Epic Games: la barriera tra Xbox e Playstation cadrà inevitabilmente

Fortnite è uno di quei prodotti che ha fondato un nuovo modello di gioco nella games industry, secondo Tim Sweeney, CEO di Epic Games,  e uno dei motivi per il quale le barriere tra le piattaforme verranno presto abolite promuovendo il cross-platform.

Sweeney, parlando durante la sessione State of Unreal di Epic al GDC, ha descritto il boom dei giochi mobile negli ultimi dieci anni come una delle cose più eccitanti che possano accadere nel settore videoludico. Tuttavia, quello che una volta risultava essere nuovo ed entusiasmante forse oggi non lo è più:

«Per un po’, questa industria mobile è stata stagnante. Ci sono oltre 100.000 giochi pubblicati ogni anno sugli store, molti dei quali sono giochi ad-driven e molti di loro hanno modelli di monetizzazione abbozzati. L’industria ha davvero bisogno di rivitalizzazione».

Tuttavia, nei mercati asiatici si è sviluppata una nuova tendenza, una che mette in discussione l’ipotesi che il mercato della telefonia mobile sia dominato dai “casual games”. Parlando con GamesIndustry.biz in una riunione prima dello State of Unreal, Sweeney ha descritto questa “tendenza” come: «la cosa più eccitante per Epic nel settore in questo momento.»

«Stiamo assistendo a un cambiamento di tendenza, dove prima esistevano i casual games, adesso, come successo in Corea e in Cina, ci sono dei veri e propri giochi per “gamer”. Lo abbiamo visto con Lineage 2, un MMO open-world che ha avuto un successo enorme. Adesso in moltissimi paesi giochi come questo, segnano grandi numeri per le entrate, per il tempo di gioco e per la nuova forma che stanno dando al settore nella games-industry

Epic ritiene che stia cominciando ad accadere lo stesso processo in mercati come gli Stati Uniti e l’Europa, grazie in gran parte alle rifiniture e ai miglioramenti apportati al motore grafico Unreal Engine. Sempre durante lo State di Unreal, i co-fondatori di Studio Wildcard, Doug Kennedy e Jesse Rapczak, sono saliti sul palco per parlare di Ark: Survival Evolved su smartphone, annunciando anche il porting su Nintendo Switch.

Un altro esempio è ovviamente Fortnite della stessa Epic Games, che secondo Sweeney è l’esempio migliore, considerato lo sviluppo su Unreal Engine oltre che ovviamente per il “trend” che ha fino a ora sviluppato il gioco in sé.

La versione per Android di Fortnite deve ancora essere rilasciata, ma quando  questo avverrà, sarà il prodotto che girerà su tutte le principali piattaforme, con la stessa esperienza condivisa al suo interno e proprio questo, secondo Sweeney, sarà un aspetto essenziale di come la game-industry cambierà e continuerà a crescere negli anni a venire.

«Non riesco a immaginare nulla di meglio per la crescita collaterale del settore console rispetto a questa nuova generazione di bambini, cresciuta con dispositivi Android e iOS e che stanno imparando a giocare lì. Magari giocando a Fortnite [sui dispositivi mobili, ndr], che poi magari vorranno giocare sulla TV di casa, con controlli più precisi grazie a un joypad e una migliore esperienza visiva, facendo quindi un passaggio a piattaforme come PlayStation o Xbox.»

Ovviamente, l’idea che i possessori di PlayStation e Xbox possano un giorno giocare insieme, è e rimane un tema di grande attualità. Fortnite sarà solo uno in più tra quei giochi che non possono essere riprodotti su entrambe le piattaforme, con Microsoft che sostiene molto più la necessità di cross-play rispetto a Sony. Da parte sua, Sweeney è un grande sostenitore del cross-platform, ma è attento anche a sottolineare la natura senza precedenti di Fortnite, pienamente inter-operabile su mobile, PC, Mac e console. Proprio per questo motivo crede fermamente che questa situazione di stallo, non durerà ancora per molto. Sempre durante l’evento, il CEO di Epic, menziona anche la legge di Metcalfe, secondo la quale “il valore di qualsiasi esperienza connessa per un determinato utente è direttamente proporzionale al numero di persone a cui è possibile connettersi nel mondo reale”. In parole povere il prossimo passo logico nel settore console, sarebbe quello di eliminare le barriere tra gli utenti Sony e il resto del mondo.

