Maize

Cercate un gioco che abbia una trama completamente nonsense, con un pizzico di trash e personaggi bizzarri? Se la risposta è sì, questo titolo fa proprio al caso vostro. Si tratta di un ibrido tra un puzzle game/walking simulator e un’avventura punta e clicca. Sviluppato da Finish Line GamesMaize ha avuto fin dal suo annuncio una coltre di mistero, in quanto la casa produttrice non aveva mai rilasciato neanche un minuto di gameplay.

Inizialmente ci sveglieremo in mezzo a un campo di mais e saremo completamente all’oscuro della nostra identità e della nostra missione. Accompagnati da una musica abbastanza inquietante dovremmo andare alla ricerca dell’uscita. Durante le nostre esplorazioni troveremo degli oggetti collezionabili che, se ispezionati, ci permetteranno di ricostruire la storia.  Il gioco narra vicende correlate a un esperimento commissionato dal Governo americano che ha come cavie le colture di mais. Sotto la guida degli scienziati Bob e Ted, l’esperimento prenderà ovviamente una brutta piega. Una volta abbandonate le zone principali, la trama comincerà a prendere la piega nonsense che dicevamo: ci ritroveremo, infatti, ad aver a che fare con personaggi tutt’altro che normali come un orso russo, che non perderà mai un’occasione per insultarci, e delle pannocchie parlanti molto stupide. Il gioco non presenta al suo interno la lingua e i sottotitoli in italiano, ma “fortunatamente” per chi capisce anche un po’ d’inglese sono presenti i sottotitoli in lingua originale.

Maize ha un gameplay di natura molto scarna: è uno di giochi dove la maggior parte del tempo si passa esplorando le varie zone alla ricerca degli oggetti che ci serviranno nel corso della storia. Gli enigmi proposti dagli sviluppatori sono abbastanza semplici, visto che basta raccogliere tutti gli oggetti che troviamo e tentare di utilizzare quello giusto al momento esatto. Inoltre, il titolo non presenta una longevità elevata, infatti, abbiamo impiegato 4-5 ore circa per il completamento di quest’ultimo. Gli sviluppatori, per facilitare il progresso della storia hanno inserito all’interno del gioco degli ammassi di scatoloni arancioni che, ovviamente, servono a bloccare le zone superflue così da facilitare il proseguimento della storia.
L’universo di Maize è stato creato con l’ausilio dell’Unreal Engine 4, che in questa produzione si presenta abbastanza bene. La colonna sonora è molto orecchiabile. Il titolo è abbastanza scarno in quasi tutti i punti di vista ma, se si tralasciano tutti i difetti, potrà offrire un buon divertimento con le trovate eccentriche e le piccole assurdità esilaranti che il team di Finish Line Games ha inserito all’interno di questo gioco.

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Sonic Mania

Un gioco dai fan per i fan. Dopo una serie di titoli poco convincenti, Sonic Mania appare come il sole dopo una giornata di pioggia. Con la benedizione del Sonic Team, il team composto da Christian Whitehead, che ha dato nuova vita ai giochi Sonic, Sonic 2 e Sonic CD su iOS, Headcannon e Pagoda West Games hanno decisamente dimostrato con questo titolo cosa serve per rendere un gioco del porcospino blu semplicemente eccezionale. Certo il fandom del porcospino è molto selettivo e il Sonic Team difficilmente riesce ad accontentare le loro richieste. La risposta sembra proprio un gioco super semplice e che si rifà alle proprie radici sul leggendario Mega Drive; per quanto eccellente il risultato possa sembrare, questa è comunque una sorta di contraddizione visto che il difficilissimo fandom ha sempre voluto vedere qualcosa di nuovo e innovativo… ma andiamo per gradi.

Un tuffo nel passato

La storia vede i tre classici eroi, Sonic, Tails e Knucles, alle prese con il nuovo piano del dott. Eggman: lo scienziato, in compagnia dei sui nuovi sgherri, gli Hard Boiled Heavies, ha intenzione di usare la potentissima gemma del tempo per viaggiare nel tempo e recuperare ciò che serve per poter dominare Little Planet. Una volta estratta la gemma dal terreno, Sonic, Tails e Knulckles (che semplicemente si stava facendo i fatti suoi sotto un albero) vengono inghiottiti dal vortice temporale sprigionato da quest’ultima, e sarà allora che la nostra avventura avrà inizio fra le zone più classiche del passato. Sonic Mania non è solamente un richiamo a un passato nostalgico ma è un gioco che unisce ciò che ha reso leggendaria la saga a nuove idee. Troviamo le zone più tipiche della serie, come le celebri Green Hill Zone, Chemical Plant Zone e Oil Ocean zone, insieme a molte altre nuove, come Press Garden Zone e la fantastica Studiopolis Zone. Ogni livello, come da tradizione diviso in due atti, è sempre originale e aggiunge sempre qualcosa di nuovo senza che questi elementi siano scontati o noiosi. La grafica è chiaramente ispirata a quella dei titoli del Mega Drive, migliorata con più frame di animazione e  con fondali più ricchi, rotazione totale degli sprites e colori più vividi e vibranti. Il level design è perfetto e soddisfa sia chi vuole esplorare il livello più nel dettaglio sia chi invece preferisca sfrecciare dall’inizio alla fine nonché, sempre come da tradizione, premia il giocatore se si mantiene sulla parte alta del livello con più rings, power up, principalmente presi da Sonic 3, e ha più probabilità di finire in una delle aree bonus utili per ottenere le Chaos Emerald che permettono a Sonic di diventare Super Sonic. Questa area bonus si rifà a quella di Sonic CD in cui Sonic correva in un una specie di mondo in Mode-7 e doveva rompere degli UFO sparsi per il livello; qui il concept è stato sia semplificato, mettendo solamente un ufo, sia migliorato dalle sfere blu che permettono di correre più veloce e i rings che serviranno per allungare il tempo a nostra disposizione per il nostro bonus. Tutto questo condito con una grafica da Sega Saturn: modelli poligonali semplici, ben colorati e pieni di nostalgia. Ancora come da tradizione in questo gioco passando da un checkpoint con più di 25 rings è possibile accedere all’altra area bonus: il labirinto delle sfere blu di Sonic 3. Chi ha una grande pazienza, e sa anche come fare apparire i rings, ha la strada più o meno spianata ma la novità, visto che i Chaos Emerald sono riservati all’altra area bonus, sta nel fatto che bisogna collezionare non solo tutte le sfere blu ma anche i rings indicati nella parte alta dello schermo. Quando avremmo ottenuto tutte le sfere blu, e se avremmo raccolto il numero di rings indicato, otterremo un gettone d’argento o dorato; il numero dei gettoni permette di sbloccare gli extra del gioco come la modalità debug e il minigioco Mean  Bean, praticamente una versione di Puyo Puyo che si rifà a sua volta al suo spin-off su Mega Drive in cui il dott. Eggman era il protagonista. Il gioco è diviso in quattro campagne, ovvero una per personaggio più una che include sia Sonic che Tails controllato dal computer o, dividendo i joycon (nella versione per Nintendo Switch) fra due giocatori, da un amico. Questa avventura sarà accompagnata dalla magistrale colonna di Tee Lopes che si alterna fra i temi classici della serie e pezzi inediti, fra strumenti digitali e sintesi FM usata anche per dar vita agli effetti sonori.

«You’re too slow»

Sonic Mania è decisamente una lettera d’amore rivolta a tutti i fan della serie ma forse questo potrebbe far desistere qualche giocatore alle prese per la prima volta con un titolo della saga. Non tutti forse sono in grado di comprendere gli easter egg e i cameo netti per i più devoti fan di Sega, come quei cartelli wanted nella Mirage Saloon Zone, l’insegna “Pinkbot” in Studiopolis Zone che richiama Streets of Rage su Mega Drive, il furgoncino “Hornet” che richiama Daytona Usa, la boss battle di Chemical Plant Zone che non è altro che un livello del già citato spin-off Dr. Robotnik Mean Bean Machine per Mega Drive, una boss battle che in sé è un intero easter egg! Sonic Mania è una vera e propria enciclopedia Sega, un titolo decisamente per i più nostalgici ma non per questo merita di passare inosservato dai giocatori più casual; con la giusta apertura mentale, Sonic Mania risulterà, come molti altri platform in questo stile, un gioco divertentissimo, dai controlli intuitivi, attuale e difficile al punto giusto. Il retrogaming ormai va di moda e alcuni giochi sono semplici richiami a un passato ormai andato, ma non questo. Vedete Sonic Mania come uno Star Wars EP 7: The Force Awaken: un modo per mandare avanti una serie i cui fan erano rimasti con l’amaro in bocca, un dare ai fan qualcosa di nuovo pur restituendo tutto quello che avevano reso grandi i precedenti titoli creando così un equilibrio perfetto. I diversi contenuti garantiscono ore e ore di gioco che ci riporteranno indietro nel passato ma ci terranno comunque ancorati in un presente ancora vivissimo e tutto da giocare. Un gioco come questo, ai tempi degli anni neri di Sega, avrebbe forse salvato l’ex gigante che ha avuto la possibilità di mettere in ginocchio Nintendo. In poche parole: «To be this good takes AGES»!




