Cosmic Star Heroine

Cosmic Star Heroine è un rpg sviluppato da Zeboyd Games nato come progetto kickstarter nel 2013 e con forti ispirazioni allo stile jrpg tipico degli anni ’90 (Phantasy Star, Chrono Trigger, per fare un paio di esempi) rigorosamente in 2D e sviluppato in pixel art. Sembra quasi di giocare un titolo per Super Nintendo, cosa che può anche non piacere a tutti, come anche il fatto che il titolo sia disponibile solamente in lingua inglese, fattore che non di rado è causa del malcontento di molti nostri connazionali.

Storia

Il gioco narra le vicende di Alyssa L’Salle, agente del Governo che, nel corso di un’indagine, scopre una cospirazione atta a distruggere la galassia.
La storia si rivela man mano poco ispirata e zeppa di cliché, al punto da rischiare di annoiare e da far venir voglia non di rado di saltare la maggior parte dei dialoghi (quasi totalmente inutili) e di continuare per cercare qualcosa di interessante che in realtà non si presenterà quasi mai: i comprimari del gioco sono, infatti, caratterizzati poco e nulla, risultando più interessanti per le loro abilità in combattimento che per il loro background.

Gameplay

Il combat system è uno dei punti forti di Cosmic Star Heroes, risultando, al contrario della storyline, molto curato e non banale; si potrà usare soltanto un’abilità alla volta, per poi ricaricarle tutte usando un’altra abilità. In caso contrario, non si potrà far altro che passare il turno. Dopo un certo numero di turni, uno dei quattro personaggi controllabili potrà entrare in “hyper mode” e fare molto più danno grazie alle proprie abilità: una buona tecnica è in questo caso aspettare e utilizzare l’abilità adatta, quella alla quale il singolo nemico è più vulnerabile.
Tutto ciò potrebbe risultare frustrante a volte, perché bisogna tenere conto di tanti fattori ed essere dotati, anche in questo caso, della giusta dose di pazienza (ma qui, a differenza della storia, che può frustrare per eccesso di noia, è proprio una questione di meccanismo di gioco: a qualcuno potrebbe anche piacere). Un altro punto che non piacerà a molti – ma qui non parliamo di un vero e proprio difetto – è la mancanza di salvataggio automatico, fattore che deve portare il giocatore a salvare spesso per non trovarsi a ripetere parti di gioco già superate in precedenza.

Grafica e sonoro

Dal punto di vista grafico, il team di Zeboyd games è tutto sommato riuscito nell’intento di ricreare l’atmosfera degli anni ’90, con sprite colorati e gradevoli da vedere e musiche con effetti synth che sembrano uscite da una console retro; purtroppo, però, è possibile incappare, nel corso gioco, in qualche bug che costringe il giocatore a caricare un salvataggio precedente (a me è capitato diverse volte, aumentando il senso di frustrazione di cui sopra), e questo è appesantito da caricamenti lunghi e alcuni crash all’avvio.

Conclusioni

Ci troviamo di fronte a un gioco discreto, penalizzato da problemi tecnici e da una storia che, purtroppo, non decolla e non rimane, e che ha la sfortuna di essere uscito in un periodo in cui deve confrontarsi con un mostro sacro dei jrpg come Persona 5. Consigliato a chi proprio non può fare a meno della grafica in pixel art e a chi voglia immergersi nostalgicamente nell’atmosfera degli anni ’90; chi non abbia quest’esigenza, è meglio che forse cerchi altri titoli che, nel genere, non ci faranno sentire la mancanza di Cosmic Star Heroine.




What remains of Edith Finch

A distanza di due anni dalla versione PS4 di The Unfinished Swan, capolavoro indie di Giant Sparrow uscito su Playstation 3 nel 2012, tornano i ragazzi di Santa Monica e questa volta anche su PC, grazie all’intervento “a sorpresa” del publisher Annapurna Interactive, compagnia cinematografica americana che da qualche tempo si occupa anche di videogames.

Un racconto dell’Orrore

What Remains of Edith Finch è nient’altro che una collezione di racconti brevi, i quali narrano le storie dei membri di una famiglia “maledetta” e delle loro rispettive morti, ambientate nello stato di Washington.
Il gioco si apre in medias res, col nostro protagonista in viaggio su un battello verso una destinazione a noi sconosciuta.
In mano teniamo un mazzo di calle bianche che già preannuncia i futuri sviluppi della narrazione e un diario, il diario di Edith Finch. Aprendolo veniamo catapultati all’interno del racconto stesso, nel quale tutto comincia con la casa.

La Casa dei Finch

Edith ci racconta di essere l’ultima erede della casa appartenuta per secoli alla sua famiglia, un edificio dalla forma bizzarra sul quale scorcio si apre appunto la prima parte giocabile del titolo. E così, nei panni di una diciassettenne Edith, ci ritroviamo a percorrere il viale alberato e tortuoso che porta all’ingresso della magione mentre la nostra voce (in inglese), accompagnata dalle parole scritte (in italiano) che appaiono all’interno dell’ambientazione nella quale ci muoviamo, a volte fluttuanti, altre appiccicate agli oggetti, ci guida e pian piano ci introduce alla storia dell’infanzia trascorsa in questo luogo che, Edith stessa ci confessa, “mi metteva a disagio in un modo che non avrei saputo esprimere a parole”.
Parole che invece trova adesso, al momento della narrazione: “Avevo paura della casa”.

Il Sublime

Da qui in poi gli elementi del gotico e nello specifico del gotico americano ci sono tutti e si susseguono in maniera concitata, come in “Una discesa nel Maelström”, in un racconto fantastico a spirale discendente bilanciato e sostenuto dal nostro moto a spirale ascendente, all’interno della vecchia dimora dalla cantina al piano più alto, che ci permette di visitare le stanze di ciascuno degli antenati e parenti di Edith (fra cui quella del fratello scomparso Milton, che chi ha giocato il precedente titolo The Unfinished Swan collegherà certamente), curate tutte nei minimi particolari e nelle quali si susseguono storie di “vita e di morte, follia e sanità e soprattutto razionalità e irrazionale, realtà e immaginazione-visione”.

Nel Trattato del Sublime, l’autore è del parere che l’opera sublime mostra le capacità di creare con la lingua quelle realtà difficili da catalogare e confinare entro precisi limiti e definizioni.
Ed è così che Ian Dallas, creative director di Giant Sparrow, descrive il proprio gioco: un “Sublime horror”, citando il lavoro di Lovecraft ed indirettamente quello di tutti i suoi maestri, da Hawthorne a Dickinson ed Edgar Allan Poe.

