del 2018.
Brawlout è un picchiaduro che prende chiaramente ispirazione dal famosissimo Super Smash Bros, titolo Nintendo che ha rotto gli schemi dei tradizionali picchiaduro e ha creato un sottogenere tutto suo, con un gameplay unico e innovativo su tutti i punti di vista.
Brawlout è per certi versi un clone del celebre Super Smash Bros, ma non tutti i cloni sono delle brutte copie, anche se Brawlout non riesce a eguagliare il modello di riferimento sul piano del divertimento e della sfida. Perché?
Il titolo di Angry Mob non presenta intanto item utilizzabili in battaglia, non esistono armi da raccogliere, bombe da lanciare, oggetti che diminuiscono la percentuale o che evocano degli “aiutanti” che utilizzano una mossa speciale, componente che era invece molto importante nel gioco Nintendo.
Ciò trasforma Brawlout in un semplice picchiaduro senza l’indicatore di vita, in cui lo scopo dei giocatori è quello di buttare fuori dalla mappa l’avversario utilizzando solamente attacchi primari, secondari e combo.
Il gioco è tutt’altro che noioso, dopo un paio di partite si prende confidenza con i comandi che risultano semplici e immediati. Questo lo rende un gioco adatto a tutte le età, visto che non bisogna imparare combinazioni di tasti che permettano la riuscita di un determinato attacco. In Brawlout esistono solamente un attacco primario, un attacco secondario, una serie di semplici combo e una modalità Furia che ogni giocatore potrà utilizzare quando l’apposito indicatore sarà completamente carico.

Brawlout, in questa fase di early access, ha disponibili solamente 8 personaggi, quasi tutti zoomorfi e tutti con abilità e mosse diverse.
Per esempio: Pico, una rana wrestler, crea dei tornado per intrappolare il nemico e può utilizzare la sua lingua per avvicinare l’avversario o per appiccicarsi a lui e volargli contro; Olaf Tyson, un grosso tricheco accompagnato da un pinguino, ha l’abilità di congelare l’avversario, ricoprire il proprio pugno di ghiaccio per poi attaccare l’avversario, e quella di creare una lastra di ghiaccio per salvarsi da una caduta (una delle abilità più utili all’interno del gioco, a parer mio);
Tra i personaggi disponibili c’è anche il protagonista del gioco Hyper Light Drifter, che brandisce una spada e riesce a creare uno scudo atto a proteggerlo dagli attacchi nemici e che, se utilizzato vicino all’avversario, è capace di infliggere danni.
In tutto i personaggi utilizzabili nel gioco completo saranno 18, ma durante l’accesso anticipato non sono stati resi disponibili tutti quanti.

I personaggi si daranno battaglia in varie arene, e ognuno ha il proprio stage che riproduce le ambientazioni in cui vivono i vari animali di riferimento. Le arene hanno tutte la stessa struttura e si differenziano per skin e ambienti di contorno.

Una nota dolente è costituita attualmente dalla modalità online del gioco che, seppur in early access, dovrebbe garantire almeno un matchmaking online decente, per potersi confrontare con giocatori di tutto il mondo: purtroppo anche dopo decine e decine di minuti di attesa per una partita online non si riesce a trovare alcun avversario e si è costretti a giocare una partita in lan o una partita Player vs CPU.
Sembra un controsenso, visto che gli stessi sviluppatori hanno puntato molto sulla community, creando anche un server su Discord per poter accogliere tutti i giocatori che volessero trovare un compagno di squadra o per chi si voglia cimentare in sfide per mettersi alla prova.
In conclusione: mi sento di consigliare questo gioco a chi non abbia una console Nintendo per poter giocare a Super Smash Bros., visto che Brawlout è un’alternativa molto valida se messa a confronto ad altri indie del genere, ma aspettiamo la release definitiva per poter valutare con completezza un titolo dalle premesse certamente interessanti e che può offrire un buon livello di sfida e divertimento.