Destiny 2

Destiny 2 non è certo un gioco da recensire dopo poche ore di gameplay: bisogna dedicargli il giusto tempo per scoprire e completare la maggior parte delle missioni sia primarie che secondarie e fare la conoscenza più approfondita di attività un po’ più complesse come gli Assalti, il Cala la Notte o L’Incursione.
È per questo motivo che ho voluto scrivere questa recensione dopo giorni di prova e soprattutto dopo l’uscita delle attività end-game come il raid e le Prove dei Nove.
Ma, adesso che ogni angolo è stato esplorato, veniamo un po’ a questo nuovo, succulento titolo di Bungie.

Il 9 settembre 2014 fa ha fatto la sua comparsa il primo capitolo e, a distanza di ben 3 anni dall’uscita del suo celebre FPS, Bungie torna con il sequel di uno shooter sci-fi che ha lasciato il segno con componenti RPG e soprattutto con una marcata impostazione social.
Il nuovo capitolo firmato Bungie è stato presentato durante una live tenutasi su Twitch il 31 marzo 2017, live streaming che è stata preceduta da un piccolo trailer che accennava la trama che avremmo trovato in Destiny 2.
Infatti, essendo un sequel, i fatti accaduti durante i 3 anni di Destiny si riprendono anche nel secondo capitolo, ma Bungie ha fatto sì che anche chi non avesse mai giocato Destiny e quindi non conoscesse approfonditamente la lore potesse senza problemi, seguire la trama, che risulta molto piacevole e intrigante.

Una delle caratteristiche che ha lasciato insoddisfatti moltissimi giocatori nel primo capitolo è stata infatti la storia, che presentava buchi di trama e una pessima narrazione, ma con Destiny 2 Bungie è riuscita a colmare in gran parte questo vuoto, creando una trama avvincente e allo stesso tempo lineare e ben strutturata. La nostra avventura comincia con il rapimento, da parte della Legione Rossa dei Cabal, del Viaggiatore, figura misteriosa che ha donato alla Terra e agli esseri umani la Luce, una forza che ha creato i Guardiani, fornendo loro dei poteri sovrannaturali, come lo Spettro che riesce a riportare in vita il proprio guardiano.
Il rapimento del Viaggiatore, però, ha causato la perdita di questo potere e l’attacco dei Cabal, guidati dal comandante Ghaul, ha solo peggiorato le cose, creando un mondo senza Luce e pieno di distruzione.
Il piano di Ghaul non è quello di distruggere il Viaggiatore, ma quello di impossessarsi della Luce e usarla per creare un esercito Cabal immortale.
Le circa 15 missioni di storia sono parecchio lunghe, se paragonate a quelle di Destiny, e regalano più di 12 ore di gioco. Anche la trama è migliorata moltissimo, si nota una più grande attenzione verso il metodo di narrazione, inserendo varie cutscene che riescono a raccontare e a rispondere a molti interrogativi che aveva lasciato il precedente capitolo. L’ottima trama è sorretta da una personalizzazione dei personaggi che è indubbiamente eccellente.
La longevità della storia è sorretta da molte missioni secondarie, chiamate Avventure, che ci offrono parecchie altre ore di gameplay. Le avventure sono sparse per tutti i pianeti/satelliti che visiteremo, ma molte missioni faranno riferimento ad avvenimenti accaduti durante il primo capitolo, quindi, se non si è a conoscenza della lore di Destiny, alcune parti potranno presentarsi poco chiare, ma non più di tanto, visto che i riferimenti sono superficiali e semplici, dato che Bungie ha voluto mantenere un legame con la storia dietro Destiny rendendo fruibile a tutti il contenuto del secondo capitolo.

La nostra avventura ci porterà a visitare i satelliti Titano, Nessus e IO e, come nel primo capitolo, il pianeta Terra.

Titano, luna più grande di Saturno, è stato invaso dall’Alveare. La particolarità di Titano è quella di non avere una terra ferma, e la nostra avventura si svolgerà all’interno di una gigantesca stazione di estrazione del metano.
Nessus è invece un asteroide che orbita attorno al Sole, a Giove e a Nettuno: questo planetoide sarà colonizzato dai Vex, che lo hanno reso simile a Venere. Su Nessus faremo la conoscenza di FailSafe, la simpatica voce che ci ha accompagnato durante la Beta.
Ultimo satellite che incontreremo sarà IO, satellite naturale di Giove, in cui troveremo basi cabal e incontreremo anche i caduti.
In questi luoghi si potranno svolgere, oltre alle missioni secondarie, anche delle speciali attività chiamate “Settori perduti“, che prevedono l’arrivo di orde nemiche e un mini-boss da sconfiggere per poi aprire la cassa che custodisce.
Queste attività rendono sicuramente il gameplay di Destiny 2 molto più duraturo, si potranno contare circa 50 ore di gioco, per completare tutte le attività principali e non, se contiamo anche la possibilità di creare altri 2 personaggi e quindi rifare queste attività, la durata complessiva del titolo si triplica.

Se Bungie, tramite trama, narrazione e ambienti, è riuscita a migliorare quello che era il progetto iniziale di Destiny, con il Crogiolo (modalità PvP) ha fatto qualche passo indietro, creando un ottimo e divertente gunplay, ma al contempo lasciando al giocatore ben poca scelta delle attività.
Il gunplay del primo capitolo è stato completamente stravolto: non ci sono più scontri 6v6 o 3v3, ma tutte le partite si svolgono con una squadra composta da 4 giocatori, quindi un 4v4; la disposizione delle armi è cambiata, adesso fucili a pompa, fucili di precisione e fucili a fusione appartengono alla categoria delle “Armi distruttive“, lasciando il posto ai fucili automatici, a impulsi, da ricognizione e ai cannoni portatili, che occuperanno il primo slot e il secondo.
Le modalità che potremo scegliere saranno: “Partita Veloce” e “Partita Competitiva“.
Partita Veloce ci farà giocare a modalità come “Scontro” o “Controllo“, mentre l’altra playlist ci darà l’opportunità di lanciarci in attività competitive come “Detonazione” o “Sopravvivenza“.
Il tutto è accompagnato dai commenti di Lord Shaxx che ci divertirà con le sue stravaganti frasi ad effetto ed esilaranti esultanze.

Per salire di potere, Destiny 2 ci offre la possibilità di esplorare i nuovi satelliti e affrontare eventi pubblici, missioni secondarie e Settori Perduti per poter ricevere armamenti più potenti, ma è qui che arriva il tasto dolente: il Farming.
Il grinding è diventato molto semplice, basta completare una partita nel Crogiolo (sia vinta che persa), un evento pubblico o una qualsiasi attività per poter ricevere armamento raro o leggendario, quindi basta ripetere queste attività per riuscire a salire velocemente di livello.
Ma il grande problema è il loot-system che, sì, riesce a regalarti armamenti più forti, ma non gratifica per niente. Tutti possono ricevere un loot più potente del tuo anche se hanno fatto una pessima partita in Crogiolo, perdendo.

Passando all’aspetto tecnico di Destiny 2, non si può non soffermarsi sul motore grafico utilizzato che è lo stesso del precedente capitolo, ma con modelli poligonali dei vari nemici, personaggi e NPC completamente rivisti. Adesso le skin sono molto più curate e dettagliate, così come gli ambienti, molto più vasti, godono di giochi di luce e ombre che rendono il tutto un po’ più realistico il titolo.
La grafica rende il gioco molto più piacevole agli occhi, regalando a Destiny 2 un tocco di “next-gen”, anche se il gioco continua a girare a 30 FPS fissi anche sulle console più potenti come PS4 Pro e Xbox One X.
Eccellente anche il comparto sonoro, con soundtrack che ben si amalgamano alle ambientazioni e ai ritmi di gioco, creando un’atmosfera che contempera benissimo l’elemento epico con il mistero che permea l’intera storia.
Bungie ci ha viziati con le magnifiche soundtrack di Destiny, e continua a farlo con questo nuovo capitolo, con le composizioni di Michael Salvatori, Skye Lewin, Paul Johnson, Rotem Moav e Pieter Schlosser.

