Capcom svela una nuova area di Monster Hunter World

A pochissimi giorni dal rilascio della open beta per PS4 (disponibile a partire dal 19 gennaio), Capcom ha pubblicato su Youtube un nuovo video gameplay dell’attesissimo nuovo capitolo della saga. L’intera clip è incentrata su Rotten Vale, un’area di gioco inedita che ha la particolarità di essere piena di carcasse e ossa di mostri, il che crea un ecosistema davvero unico; il tutto accompagnato dalla prorompente voce di Brian Ayers, brand manager europeo, e giocato su PS4 dal game director in persona, Yuya Tokuda. Ma i protagonisti indiscussi sono, ovviamente, i mostri: sono presenti infatti i predatori Rodabaan e Odogaron che, oltre a scontrarsi contro il giocatore, che a sua volta mostrerà varie strategie di attacco, combatteranno anche fra loro.

Qui il gameplay:

Monster Hunter World verrà rilasciato sulla console Sony e su Xbox One il 26 di gennaio, seguito dalla versione per PC che arriverà questo autunno. Pronti ad affrontare nuove sfide?




Ubisoft si prepara al rilascio del nuovo DLC di Assassin’s Creed Origins

Gennaio sarà sicuramente un mese prolifico per Assassin’s Creed Origins:  l’imminente arrivo di “Gli Occulti”, il primo DLC, che sarà disponibile entro la fine del mese, aggiungerà un altro tassello alla storia della nascita degli Assassini, che vedrà questi ultimi scontrarsi contro i romani, il tutto contornato da una nuova regione esplorabile e l’aumento del livello massimo, dal 40 al 45.
Oltre a questo, un nuovo aggiornamento gratuito porterà una missione inedita, per celebrare appunto l’uscita dell’espansione, insieme alla possibilità di rivendere gli abiti acquistati e poter trovare nelle casse Heka tutti gli oggetti dei pacchetti Prima Civilizzazione, Stravaganza, Incubo e Gladiatore.
Torneranno inoltre le Prove degli Dei per un periodo limitato: si potrà affrontare nuovamente Anubi dal 9 al 16 di gennaio e Sobek dal 23 al 30. Come ultima chicca, Ubisoft ha anche aggiornato lo store del gioco, aggiungendo nuovi pacchetti, abiti e armi, acquistabili a breve. Quando si dice essere viziati.

 




Il prossimo Nintendo Direct sarà l’11 gennaio?

Ora che il 2017 è finito, tiriamo le somme: Switch ha superato ogni aspettativa in fatto di vendite con oltre 10 milioni di copie vendute in 10 mesi, e offrendo già una discreta gamma di titoli, tra esclusive, indie, porting e multipiattaforma. Il futuro della console ibrida, almeno per quest anno, potrebbe rimanere altrettanto florido grazie a una lista di 8 nuovi giochi che, non ancora ufficialmente annunciati, sembrano essere usciti allo scoperto grazie ad Amazon, avendo già reso disponibili i preordini dei suddetti (visibili cliccando qui), oltre ad alcuni accessori. Un particolare placeholder indica chiaramente che uno dei titoli in questione (chiamato Project Octopath Traveler) sia «appena stato annunciato a un evento», evento che però Nintendo non ha ancora confermato, ma di cui si specula da tempo, arrivando addirittura a un’ipotetica data: 11 gennaio 2018. Se così fosse, non si dovrà aspettare molto per avere la conferma da parte della grande N, o la negazione, del leak di Amazon.




Seinfeld Adventure game: un nuovo punta e clicca in pieno stile anni 90′

Negli ultimi anni la pixel art sembra aver ripreso piede nel mondo dei videogames, sopratutto se si parla di Indie: colorata, semplice ma allo stesso tempo di grande impatto grafico. Questo nuovo titolo, Seinfeld Adventure game, attualmente in sviluppo dall’australiano Jacob Janerka, vuole riportare in auge lo stile delle avventure grafiche LucasArts e la sitcom americana Seinfeld, che porta proprio il suo nome. L’obbiettivo principale è quello di riprodurre il più fedelmente possibile, attraverso i pixel appunto, le ambientazioni e i personaggi, per far provare a chi gioca le stesse sensazioni che quella serie tv dava, durante la sua messa in onda nel periodo 1989-1998.