In effetti ormai i giochi sono diventati esperienze sociali allo stesso modo di Facebook o Twitter, e queste esperienze hanno davvero senso e possono definirsi tali, solo se gli utenti possono comunicare con tutti i loro amici indistintamente.




Top 5: I migliori videogame dedicati a Dragon Ball

Tra Super e FighterZ, il mondo di Dragon Ball è ritornato di moda. Oltre a manga e serie animate di successo, numerose sono le trasposizioni videoludiche della saga, sin dai tempi del Nintendo NES. Tanto tempo è passato da allora e tanti sono i titoli apparsi su altrettante console. Vediamo dunque quali sono i migliori cinque videogame dedicati alle storie create da Akira Toriyama.

#5 Dragon Ball Z: Burst Limit (2008)

Uno dei titoli più sottovalutati dell’intero franchise, Burst Limit segna il debutto di Dragon Ball nelle console della precedente generazione. Nonostante un roster risicato,  il gioco è riuscito a conquistare una nicchia di pubblico per via delle sue meccaniche di combattimento che purtroppo furono abbandonate con i successivi – e deludenti – Raging Blast. Il titolo fa della teatralità il suo punto di forza, vantando ottime sequenze cinematiche e soprattutto una delle migliori colonne sonore mai apparse in un videogioco della saga.

#4 Dragon Ball Xenoverse 2 (2016)

Tutti abbiamo sognato di far parte delle vicende raccontate in Dragon Ball, magari combattendo al fianco di Goku e Vegeta per salvare il pianeta Terra. Xenoverse riesce a realizzare questo piccolo sogno, permettendo la creazione e la personalizzazione del proprio alter ego come un vero RPG. La scelta intelligente di rendere la narrazione qualcosa di nuovo è un vero colpo da maestro ma purtroppo questo titolo pecca, la maggior parte delle volte, nel restituire le vere emozioni scaturite dal far parte della cerchia dei Guerrieri Z.

#3 Dragon Ball FighterZ (2018)

Ultimo arrivo in casa Bandai, FighterZ ha già conquistato i cuori degli appassionati, portando la migliore esperienza visiva di Dragon Ball fino a ora. Ogni moveset è stato riprodotto alla perfezione e i numerosi easter egg nonché l’approfondimento di alcuni personaggi portano questo titolo a essere una piccola pietra miliare per gli amanti di Goku e Co. Ma oltre alla componente tecnica c’è di più: un combat system accessibile ma stratificato e la ricercatezza della perfezione da parte degli utenti più smaliziati sono un bel biglietto da visita da presentare anche a chi non è amante della saga.

#2 Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi 3

Con oltre 160 personaggi giocabili, Budokai Tenkaichi 3 è essenzialmente il videogioco più vasto dedicato al franchise. Il roster è appunto il primo elemento di forza del titolo, spaziando dalla saga originaria fino alla serie GT, ricoprendo anche gli amati/odiati OAV. Anche le modalità di gioco sono innumerevoli e il combat system è quanto di più bilanciato si sia visto in un picchiaduro della serie. Non arriva al gradino più alto del podio solo per la scelta di riassumere in modo eccessivo la modalità “Storia“, punto focale per ogni fan delle Sfere del Drago.