Bungie ha saputo imparare dagli errori commessi nel primo Destiny ed è ritornata con un secondo capitolo bello, avvincente ed equilibrato, con una buona trama e un gameplay unico.
Anche un neofita riuscirà a godersi l’enorme panorama di attività che Destiny 2 offre, riuscendo ad ammaliare la maggior parte dei giocatori con un mix di trama, gameplay e con un comparto tecnico davvero ben congegnato.




F1 2017 – L’unico Modo per far Vincere Ferrari

La Formula 1 è il campionato motoristico per eccellenza, uno sport d’elité con i piloti migliori del mondo a bordo delle auto più veloci del mondo. Da quando Codemasters detiene i diritti di questo brand, ha avuto il merito di riportare in auge questo sport anche a livello videoludico e, da allora – a parte il tonfo della versione 2015 – si è sempre ben comportata, facendo uscire ottimi titoli. In un anno in cui nella realtà si è arrivati a uno stravolgimento dei regolamenti, con auto completamente diverse e sicuramente più performanti, ecco che la casa inglese si è dovuta adeguare, portando con F1 2017 tutte le novità di questa stagione; ma non solo.

L’imbarazzo della scelta

Ovviamente il fulcro principale dell’offerta risiede nel Campionato di Formula 1 ufficiale, in cui, una volta scelto il team d’appartenenza, gareggeremo in ognuna delle 20 piste presenti nel calendario. Tutto parte dalla creazione del nostro alter ego digitale, scegliendo conformazione del volto, nazionalità e il casco. La scelta del team non sarà banale: se è vero che siamo liberi di scegliere qualsiasi auto sin da subito, gli obbiettivi di ciascuna squadra differiscono in base al blasone e ai risultanti ottenuti nel campionato reale; risulta quindi più semplice partire con una Renault piuttosto che con una Mercedes, in quanto, scegliendo la “Stella d’Argento”, saremo costretti a puntare sempre al podio per tenerci il posto in squadra.
Ma le modalità presenti sono davvero tante: tralasciando il classico multiplayer, dove non ci sono novità particolari rispetto gli anni precedenti, possiamo confrontarci con gli Eventi, una serie di piccole gare a tema, che riproducono azioni salienti avvenuti durante la stagione in corso. Gli eventi a disposizione vengono continuamente aggiornati e potremmo cimentarci ad esempio nella rimonta di Sebastian Vettel al Gran Premio del Canada, in cui dalla 18esima posizione, rimontò sino alla quarta. Sono eventi che avvicinano ancor di più il videogioco alla controparte reale, diventando un titolo estremamente consigliato a tutti gli amanti di questo sport.
Se ciò non bastasse abbiamo a disposizione una serie sterminata di campionati ai quali partecipare, tutti di natura diversa grazie anche alla presenza di vetture che hanno fatto la storia della Formula 1, dalla McLaren di Senna, alla Ferrari F2004 di Michael Schumacher, che permettono una varietà di situazioni altrimenti inaccessibili. Sono presenti campionati che prevedono solo circuiti cittadini, altri l’utilizzo di vetture di una certa annata e così via. Oltre a questi vi sono eventi specifici dedicati a tali vetture, che si interpongono anche tra i vari weekend del campionato ufficiale. Questi eventi, definiti “per gli sponsor”, sono gare dalle caratteristiche particolari in cui dovremmo cimentarci in gare di sorpasso o d’inseguimento.
Concludono l’ottima offerta le classiche gare veloci che permettono di cimentarsi con qualunque vettura, sia contemporanea che classica, in tutti i circuiti presenti, compresa qualche variante più corta. Anche queste gare non saranno mai banali, in quanto potremmo regolare un’infinità d’impostazioni, al fine di creare l’evento che più ci aggrada.
F1 2017, conscia dei passi falsi fatti nell’ultimo biennio, porta così una grande varietà di contenuti single e multiplayer che vi terranno incollati allo schermo fino all’uscita del prossimo titolo.

1000 CV tra le mani

Una volta scesi in pista notiamo subito una novità intrinseca di questo titolo: le vetture 2017 sono più grandi, più potenti e con un grip maggiore rispetto all’anno precedente. Cambia, quindi, l’approccio, ma, se è vero che possiamo affrontare curve a maggiore velocità, l’uscita da esse diventa sempre un fatto di preoccupazione in quanto, ad un accelerazione vigorosa, molte volte corrisponde un testacoda. Inoltre, nemmeno la rinnovata larghezza delle auto è da sottovalutare: i circuiti cittadini, come Monaco o Singapore, potrebbero diventare un incubo, soprattutto sotto pioggia battente. Bisogna quindi fare attenzione a così tanti parametri da sentirsi realmente un pilota di Formula 1, digitale almeno.
Già a partire dalle prove libere, dovremo effettuare una serie di prove diverse, atte a raccogliere più dati possibili su tracciato e vettura. La familiarizzazione del tracciato ci permetterà di studiare le giuste traiettorie di gara, prove di gestione di carburante e gomme, test sui giri da qualifica e prove di costanza diventano fondamentali non solo per studiare bene il circuito, adeguare l’assetto della vettura ed elaborare strategie, ma anche per collezionare dei punti necessari allo sviluppo della vettura. Come nella realtà infatti, le vetture di Formula 1 sono dei veri laboratori su ruote, in continua evoluzione: lo sviluppo di nuove componenti si attua su un reticolo di potenziamenti da installare che spaziano dall’aerodinamica, alla meccanica, sino al controllo finale di qualità necessario per avere l’ok finale al montaggio del nuovo pezzo. Una volta aggiunti nuovi componenti potremmo acquisire dei vantaggi di prestazioni rispetto alla concorrenza, aiutandoci così ad ottenere risultati migliori.
Ritorna anche la gestione della Power Unit, l’insieme di motore a combustione e tutte quelle componenti elettriche atte al recupero dell’energia cinetica come MGU-K e MGU-H che man mano che si andrà avanti subiranno problemi di efficienza dovuti al consumo e che quindi di volta in volta andranno sostituiti, rispettando però il regolamento, visto che il numero di queste componenti è limitato.
Anche la gestione della rivalità col compagno di squadra sarà un elemento da non sottovalutare, in quanto diventare Primo pilota, in base ai risultati ottenuti, ci permetterà di ottenere nuovi componenti sviluppati per primi e usufruire così dei vantaggi ottenuti.
Dopo aver quindi effettuato prove e qualifiche ecco che ci si ritrova in gara, sulla griglia di partenza. Potremo scegliere se effettuare il cosiddetto giro di ricognizione in cui controllare il tracciato e scaldare le gomme, fino alla tanta adrenalinica partenza: pigiare la frizione, salire coi giusti giri motore, e rilasciare al momento giusto, farà la differenza tra guadagnare o perdere posizioni sin dal via.
Comincia così una lotta serrata, in ogni Gran Premio, per ogni posizione, ostacolati da una più che buona intelligenza artificiale che ci darà filo da torcere ma stando attenti ad evitare inutili contatti.
Un aiuto prezioso arriva dal computer di bordo, quest’anno strapieno di parametri a cui stare attenti: alla sola pressione di un tasto, di volta in volta, potremmo verificare condizioni di gomme, freni, power unit, gestire la densità della benzina e il suo stato, ripartizione frenante e cambiamento di strategia. È un vero e proprio hub, in cui lo stato della vettura viene costantemente monitorato. Anche dal muretto dei box, il nostro ingegnere di pista sarà una presenza costante e utile nel comunicare informazioni; possiamo anche porre noi delle richieste, o con l’apposito menu digitale o attraverso il microfono, a voce: distanza dal nostro avversario diretto, informazioni generali sulla gara, meteo e tanto altro, diventa a portata vocale, aiutando di molto il controllo vettura, evitando inutili distrazioni e soprattutto migliorare l’immedesimazione.