Lo stesso sviluppatore ha annunciato su Twitter di essere alla ricerca delle giuste idee per rilasciare una prima demo, mostrando anche una brevissima clip.

Un nuovo punta e clicca è sicuramente una ventata d’aria fresca che si scosta totalmente dalla maggior parte dei titoli odierni, ma allo stesso tempo un’occasione per i vecchi fan di questo genere di ritornare con la mente ai tempi di Monkey Island, Full Throttle e Day of the Tentacle.




GameCompass Awards

Qui la seconda parte:

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final fantasy xv

Le novità della versione 1.20 di Final Fantasy XV

Avete mai voluto giocare nei panni di Prompto, Ignis o Gladio durante le vostre scorribande in Final Fantasy XV? Ora si può! A distanza di più di un anno dal rilascio, col passaggio dalla patch 1.18 alla 1.20 è finalmente possibile scegliere con quale dei compagni di viaggio di Noctis si vorrà giocare nella modalità storia, dando quel tocco di varietà e longevità che tantissimi fan stavano aspettando sin da prima che il titolo uscisse. L’aggiornamento porta anche qualche altra feature, tra cui piccoli bug fix, la compatibilità con il DLC Episode Ignis (in arrivo il 13 dicembre) e l’aggiunta della soundtrack di quest ultimo e di Comrades alla musica di gioco.

Final fantasy XV è disponibile su PS4 e Xbox One, ma arriverà anche su PC in data da definire, all’inizio dell’anno nuovo. E a proposito di porting,  Square Enix non sembrerebbe interessata solo a questa piattaforma, ma anche a Switch. Secondo il CEO Yosuke Matsuda infatti, la console Nintendo sarebbe perfetta per far conoscere alle nuove generazioni di giocatori quei titoli di cui magari hanno sentito parlare ma non hanno potuto provare, che hanno reso grande la ex Squaresoft, come i primi Final Fantasy, Secret of Mana, Odin Sphere  e tantissimi altri. Per fare il lavoro come si deve però, sempre a opinione di Matsuda, non bisogna portare i giochi su Switch così come sono, bensì aggiornarli e renderli più moderni così che siano più appetibili, soprattutto per chi li proverà per la prima volta.
Pare proprio che Square abbia voluto regalare qualcosa un po’ a tutte le categorie di gamer questo Natale.

 




Nintendo non applicherà sconti su Switch per Natale

Le vacanze di Natale sono il momento ideale per fare regali ai propri cari, ma per i giocatori rappresentano anche una quantità enorme di occasioni, ed erano molti a sperare in sconti su Nintendo Switch. Questo non accadrà, poiché Nintendo non offre sconti sulla console durante le vacanze.
È stato affermato da Reggie Fils-Aime in un’intervista al Washington Post, e tenendo conto del boom di vendite, ciò non si direbbe sorprendente.
«Non applicheremo sconti sulla console switch, vogliamo assicurarci di avere una robusta fornitura al dettaglio», ha affermato Fils-Aime.




Death Note il film – la rece con le mele rosse un tanto al chilo

Perchè Death Note –  il film – fa cagare
(E ve lo scrive uno a cui “Death Note” – l’anime – ha fatto cagare tantissimo)

Ok partiamo dall’inizio.

Nella patria dei jappocosi un mostro con le chiare fattezze di William Defoe si perde un quaderno dove se ci scrivi su il nome di una persona quella muore malissimo, uno sbarbo-giappo si mette carneficinizzare mezza Indocina e un altro sbarbo giappo prova a sgamarlo.

Ora, l’anime secondo molti parla di amicizia, di senso della giustizia, di complesso di onnipotenza, della morte, della rava e della fava; una fetta di generazione in preda a crisi mistiche e il mercato delle mele rosse in netto rialzo.
Stronzate.
L’anime parla di una sola cosa: MONUMENTALI seghe mentali.
No gente, serio: il cardine principale della trama sono le infinite segh… le infinite deduzioni e tecniche investigative dei due giapposbarbi che a colpi di percorsi logici cercano di dimostrare chi c’è l’ha più lun… chi è il più intelligente.

No, davvero, il senso dell’anime è questo: è un poliziesco investigativo.
Prendete la Scienza della Deduzione di Sherlock Holmes, mettetela sotto steroidi pesi e quando ormai delira e ha la bava alla bocca speditela in giappolandia, tra pedofili in erba e sessualità confusa, rinchiudetela in uno stanzino, ravanatela di botte a colpi di katana di legno e quello che ne verrà fuori sarà Death Note.