#1 Dragon Ball Z: Budokai 3 (2004)

Chiedete a qualunque fan di Dragon Ball quale sia il suo gioco preferito: salvo qualche opinione eccentrica, la risposta sarà indubbiamente Budokai 3, capace di portare l’esperienza della saga di Akira Toriyama ai massimi livelli. L’utilizzo delle Capsule ha permesso al gioco di evolversi, espandendosi e migliorarsi, aggiungendo statistiche ai personaggi, arene e modalità. Ma è la passione degli sviluppatori che trasuda da ogni pixel la vera gioia del titolo, con elementi riprodotti alla perfezione come la caratterizzazione del roster fino alle fantastiche fusioni che rappresentano un godimento per ogni giocatore.




Alcune interessanti novità per Dark Souls: Remastered

Bandai Namco ha mostrato alcuni contenuti della remastered di Dark Souls di prossima uscita su Nintendo Switch, PC, e PS4.
Per capire bene come il gioco sia migliorato visivamente, sono stati rilasciati dei video che mostrano la nuova versione per PS4 pro, paragonata alle versioni originali per PS3, Xbox 360 e PC.

IGN ha creato una lista con tutte le novità e miglioramenti apportati a questa remastered:

  • Il numero massimo di giocatori online è stato aumentato da 4 a 6.
  • Il matchmaking via password è ora disponibile, similmente a Dark Souls III. Quando un giocatore è evocato in questa modalità, il suo livello sarà sincronizzato con quello degli altri.
  • Gli oggetti curativi non saranno disponibili durante il PvP con l’eccezione delle fiaschette Estus. Per evitare battaglie molto lunghe, il numero di fiaschette è stato dimezzato per i phantom.
  • I giocatori possono selezionare il numero di oggetti consumabili, invece di usarli uno per uno come nel gioco originale (lode al Sole).
  • Un falò è stato aggiunto vicino al Fabbro Vamos.
  • Le covenant  possono essere cambiate ai falò.
  • Si possono configurare i comandi.
  • Gli oggetti non saranno registrati automaticamente in uno slot quando raccolti.
  • Il network online è stato cambiato da P2P a server dedicati.



Monolith rimuoverà le microtransazioni da La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra

Da quando uscì su PS4, Xbox One e PC il 10 ottobre scorso, un’aggiunta in particolare fece storcere il naso a molti utenti, indipendentemente dalla piattaforma: la presenza delle microtransazioni che, anche se non necessarie per completare la storia principale, non sono state ben accette dal pubblico in un gioco non free-to-play.
Monolith Productions ha ascoltato le lamentele della sua utenza, assicurando che nel giro di pochi mesi gli acquisti in game con valuta reale e le stesse loot box  spariranno del tutto, o quasi da L’Ombra della Guerra.

Nello specifico, gli update dell’ 8 maggio rimuoveranno la possibilità di acquistare gold, anche se si potranno ancora comprare casse con quelli già in possesso dei giocatori, ma solo fino al 17 luglio, quando un altro aggiornamento eliminerà in modo definitivo le loot box, i gold e lo stesso shop interno del gioco. Da quel giorno in poi, tutti i gold residui non spesi saranno convertiti in casse, una ogni 150G (chiunque ne avesse di meno ne riceverà comunque una).
Ma non è finita qui: nuovi aggiornamenti arriveranno presto portando altri tipi di novità, stavolta incentrati sulla campagna, come nuovi elementi narrativi che secondo Monolith porteranno a un’esperienza di gioco più dinamica e coesa. Di cosa si tratterà?




Fe

Il 16 febbraio 2018, Fe vede finalmente la luce e viene pubblicato per tutte le console di ultima generazione e anche su PC sulla piattaforma di EA, Origin; il team idie che ha creato Fe è Zoink, sviluppatori di giochi come PlayStation All-Stars Island e Zombie Vikings, ma con questo titolo hanno deciso di cambiare stile, infatti, paragonato a quelli precedentemente sviluppati è unico nel suo genere.
Fe è un action-adventure con meccanismi da platform 3D, caratterizzato da un’affascinante stile grafico e sonoro e una scelta narrativa singolare: durante l’inizio della nostra avventura ignoreremo gli sviluppi del gameplay, così, giocando a Fe sentiremo che non si tratta di un semplice giochino da terminare in poco più di 5 ore per poi dimenticarlo; è uno di quei titoli che si vorrebbero rigiocare più e più volte, ma che però, alla lunga, risulterebbe ripetitivo e sicuramente non susciterebbe quella sensazione di piacere e di confusione che il titolo offre, soprattutto durante la prima run.