Il titolo di quest’anno dunque, porta tutta l’esperienza maturata con i capitoli precedenti su nuovi livelli, creando probabilmente il miglior titolo di Formula 1 degli ultimi anni. E una delle feature dei titoli Codemasters torna anche qui, ovvero un’attenta gestione della difficoltà, di gestione della vettura e IA. Sono tanti i parametri su cui potremo intervenire, adattando la difficoltà a chiunque. La vettura sarà quindi più o meno difficile da controllare in base ai vostri gusti e anche l’intelligenza artificiale si comporterà di conseguenza. Proprio le vetture, le vere protagoniste, continuano la lunga tradizione di paritaria unione tra simulazione e arcade: per quanto la vettura senza aiuti di guida sia difficile da tenere in pista, soprattutto sul bagnato, con tutti gli aiuti attivi si andrà quasi su binari e fare un errore diventa praticamente impossibile. La varietà di situazioni, grazie al meteo dinamico e/o incidenti che potrebbero far entrare in scena safety car o virtual safety car, rendono ogni gara unica e soprattutto viva. Ogni GP sarà una continua battaglia sui decimi di secondo che, alle difficoltà più elevate, faranno la differenza.
Infine una chiosa sulle vetture classiche, su cui è stato fatto un buono studio, comportandosi in maniera completamente diversa rispetto all’era d’appartenenza: la McLaren di Senna, un mostro turbo di circa 1200 CV sarà un cavallo imbizzarrito mentre, una moderna Red Bull, meno potente ma con poco carico aerodinamico, risulterà un po’ più semplice. Non siamo sui livelli di un Assetto Corsa, ma per un titolo del genere portare tutta questa varietà è sicuramente un lavoro ottimo e che difficilmente può essere trascurato.
Da segnalare  – ma sono sottigliezze, almeno per ora – una mancanza reale della gestione del proprio alter ego digitale: quindi niente interviste ad esempio, ma magari, con la nuova esperienza che EA sta maturando con Alex Hunter in FIFA, un giorno anche Formula 1 potrà contare su tale feature, sicuramente accattivante.

Bello, ma non bellissimo

Il nuovo Ego Engine, che ha debuttato nel 2015, comincia a dare i suoi frutti dopo qualche anno di sviluppo: le vetture sono squisitamente modellate, sia le contemporanee che le classiche. Tutti i dettagli sono al loro posto, considerando che le auto sono più complesse rispetto agli anni passati. Texture di buona qualità, ottimi shader e filtri regalano un’esperienza visiva davvero ottima, toccando il picco nelle piste in notturna come Singapore in cui, le cui le luci dinamiche si aggiungono in un contesto già ottimo, diventando quasi fotoreale. Fanno meno gridare al miracolo la modellazione e la resa degli elementi di contorno come alcuni edifici e il pubblico, oltre alla realizzazione del personale e dei piloti che deludono un po’, contando anche su animazioni poco eleganti. I danni alle vetture, nonostante i paletti imposti dalla FIA, sono bene realizzati e sono un deciso passo avanti rispetto ai titoli precedenti.
Nonostante l’ampia personalizzazione delle caratteristiche tecniche, marchio ormai di fabbrica della casa inglese, fanno fastidiosamente la loro comparsa alcuni cali di frame rate in condizioni particolari come tante vetture presenti contemporaneamente e durante un’acquazzone, più un tearing a volte fin troppo evidente.
Da segnalare l’utilizzo ufficiale delle grafiche FIA per ogni gran premio e il commento di Carlo Vanzini, telecronista per SKY, e del pilota Luca Filippi al commento tecnico. Per quanto si senta la lettura di un copione, Vanzini fa un ottimo lavoro, introducendo tutti i gran premi, cercando di portare – per quanto può –  il suo stile. Luca Filippi, per quanto puntuale è un po’ troppo monòtono, mancando di enfatizzare alcuni momenti, spegnendo così l’entusiasmo.
Musiche d’accompagnamento discrete vengono soppiantate dalla buona realizzazione dei suoni delle vetture e di contorno: ogni rombo delle diverse annate è ben riprodotto, passando da rochi suoni odierni agli ululanti V12 degli anni 2000. Anche gli altri suoni, come i vortici generati da un passaggio ravvicinato ad alta velocità tra le barriere e gli stridii degli pneumatici danno un tocco di realismo in più che aiuta l’immedesimazione.

In conclusione

F1 2017 riesce nell’intento di portare a tutti gli appassionati un titolo di ampio respiro e davvero immenso. Le tante modalità presenti sono ben realizzate portando il giocatore al senso d’appagamento in ogni frangente. Il campionato ufficiale gode di tutte le migliorie apportate in questi anni da Codemasters, avvicinandosi sempre più alla controparte reale, pieno di elementi gestionali ma che, per alcuni vincoli della FIA, sono impossibili da ampliare – almeno per ora. Vetture classiche che fanno in loro ritorno in pista più belle che mai sono in grado di far saggiare, soprattutto ai più giovani, tutta la storia recente della Formula 1, con tutte le differenze del caso.
È un titolo da non farsi scappare se siete amanti di questo sport, in grado di contribuire a riportare entusiasmo in una Formula 1 che cerca di uscire dalla crisi.




Agents of Mayhem

Ci troviamo in un periodo storico che sta segnando un netto divario nel settore videoludico, ci si discosta sempre più dalle correnti “arcade“, soprattutto quando si parla di alcuni generi in particolare, a favore di una buona narrativa e del coinvolgimento emotivo del giocatore. Ne abbiamo avuto l’esempio con moltissimi giochi di recente uscita, soprattutto nel panorama indipendente, per citarne uno su tutti, Last Day of June, gioco che punta chiaramente tutto sul peso della narrazione.
Agli antipodi, i ragazzi di Volition Deep Silver rielaborano una “vecchia” ricetta, in parte già utilizzata in passato. Prendete un frullatore e buttateci dentro:

  • Tutto il bello dei Saints Row, vecchie glorie della software house
  • Personaggi cartooneschi
  • Armi improbabili
  • Automobili avveniristiche da urlo
  • Città futuristiche
  • Nemici ignoranti
  • Una storia “non storia”
  • Una gnocca a capo della nostra organizzazione
  • Boss semi-robotici
  • Il doppio salt… ma che dico, il triplo salto!
  • Il viola – dico sul serio è ovunque, diverrete ossessionati dal viola, anche il joypad della vostra PS4 avrà il suo sensore luminoso… viola!
  • Una gnocca a capo della nostra organizzazione – eh… l’ho già detto?

Ok! Adesso frullate tutto per bene e poi pigiate sulla  su “Nuova Partita” in Agents of Mayhem!

Welcome to Seoul!

Tutto ha avuto inizio in una tranquilla e soleggiata giornata in quel di Seoul, quando d’un tratto dal cielo iniziarono a piovere strane capsule giganti – molto simili ad astronavi… o erano più astronavi simili a capsule? – contenenti centinaia di nemici in eso-tuta spaziale, chiamati Legion, armati fino ai denti, pronti a distruggere l’intera, ridente città. Ma ecco che, quando tutto sembra ormai perduto, 3 super agenti, Hollywood, Fortune e HardTack, si fiondano, da qualche parte su nel cielo, via per un condotto, che li farà precipitare sul luogo dello scontro atterrando “super-eroicamente” indenni. Questo scontro costringerà gli agguerriti nemici a rinchiudersi in una delle loro basi segrete e i nostri intrepidi eroi a scovarli.
Tutto questo verrà rappresentato con un simpatico cartoon che ci inizierà poi al tutorial del gioco. Tutorial che appare sin da subito semplice e divertente, proprio per l’anima arcade del gioco. Ci verranno illustrate le modalità di attacco per ognuno dei primi 3 personaggi che avremo a disposizione all’inizio del gioco, che fondamentalmente si riducono a: attacco semplice, attacco “melee” (corpo a corpo) o “dodge” (schivata). A queste vanno aggiunte le abilità speciali e le abilità Mayhem (davvero distruttive e variegate da personaggio a personaggio).