Un anime dove i tuoi protagonisti si affrontato a colpi di deduzioni via via sempre più inverosimili, dove il protagonista cattivo è bellissimo, intelligentissimo e anche skillattissimo a livello fisico, si trova costantemente circondato da figa mostruosa che vorrebbe regalargliela, ma dalla quale lui sia allontana con malcelato senso di fastidio, forse per rievocare l’antico modello dell’amore platonico greco, dove l’amore tra uomo e uomo era più puro dell’amore di un uomo per una donna, perché non turbato dall’ottenebramento dei sensi, forse perché è semplicemente un coglione e deve affrontare un suo degno pari, intelligentissimo, non bellissimo ma che piace perché freak e anche lui skillatissimo fisicamente.

I due si affronteranno a colpi di piani, complotti, SEGONI MENTALI TITANICI, fino all’ultima deduzione.
E basta, a me fa già cagare un po’ così.

Perché per me, il livello massimo dove la scienza della deduzione può arrivare è quello di “Sherlock” nella 4a stagione della serie della BBC: superato quel livello, la mia sospensione dell’incredulità crolla ed esce sbattendo la porta, bestemmiando pure.
Quindi capirete che, attorno alla decima puntata, all’ennesimo «i miei sospetti su di te sono aumentati dello 0,0001%», senza che nessuno nell’anime scoppiasse a ridere rotolandosi sul pavimento, ho spento il computer e sono andato a prendermi un gelato, che quello stronzo di ELLE se ne mangiava a pacchi.

La coerenza del recensore, questa sconosciuta.
(e soprattutto: dove vuole arrivare?)

Ora, in questa mia avversione verso l’esagerata sospensione dell’incredulità non avrò nemmeno il pudore di difendere la coerenza della mia posizione. A tutt’oggi tollero e venero mostri del “WTF” come I Cavalieri dello Zodiaco e Kenshiro, dove la sospensione dell’incredulità non ha nemmeno ricevuto l’invito a partecipare, ma stranamente ogni volta che vedo un episodio dei suddetti me la ritrovo comunque sulla spalla, gasata pesa, a urlare assieme a me «polvere di diamanti!!!»

Perché ci si mena signori, fottesega delle iperboli quando volano calci e pugni epici. Perché non me ne frega niente che «i pugni che vanno alla velocità della luce» non hanno senso di esistere in un universo strutturalmente costruito: è fighissimo lo stesso vedere due giappocosi in armatura che combattono potentissimi con luci dorate. Questo ti fa dimenticare della sospensione dell’incredulità, non infiniti segoni mentali.

Perché l’urlo di Chen terrorizza, ancora, l’Occidente, e se sento un UATATATATATATÀH!!! o un «Per il Sacro Acquarius!!!» ancora «Lo Spirto Guerrier Entro Mi Rugge»
Combattimenti epici, non due asessuati che giocano a scacchi masturbandosi mentalmente a quattro mani.
Ma queste sono mie opinioni personali.
E soprattutto a noi cosa ce ne sbatte di queste opinioni personali? Cazzo ci frega che a te, Lanfranco, Death Note l’anime ha fatto cagare? Qui si parla del film, perché il film ti ha fatto cagare uguale?
Per un motivo molto semplice signori.
Perché in Death Note “il film” non ci sono i segoni mentali.
Quindi se togli quella che è, secondo me (ma, se non la pensate come me, molto probabilmente avete torto), l’anima dell’anime (ohohoh), per quanto possa fare cagare, ottieni un risultato comunque inferiore.
Che è Death Note, il film.

Death Note – Il Film; o anche: perché gli americani era meglio se andavano a cogliere cacocciole.

Il film inizia con la medesima premessa dell’anime: nella patria degli “ammerigani” un mostro con le chiare fattezze di William Defoe si perde un quaderno dove, se ci scrivi su il nome di una persona, quella muore malissimo, uno sbarbo amerigheno si mette a carneficinizzare mezzo globo terrestre e un altro sbarbo afroamerigheno prova a sgamarlo.
Come si risolve il conflitto tra i due?

NON SI RISOLVE.