Fe è un titolo intriso di emozioni e colori, capace di avvolgere il giocatore in una narrazione quieta e silente, che gli terrà compagnia nelle ore passate in una cupa foresta, fra esseri di ogni sorta e da suoni e melodie che rendono l’atmosfera ancora più magica. La storia non è propriamente “raccontata”, non esiste una voce narrante o del testo scritto che spiega ciò che sta accadendo. Dipanare la trama mutando un narratore terzo è stata, ovviamente, una scelta voluta dal team di sviluppo, che però non chiarisce moltissimi aspetti della storia, lasciando il giocatore con parecchi punti interrogativi, soprattutto alla fine del gioco.
Fe vede come protagonista un piccolo esserino che dopo un brusco atterraggio, da quelle che sembrano delle comete, si ritrova spaesato e intontito in una foresta sconosciuta, in cui gli unici abitanti sono degli animali. La particolare meccanica che rende unico il gioco è il modo in cui essi comunicano: come quelli reali, tutti posseggono un verso, che utilizzano per comunicare tra loro, ma il nostro protagonista, non li conoscerà tutti e dovrà impararli man mano che si va avanti con la storia.
Il nostro scopo sarà quello di liberare l’intera foresta dagli esseri malvagi che imprigionano gli esseri viventi in celle create da un raggio emesso dal loro unico occhio. Salvare la flora e la fauna della foresta sarà possibile solo con l’aiuto degli abitanti del bosco, che ci insegneranno i loro versi (in tutto 6). Sbloccarli tutti non è affatto difficile, anzi risulta forse fin troppo semplice: si dovrà soltanto andare avanti con la storia, non si dovranno risolvere indovinelli, puzzle o raccogliere item, basterà solamente finire la storia per poter sbloccare tutte e 6 le melodie, una scelta che ha dimezzato le ore di gioco, rendendo l’acquisizione di questi versi un po’ troppo meccanica.

Anche il gameplay è piuttosto semplificato: non si avranno grandi problemi a imparare e scoprire tutti i comandi, visto che durante il gioco i tutorial o le indicazioni su che tasto premere o su quello che dovremmo fare, saranno ben pochi.
I comandi sono pochi e intuitivi: si salta, si cambia direzione, si afferrano e si lanciano gli oggetti, ma quel che più sorprende è stato il feedback del Dualshock 4: molto più preciso e sensibile di mouse e tastiera, soprattutto per quanto riguarda i salti da un albero all’altro, davvero difficili e frustranti in certi casi, se si utilizza mouse e tastiera.
Il piccolo protagonista non potrà affrontare i nemici faccia a faccia, se dovessimo colpirli con qualche oggetto o se dovessimo fare rumore questi ci scoprirebbero e ci catturerebbero; per riuscire a scappare da queste strane creature potremo nasconderci in alcuni cespugli che si trovano all’interno della mappa. Ovviamente l’IA non è molto sviluppata, perché una volta imboscati, il nemico  smetterà di darci la caccia e tornerà alla sua posizione iniziale nonostante sia a un passo da noi: ma è un peccato veniale, per un gioco del genere è quasi normale, visto che lo scopo principale è quello di interessare e in un certo modo rilassare il giocatore.
Durante il nostro girovagare per la mappa di gioco troveremo delle strane casse contenenti una sfera trasparente che, se indossata, ci fornirà la possibilità di entrare nel corpo dei nemici per breve tempo e controllare cosa stanno facendo in quello che pare essere un mondo parallelo.
Oltre a queste casse, in giro per la mappa si troveranno diversi cristalli, questi serviranno a ottenere delle abilità dopo che ne avremo raccolti a sufficienza, purtroppo la raccolta di questi cristalli, e quindi l’incremento delle ore di gioco, è troncato dalla storia.
Gli “enigmi” che andremo a risolvere per andare avanti con la storia saranno davvero facili, niente di impegnativo o che causi molti Game Over.
La particolarità del gameplay di Fe è l’uso delle melodie che impareremo aiutando gli altri animali. Come detto prima, in tutto sono 6 e si potranno sbloccare solamente proseguendo con la storia. Questi canti, se riprodotti vicino a piante o animali, potranno avere diversi effetti, per esempio alcuni fiori, se colpiti dalle onde sonore del giusto verso, sbocceranno e ci permetteranno di spiccare grandi salti, rilasceranno alcune bacche e molto altro ancora.