Prima una Panoramica

Come è ben chiaro sin dall’inizio, lo scopo del gioco è quello di eliminare da tutto il territorio la presenza dei Legion, quindi, una volta completato il tutorial, avremo finalmente accesso al nostro Quartier Generale, chiamato ARK. Lì verremo convocati da Persephone, la donna a capo dell’organizzazione, che ci farà il punto della situazione. All’interno della struttura, saranno presenti dei negozianti, grazie ai quali potremo potenziare il nostro equipaggiamento come anche il QG stesso, poiché migliorando la presenza del Mayhem sul territorio, avremo accesso a nuove tecnologie che favoriranno la nostra squadra durante le missioni. Sarà possibile, inoltre, selezionare nuove missioni, contratti, sfide o reclutamenti, necessari, questi ultimi, per poter reclutare gli altri 9 super agenti del Mayhem.

A questo punto, vi starete chiedendo se esiste la possibilità di esplorare liberamente Seoul, alla scoperta di collezionabili e quant’altro: sì, sarà possibile farlo dall’ARK, tramite il menù di selezione delle missioni. In città, potremo prendere possesso di diverse autovetture civili, un po’ come in tutti i giochi di questo genere, ma l’agenzia ce ne darà una tutta nostra, reperibile in qualsiasi momento grazie alla pressione di un tasto sul joypad; sarà possibile sostituire questo veicolo trovando dei “moduli progetto“, sparsi nei numerosissimi forzieri presenti nella vasta mappa di gioco. I forzieri, potranno contenere anche denaro, gadget e diversa componentistica per lo sviluppo di nuove armi o abilità.

Durante l’esplorazione, quasi sicuramente ci imbatteremo in qualche sanguinosa sparatoria con i nemici che infestano le strade della città. Per nostra fortuna, per favorire il nostro giro turistico, avremo a disposizione un’abilità comune a tutti gli agenti… il triplo salto in alto!
Grazie ai nostri salti – mirabolanti direi – riusciremo a muoverci agevolmente tra quasi tutti gli edifici del gioco, permettendoci, oltre che a sfuggire dai soldati dei Legion, anche di raccogliere alcuni dei forzieri nascosti sui tetti o dei fluttuanti frammenti di cristallo rossi. Raccogliendo 10 frammenti, otterremo un nucleo, che ci servirà per l’ apprendimento di una delle 3 capacità uniche di ogni agente Mayhem.

Le tre “S”

Salta, Spara e Schiva! Questo è Agents of Mayhem.

Il gameplay di AoM è molto intuitivo. Sin da subito si ha un gran feeling con il joypad e con tutte le abilità del nostro personaggio. É facile muoversi nel mondo di gioco, immediatamente vi ritroverete a saltare di palazzo in palazzo senza neanche rendervene conto. Lo stesso non può dirsi del sistema di guida delle vetture, risulta un po’ legnoso e poco preciso, soprattutto nelle curve e l’uso del freno a mano, posso assicurarvi che non vi aiuterà così tanto.
Alcuni spunti da GDR, come il livellamento dei personaggi e dello stesso Quartier Generale, rendono questo titolo ancora più appetibile. L’acquisizione dei punti esperienza, ha un ruolo fondamentale nel gioco: bisognerà accumularne molta nelle missioni, per far salire di livello gli agenti, l’ARK e quindi progredire poi con altre nuove missioni che si sbloccheranno man mano.
Il sistema di combattimento è ben congegnato, difficilmente capiterà che possa non piacervi uno degli agenti. Sono tutti molto diversi tra loro, caratterizzati magistralmente, ognuno con uno stile di combattimento interessante e ben studiato. Come l’agente Yeti, un gigante sovietico, che avrà a disposizione un’arma spara ghiaccio potentissima, oppure Kingpin, un gangster di quartiere, che una volta assoldato da Persephone, la nostra affascinante capo-organizzazione, si avvarrà della potenza di una piccola mitragliatrice e di uno stereo, per stordire i nemici a suon di rap mentre li picchia selvaggiamente!

Che dire dei Legion? Sicuramente non saranno tantissimi, ma ci accontenteremo del fatto che siano davvero fighi. Non avranno una gran barra di energia ma fanno parecchio male, specialmente quando ci ritroveremo nel bel mezzo del fuoco incrociato. A volte, dopo una manciata di soldati semplici, vedrete apparire una sorta di super-soldato duro a morire, all’eliminazione del quale riceveremo diverse ricompense e molti PE (punti esperienza).

Impressioni… di settembre

Pollice in su quindi per Agents of Mayhem: lo si potrebbe definire un surrogato di svariati giochi, all’interno si notano chiari richiami ai Saints Row, soprattutto agli ultimi capitoli della saga, ma anche alcuni spunti di Crackdown 1 e 2, vecchia IP per Xbox e Xbox360, di cui si aspetta il sequel su Xbox one.
Graficamente il gioco è molto accattivante, bellissimi i modelli dei personaggi come anche l’intero environment, con stupendi colori vivaci e quell’accenno di cel-shading che ci sta su come la ciliegina sulla torta.
Di certo è uno di quei giochi che quando smetti di giocare, non vedi l’ora di poter ricominciare. Sono talmente tante le trame da poter seguire che non annoia mai, ti fa venir voglia di giocare per ore e ore. Stanco di proseguire per la trama principale? Bene allora svolgi i contratti, recluta nuovi agenti, completa le sfide e le attività o più semplicemente scendi in città ed esplorala in lungo e in largo!
Agents of Mayhem terrà i cacciatori di platino incollati allo schermo per molto… moltissimo tempo.




Life is Strange: Before The Storm – Episodio 1: Svegliati – Una Parola è Troppa e due sono Poche

Life is Strange è oggi conosciuta come una delle migliori avventure grafiche degli ultimi anni, avvalendosi di molti premi e sicuramente una delle migliori sorprese del 2015. Con uno stile peculiare e soprattutto una caratterizzazione di personaggi e ambienti di molto sopra la media, il titolo – o per meglio dire – la serie Dontnod Entertainment è riuscita a creare una storia tangente il Teen drama ma lontano dalle banalità che purtroppo siamo abituati a vedere ultimamente: tante, belle, storie personali, tanti intrecci e soprattutto messaggi di fondo che rimangono impressi, magari per alcuni scontati, ma narrati con una tale forza, che difficilmente potrete trovare lo stesso in opere simili. In attesa della seconda stagione, prevista per il 2018, Deck Nine Games – sviluppatore in questa occasione – ci porta di nuovo ad Arcadia Bay, cittadina protagonista delle prime vicende, ma due anni prima. Before the Storm è infatti un prequel, dove approfondiremo la natura di Chloe ma soprattutto quella  di Rachel Amber, perno del primo Life is Strange.

The Chloe show

Svegliati è il primo di tre capitoli che usciranno prossimamente. Sin da subito si può notare un cambio stilistico che incide soprattutto sui dialoghi, più incisivi, diretti e sicuramente più conformi alla ben più temeraria e ribelle Chloe, rispetto alla timida Maxine che abbiamo conosciuto in precedenza. Nonostante questo, e l’assenza soprattutto del riavvolgimento temporale, Before the Storm è un Life is Strange in tutto e per tutto, dove protagoniste diventano le storie, prima dei singoli personaggi. Proprio come la serie ci ha abituato, il tutto è un intreccio di parole, pensieri, ansie e paure di ragazzi e ragazze che sognano un futuro quanto più roseo a dispetto delle difficoltà.
Molte delle domande fatte nell’opera originale troveranno subito risposta in questo primo episodio a cominciare da Rachel Amber, figura divenuta quasi mitologica nel corso dell’avventura. Grazie all’ottima scrittura sapevamo già molto, ma vederla e interagire con lei è tutt’altra cosa: una ragazza modello, bellissima, intelligente, affascinante, forse troppo bella per essere vera. Nelle circa tre ore della nostra vita passata insieme a lei notiamo però tutte le fragilità di una ragazza che si appresta a diventare donna, ignara del destino che l’attende. Ma è proprio il rapporto tra lei e Chloe il vero protagonista di questo prequel e che probabilmente verrà sviscerato più avanti: un rapporto basato su bisogni diversi ma reciproci, che comincia quasi per caso ma che segnerà profondamente la vita di entrambe. Chloe e Rachel risultano una coppia meglio assortita – e forse più bella da vedere – rispetto a Chloe e Max proprio perché, come vedremo meglio tra poco, è un rapporto più vero e scaturito da una sola e singola scelta. Decisioni che si scontreranno anche con vecchie conoscenze, più o meno simpatiche, per le vie di Arcadia Bay. Anche qui, personaggi che abbiamo imparato a conoscere mostreranno qualcosa di nuovo, arricchendo il puzzle della loro caratterizzazione.
Anche l’avere tre capitoli a disposizione, rispetto ai cinque precedenti, aiuta a condensare le vicende eliminando il più possibile i cosiddetti tempi morti. Il risultato è che già a partire da Svegliati assistiamo a tante vicende diverse, tutte con il proprio peso e momenti che non annoiano.