L’unico punto saliente della trama dell’anime, il conflitto tra protagonista e deterunocoso (l’antagonista) nel film, semplicemente, non c’è. Fateci caso. Non dico non c’è l’infinta “mind war” a colpi di segoni tra Elle e Light: no, non ci sta proprio il conflitto tra i due, quasi non c’è scontro diretto.
Light ammazza gente a caso, Elle interviene e, senza una spiegazione esauriente, decide che l’assassino opera a Seattle, Light, per tutta risposta: smette di fare qualsiasi cosa. Non c’è, per dire, tutto il balletto di trappole sgami e sgamini per sfuggire alla sorveglianza in maniera plausibile, non c’è lo sfruttare la pagina o i frammenti per usarli in giro come arma portatile, magari nascosti in un sacchetto delle patatine, che a pensarci bene è un’idea anche un po’ del cazzo ma fa ridere.

Per riprendere a movimentare le cose si è dovuto utilizzare quella cerebrolesa di Mia, che in uno slancio di stupidità non è che pensa, al massimo, di continuare la catena di omicidi per allontare i sospetti da Light, no, decide proprio di ammazzare quanti più uomini dell’FBI possibile, giusto per togliere l’enorme sostegno silenzioso che la polizia forniva e per far puntare un enorme faro tracciante su Light stesso.

La trama continua pressapoco così, il confronto tra Light ed Elle è ridotto ai minimi termini; si incontrano e parlano in due occasioni e in nessuno dei due casi vengono portati sviluppi alla trama.
Il confronto più interessante alla fine pare essere proprio quello tra Light e Mia, il primo omicida con scrupolo, la seconda sempre più presa da un delirio di onnipotenza per proxy; Elle fa da terzo incomodo, perfino nel climax finale viene completamente tagliato fuori e senza un confronto tra Light ed Elle mi spiegate che cacchio di Death Note è?

Oltre questo il film prosegue con la fiera delle occasioni mancate.
Perché il materiale di partenza buono o addirittura interessante in alcuni parti c’è, ma dura lo spazio di un battito di ciglia.

L’impatto di Kira sul mondo poteva essere di una figaggine mostruosa. Nell’anime non mi ricordo chissà quale grande impatto, ma ci sta, gli anime vivono in un mondo tutto loro dove le logiche e le dinamiche sociali sono consolidate da tempo, il mondo attorno ai protagonisti fa solo da sfondo, senza altre interazioni, gli unici elementi vivi sono i protagonisti; anzi sarebbe un’analisi interessante, questa, sulla cultura giapponese, in cui in ogni storia ci sono solo i protagonisti, solo loro, mentre il mondo intorno o impazzisce senza mai interagirci o li ignora.
Come dicevo, un aspetto interessante ma a cui siamo comunque abituati.

Ma in un film occidentale?
Nel film fanno vedere crisi mistiche di massa, riunioni, bordelli in mezzo alla strada, seguaci. Ma senza mai spingere sul freno, senza mai dare l’impressione che su questa idea ci si possa investire qualcosa. Per dare un tocco più realistico alla storia ci sarebbero dovute essere interruzioni armate in ogni angolo del globo. Dichiarazioni del Vaticano, il papa che si suicida perché Kira gli ha accoppato tutti i vescovi pedofili, l’Islam esploso in detonazioni nucleari contro se stesso una volta visti i propri imam falcidiati da un dio della morte giapponese, l’Isis che invade Tokyo, caos, morte e devastazione ovunque.
In Death Note assistiamo a gruppi di sbarbi che fanno le riunioni mistico-alcoliche nelle cantine o nelle chiese abbandonate.

Una potenziale fine dell’umanità così come la conosciamo, derubricata a movimento emo giovanile . (ma gli emo? Che cazzo di fine hanno fatto gli emo? Siamo veramente riusciti a estinguerli? Certo la tendenza a estinguersi da soli già ce l’avevano però figata sono realmente scomparsi…)

E le regole?
Oh, questo lo mettiamo tra le buone cose sprecate. La sottotrama dei precedenti possessori del Death Note, le note di avvertiment….

Oh ma aspetta un attimo cazzo…! Ma se nel Death Note c’era scritto un avvertimento su Ryuk, tecnicamente il nome di Ryuk È scritto sul Death Note!!! Cazzo, Ryuk dovrebbe essere già schiattato!!!

Cacchio mi è venuto in mente proprio ora mentre sto scrivendo.