Come si evince, il comparto sonoro è il pilastro fondamentale di Fe, e un gioco che basa tutte le sue meccaniche sui suoni e sulle melodie non può non avere una buona soundtrack. La colonna sonora di Fe è veramente rilassante, non mette alcuna sensazione di ansia o timore che potrebbe indurre la cupa foresta ed è in linea con tutte le ambientazioni della mappa di gioco. L’intera avventura del mostriciattolo verrà allietata da una dolce melodia di violino, che diventerà un po’ più acuta durante l’incontro con i nostri antagonisti e soprattutto nelle parte finale del gioco, in cui la tensione è tangibile e la musica aiuta a mantenere quest’atmosfera.
Ma anche dal lato grafico, Fe è davvero strabiliante, ricordando platform come Unravel, da un lato, e Ori and The Blind Forest. I colori accesi, le texture poligonali e l’impostazione della mappa ricreano un ambiente vivo, maallo stesso tempo pericoloso per via dei nemici presenti nella foresta. I colori freddi si amalgamano alla perfezione con i colori caldi presenti negli ambienti e anche lo stesso Fe cambia i propri pigmenti, passando da una melodia all’altra si può notare che alcune delle parti del corpo del tenero protagonista cambiano il colore del loro manto.
Fe è sicuramente un ottimo titolo, con una buona trama, ben strutturata, ma abbastanza banale, un gameplay molto semplice e basilare, adatto a tutti i tipi di giocatori; molto si gioca sul comparto grafico e su quello sonoro, con una palette di colori molto accesi, texture spigolose” davvero ben fatte, e un sonoro che ci culla durante la nostra ardua missione. A Fe resta. però, il difetto di presentare alcuni aspetti poco sviluppati che risultano a lungo andare ripetitivi e noiosi, dalla storia, agli ambienti alla stessa longevità: la storia, come già detto, non presenta particolari elementi degni di nota, con un incipit anche poco originale, riesce a stento a coinvolgere, mentre gli ambienti, in alcune circostanze, risultano triti e ripetuti, presentano quasi la stessa struttura e vegetazione.
Dulcis in fundo: la longevità. La brevità non è un difetto tout court in un videogame, la durata deve essere funzionale agli altri aspetti del gioco, ma in Fe l’unica cosa che ci potrebbe spingere a proseguire con il gioco, dopo averlo completato, è il voler scoprire tutte le abilità del protagonista, rivisitando nuovamente tutta la mappa e raccogliendo tutti i cristalli, che però non serviranno più a nulla, soprattutto per colpa della storia che dimezza la durata effettiva del titolo.




Playerunknown’s Battlegrounds

Negli ultimi anni, il dominio di certi multiplayer in campo videoludico è innegabile, innescando una competizione che ha portato alla realizzazione di numerosissimi titoli che fanno parte del genere. Fra tantissimi giochi, davvero pochi sono quelli che sono riusciti a realizzare numeri strabilianti, al punto da stravolgere il mercato: uno di questi è certamente Playerunknown’s BattlegroundsMMO di PUBG Corporation che, in appena otto mesi, quando era ancora in fase beta, è riuscito a incassare ben 712 milioni di dollari. Un successo su cui approfondiremo, iniziando alle origini del gioco fino ad arrivare alla versione odierna e tutt’ora giocata dagli utenti.