Cosa rimane del videogioco

Abbiamo parlato di letteratura, di filosofia, di narrazione. Ma cosa resta di Edith Finch, al giocatore?
Restano una direzione artistica straordinaria e una grafica molto curata e accattivante, un level design ben congegnato e un sistema di controllo semplice e intuitivo. Ma in un’epoca in cui opere come questa vengono etichettate distrattamente come walking simulator, definizione che lascia abbondantemente trasparire il preconcetto secondo il quale un’opera ludica non possa essere tale nella sua manifestazione più semplice, ovvero quella di gioco a fini ricreativi e di svago, ludus in cui è prevalente la libera elaborazione della fantasia, ci rendiamo conto di quanto risulti difficile convincere il giocatore del fatto che anche una minima interazione che sia il movimento o la risoluzione di semplicissimi enigmi e puzzle ambientali, o una ricercata varietà nei mini-giochi di cui questa è costellata possano conferire all’opera il titolo di videogioco e, di contro, quanto sia invece naturalmente accettato che nell’annoverare fra le opere videoludiche propriamente dette un mero cineblockbuster interattivo come può essere Uncharted 4 non sorga mai alcuna piccola incertezza. A ciò si aggiunga poi la durata dell’esperienza, poco meno di tre ore nella sua totalità, e si capirà benissimo perché questa è una di quelle perle che spesso vengono snobbate o trascurate dal grande pubblico. Ma a proposito di quest’ultimo dettaglio lasciamo chiudere il discorso a chi dell’argomento nello specifico s’intende, ovvero il mai troppo citato Edgar Allan Poe con:

L’Elogio del racconto

“Il comune romanzo presenta problemi a causa della sua lunghezza. Poiché non può essere letto in una seduta, si priva da sé, com’è ovvio, dell’immensa forza che gli deriva dalla totalità. […] In un racconto breve, invece, l’autore ha la possibilità di sviluppare la pienezza dei suoi scopi, qualunque essi siano. Nel corso di un’ora di lettura l’anima del lettore è in balìa dello scrittore.”




Mass Effect: Andromeda

Riuscire a far breccia nuovamente nei cuori dei giocatori di una saga importante come quella che è stata Mass Effect, è sicuramente un compito arduo in cui Bioware si è cimentata, con risultati indubbiamente positivi, ma non senza parecchie macchie che saranno difficili da dimenticare.
Una galassia tutta nuova da esplorare, nuove storie, nuovi personaggi e dinamiche rivisitate sono gli elementi di Andromeda, l’ultimo capitolo della saga che vede nel nuovo personaggio di Ryder (versione maschile o femminile) la nuova sfida nata dalla fantasia della software house canadese.

Storia

Citare il celebre motto “Spazio, ultima frontiera” sembra il modo migliore per spiegare la storia del nuovo Mass Effect.
Nel 2819 i “Pionieri”, a bordo della nave-arca Hyperion giungono tra i pianeti di Heleus, un settore della galassia di Andromeda che, secondo le ricerche condotte sulla Terra, apparirebbe ricco di pianeti abitabili e risorse naturali, elementi cardine per la creazione di nuove colonie umane. Dopo 632 anni trascorsi in ibernazione criogenica, l’equipaggio della Hyperion, si trova però in una situazione ben diversa da quella che ci si aspettava.
Una forza naturale sconosciuta, il Flagello, ha reso poco adatti alla vita gli habitat selezionati prima della partenza, con il conseguente rischio di aver condannato a morte certa i 20.000 coloni che avevano lasciato i propri affetti o averi sulla Terra. A ciò si aggiunge il nuovo nemico della serie, una misteriosa fazione aliena, i Kett.
Tocca naturalmente al giocatore – nei panni del Pioniere Ryder – trovare una soluzione, un modo alternativo per trasformare una situazione critica in una nuova speranza per gli uomini e le donne della Hyperion, trovare una casa dove ricominciare a vivere. Una rivoluzione quindi rispetto alla prima trilogia legata al tema della tecnologia e dell’estinzione su scala galattica. Qui risiede la prima grande differenza con i titoli originali: mentre da una parte vi era una lotta per la sopravvivenza quasi disperata, e il mordente dell’avventura era dato proprio dal senso incombente di pericolo, in Andromeda a muovere il giocatore è più la voglia di esplorare e scoprire nuovi mondi.

Gameplay e caratterizzazione

Anche in questa avventura i dialoghi rivestono un momento importante del gameplay: a differenza però del passato, la tipologia di risposte o domande possibili da formulare non comprende le opzioni Eroe o Rinnegato;  vi sono adesso a disposizione dei giocatori quattro tipologie di tono (Emotivo, Logico, Disinvolto, Professionale) che offrono più possibilità di caratterizzazione del personaggio, ma che in realtà non hanno reali ripercussioni sulla storia.
Al posto della Normandy, l’astronave che farà da principale mezzo di trasporto sarà la Tempest, e il nuovo equipaggio con cui poter interagire sarà composto da un gruppo appartenente alle razze intergalattiche che i veterani ricorderanno con affetto, con i cui componenti si stringeranno legami più o meno profondi, fino a poter anche instaurare relazioni sentimentali da coltivare attraverso un percorso condiviso fatto di fiducia e sostegno reciproco.

Muovendo i primi passi in Mass Effect: Andromeda, la sensazione è fin da subito familiare ma, a differenza soprattutto del terzo capitolo della saga originale, le prime ore di gioco risultano davvero prive di mordente. L’incipit non cattura, e protagonista e comprimari non sembrano avere lo stesso carisma dei predecessori. Affrontando il titolo poco per volta però ci si rende conto che la storia ci porta in un mondo nuovo colmo di intrighi, nemici temibili, giochi di potere interplanetari e colpi di scena di grande impatto.
La trama risulta convincente e interessante, con buon ritmo narrativo e contenuti profondi e vasti. La conclusione del gioco non delude, risultando autoconclusiva ma lasciando alcuni buchi narrativi probabilmente voluti per dar spazio a un possibile seguito.
Il gioco consente di definire il carattere del protagonista attraverso le diverse possibili linee di dialogo e di personalizzarne l’aspetto in una prima fase. I lineamenti sono affidati a un editor molto scarno e con poche possibilità di reale personalizzazione; creare un viso che ci somiglia è davvero difficile, ci si può avvicinare ma con risultati  piuttosto scadenti, tanto che, dopo un primo tentativo, molti giocatori sembrano essere tornati a utilizzare Ryder nelle fattezze standard, limitandosi alla sola scelta di impersonare la versione maschile o femminile.
Una volta definiti genere e aspetto del protagonista, il gioco ci chiederà di selezionare l’archetipo di classe, che definirà la dotazione di base per quel che riguarda poteri e abilità.
Questa scelta non è comunque vincolante: è infatti possibile stravolgere in ogni momento le caratteristiche del personaggio dando luogo a un sistema di progressione interessante e che non rende frustanti gli errori di crescita che si trovano in titoli ben più punitivi.
È possibile giocare come si preferisce, potenziando le molte abilità suddivise in tre macroaree Combattimento, Biotica e Tecnologia senza però reali restrizioni.
Come nei più classici GDR, a ogni passaggio di livello si otterranno dei punti da investire nel potenziamento di abilità attive o passive ognuna collegata ad altre con diramazioni e un corposo sviluppo ad albero.
In base ai punti investiti si potrà sbloccare e utilizzare un profilo di classe che garantirà ulteriori bonus statistici e capacità speciali.Punto a favore anche rispetto ai predecessori sul fronte del gameplay è la parte shooting: i combattimenti sono adrenalinici, veloci e con una buona componente verticale grazie al jetpack utilizzabile per schivare o raggiungere luoghi sopraelevati.
Ogni “arena” è dotata di varie coperture da utilizzare a proprio vantaggio. La qualità del combat system, tra l’altro, permette di percepire chiaramente gli effetti dell’avanzamento del personaggio, offrendo grandi soddisfazioni per i progressi raggiunti. Nonostante questi ottimi elementi, non mancano le imperfezioni: se da una parte le armi da fuoco funzionano egregiamente, gli attacchi in mischia hanno animazioni inutilmente lunghe e la gestione delle collisioni non è precisa, con effetti spesso poco felici.
L’intelligenza dei nemici è invece interessante in certe dinamiche di accerchiamento o con l’uso di granate che ci costringono ad abbandonare le coperture faticosamente conquistate, ma non brilla di certo per trovate memorabili. Spesso sembra di assistere a cariche prive di tattica e che si basano sostanzialmente su una buona resistenza ai colpi sperando di ucciderci con manovre quasi suicida.
In battaglia si possono utilizzare tre abilità attive a scelta tra quelle sbloccate. Ciò facilita il compito del giocatore senza renderlo mai troppo potente contribuendo a una curva di difficoltà sempre ben calibrata.
Un ulteriore difetto risiede nella struttura dei livelli. Ogni qual volta è previsto uno scontro a fuoco, la mappa presenta infatti un cospicuo numero di coperture ben visibili anche a distanza. Ciò rovina l’effetto sorpresa e fa sì che il giocatore non si trovi mai impreparato.
Il meccanismo innesca un automatismo dopo pochissimo tempo che rende prevedibile una zona di combattimento ogni qual volta siano visibili dei ripari.L’armamentario e l’equipaggiamento di Ryder sono invece punti a favore del gioco, potendo disporre di una vasta moltitudine di pistole, fucili d’assalto, fucili a pompa, fucili di precisione e armi da mischia che si possono acquistare, raccogliere o produrre, per mezzo di un enorme – seppur disordinato – sistema di crafting.
In sintonia con le finalità della Andromeda Initiative, nei panni del Pioniere si potranno visitare le superfici di un buon numero di pianeti a bordo del Nomad (sostituto del Mako), potente veicolo di terra anch’esso personalizzabile nelle prestazioni e nelle dotazioni. Le dimensioni delle aree esplorabili variano in base ai pianeti, ma una caratteristica comune a tutte è il buon level design e le tante cose da fare e vedere su ognuna di esse.
Su ogni pianeta sono presenti risorse e creature da scannerizzare un po’ in stile No Man’s Sky, nemici abbastanza vari e depositi minerali da sfruttare. I contenuti e le attività che si possono svolgere sono innumerevoli, così come sono presenti un buon numero di missioni secondarie. Le missioni principali sono naturalmente le meglio realizzate poiché scandiscono l’avanzamento della trama, mentre le secondarie spesso si limitano alle tipiche mansioni da raccoglitore di oggetti o risorse.
Il reparto multigiocatore di Mass Effect: Andromeda offre scontri cooperativi molto divertenti con nota dolente relativa alla stabilità delle partite, dovuta alla scelta del protocollo peer to peer già problematico in giochi prevalentemente online (vedi For Honor).