È una cosa pazzesca!!!
Cacchio ma non possiamo fermarci, la recensione deve continuare!

Cercando di non pensare al bug di cui sopra, la sottotrama dei precedenti possessori del Death Note sarebbe stata una potenziale miniera d’oro ai fini dello sviluppo della trama: gli avvertimenti, qualche indizio sul perché William Defoe stesse armando tutto questo bordello, insomma di carne sul fuoco ce n’era, ma la carbonella niente, nessuno s’era ricordata di portarla a casa Netflix.
Che questo è un po’ il leitmotiv del film.

Il problema del film: la voglia di morire dei jappo contro la voglia di sopravvivere degli ammeregani

Che questo è un po’ il leitmotiv del film.

Le idee e il materiale per fare qualcosa di carino c’erano ma l’intenzione di farne veramente qualcosa, di farne un film con le sue sfide allo spettatore e i suoi casini evidentemente no.
Né volontà né intenzione.
L’anime, pur essendo una roboante baracconata senza vergogna, anzi proprio per essere una roboante baracconata senza vergogna, è riuscito comunque a intrattenere centinaia di migliaia di cerebr… di sfig… di ner…, di spettatori in tutto il mondo, ha esaltato e appassionato e convinto un nugolo di geek tisici e disadattati che anche loro potevano essere in qualche modo cool (no, non accade mai, o siete David Tennant o non acchiapperete figa manco a morire stando seduti su una sedia, con i piedi nudi sul bordo a fissare gente con lo sguardo da labrador sotto sperimentazione clinica)
L’Anime ci credeva, ci credeva tantissimo, perché questo è il Giappone, gente che ci crede tantissimo e muore malissimo per la gioia e l’intrattenimento del mondo occidentale; urlare “banzaiiiiiii” fortissimo e schiantarsi a kamikaze contro le portaerei americane ignari dei funghi nucleari che detonano alle loro spalle.
È questo il Giappone che amiamo e che vogliamo.

Il film invece non è che ci credesse poi moltissimo.
Questa è l’America, gente che ruba roba figa altrui, ci investe senza averne capito una mazza, produce roba mediocrissima, fa spallucce perché tanto scarica il debito sulle banche e sui mutui, fallisce, si suicida al crollo della borsa e invade e nuclearizza altri paesi per ristabilire il bilancio interno.
E poi pigliano per il culo noi per pizza e mandolino.

Il film, con vero spirito americano, ce la mette tutta per convincere il pubblico che stavolta ci crede tantissimo anche lui, ti prende William Defoe e lo copre di CGI, ti prende attori molto bravi e intostati duri nella parte, ti fa vedere la cura per il dettaglio e l’occhio della madre, «e il montaggio analogico? Lo vedi il montaggio analogico?» Insomma, ce la mette tutta per prenderti per il culo.
Ma anni di trailer fichissimi che annunciavano film di pura merda ci hanno insegnato da tempo a tenere le chiappe strettissime quando entriamo in un cinema o premiamo il tasto play sul televisore/portatile/computer; è grazie a questa sana filosofia di vita che sono uscito incolume da proiezioni come Batman vs Superman, Jurassic World, X-Men Apocalypse mentre ne sono uscito infottato il triplo con film come Logan, Assassin’s Creed (oh, cazzo volete, a ME è piaciuto, è stranissimo e lo hanno fatto così apposta secondo me) e Rogue One.
Death Note?
Beh non me ne fregava un cazzo prima, quindi non me ne è fregato un cazzo nemmeno dopo, ma posso capire la delusione dello spettatore e del fan dell’anime.
Tirando le somme, un film senza infamia, ma senza nemmeno uno straccio di lode.

 

Per concluderem potrei scrivere di alcune cose che mi sono piaciute.

I personaggi e come giapponesi e americani vedano la Morte in maniera diversa.

I personaggi, può sembrare strano, visto il tono di quanto ho scritto sopra, ma invece no, a me i personaggi così come li hanno esposti sono piaciuti: il mio problema con loro è che, sostanzialmente, non gli facciano fare una mazza, nulla di interessante e coinvolgente, ma il loro muoversi, anche il loro non agire, me li ha fatti risultare simpatici.