Ne uccide più la lingua che la spada

Uno degli elementi distintivi di Life is Strange, nonché della tipologia di gioco in questione, è la serie di dialoghi a scelta multipla, che possono più o meno, influenzare la direzione che prenderanno alcune vicende.
Se però, nell’opera originale, potevamo contare quasi su un checkpoint volontario, sfruttando il potere di Max, qui le cose si fanno più complicate in quanto, come nella realtà, si sceglie una volta sola. Se siamo abituati a farlo con titoli Bioware, ad esempio, in un titolo come questo ogni decisione ha un reale peso specifico non solo in base al carattere del nostro interlocutore ma anche al contesto. Bisogna prestare attenzione a ciò che viene detto, a quando viene detto e soprattutto al “come”. Ne consegue così un’attenzione per i dialoghi che raramente si vede in altre opere, con una scrittura sapiente e calibrata. Proprio riguardo l’attenzione al dialogo è riservata una feature particolare, novità introdotta con questo capitolo e  – possiamo dirlo – peculiarità di Chole: alcuni dialoghi di un certo peso, che influenzano in maniera più determinante il corso della storia, diverranno delle vere e proprie boss fight in cui bisognerà prestare ancora maggiore attenzione alle parole pronunciate dal nostro rivale per ritorcergliele contro.
Oltre alla scorpacciata di linee di testo, è presente l’ormai rodata esplorazione dell’ambiente, sempre in terza persona, che in questo frangente diviene ancor più importante: trovare oggetti, carpire frasi dette da terzi e, novità, vie alternative, diventano tutti elementi che influenzeranno le vicende. Quindi, non è importante soltanto cosa dite, ma anche cosa fate e come. Questo porta a una rigiocabilità infinita, cercando di studiare tutti gli intrecci possibili in un’Arcadia Bay mai così viva.
Come Maxine, anche Chloe possiede un suo diario e, ovviamente, l’immancabile cellulare: se sul diario troveremo tutti i suoi pensieri dedicati ai fatti accaduti e persone incontrate, gli sms del telefono saranno ulteriori linee di dialogo utili ad approfondire i rapporti tra i vari personaggi. Questi stessi messaggi, scambiati in maniera del tutto automatica, saranno influenzati nei toni dagli avvenimenti che abbiamo contribuito a influenzare.
Cambia anche la questione obiettivi: se per caso dimentichiamo cosa fare, basterà premere il grilletto destro del vostro joypad per trovare l’informazione scritta a penna, sulla mano di Chloe. Resta inspiegabile come una mancina riesca a scrivere sulla stessa mano che sta utilizzando, ma son dettagli di poco conto.

Dì che sei un artista

Life is Strange e, di conseguenza, Before the Storm, non verranno certo ricordati per un impianto tecnico d’eccellenza. Se sulla direzione artistica intrapresa da Dontnod Entertainment, e portata avanti da Deck Nine Games non c’è nulla da eccepire, è sulla qualità visiva che questo titolo mostra il fianco. Bellissimi dialoghi aiutano a focalizzarsi su ciò che si dice, questo è vero, ma fa storcere il naso pensare alle poco eleganti animazioni, facciali e non e a texture talvolta davvero pessime. Non stiamo certo parlando di un tripla A, sia ben chiaro, ma è impossibile non rimanere indifferenti di fronte ad alcune lacune tecniche che, un titolo del 2017, non dovrebbe avere. In ogni caso, anche se quasi impercettibile, troviamo un miglioramento di alcuni filtri, rispetto al titolo originale, tra cui un miglior antialiasing e filtro anisotropico oltre ad un leggero miglioramento di definizione generale. Ma è davvero troppo poco per portare questo titolo, almeno tecnicamente, su livelli decenti.
Ciò che manca visivamente, fortunatamente viene compensato a livello uditivo con musiche che spaziano tra diversi generi e sempre adatte al contesto. Come per Life is Strange con protagonista Max, la colonna sonora risulta naturale, ben amalgamata al contesto al punto da rendere immagini e musica una cosa sola. Se il resto degli effetti sonori possiamo classificarli come normali, menzione d’onore va ai doppiatori/doppiatrici che hanno fatto davvero un buon lavoro per un titolo assai complesso come questo. Nonostante il cambiamento di doppiatrice per Chloe, Rhianna DeVries riesce a regalarci la ragazza che abbiamo imparato ad amare, se non di più, riuscendo a utilizzare la perfetta tonalità nelle situazioni in cui è richiesto. Anche Rachel Amber è resa molto bene, forse diversa da come l’avevamo immaginata, ma sempre intrigante e difficile da leggere. Ne risultano così personaggi reali, con una vita reale e soprattutto, reazioni audio-visive reali.

In conclusione

Il primo episodio del nuovo Life is StrangeBefore the Storm, riesce nell’intento di amalgamarsi perfettamente nella storyline di Arcadia Bay. Tutto risulta naturale e le vicende di Chloe Price e Rachel Amber vi terranno incollati allo schermo fino all’uscita del prossimo episodio. Proprio la caratterizzazione della Amber esce con prepotenza da Before the Storm, una ragazza fino a qualche settimana fa misteriosa ma che nonostante tutto continua ad esserlo, diventando un personaggio dalle mille sfaccettature, sola in un mondo dove è amata da tutti. A dispetto di un comparto tecnico antiquato ma di un comparto audio che fa la voce grossa, questo nuovo Life is Strange è un titolo da non farsi scappare se avete amato le vicende di Maxine Caulfield.




Pyre

Ibrido tra una visual novel, un RPG e un gioco di basket 3 vs 3: Pyre è l’ultimo gioco sviluppato da Supergiant Games, team talentuoso già creatore di due titoli di altissima qualità: Bastion del 2011 e Transistor del 2014.
Il team americano si è sempre distinto nel creare giochi con un gusto ricercato per quanto riguarda trama, stile grafico bidimensionale con tavole disegnate a mano, e colonna sonora di altissimo livello a cura del compositore Darren Korb; anche Pyre ha queste tre caratteristiche, ma si differenzia dai suoi predecessori grazie a un gameplay totalmente originale.

Storia

Pyre segue in prima persona le vicende di un personaggio senza nome, che verrà chiamato in seguito “reader” per la sua capacità di leggere antichi testi necessari per affrontare dei misteriosi rituali.
Il nostro eroe verrà trovato in fin di vita – e salvato – da 3 viandanti, i quali sono i componenti del triumvirato Nightwings, e sono stati banditi dal Commonwealth (una sorta di paradiso) e cacciati nel Downside (una sorta di purgatorio) per aver commesso svariati crimini; i nostri amici dovranno affrontare i membri degli altri triumvitati in dei rituali che permetteranno alla fine di poter salvare un membro del gruppo e poterlo far tornare al Commonwealth.
Durante la nostra avventura conosceremo molte persone che potranno unirsi al nostro gruppo per aiutarci nella nostra impresa, così come incontreremo molti nemici da affrontare fino a quando non riusciremo a salvare il numero più alto possibile di alleati.
La storia è raccontata in maniera impeccabile, ma soltanto nella lingua inglese, tra l’altro vengono utilizzati termini non più in uso nella lingua corrente, quindi non risulta di facile comprensione per chi non ha confidenza con la lingua.

Comparto tecnico

Come al solito Supergiant Games ci stupisce con una grafica bidimensionale coloratissima e fondali e sprite disegnati a mano con una cura maniacale, basta guardare alcuni screenshots per rimanere affascinati dallo stile e dal talento del team americano: la versione da noi provata gira su PS4 Pro a 4k nativi e non abbiamo notato alcun rallentamento, nemmeno nei momenti in cui il ritmo di gioco si faceva più intenso.
Il comparto audio non è da meno, con una colonna sonora che non sfigurerebbe tra opere ben più blasonate e non soltanto appartenenti al mondo videoludico, Darren Korb ha svolto un lavoro encomiabile componendo musiche che calzano a pennello con la trama visionaria e surreale di Pyre.