Comparto tecnico e bug

Sebbene tecnicamente il nuovo Mass Effect si attesti su buoni livelli, con un sapiente uso del Frostbite Engine, a nessuno è sfuggito forse il difetto più grosso del gioco dal punto di vista grafico: se da una parte il gioco incanta con i panorami dei suoi pianeti splendidamente riprodotti, dall’altra la nuova avventura del team canadese soffre di una quantità fin troppo consistente di glitch e problemi in grado di influire negativamente sulla qualità generale. Inutile negare il problema delle animazioni facciali dei personaggi che, anche dopo la patch correttiva, continuano a essere caratterizzati da sguardi ed espressioni totalmente fuori contesto; a ciò si aggiungono ritardi consistenti nello streaming delle texture, fenomeni di stuttering, pop-in dei modelli soprattutto vegetali oggi non più tollerabili, un frame rate piuttosto stabile negli esterni ma inspiegabilmente altalenante nelle scene interne o in quelle di dialogo. Tornando alle animazioni, si tratta di un problema evidente, che in un titolo che fa di trama e rapporti fra personaggi un elemento essenziale, inficia non poco l’immedesimazione e le emozioni dei dialoghi. Bioware avrebbe potuto fare di meglio anche per quel che riguarda la gestione del menu, dell’inventario e, più in generale, dell’interfaccia utente, a tratti disordinata. Fra i bug più volte riscontrati si segnalano un audio altalenante e, ancor più grave, in molte occasioni la telecamera cambia inquadratura durante i dialoghi, sdoppiando i personaggi o puntando verso un punto vuoto o verso il personaggio che in quel momento non parla (e no, spesso non sono controcampi). Tralasciando la mancanza di localizzazione del doppiaggio in italiano, questo anche in lingua originale non brilla per qualità recitative, mentre il comparto audio presenta buoni effetti sonori, musiche interessanti, ma lontane dai motivi ispirati della prima trilogia.

Conclusioni

In conclusione il nuovo Mass Effect: Andromeda è sicuramente un buon titolo, diverso dai predecessori, forse non allo stesso livello, ma che con la dovuta pazienza e sorvolando sui molti difetti, sa comunque regalare una bella esperienza di gioco in attesa di un probabile seguito magari più incisivo dal punto di vista della trama e dei personaggi.




Little Nightmares

Mostri d’infanzia

Gli incubi dell’infanzia prendono forma. Questo accade in Little Nightmares, platform-puzzle distribuito da Bandai Namco Entertainment per PlayStation 4, Xbox One e Pc, rilasciato il 28 Aprile 2017 e sviluppato da Tarsier Studio, studio svedese conosciuto per aver collaborato a giochi come Little Big Planet e Tearaway Unfolded. Gli sviluppatori hanno sfruttato come elemento principale proprio temi interessanti come le paure infantili e i mostri in cui queste prendono forma (il mostro che mangia i bambini, il babau, gli archetipi spaventosi di ciò che si nasconde nell’oscurità che qui diventano boss dai quali fuggire, per mettersi in salvo e sfuggire alla dimensione dell’incubo).

Tra le Fauci

Il titolo ha una trama enigmatica, simile a quella di Inside, pluripremiato titolo di Playdead, così enigmatica che il gioco stesso in effetti tende a non esplicitare nulla del suo racconto. Little Nightmares è ambientato in un luogo immaginario chiamato “Le Fauci“, un insieme di antri oscuri e pieni di insidie dove trovano asilo mostri famelici dall’aspetto truce. Nelle Fauci vengono portati i bimbi rapiti, come la nostra piccola protagonista, Six, la quale al contrario degli altri bambini è però intenzionata a fuggire da quel posto infernale. Affamata, armata di un solo accendino, coperta dal suo bellissimo, esile impermeabile giallo, la nostra protagonista dovrà scappare passando da un livello all’altro delle Fauci risolvendo i vari enigmi e puzzle che le si pareranno davanti.
Il titolo sfrutta molto bene il gioco di chiaroscuri, i contrasti tra i vari colori risaltano e contribuiscono in maniera decisiva a rendere l’ambiente crepuscolare, adatto a una dimensione da “piccolo incubo”, non orrorifica in senso stretto: da incubo d’infanzia, appunto. Anche un comparto sonoro ben strutturato fa la sua parte, armonizzando le musiche con suoni ambientali vividi, che arrivano letteralmente a circondare la piccola protagonista e permettono di sentire nettamente i pericoli in arrivo.
Non sono presenti dialoghi o scene di narrazione, scelta che, se da un lato lascia molti dubbi su come la nostra protagonista sia finita nelle Fauci, d’altro canto rende ancora più forte l’impatto di un gioco affidato interamente a immagini, suoni, colori e chiaroscuri, che non sembra soffrire mai l’assenza di linee di testo.