Light, uno sbarba liceale con un’intelligenza sopra la media e quindi ovviamente vittima di bullismo. Rispetto all’anime l’ho trovato molto più simpatico e digeribile. Nell’anime, Light era un insopportabile precisino della minchia, un primo della classe perfettino che avresti voluto vedere volentieri cadere con la faccia nel fango ogni singolo minuto della sua vita, fino a perdere quell’aria di superiorità; uno così preso in culo da poter intercettare trasmissioni radiofoniche d’alta quota, insopportabile e tedioso.

Nel film, Light è un ragazzo come tanti ma con una fibra morale molto più sviluppata e molto più vecchio stile. Sembra quasi il fantasma distorto di un modo di pensare che ormai non c’è più.
I buoni dei vecchi tempi non sarebbero mai scesi a compromessi (il padre di Light infatti, incarna questi valori), ma le nuove generazioni? Cresciute così distorte in un mondo così fottuto? Se a un giovane delle nuove generazioni in perfetta buona fede dai una pistola carica che cosa farà?
Anche qui, sull’intelligenza di Light, un’altra occasione sprecata.
Viene fatto capire che non solo è intelligente ma che lo è anche di molto sopra la media, lo riconosce anche ELLE ma, a parte far vedere che fa abitualmente i compiti a casa di una quindicina di studenti diversi e qualche lieve altro accenno, niente di tutto questo ci viene mostrato. No, gli sgami arzigogolati sul Death Note non bastano.

Quindi Light simpatico, intelligente, motivato e, soprattutto, si rovina perché va in cerca di figame, al contrario della sua inutile controparte nell’anime.

Insomma uno di noi che rischia tutto non per colpa di polizia, investigatori privati o dei della morte, ma perché la sua ragazza lo forza a fare puttanate.

Elle.

Elle mi è piaciuto; il personaggio iperintelligente ma autistico con sindrome di Asperger un po’ ci aveva rotto il cazzo, ma bisogna dire che ai tempi dell’anime l’idea ancora non era così abusata quindi ci sta.

Poi non so perché in America si è andato formando questo stereotipo del nero secchione, boh, tipo Billy nei Power Rangers.
Il fatto è che agli americani la persona intelligente fa paura. Essendo un popolo cresciuto col mito del cowboy texano che poi altro non è che un vaccaro zoofilo, che si spaventa se gli apri un libro davanti, la persona intelligente deve essere per forza diversa o stravagante, in qualche modo lontana da lui. Ecco quindi che se prima avevamo un Peter Parker intelligente ma imbranato, ora abbiamo un Barry Allen chiaramente autistico e che fa le faccette buffe mentre non riesce a guardare negli occhi Bruce Wayne.

Pur tuttavia, l’attore di Elle riesce a dare un tocco più personale al personaggio, vuoi che lo rende un po’ più fosco e violento dell’Elle originale, vuoi che se la tira un po’ di più anche degli altri autistici intelligentissimi che sono comparsi sugli schermi di recente, vuoi perché a una certa scarduna pure lui e si mette a fare bordello, vuoi perché l’attore sembra molto bene sul pezzo; insomma a me questo Elle m’è piaciuto. Non c’è tutto il delirio messianico della lavata dei piedi a Light e siamo molto contenti così grazie. C’è lui che si siede a cazzo di cane (ma in maniera credibile) ovunque, senza nessun rispetto per la proprietà o la prossemica altrui, lui che fa vedere, realmente, che di cervello ne ha a pacchi e c’è lui che ingurgita caramelle come se il diabete non fosse stato ancora scoperto.

Porta a casa ogni scena in cui appare, bravo.

Mia.

La mia misoginia di base non me la fa nemmeno risultare antipatica. Probabilmente perché le hanno dato un piglio abbastanza realistico, a lei che colpita dal bravo ragazzo se ne va comunque sotto braccio al maschio alfa perché, anche per le donne, occorre che lo si ammetta ad alta voce, tira di più il pelo di bue che la gentile fighetta della scuola. Poi però quando il ragazzo che l’aveva colpita si ritrova al centro di una storia di macabri morti per decapitazione, lei, vuoi perché un po’ incuriosita, vuoi perché un po’ zozzona, a ‘sto fighetta ci si avvicina.

E da lì la storia prosegue senza scossoni, Light, giustamente, le rivela cosa sa fare nella speranza di bombarsela, lei, donna, giustamente ci sta; perché alle donne non è che piaccia proprio il fisicaccio, piace il potere e, quando si accorge di essere inciampata in quello che potenzialmente potrebbe diventare il nuovo dio in terra del terzo millennio, si accoda volentieri.