Gameplay

Come detto prima, Pyre è un ibrido tra un gioco di ruolo e un titolo sportivo a squadre; trascorreremo il tempo a interagire con gli altri personaggi, visitare mercanti, imparare nuove abilità e potenziare i singoli personaggi per affrontare al meglio i rituali, i quali non sono altro che partire 3 contro 3 in uno sport che assomiglia alla pallacanestro, dove al posto dei canestri ci sono 2 pire infuocate: l’obiettivo è quello di posizionare una sfera magica all’interno della pira avversaria per indebolirla e infine spegnerla e così portare alla vittoria la propria squadra.
Ogni componente della squadra avrà caratteristiche e abilità differenti, quindi bisogna scegliere i 3 giocatori più adatti ad affrontare i team avversari, anch’essi dotati di caratteristiche differenti tra loro.
Portando al termine un certo numero di rituali, avremo la possibilità di salvare un membro della squadra e fargli raggiungere il Commonwealth. Da qui in poi il gioco diventerà più ripetitivo: infatti dopo il primo salvataggio dovremo ripetere altri rituali con le squadre affrontate in precedenza e visitare di nuovo gli stessi posti, per portare in salvo gli altri membri del gruppo, l’ordine in cui salveremo i nostri amici andrà a modificare il finale del gioco, quindi ci sarà qualche motivo per portare al termine il gioco più di una volta.
Una nota dolente riguarda il comparto multiplayer, in quanto non è possibile affrontare avversari online, ma soltanto in locale. Si spera in una patch che possa offrire la prima possibilità.

Conclusioni

Pyre non è un gioco adatto a tutti, la sua natura ibrida potrebbe fare storcere il naso ai puristi di giochi di ruolo o di titoli sportivi ma, al contempo, offre uno stile unico e inconfondibile che soltanto i titoli di Supergiant Games sono in grado di offrire. Il gioco non è perfetto, diventa nella parte finale ripetitivo e non offre ai giocatori la possibilità di affrontarsi online, ma rimane un ottimo prodotto, consigliato a chi apprezza i titoli indipendenti di spessore e rimane affascinato dalla grafica bidimensionale e da una colonna sonora di ottima fattura anche se minimale, composta soltanto da voce e chitarra, senza per forza pretendere milioni di poligoni su schermo e sentire musiche da orchestra come ci hanno abituato i tripla A.




Last Day of June

Cosa saresti disposto a fare per salvare la persona che ami? Con questa domanda Ovosonico e 505 Games presentano al mondo Last Day of June, nuova avventura tutta italiana che tratta i difficili temi dell‘amore, della morte e del ricordoCi sono giochi che lasciano emozioni, altri che le fanno vivere, personaggi per cui si prova simpatia, storie che instillano rabbia, che ci fanno commuovere o a volte disperare. Last Day of June è uno di quei titoli che sul piano emozionale riesce a farci andare al livello successivo in appena tre ore di gioco.

Le vicende

I protagonisti di questa storia sono i novelli sposini Carl, timido e impacciato e June, un’artista dolce e romantica, accompagnati dagli abitanti del villaggio in cui vivono, il bambino, la giovane donna innamorata, il cacciatore e il tenero vecchietto. Il loro idillio d’amore è però rotto da un incidente inaspettato e ogni tentativo di poter rimediare sarà vano, ogni evento porterà inesorabilmente verso un tragico destino. La perdita del partner è lo spezzarsi di un incantesimo, cambia la vita di chi rimane, e così accade al nostro protagonista. Gli sviluppatori di Ovosonico sono stati attentissimi e meticolosi a questo cambiamento anche sul piano contestuale: da un certo punto in poi gli ambienti cambiano radicalmente, i colori dolci tramutano un’atmosfera placida e rilassante in un quadro buio e tetro, che trasuda lo stato d’animo sofferente del protagonista, il quale, bloccato su una sedia a rotelle, si troverà a raccogliere i ritratti degli abitanti fatti da June, tramite i quali potrà cambiare il passato. Un meccanismo che ricorda da vicino il film The Butterfly Effect, in cui il protagonista Evan, interpretato da Aston Kutcher, è costretto ad aggrapparsi ai ricordi per poter cambiare il presente. Una volta raccolto un dipinto ci si trova ad andare indietro nel tempo, nei panni di uno degli abitanti, fino al giorno dell’incidente con qualche ora di anticipo, e si avrà modo di modificare il passato per poter evitare l’accaduto, facendo intrecciare le storie in un grande puzzle di rapporti di causa-effetto.

Gameplay

Il gameplay è scarno ed essenziale, il numero di azioni è limitato ma funzionale alla storia che si vuole raccontare, gli accadimenti si ripetono e a volte le azioni stesse, ma senza ridondanza, restituendo al meglio il disagio e il dolore che inevitabilmente permeano la storia. Questo non significa che ci si potrà adagiare sugli allori: il giocatore dovrà darsi da fare, e risolvere i piccoli puzzle di cui si compone quest’avventura grafica.

Dettagli tecnici

Sul piano tecnico, tutto sembra improntato alla massima resa artistica, e il risultato è assolutamente poetico sul piano visivo, con cromatismi e chiaroscuri che restituiscono ogni singolo stato d’animo e una colonna sonora che traina sapientemente la storia dall’inizio alla fine.

Conclusioni

Last Day of June è una storia che travolge sul piano emozionale, e risulta un’esperienza imprescindibile, che dimostra quanto gli sviluppatori italiani sappiano raccontare storie arrivando a picchi di poesia in aspettata e senza buchi di trama, affrontando tematiche complesse. Il ritorno al passato del titolo di Ovosonico regala al giocatore un intreccio di storie che raccolgono emozioni, morte e amore in maniera armonica ed equilibrata, offrendo al pubblico un’avventura pronta a commuovere i giocatori di ogni età.




Mario + Rabbids Kingdom Battle

Quei maledetti conigli. Quei maledetti conigli! La battaglia per il regno si apre con un piccolo cortometraggio animato. Lo stile è quello tridimensionale proprio delle grandissime produzioni, sì quelle a cui il cinema ci ha abituato nell’ultimo ventennio. Siamo in casa di una misteriosa geek, appassionatissima della saga di Mario – come possiamo notare dalla sua cameretta letteralmente tappezzata di action figures, poster e persino un tappeto a tema Nintendo – la quale sta armeggiando con quello che sembra essere un caschetto per la realtà virtuale e che invece è un’invenzione che le permette di fondere gli oggetti fra loro. Nel momento in cui il misterioso personaggio si allontana dalla propria camera, lasciando incustodito l’oggetto tecnologico, una “lavatrice del tempo” si materializza all’interno della stanza, e da essa fuoriescono loro, i maledetti conigli. Inutile dire che riescono ad appropriarsi indebitamente dell’oggetto in questione prima di ripartire accidentalmente alla volta del Regno dei Funghi, dove cominceranno – come è lecito aspettarsi – a combinare un guaio dietro l’altro ottenendo come risultato i mash-up più improbabili: una Rabbid Peach, un Donkey Kong Rabbid, altri ibridi di ogni sorta e via dicendo. A Mario e ai suoi amici di sempre toccherà il compito di riparare a questo disastro combattendo gli invasori, aiutato anche da quei pochi Rabbids che si sono fusi ai costumi dei personaggi del Regno dei Funghi.

In questo modo veniamo introdotti alla battaglia a squadre, perno sul quale ruota l’intera esperienza di gioco. Tutti i concetti alla base degli strategici a turni ci vengono spiegati esattamente come si illustrerebbero a un bambino ed ecco che, dopo pochissime missioni introduttive, ci ritroviamo a padroneggiare le tecniche di copertura, a saper leggere le percentuali di probabilità che un attacco vada a segno, a familiarizzare con gli effetti di stato. Man mano che procediamo ci rendiamo conto che le battaglie si fanno sempre più difficili e ad un certo punto viene spontaneo chiedersi come siamo arrivati a giocare qualcosa del calibro di XCOM partendo da un’introduzione così volutamente sciocca e divertente. È chiaro che gran parte del lavoro di Ubisoft Milano si sia concentrato proprio sul riuscire a rendere, in maniera magistrale, semplice da approcciare, un tipo di gioco che si basa principalmente sulla complessità. Allo stesso tempo gli sviluppatori sono riusciti nell’altra epica impresa, quella di distaccarsi dai sopracitati colossi del genere implementando delle meccaniche (soprattutto per quanto riguarda le fasi di movimento in battaglia) davvero originali, che combinano le capacità dei personaggi che formano il team, facendoli interagire. Ci ritroveremo dunque a far saltare Mario sulla testa di Rabbid Peach, per raggiungere zone più distanti o livelli sopraelevati, dai quali avremo ad esempio dei bonus in attacco se attiveremo l’abilità corrispondente, che possiamo acquistare solo grazie alle sfere di potere, che a loro volta troveremo anche durante le fasi esplorative, a riposo fra una battaglia e l’altra. Più si va avanti e più le sfide si faranno complesse e i nemici agguerriti. Il gioco si sviluppa in quattro mondi caratterizzati meravigliosamente bene , ciascuno con i suoi nove livelli, più quelli bonus, un midboss e un boss alla fine di ognuno. Quello che stupisce però, è come il team Ubisoft abbia pensato anche ai meno avvezzi a questo grado di sfida, dandoci la possibilità di affrontare ogni missione in modalità facile, avvalendoci di un bonus salute col quale affrontare le battaglie in maniera meno concitata.