Piccoli Incubi

Il titolo consta di 5 capitoli nei quali si dovrà trovare la via che porta all’area successiva, non senza aver superato i numerosi enigmi di cui accennavamo. Six può camminare, correre, accucciarsi, saltare, aggrapparsi a sporgenze e afferrare oggetti utili per proseguire come leve, chiavi e molto altro (meccaniche non molto lontane dal luminoso e gioioso Little Big Planet, certamente agli antipodi per ambientazione). Potremo utilizzare giocattoli rumorosi per distrarre i mostri, e ovviamente dovremo spesso far ricorso al nostro accendino, oggetto fondamentale per farsi strada nelle zone più buie. Anche l’utilizzo della telecamera – mossa dalle solite levette – risulta importante per ottenere una visuale estesa e anticipare possibili pericoli o intuire le giuste soluzioni ai puzzle.
Un difetto da ravvisare è piuttosto legato alla percezione della profondità, la quale non è proprio perfetta e molto spesso risulta così imprecisa da farci mancare oggetti da afferrare e piattaforme su cui atterrare.
Anche in Little Nightmares sarà possibile trovare vari collezionabili, a dir il vero molto particolari, dividendosi questi fra alcuni animaletti chiamati “nomes“, che la nostra piccola Six dovrà abbracciare, e alcune statuette dalla forma femminile che invece bisognerà distruggere. In termini di longevità, il gioco si attesta sulle 4-5 ore, mantenendo un buon equilibrio tra una storia di cui si ha solo una traccia, puzzle interessanti e alternamente impegnativi e un comparto grafico-sonoro che fa la differenza, regalando al giocatore dei quadri unici, con un risultato tra il sottilmente orrorifico e il cartoonesco che ricorda il Tim Burton dei tempi d’oro.




Fire Emblem Heroes

Nintendo alla ribalta, questa volta sul mercato mobile, con uno dei suoi titoli di punta, Fire Emblem Heroes, nuovo episodio della nota saga sviluppato dal team di Intelligent Systems.
Tentativo sicuramente più riuscito – in termini di mercato – rispetto al precedente Super Mario Run, che ha fatto guadagnare alla compagnia di Kyoto molto meno di quanto previsto, complice il prezzo di 10 euro per avere accesso al gioco completo, cifra non ritenuta congrua da molti utenti, considerando che solo il 5% di chi lo ha scaricato ha deciso di pagarla. Di fatto, studi su questo tipo di mercato hanno dimostrato che gli utenti finali apprezzano di più il “free to play” ed eventualmente acquistare “in game”, piuttosto che pagare per avere subito il gioco completo, o a conclusione di livello come nel caso di Super Mario. Fire Emblem Heroes va valutato come standalone, non avendo nulla a che spartire con gli altri capitoli della saga congegnati per le console domestiche: è anche per questo che ci troviamo dinanzi ad una storia molto semplice e poco strutturata. Di contro però vengono rilasciati spesso aggiornamenti che includono nuovi eroi ed eventi a tema.

Storyline

In Fire Emblem Heroes incontreremo personaggi già visti nei precedenti capitoli della saga, come Marth, Alphonse, Daraen, Chrom e tantissimi altri Eroi. La narrazione ci guiderà attraverso diversi campi di battaglia per scontrarci con gli eroi degli altri mondi chiamati a raccolta dalla principessa dell’impero Embliano, Veronica, che lotta per distruggere il regno di Askr e conquistare il mondo.
A questo punto spetta ai Guardiani di Askr il compito di sconfiggere e redimere gli eroi che si sono legati, con un contratto ingannevole, alla causa della principessa Veronica.

Il potere dell’invocazione

Dalla nostra parte, i nostri personaggi avranno un potere che permetterà di invocare gli eroi in aiuto per sconfiggere gli eserciti che marciano per la conquista del mondo.
Grazie, infatti, alle battaglie che si affronteranno nel corso del gioco, si otterranno, in cambio, tra i vari oggetti e bonus, anche delle sfere che potranno essere utilizzate appunto per richiamare gli eroi.
Il sistema delle invocazioni è molto semplice: basterà entrare nel menù apposito e iniziare l’invocazione spendendo 5 sfere per il primo eroe; se deciderete di richiamare 5 eroi in una sola sessione di invocazione, risparmierete ben 5 sfere.

Gameplay

Il gioco è ben sviluppato, il livello di difficoltà cresce in base alla nostra esperienza ed è molto scorrevole: difficilmente ci troveremo a fermarci nel corso della nostra avventura.
Pur essendo, come dicevamo, una versione semplificata rispetto agli altri capitoli della stessa saga, Fire Emblem Heroes possiede comunque lo stesso combat system strategico e molto intuitivo che caratterizza l’intera serie.
Le schermaglie avverranno in un campo di battaglia di 8×6 caselle, che cambierà ambientazione in base alla storia e che potrà essere caratterizzato da ostacoli e strettoie. Il combattimento si svilupperà a turni tra il giocatore ed i nemici, la nostra squadra potrà avere al massimo 4 eroi che converrà selezionare in base alle abilità speciali e alla tipologia. Ogni qual volta sconfiggeremo un nemico, il personaggio che ha inferto il colpo di grazia guadagnerà esperienza per poter aumentare il proprio livello e potenziare le proprie caratteristiche. Purtroppo l’unico punto sfavorevole potrebbe essere la modalità multiplayer PVP presente nelle arene, che non prevede un vero e proprio scontro “live” diretto giocatore contro giocatore, come di consueto, ma piuttosto non sarà altro che uno scontro contro squadre, casuali, preimpostate si dai giocatori, ma dirette da una IA (intelligenza artificiale) che ne deciderà le azioni.

In Conclusione

Fire Emblem Heroes è dunque uno di quei giochi che, grazie al sistema del consumo di energia per ogni battaglia affrontata, riesce a tenerci incollati per molto tempo, finché non dovremo smettere per attendere circa 4 ore e avere di nuovo il pieno di energia da spendere. Forse proprio perché il tempo di gioco viene scandito da queste lunghe pause comandate è un ottimo espediente ad esempio per trascorrere un po di tempo tra pausa caffè e lavoro. Gli appassionati della saga Fire Emblem sicuramente troveranno molto interessante questo capitolo, ma sono sicuro che anche per chi vi si avvicina per la prima volta potrebbe risultare una bellissima esperienza.




Redout: Race faster than ever

Nell’ultima edizione del premio Drago d’Oro a meritarsi il premio come “Miglior gioco italiano dell’anno” è stato un gioco che prende a piene mani dagli arcade racing del passato: parliamo di Redout, ultimo lavoro della casa torinese 34BigThings, che abbiamo intervistato al Let’s Play, proprio in occasione della premiazione. Il team ci ha parlato del titolo come un ritorno alle corse di vecchio stampo arcade, citando come fonti di ispirazione grandi classici come F-Zero o Wipeout.
La software house sta anche ultimando le fasi di porting per le console domestiche Ps4, Xbox One e Nintendo Switch, per le quali il gioco è già pre-ordinabile.
E adesso, analizziamo Redout più nel dettaglio:

Aspetti grafici

Redout gode di una grafica pulita, poco dettagliata ma molto colorata a fare da contorno alle nostre corse. Personalmente, viste le piattaforme a cui è orientato il gioco, avrei gradito che fossero state utilizzate textureshader orientati più al realismo piuttosto che lo stile poligonale che vediamo nel gioco.