Fino al punto in cui giustamente chiedersi: ma perché devo stare comunque appresso al fighetto? Perché non posso essere io la nuova dea in terra?

E tutti i casini che ne conseguono.

Il babbo, Ryuk e il giappo-Alfred di Elle.

Il padre di Light: espressione di quella morale vecchia scuola qui però tragicamente messa in un angolo, nemmeno più disperata ma atarassica.
Un buono vecchia scuola con dei saldi principi morali, davanti alla moglie arrotata sull’asfalto, se vinto da suoi scrupoli, si ridurrebbe a un barbone alcolizzato, ma qui no, una critica ancora più feroce se vogliamo; il buono vecchio stampo non fa nulla: non riesce a far nulla con la legge, quindi finisce nel non far nulla nella vita, privo di ogni emotività e passivo, reale vittima di questo mondo moderno.

Ryuk.

Questo Kiru non neutrale ha fatto storcere il naso a molti, ma è questo l’Occidente, bellezza.

In Giappone l’idea della morte stessa è molto più neutrale che in altre parti del pianeta. Del resto, c’è un motivo se hanno il più alto tasso di suicidi al mondo, se il seppuku è riconosciuto come una pratica nobile, se “kamikaze” è una parola giapponese; per loro la morte è un’entità ben presente nella cultura del popolo, né malevola né benevola, semplicemente c’è e tu non puoi farci un cazzo.

Ma questo Death Note è americano, e la faccia di William Defoe tutto è meno che neutrale. Per l’Occidente la morte fa più paura di qualsiasi altra cosa.
Più di qualsiasi altra cosa, si può e si deve sopravvivere a ogni costo, non importa quanto ci si possa compromettere; il sacrificio è contemplato solo per garantire la sopravvivenza della propria prole, in questo caso sopravvivenza “by proxy”. La morte non può essere tua amica, i suicidi vanno ancora all’inferno nel mondo occidentale, l’eutanasia è un tabù non ancora infranto.

Kiru è la morte come il mondo americano la vede. Cattiva, sadica, infida. Non ha nessuna spiegazione logica e se c’è a noi non è dato saperlo. Non ti fidare di Kiru, non è tuo amico. La morte qui non ha valenza positiva, non ha la faccia di Brad Pitt e non accompagna Antony Hopkins oltre il viale del tramonto.

Se seriamente vi aspettavate altro da un film americano, vi siete persi un po’ di cose.

E questo è quanto. Tirando le somme Death Note è un chiaro esempio di trasposizione all’americana di qualcosa che gli yankee non hanno compreso fino in fondo o che i dirigenti statunitensi non hanno compreso proprio.

È un Death Note svuotato di significato, con un chiaro e robusto investimento in denaro per copiare al meglio tutta la superficialità del progetto e non la sostanza.

Abbiamo Elle, Light, Dei della Morte, mele rosse morsicate e quaderni maledetti, ma tutto l’intrigo, la follia omicida, il delirio messianico, il duello mortale tra due menti ossessionate, la filosofia, la deduzione, il gioco di specchi, le regole del gioco, il gioco e la morte di Death Note no, quelli non ci sono.

Magari vi andrà meglio la prossima volta.




Un recente tweet di Kojima apre un nuovo interrogativo su Death Stranding

Molti dubbi girano ancora intorno a Death Stranding, titolo pioniere della neonata Kojima Productions e tutt’ora in sviluppo. Nonostante questo l’ex vicepresidente di Konami ha deciso di mettere ancora più carne sul fuoco, pubblicando un tweet apparentemente innocuo, ma che ha scatenato la nascita di teorie su teorie da parte dei fan.

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Norman Reedus, il protagonistaavrà indosso nel gioco una coppia di targhette, sulle quali è incisa l’equazione del Raggio di Schwarzschild o raggio gravitazionale. Questa formula è strettamente legata alla velocità della luce e ai buchi neri (per una definizione precisa potete far riferimento a Wikipedia). In moltissimi ora teorizzano che il gioco sarà ambientato nello spazio o addirittura oltre l’orizzonte degli eventi.
Certo che quando c’è la mente di Hideo Kojima dietro un’opera, l’imprevedibilità fa sempre da padrona.