Massive Multiplayer Online

Sulle origini di PUBG è stato già detto tanto: si tratta appunto di un MMO, un multiplayer di massa il cui unico obiettivo è sopravvivere a ogni costo sul campo di battaglia contro altri 99 giocatori per un totale di 100 in una mappa che pian piano inizia a diventare sempre più stretta, con red-zone continuamente bombardate e air-drop contenenti armi, accessori e oggetti utili alla sopravvivenza, introvabili normalmente sulla mappa di gioco, costringendo i giocatori a scontrarsi e a dover anche ingegnarsi per la sopravvivenza e la vittoria. Il gioco si basa principalmente su due variabili: la fortuna e l’abilità del giocatore. Quest’ultima non riguarda soltanto la bravura sul campo in un FPS, bensì anche la gestione dell’inventario, razionando cure, munizioni e gadget nello spazio fornito dallo zaino, se lo si trova in tempo, che può variare a sua volta di 3 livelli, dal meno capiente livello 1 al più spazioso livello 3. Le mappe sono vastissime e spaziano da una regione imprecisata della Russia, Erangel, a un deserto Messicano, Miramar.

Gameplay

Non avendo il titolo una trama, ci focalizzeremo solo sugli aspetti di gameplay: sappiamo solo che ci troviamo su un aereo e che prima o poi saremmo costretti a lanciarci su una mappa enorme, l’uno contro l’altro per la sopravvivenza. Detto questo, il gameplay offre due scelte fondamentali, FPP e TPP. Il gameplay in FPP permette di avere la visuale in prima persona, come un normale FPS. D’altra parte, il gameplay in TPP permette la visuale in terza persona, con la possibilità di cambiarla in prima quando si vuole con l’ausilio di un tasto. La differenza tra le due è dunque la visuale di gioco. Nulla per un giocatore che si rispetti è meglio della visuale completa su tutto il campo da gioco, valutando rischi, osservando il nemico, ecc… Nel menù principale, si può scegliere di intraprendere questa avventura da soli, in compagnia come duo, in trio o in un team da 4 giocatori, con amici o persone casuali accoppiate automaticamente dai server. Il gioco lascia molto spazio ai più intrepidi donandogli la possibilità di affrontare team da due, tre e quattro giocatori in 1 man-squad.

Passando al lato tecnico del gioco, bisogna fare una premessa: normalmente qualche bug ci può stare, ma in un gioco competitivo e pieno di tensione come PUBG il minimo errore è punito, e chi ne paga le conseguenze è sempre il giocatore. Come se non bastassero i bug, i lag e i server che vanno in crash, si aggiungono i cheater (maledetti, aggiungerei) che, nonostante i 2 milioni di ban effettuati da Battleye, continuano a persistere e a far imbestialire i giocatori, sin da qando è uscito il gioco in beta. C’è da dire che tutto sommato, dopo il recente aggiornamento, e grazie alle misure messe in atto per contrastare gli utenti scorretti, si trovano molti meno cheater, e forse Battleye è sulla strada giusta per trovare un sistema efficace anti-cheat.
Sulla fluidità di gioco, poco da eccepire: data la numerosissima utenza e i continui aggiornamenti, il gioco non fa che migliorare di volta in volta: già attualmente si è raggiunti un buon equilibrio, ma qualche miglioria non può fare altro che stabilizzare il gioco. In termini di ingegno e organizzazione, PUBG ha fatto sue queste caratteristiche mettendo al giocatore a disposizione mezzi, armi, accessori, granate, caschi, vestiti, giubbotti anti-proiettile, cure (Medkit, FirstAid, Bende, Antidolorifici, energy drink e adrenalina) e zaini, di cui i caschi, zaini e giubbotti anti-proiettile sono forniti di tre livelli (da 1 a 3) in relazione a efficienza, protezione e capienza. Tutto all’interno del gioco è utile per la sopravvivenza, bisogna solo sapere come e quando usare un determinato oggetto. L’organizzazione è tutto in PUBG, ma la fortuna non è da sottovalutare, anzi:  il 50% delle componenti decisive per vincere la partita lo fanno loot armi, zaini ed equipaggiamenti che ci ritroveremo, il 25% di trovarsi in una zona non troppo affollata, il 20% lo fa il ritrovarsi più o meno lontani dalla safe-zone, il 3% trovare un veicolo fuori zona e il 2% l’avere la possibilità d’afferrare per primi l’airdrop. L’abilità del giocatore quindi può essere condizionata dalla fortuna, dato che migliori sono le suddette condizioni, più aumenta la possibilità di vincita.