Le navi

La “flotta” è suddivisa in 6 case navali, a loro volta distinte in 4 differenti classi sbloccabili gradualmente nel proseguo nel gioco. I concept sono molto originali, guardandoli, trasmettono immediatamente un’idea di futuristico e ipermoderno.
Ogni casa si differenzia dall’altra per parametri tecnici delle navi in scuderia: dalle più veloci alle più deboli, dalle robuste ma difficile da pilotare alle ben equilibrate per i piloti meno esperti, e così via.
Sin da subito le navi possono essere personalizzate sostituendo la livrea e scegliendo tra le varie colorazioni disponibili. Uno dei punti di forza di Redout sono i potenziamenti e i powerups, i quali hanno una funzione fondamentale nel gioco, andando a incidere sensibilmente sulla nostra esperienza di guida.

Gameplay

Redout mostra sin da subito la propria anima arcade, mettendo il giocatore davanti un menù semplice e intuitivo ma al contempo completo e ben realizzato.
Intraprendendo la modalità “carriera” si potrà selezionare una prima nave di classe I, con la quale avremo accesso alle prime gare: si nota fin da subito come le navi abbiano una buona manovrabilità e come ogni competizione risulti dinamica e adrenalinica. Proseguendo e quindi accumulando esperienza, si accrescerà il proprio “livello pilota“, tramite il quale si potrà avanzare negli eventi avendo accesso alle classi più alte delle navi. Qui purtroppo iniziano le prime note dolenti: finalmente dopo svariate gare, e dopo aver accumulato abbastanza esperienza e denaro, si riuscirà a sbloccare la nave di classe III; ma non si avrà il tempo di gridare “FINALMENTE CE L’HO FATTA!” che, da quel momento, si dovrà dimenticare quanto detto finora. Una volta entrati nella classe III, infatti, l’esperienza di guida cambierà radicalmente: sembrerà di essere un vecchietto alle prese con Mario Kart, le navi avversarie andranno in modalità “berserk“, VELOCISSIME:  è vero, anche la vostra nave sarà velocissima e completamente potenziata, ma loro si muoveranno con precisione millimetrica, sembreranno camminare su una monorotaia, non sbaglieranno una, DICO UNA sola curva!
Personalmente mi sono ritrovato a correre solo gli eventi delle prove a tempo, perché alla lunga ripetere le gare più e più volte nella speranza di arrivare al podio rischia di diventare frustrante. A ciò bisogna aggiungere altri fattori che variano nelle fasi avanzate di gioco. Provate, infatti, un po’ a immaginare tutto quel che abbiamo appena descritto sopra applicato a un semplice evento “corsa”: il risultato sarà che la vostra nave sarà – come detto – potentissima, e quindi anche difficile da pilotare, le navi avversarie andranno a velocità da missili terra-aria, i circuiti diventeranno sempre più ostici e tortuosi e, come ciliegina sulla torta, si potrà notare un effetto motion blur, o simile, che diventa talmente eccessivo da infastidire la visuale di guida.

Conclusioni

Sarò sincero, mi sono divertito parecchio giocando a Redout, guidare questi piccoli bolidi dà proprio una bella sensazione, e mi sentirei di consigliare il gioco a chiunque, come me, adori il genere arcade “gravità 0“.
Il gioco gode di molti aspetti positivi: oltre a quelli già illustrati sopra, c’è da porre l’accento sulla colonna sonora, d’effetto e molto esaltante, della quale abbiamo apprezzato i cambi di tono durante i salti e le immersioni, accompagnando ritmicamente il movimento dei veicoli. Anche la varietà dei tracciati e le ambientazioni a tema post-apocalittico hanno il loro grande fascino. Inoltre non sono da sottovalutare le numerose modalità di gara suddivise in “corsa”, “prova a tempo”, “boss”, “a punteggio”, “eliminazione” e tante altre ancora.
D’altro canto, come dicevamo, Redout ha la pecca di non riuscire a mantenere un equilibrio di gioco tra l’utente e quello degli avversari nei livelli più alti, e non offre, al contempo, la possibilità di cambiare livello di difficoltà per ovviare a questo disequilibrio. Questo può costituire un grosso problema, specie per i giocatori meno abili. Infine, non possiamo esprimere un giudizio riguardo la modalità multiplayer, la quale è prevista ma, al momento, risulta completamente deserta, (abbiamo tentato in diverse fasce orarie).

Nulla – quanto rilevato – che una buona patch non possa risolvere.

E ce lo auguriamo, perché il team di 34BigThings ha dimostrato, non solo di meritare i riconoscimenti ricevuti, ma soprattuto di saper lavorare bene, e siamo curiosi di vedere cosa ci riserverà in futuro questo giovane gruppo di sviluppatori.




Nier: Automata

Parlare dell’ultima fatica di Yoko Taro, prolifico e mai banale game designer del Sol Levante, non è impresa facile: Nier: Automata, infatti, pur essendo classificato come semplice action-rpg, racchiude in sé svariate sfaccettature, divenendo di tanto in tanto uno sparatutto con visuale aerea in stile Space Invaders, altre volte un platform, altre ancora un’avventura testuale. Yoko Taro è sicuramente uno dei personaggi più creativi e multidisciplinari nel panorama giapponese: oltre ad aver diretto i giochi della serie Drakengard e i due capitoli di Nier (ci troviamo, infatti, dinanzi al secondo lavoro della serie) è anche autore romanzi, manga, e persino opere teatrali, tra le quali anche una non facile trasposizione proprio di Nier: Automata. In Occidente si conosce praticamente soltanto il game-designer e ben poco della sua attività artistica. Ma di certo possiamo riscontrare la sua versatilità e il suo approccio multidisciplinare anche nelle sue opere videoludiche, spesso videogames dalla trama complessa e quasi tutti collegati tra loro, poiché elaborati nello stesso universo narrativo (basti pensare che il primo Nier, uscito nel 2010, è il sequel di uno dei tanti finali del primo Drakengard). Nier: Automata, dicevamo, è il sequel dello sfortunato Nier uscito per Xbox 360 e Playstation 3 sette anni addietro, il quale, pur godendo di una trama molto interessante, finì presto nel dimenticatoio a causa di una realizzazione tecnica penosa.

Storia

Nier: Automata è ambientato diversi millenni dopo la fine del prequel: l’umanità è stata quasi del tutto eliminata da un attacco alieno e i pochi sopravvissuti si sono rifugiati sulla Luna. Nel tentativo di riconquistare il pianeta Terra, gli umani inviano un gruppo di androidi chiamati YoRHa, fra i quali l’androide 2b, al quale si affiancherà l’androide 9s: tra i due si verrà a creare un legame affettivo (evento fuori dal comune, visto che sono degli androidi progettati per non avere emozioni) che andrà a farsi sempre più forte nel corso del gioco, portando la trama ad assumere aspetti più tragici ed emozionanti. Anche le macchine nemiche create dagli alieni saranno capaci di provare emozioni: alcune ci supplicheranno di ucciderle, altre arriveranno ai suicidi di massa, altre ancora rinnegheranno la guerra e vorranno creare un villaggio in cui regna la pace. Una volta terminato il gioco, per la prima volta ci verrà chiesto di ricominciare da un punto di vista differente, e si avrà l’opportunità di scoprire particolari che erano sfuggiti nel percorso precedente. Nier: Automata consta in tutto di 26 finali differenti, di cui 5 sono quelli principali, e fondamentali per capire appieno la storia.