Quando i videogiochi servono ai militari (TV VERSION 2)

«Le tecnologie che hanno dato forma alla nostra cultura sono sempre state sviluppate dalla guerra». Così scrive Ed Halter in From Sun Tzu to Xbox per spiegare come negli anni ’50 i primi super computer venivano utilizzati per i calcoli dei dati balistici per il lancio dei missili.

Da lì il passo fu breve quando nel 1980 l’esercito americano vide in Battlezone di Atari un perfetto strumento per l’addestramento delle reclute; il simulatore di battaglia su carro armato fu trasformato in The Bradley Trainer, una versione rivisitata del popolare cabinato con alcune differenze nel gameplay ma con dei controlli più realistici e più complessi.

Nel 1993, con la fine della guerra del golfo, il governo americano fece dei drastici tagli al budget dell’esercito: In assenza di fondi, i marine, intrigati dal popolarissimo Doom per PC, svilupparono la mod Marine Doom nel 1996. Le missioni proposte da questa mod, come l’irruzione in un forte nemico o il salvataggio di alcuni ostaggi, miravano alla collaborazione fra i giocatori e dunque a insegnare la disciplina in un campo di battaglia. La mod, presente in ogni computer dei marine, fu adattata in seguito per Doom 2 e rilasciata al pubblico.

L’attacco alle torri gemelle del 2001 portò l’esercito americano a pensare nuovi metodi per reclutare nuovi giovani. America’s Army, sviluppato dall’esercito americano, fu rilasciato gratuitamente nel 2002 e, riscontrando pareri positivi e costruendo una forte fanbase, diede ai giocatori una vera e propria esperienza all’interno di un esercito. Il titolo infatti, oltre all’esperienza di gioco vera e propria, offriva un campo d’addestramento e corsi di specializzazione senza i quali non si poteva scendere in campo. In caso di ammutinamento il giocatore avrebbe subito severe punizioni, quali la prigione (la momentanea sospensione dell’account) e persino la cancellazione del profilo.

­­­­­­Gli Stati Uniti non furono gli unici a utilizzare i videogiochi come mezzo di propaganda: in Siria infatti è stato sviluppato Under Siege, un titolo in cui il giocatore può combattere a fianco dell’esercito della liberazione palestinese e dunque contro le forze armate israelite. Similarmente in Iran è stato sviluppato Special Operation 85, dove si vestono i panni dell’agente speciale Bahram Nasseri per liberare due ingegneri nucleari imprigionati in Israele. Caso invece molto simile ad America’s Army è invece Glorious Mission, titolo che promuove la vita e l’arruolamento nell’esercito della liberazione popolare cinese.

Con America’s army l’esercito poteva vantarsi di preparare i giocatori per il campo di battaglia e la vita militare ma lo stesso non poteva dirsi per alcune situazioni particolari, come quelle che avevano a che fare con i civili. Tactical Iraqi, incluso nella piattaforma per militari DARWARS, era un simulatore che metteva l’utente proprio di fronte a situazioni che si sarebbero risolte solamente con un’appropriata conoscenza linguistica e culturale; ad esempio, togliere gli occhiali prima di una conversazione è considerato in medio-oriente come una forma di rispetto, mostrare il pollice in su non ha la stessa accezione positiva, e così via.

Il mercato è pieno di titoli di combattimento simulato. A detta di alcuni veterani dell’Iraq, Call of Duty Black Ops 2 e Modern Warfare sono i giochi che meglio restituiscono l’esperienza della guerriglia; gli stessi istruttori consigliano di giocare a questi titoli per estendere l’addestramento e provare nuove tattiche di battaglia. Tuttavia, sempre a detta degli stessi veterani, dubitano dell’efficacia di questi come mezzi di reclutamento in quanto i giocatori non saranno mai veramente preparati per i traumi della guerra: l’istinto di sopravvivenza, la violenza o perdere i propri compagni.

La realtà virtuale arriva in soccorso persino per risolvere questi problemi: SimCoach ci mette di fronte a un avatar 3D che aiuterà a superare lo stress post traumatico e la depressione solita nei veterani di ritorno a casa dando risposte basate su testimonianze di chi ha vissuto simili orrori. Software come questo ci ricordano che è molto meglio impugnare i controller che le armi vere e proprie, e che se proprio si vuole combattere in guerra, è sempre meglio farlo dal proprio divano di casa.