I pochi punti deboli del gioco li ritroviamo concentrati all’interno del Centro Battaglie, dove ci recheremo spesso ad acquistare nuove armi e nuove abilità per i personaggi che compongono il nostro team. Mentre ogni arma ha bonus diversi e altrettanti effetti di stato sui quali far perno a seconda delle debolezze di ciascun nemico, ci ritroveremo con davvero pochissima varietà all’interno dell’armeria stessa. Si apprezza la scelta di avere perlomeno inserito armi primarie e secondarie, con effetti ad area ravvicinati per i personaggi tank e a distanza per i cecchini. Anche gli alberi delle skill tutto sommato non ci permettono di costruire delle build particolarmente differenziate e ci si ritroverà pertanto a combattere, con lo stesso personaggio, in maniera simile dall’inizio alla fine del gioco, solamente con effetti più potenti o moltiplicatori maggiori. Fra una battaglia e l’altra invece, durante le fasi esplorative, ci ritroveremo a risolvere dei semplici puzzle e visitare dei livelli bonus che ci permetteranno di mettere le mani su nuove armi o collezionabili che poi potremo acquistare – nel primo caso – o rivedere – nel secondo – al museo situato nell’hub di gioco. Avremo modo di rigiocare le missioni precedenti, e questa possibilità dona molta più longevità al titolo, poiché potremo sfidare noi stessi fino a raggiungere la perfezione in ogni singola missione, completandola nel numero di round stabiliti senza perdere alcun membro del team. Avremo inoltre a disposizione l’Amicolosseo, luogo nel quale potremo combattere in modalità multiplayer cooperativa delle speciali battaglie in compagnia dei nostri amici, ciascuno alla guida del proprio team.

Mario+Rabbids è un’opera unica che pur prende spunto dai maggiori titoli del genere, riuscendo però nella difficilissima impresa di trovarsi una propria dimensione. Questo grazie all’egregio lavoro svolto dagli sviluppatori italiani e francesi, che hanno saputo sfruttare appieno tutti gli elementi che caratterizzano il mondo di Mario e a fonderli con la follia – per molti fastidiosa – dei Rabbids, riuscendo a tirarne fuori il meglio. Il tutto è accompagnato da una colonna sonora d’eccezione, a opera di Grant Kirkhope che riesce a rendere ancora più epico il titolo. La quantità dei contenuti è tale da tenerci impegnati per più di venti ore e anche oltre se si giocano tutte le modalità e si decide di completare appieno il titolo. Un altro centro per Nintendo Switch che, a soli sei mesi dall’uscita, può fregiarsi già di tantissimi titoli di spessore.




Battlefield 1

La Prima Guerra Mondiale vissuta in Battlefield 1, gioco prodotto dalla Dice, ha fatto sognare molti appassionati con il suo ritorno al passato, al periodo finale della Grande Guerra. In un mercato ormai saturo di giochi che puntano al futuro, alla tecnologia e ai robot, Battlefield 1 si distingue proprio per questo passo indietro, con un’atmosfera tragica, raccontando la storia di un conflitto duro e spietato che ha segnato la storia e il mondo, oltre che gli uomini.

Nello sviluppo di questo titolo, la DICE si è superata creando ben sei storie, raccontate al meglio tramite i protagonisti e meravigliosi scenari unici e profondamente diversi, che spaziano dai cieli inglesi ai deserti arabi, offrendo protagonisti con caratteri diversi, destini diversi, accomunati tutti da una sola cosa: la guerra, e la sua ineluttabilità. Tutti i protagonisti hanno, infatti, lo stesso scopo: sopravvivere, combattere e proteggere, chi per scelta, chi per obbligo. I titoli di queste storie sono memorabili e richiamano alla fantasia nomi di romanzi o opere note: Tempeste d’acciaio, Sangue e Fango, Amici nelle alte Sfere, Avanti Savoia!, Il portaordini, Nulla è Scritto.
Le storie si riescono a godere fluidamente, l’oggetto di ogni storia emerge nitido come il messaggio che le accompagna, e che finisce per appassionare il giocatore, che in qualche modo si fa lettore.
Se i contenuti sono ben congegnati, la grafica riveste una parte fondamentale e viene sfruttata in ogni istante del gioco, curata nei minimi particolari, inattaccabile. In molti videogame la storia viene usata come tutorial e Battlefield 1 non sottovaluta quest’aspetto, dedicando addirittura interi capitoli per addestrare i giocatori nell’utilizzo di veicoli e nelle strategie di battaglia. L’insieme è unito da un ottimo doppiaggio italiano che contribuisce nella resa autoriale delle interpretazioni dei personaggi e riesce a catturare per la sua intensità dall’inizio alla fine.

Da denotare rilevanti novità anche nel multiplayer: oltre alle classiche modalità di combattimento Conquista, Corsa, Deathmatch a squadre e Dominio, vi sono due modalità rivoluzionarie: Piccioni di Guerra e Operazioni.
Nella prima saremo alla ricerca di piccioni viaggiatori per poter inviare segnali e messaggi sulla mappa. Durante la prima Guerra Mondiale, infatti, questi erano il principale mezzo di trasmissione dei messaggi sui campi di battaglia. Una volta trovato il volatile sulla mappa, dovremo recuperarlo e trovare il tempo per scrivere le coordinate. Il piccione si librerà in volo verso i nostri alleati, ma potrà ancora essere abbattuto dai nemici. Finita questa mansione verrà assegnato il punto alla squadra; il primo che arriverà a tre punti avrà vinta la partita. La cosa interessante di questa modalità è che in ogni momento è possibile ribaltarne l’esito, cosicché anche sullo 0-2 non risulta mai saggio rilassarsi.
Per quanto riguarda Operazioni, si tratta della modalità più autentica e più azzeccata di questo titolo: normalmente in qualsiasi FPS si può trovare un 4vs4 o un 5vs5; nella modalità Operazioni si ha la bellezza di 64 giocatori, per una sessione di gioco che supera la mezz’ora se si è rapidi, e oltre i 45 minuti per una più impegnativa. Tutto questo porta il giocatore a immedesimarsi ancor più nel mondo straziante della guerra di trincea, in un mix di difesa e attacco.
Ovviamente non poteva mancare l’aspetto delle classi, con quelle specifiche per i veicoli, quali pilota o carrista, a quelle normali, come assalto, medico, supporto e scout. Ogni classe sarà personalizzabile, creando fino a tre preset predefiniti, le armi si sbloccano nel modo classico, aumentando di livello, personalizzandole come più si vuole. DICE riesce benissimo a far fronte alla concorrenza in un genere ormai estremamente competitivo, studiando un multiplayer spettacolare e coinvolgente.

Battlefield 1 è un gioco riuscito al 100%,: la DICE ha dato il massimo, rischiando molto con un’idea – quella di ambientare tutto in un passato ormai lontano un secolo – che poteva tradursi in un terribile flop ma che al contrario ha riscosso un enorme e meritato successo.
Con meccaniche e modalità di gioco impeccabili, puntando più al multiplayer che alla storia – la quale risulta in ogni caso ben congegnata, come si accennava – cogliendo in pieno lo spirito della guerra da trincea e portandolo a livelli mai visti finora in un videogioco, la DICE centra il bersaglio con questo Battlefield 1. Se ve lo siete persi vi consiglio di provarlo, su PC, se possibile, per godervi al meglio la grafica e le dinamiche di gioco.  O forse il mondo stesso, se è vero che, come si recita nel titolo stesso, «La guerra è il mondo, il mondo è la guerra».