Gameplay

Per lo sviluppo di Nier: Automata, Yoko Taro si è affidato ai tipi di Platinum games, studio talentuoso ormai scafato nel genere action (Bayonetta, Metal Gear: Rising Revengeance per citare alcuni titoli sviluppati dallo studio nipponico). Probabilmente anche per questo le differenze con il prequel sul piano del gameplay sono tante e saltano subito all’occhio. Entrando nel dettaglio, la protagonista può fare uso di due armi principali e di un POD (un mini robot volante dotatato di proiettili di varia tipologia). Inoltre, con il pulsante per l’attacco leggero si attaccherà con la prima arma, mentre con quello per l’attacco pesante si userà l’altra. Le combinazioni di armi con le quali eseguire combo sono davvero tantissime, il combat system è molto vario e divertente oltre a risultare diretto e al contempo abbastanza profondo (non si toccano certo i livelli di action puro di Bayonetta, ma siamo dinanzia un ottimo sistema di gioco). I numerosi boss offrono un tasso di sfida di tutto rispetto (specialmente se si gioca in modalità difficile, cosa che consigliamo ai giocatori più esigneti), con diverse fasi che spesso cambiano la modalità di gioco, rendendo lo scontro ancora più interessante.

Grafica e sonoro

Il mondo di Nier: Automata è rappresentato con un uso particolare della palette dei colori, le quali mettono in risalto la desolazione di un mondo in cui sono rimaste praticamente soltanto le macchine e qualche animale. Dal punto di vista strettamente artistico, ci troviamo di fronte a un ottimo lavoro di visual art, specie riguardo gli automi, rappresentati con cura minuziosa, e i paesaggi, spesso suggestivi e dal piacevole impatto visivo. Le note dolenti arrivano, invece, sul piano tecnico: le textures sembrano essere spesso in bassa risoluzione, la mole poligonale bassa, sono presenti parecchi muri invisibili che fanno storcere un po’ il naso; anche il frame rate (almeno su console, noi lo abbiamo provato su PS4) ha dei cali e risulta incostante e, infine, alla lunga le ambientazioni tendono a stancare. Il discorso cambia parlando del comparto audio: la colonna sonora è unica nel suo genere, sfiorando talvolta i confini del geniale. Basti pensare che in un punto del gioco troviamo dei robot parlare in coro in maniera ossessiva, come recitassero un mantra, e il suono che ne viene fuori si fonde magistralmente con la colonna sonora, creando un ritmo incalzante raramente visto in un videogame.

Conclusioni

Nier: Automata rappresenta un ritorno in grande stile per Yoko Taro: siamo di fronte a un titolo capace di emozionare e divertire grazie a una trama di spessore e un gameplay sopraffino, e che riesce a superare in tutti gli aspetti il suo predecessore. Pur non brillando per realizzazione tecnica, la sua unicità lo rende un gioco che tutti i possessori di PS4 e PC dovrebbero assolutamente provare.




final fantasy xv

Final Fantasy XV

Ebbene sì, ragazzi, mi trovo davanti alla tastiera e sto per recensire uno dei giochi più amati e criticati dell’anno.
Stiamo parlando dell’ultimo capolavoro nato dal genio di Hajime Tabata (che abbiamo recentemente intervistato), Final Fantasy XV, fra l’altro premiato come “Miglior Gioco dell’Anno” al Premio Drago d’Oro.
Avendo giocato solo alla Day One edition, che includeva un DLC per sbloccare la potentissima spada leggendaria “Masamune“, credo di poter dire di aver provato solo una versione “nuda” del titolo.
Infatti, con l’uscita del Pass Stagionale, il gioco si è evoluto ed espanso notevolmente rispetto alla versione disco.
Questo perché principalmente la Square Enix ha interesse nel far rimanere incollati alla TV i propri giocatori, rilasciando frequentemente DLC e patch con eventi speciali a cui partecipare che risultano molto attrattivi per gli utenti.
É un po come se gli sviluppatori ci stessero dicendo “Hey, non ti lasceremo togliere il disco dalla tua console così facilmente!”

Ma bando alle premesse, passiamo al lato narrativo del titolo firmato Square Enix, sul quale cercherò di anticipare il meno possibile in termini di storia in modo che, chi non ha ancora avuto il piacere di giocarsi questo titolo, non si rovini la sorpresa.

Storyline

FFXV ci fa vivere le vicende di Noctis Lucis Caelum, principe del regno di Lucis, che intraprende il suo viaggio per incontrare e quindi sposare la sua amata, la principessa Lunafreya Nox Fleuret, la quale vive da tempo prigioniera nel regno di Niflheim, retto dal governo dispotico dell’imperatore Iedolas Aldercapt e del suo cancelliere Ardyn Izunia, i quali tirano le fila del governo della nazione con l’intento di ingrandire il proprio esercito di automi, miscelando magia e macchine per conquistare il mondo. La guerra tra Lucis e Niflheim ebbe inizio dall’alba dei tempi e per questo il matrimonio dei due giovani viene visto di buon auspicio per porre fine all’interminabile ostilità tra le due fazioni.
Inutile dire che nulla andrà per il verso giusto.
Durante il viaggio di Noctis e dei suoi fidati amici di corte, Ignis, Prompto e Gladio, il regno di Lucis cade a seguito di un potente e tradimentoso attacco a sorpresa sferrato dal regno di Niflheim, annullando così ogni accordo: la scintilla che accenderà il fuoco della rivalsa nel cuore di Noctis.

Gameplay

Passando al modo di gioco, gli aspetti più importanti del gameplay sono principalmente due: uno è sicuramente l’innovativo e vastissimo sistema open world. Per agevolare gli spostamenti attraverso la mappa possiamo utilizzare l’automobile del Re di Lucis, la Regalia, consegnata al figlio per raggiungere Altissia, con la quale i nostri personaggi potranno spostarsi automaticamente o manualmente seguendo la strada che ci porterà, di luogo in luogo, alla scoperta dei segreti della regione di Duscae. Per chi ama la natura ci saranno i nostri amici pennuti, gli immancabili Chocobo.
Sia l’automobile che i Chocobo si potranno personalizzare durante il gioco.

L’altro aspetto assolutamente innovativo del gameplay – incredibile ma vero – riguarda il combat system. Infatti Final Fantasy, per la prima volta nella storia, abbandona il tanto amato e collaudatissimo sistema di combattimento a turni, per lasciare spazio ad una impostazione più action, rendendolo di fatto un action-jRPG. Ad ogni modo, dobbiamo assolutamente dire che il nuovo e inedito combat system ci ha lasciati a bocca aperta per quanto funziona molto bene: oserei dire “buona la prima”.
Gli sviluppatori, per non lasciare scontenti gli amanti dei turni hanno comunque creato un sistema ibrido, chiamato “RIFLESSIVO“, modalità nella quale si può decidere solamente come iniziare strategicamente il combattimento, per poi proseguirlo nella modalità di default.
I combattimenti sono fluidi e raramente risulteranno confusionari, ma questo dipenderà esclusivamente dalla quantità e dalla maestosità di alcuni nemici o dalle impostazioni della visuale.

Role Playing Game

Come tutti gli RPG che si rispettino, anche Final Fantasy possiede tutte le caratteristiche principali del genere:
alberi delle abilità, esperienza cumulativa, armi potenziabili, amuleti, pozioni, magie in pokéball (si, proprio così, adesso le magie verranno distillate in base ad alcuni elementi, da raccogliere in giro per il mondo per poi racchiuderle in una piccola sfera tascabile), ci sarà anche una vastissima mappa interamente da esplorare e tanto altro.

Specialità

Una simpatica novità sono invece le specialità uniche dei 4 personaggi, da sviluppare anch’esse in base alla frequenza di utilizzo di queste stesse e tramite l’albero delle abilità.
Noctis sarà un pescatore, Prompto sarà il fotografo del gruppo, Ignis vestirà i panni del cuoco durante gli accampamenti all’esterno, e Gladio sarà l’esploratore (forse il personaggio meno degno di nota). In relazione a ogni specializzazione sono state create delle quest secondarie che di tanto in tanto ci troveremo ad affrontare dimenticandoci per un po’ di dover salvare il mondo.

Longevità

La longevità del gioco, cercando di concludere quante più missioni secondarie (che a volte possono risultare ripetitive e frustranti) è davvero notevole. Personalmente ho impiegato circa 100 ore per completarlo e non ho speso un solo minuto per cercare di sbloccare tutti i trofei della mia PS4 quindi, se siete amanti del platino, preparatevi a dedicarvi parecchio tempo.

Conclusioni

Tirando le somme, credo che Final Fantasy XV sia uno di quei giochi che non si può fare a meno di possedere tra gli scaffali. Chi ha giocato e finito il gioco avrà avuto modo di rendersi conto di trovarsi davanti a un lavoro videoludico meraviglioso, immenso, graficamente pazzesco, ricco di contenuti, con un climax ascendente e fortemente drammatico che va a concludersi con un finale da mozzare il fiato e sicuramente inaspettato; ma, al contempo, potrebbe anche dire di avere qualche dubbio sulla completezza della trama, che potrete avere un po’ più chiara, guardando il film Kingsglaive: Final Fantasy XV, incluso nella versione deluxe del gioco, di cui costituisce il prequel.
A questo proposito, Hajime Tabata, durante un’ intervista, ha dichiarato prontamente che la storia, pur apparendo non lineare e non immediatamente comprensibile,
è stata volutamente studiata e pensata in tal maniera dal team di sviluppo.
Ad ogni modo, la software house assicura che continueranno ad uscire patch e DLC sempre più interessanti e che queste avranno un grosso impatto sull’intera trama.
Come ad esempio, la patch 1.07 già uscita a marzo, una versione modificata del tanto criticato capitolo 13, che meglio introduce il DLC Prospettiva Gladio o Episode Gladio,
nato ufficialmente per promuovere un nuovo tipo di esperienza di gioco in combattimento, ma che in realtà, mette finalmente al suo posto qualche tassello mancante nella trama principale, nello specifico quel che accade quando Noctis viene costretto a separarsi dai suoi compagni di viaggio, costringendo noi giocatori ad avventurarci in una zona anomala tra porte da sbloccare, nemici in quantità industriale da distruggere, nonsense, e trama farraginosa.

Alla luce di tutte queste informazioni è lecito chiedersi: per quale motivo si è sentita la necessità di modificare così sensibilmente il Capitolo 13?.
A noi non è dato saperlo, ma quel che è certo è che un titolo di questo calibro è stato messo in vendita in un modo per poi “costringere” i giocatori più curiosi ad acquistare i DLC per avere una versione “sensata” della trama.
Chissà, magari con l’uscita, prevista per Giugno, del DLC Episode Prompto potrebbe ancora cambiare qualcosa.




Card Thief - Bird

Card Thief

Un solitario che è un gioiello

Tornano i berlinesi di Tiny Touch Tales a due anni di distanza dal loro Card Crawl, dungeon crawler costruito intorno a un mazzo di carte (sì, le classiche 54 carte da gioco solo “leggermente” rivisitate) che aveva conquistato il mondo mobile grazie alla stupenda grafica e al suo concept davvero originale. Proprio questa passione per le carte da gioco sembra essere rimasta immutata, tanto che Arnold Rauers, game designer di TTT, ha deciso bene di deliziarci con questo splendido omaggio al classico di Looking Glass, Thief, inventandosi un gioco che è un solitario e uno stealth RPG strategico al contempo .

In Card Thief tutto il gameplay ruota attorno alla ricerca del percorso ottimale che il nostro protagonista – una carta raffigurante il ladro – deve intraprendere attraverso una griglia di 3×3 carte che rappresenta sia il livello di gioco, sia gli oggetti e i personaggi che lo popolano, e che mano a mano vengono sostituite in maniera del tutto casuale dalle altre carte presenti nel mazzo, le quali raffigurano nemici, ostacoli, tesori e carte abilità e d’ambientazione (come le carte-torcia) che influenzano, grazie alle loro caratteristiche, anche le altre presenti sulla griglia, aggiungendo o togliendo bonus e rendendo più o meno impervio il percorso da intraprendere per raggiungere il tesoro e la botola, carta che arriva sempre alla fine di ogni mazzo.

Il gioco offre tante possibilità di pianificazione strategica grazie alle sue meccaniche ben bilanciate, ai suoi 4 livelli accessibili dopo aver sbloccato i precedenti, i quali aggiungono sempre nuove abilità e nuove carte-nemico o carte-trappola, oltre alle varie modalità aggiuntive come il “colpo quotidiano“.

Un gioiello da lucidare

Sebbene le meccaniche siano un tantino ostiche da approcciare, e sebbene il tutorial non si possa definire di certo esaustivo, il gioco riesce comunque a conquistare il giocatore grazie alla sua grafica accattivante, ad animazioni e suoni ricercati e ben realizzati. Tutto sommato si potrebbe affermare che faccia leva proprio sulla qualità di queste caratteristiche per farsi avvicinare dal giocatore e poi rapirlo con la profondità di un gameplay ben studiato e bilanciato, ma che purtroppo si rivela nella sua complessità soltanto dopo aver giocato diverse partite.

Fortunatamente la formula scelta è quella di un premium e il prezzo di 1,99 € (solo su App Store di Apple, al momento) lo rende accessibile e meritevole di essere provato. Card Thief  è un gioco che, una volta compreso bene, coinvolge e crea dipendenza ma che probabilmente alla lunga risulta davvero soddisfacente soprattutto per il giocatore completista o per quello che tiene più alla classifica punteggi, per via dei suoi contenuti non proprio longevi.




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Horizon Zero Dawn

Horizon Zero Dawn è un rpg-action prodotto da Guerrilla Games, che ha richiesto 5 anni di sviluppo ed è stato pubblicato da Sony Computer Entertainment in esclusiva Playstation 4.
È stato presentato all’E3 2015. La data di uscita in Nord America era prevista per il 28 febbraio 2017 e il 1º marzo in Europa.

horizon-zero-dawn-screen-09-ps4-euL’ambientazione temporale del gioco è il 3000 d.C., in uno scenario post apocalittico dominato da macchine dalle forme animalesche in lotta con quel che rimane della civiltà umana, ormai quasi estinta e riunita in piccole tribù. Il gioco racconta la storia di una ragazzina di nome Aloy che viene “adottata” da un emarginato di nome Rost. Gli emarginati sono dei “paria”, esseri umani esiliati e quindi respinti dalle tribù. Aloy è alla ricerca delle proprie origini che solo le matriarche della tribù possono rivelarle, ma non prima di aver superato la prova per diventare un “audace”. Decide perciò di allenarsi duramente per superare una prova tenuta dai “Nora”, superata la quale Aloy inizierà la propria avventura. Mark Norris durante un’intervista ha rilasciato un’affermazione riguardante la trama, dicendo che nel videogame la storia di Aloy insieme a quella del mondo raccontato in Horizon Zero Dawn, fatto da tribù, macchine e numerosi elementi all’interno delle quest.
La durata complessiva della storia è di circa 20/30 ore, e aggiungendo le quest secondarie e i contenuti opzionali, si possono anche raggiungere oltre le 50 ore di gioco.horizon-zero-dawn-screen-08-ps4-euHorizon Zero Dawn è un open world dalla grafica spiazzante, nel quale i giocatori potranno muoversi su tre principali zone: foreste, deserto e una distesa di montagne ghiacciate. Questi ecosistemi sono abitati da macchine di diverso tipo (verrebbe da dire “razza”, data la natura zoomorfa dei robot che Aloy si trova ad affrontare), contro le quali si avranno a disposizioni varie tipologie di armi, dall’arco con vari tipi di frecce (dalle incendiarie alle elettriche), alla lancia passando per le bombe. Il commercio è basato sul baratto: una volta distrutte, le macchine lasceranno alcuni loot.In HZD è presente, tra i vari elementi rpg, anche un albero delle abilità in cui selezionare potenziamenti per Aloy che si sbloccheranno con l’avanzare del suo livello di esperienza e punti abilità e che ovviamente diventeranno permanenti. Sarà importante incrementarne alcune per il buon esito di alcune missioni. HZD ci permette di scegliere tre tipi di gameplay, soprattutto determinati da come sceglieremo di sviluppare il nostro albero delle abilità: action, stealth e farmer.Il crafting è un aspetto fondamentale del gioco: si hanno a disposizione diverse tipologie di oggetti che potranno essere creati nel corso della storia e si otterranno dalla combinazione di risorse di vario tipo che potremo trovare in natura (rami, pezzi di macchine, etc…). Farmare il più possibile durante la nostra avventura diventerà dunque importante per ottenere vari oggetti utili nel gioco. Abilità come il  “creatore di munizioni”, che permette ad Aloy di creare, appunto, un maggior numero di munizioni per le sue armi con la stessa quantità di risorse, diventerà un vantaggio non da poco con l’avanzare della difficoltà dei nemici.
Uccidendo nemici, animali o semplicemente andando in giro per la vastissima mappa, potremmo trovare diverse risorse. Un’altra abilità che può venirci in aiuto sono lo “sciacallo” e lo “sciacallo+”, che permettono ad Aloy di aumentare il loot ottenuto. Con l’ausilio del “focus” si possono identificare specificate componenti da colpire per ottenere il loot senza uccidere i nemici.
Il focus è un oggetto molto utile, quasi indispensabile, che permette di riconoscere e individuare oggetti, macchine e i rispettivi punti deboli. Il suo utilizzo è fondamentale per la riuscita di alcune missioni stealth, grazie alla possibilità di visualizzare i percorsi che effettueranno le macchine nemiche.horizon-zero-dawn-screen-23-ps4-euAltro elemento del gioco estremamente utile è l’override, che Aloy potrà utilizzare su ogni macchina presente nella storia, permettendole di trasformarla in un’utile alleata. Per eseguire l’override su tutte le macchine si deve prima eseguire un override sui Calderoni; ogni calderone dà la possibilità ad Aloy di eseguire l’override su altri tipi di macchine.horizon-zero-dawn-screen-22-ps4-euVenendo un po’ al lato grafico, Horizon Zero Dawn può essere giocato in 4k upscalato con 30fps su PS4 PRO e in 1080p 30fps su PS4.
Horizon Zero Dawn è stato programmato con il Decima engine, motore grafico creato dalla Guerrilla Games, il cui nome è stato rivelato solamente quando Hideo Kojima ha scelto questo engine per la sua prossima opera, Death Stranding.
Le capacità grafiche del Decima si sono evolute nel tempo, partendo da Killzone Shadow Fall. L’engine supporta un ampio range di caratteristiche, come il supporto per animazioni ricche e un sottosistema audio avanzato. É un motore grafico che sembra essere uno dei più semplici e al contempo potenti engine disponibili fino ad oggi, tanto che Hideo Kojima ha dichiarato durante un’intervista di ritenere la tecnologia utilizzata da Guerrilla Games “in tutt’altra categoria rispetto alla concorrenza”, e questo si vedrebbe proprio in Horizon Zero Dawn, nel quale lo sviluppatore ha compiuto un lavoro di dettaglio dal punto di vista visivo che il game designer giapponese non ha esitato a definire “sorprendente”.
Pur risultando eccelso il lavoro grafico, non dobbiamo però trascurare il comparto sonoro di Horizon Zero Dawn, curato dal supervisore musicale di Guerrilla Games, Lucas Van Tol, già sound designer dei vari Killzone 2, Killzone 3, Killzone: Shadow Fall.
Le musiche sono nate dalla collaborazione tra i compositori Niels van der Leest, Joris de Man e The Flight (duo formato da Alexis Smith e Joe Henson) e lo stesso Lucas.
La colonna sonora risulta ben studiata e molto adatta a ogni fase di gioco, riuscendo a caricare emotivamente le sequenze durante i combattimenti e a rilassare il giocatore anche dopo una dura battaglia.Horizon Zero Dawn ha ricevuto pareri molto positivi nel mondo videoludico, e non possiamo che trovarci d’accordo. L’architettura di un open-world così vasto e complesso, una storia che, seppur non molto elaborata, risulta comunque gradevolmente curata, una grafica di altissimo livello, meccaniche di combattimento ben studiate, design dei personaggi accattivante e, last but not least, il personaggio principale, Aloy, eroina di carattere e con personalità di spessore, che potrebbe diventare un personaggio iconico per la Sony. Anche CD Projekt RED, creatrice della saga The Witcher, si è congratulata con Guerrilla Games, pubblicando sul proprio Twitter un artwork che raffigura Geralt Di Rivia e Aloy nell’atto di darsi il cinque.Geralt-ed-Aloy-High-FiveGuerrilla Games, per tutta risposta, ha pubblicato sul proprio profilo Twitter un disegno che raffigura i due eroi durante una competizione amichevole.gli-sviluppatori-horizon-the-witcher-3-si-complimentaA chi platinerà il gioco, la Sony ha riservato un codice regalo per sbloccherà un tema esclusivo per la PlayStation 4.horizon-zero-dawn_themeAttualmente Guerrilla Games starebbe lavorando sullo sviluppo di un DLC per Horizon Zero Dawn che espanderà la storia principale e ha già in programma un sequel. Non vediamo l’ora di giocarli e di raccontarvi anche quelli.

Walter Galluzzo
Dario Gangi
Gabriele Tinaglia