La mira si basa anch’essa su 3 livelli, il primo in prima persona, cambiando automaticamente dalla terza alla prima per una mira più precisa a distanza, il secondo basato principalmente sulla restrizione del mirino restando in terza persona, rallentando il movimento della visuale per una maggiore precisione da ravvicinato, e il terzo livello è quello più tattico, nel quale si può sporgersi da un angolo in modo da non esporre tutto il corpo ma soltanto una minima parte, riducendo la visibilità al nemico, non intaccando la nostra.

Personalizzazione e mercato

Uno degli aspetti che caratterizzano questo gioco è di certo la possibilità di guadagnare giocando, che siano indumenti da poter utilizzare nel gioco o soldi veri. Quando si finisce una partita, in qualsiasi posizione si ci trovi con qualsiasi numero di uccisioni, si guadagnano delle monete di gioco, chiamati BP. Ovviamente più alto è il numero di uccisioni, più in cima si arriva più punti si fanno: ma a che servono i punti? Servono ad acquistare delle “casse” di gioco, ognuna diversa per contenuto, rarità e ovviamente prezzo, vengono assegnate in maniera assolutamente casuale tra: Survivor crate, Wanderer crate, Gamescom invitational crate, Desperado crate, Biker crate, Militia crate, Fever crate, Triumph crate e Raider crateLa modalità di acquisto è semplice: basta recarsi dal menù principale del gioco e andare nella sezione rewards, dopodiché acquistare la quantità di casse desiderata; le casse passano da un prezzo base di 700 BP al corrispondente raddoppiato dopo l’acquisto di una cassa: da 700 passano a 1400 e da qui in poi sempre raddoppiato. Niente paura, ogni inizio settimana il costo delle casse si azzererà fino allo standard di 700. Dentro le casse si possono trovare indumenti per il proprio avatar di gioco, che posseggono un livello di rarità e valore e skin armi catalogate sempre in base alla rarità. Si può quindi decidere di tenere l’indumento oppure venderlo al mercato di Steam, stessa cosa per le skin. Sfatando qualsiasi mito, nessun indumento di gioco può dare abilità in più, né qual si voglia tipo di vantaggio: hanno funzioni puramente decorative.

Conclusioni

PUBG è sicuramente un gioco che suscita interesse, ma non è l’unico nel suo genere: esistono altri titoli (anche Microsoft, dopo aver portato il titolo su Xbox, sta dando la propria risposta con l’interessante The Darwin Project, dallo scorso 9 marzo uscito su Steam) che offrono ormai un’esperienza di Battle Royale, primo fra tutto il principale concorrente del titolo di Bluehole Studio, Fortnite, Free-To-Play di Epic games: in questa lotta fra Battle Royale combattuta a colpi di record è difficile decidere, essendo entrambi sfaccettati e completi ognuno per il suo verso (abbiamo trattato gli aspetti dei due titoli in questo speciale) che abbiamo fatto al riguardo.

In breve, è un titolo che vale la pena provare, sopratutto con gli amici, oppure può essere un’occasione per farsene di nuovi giocando; ad ogni modo l’esperienza provata è uguale per tutti, ansia, paura e coraggio, per poi decretare un vincitore. Su 100  giocatori chi dimostrerà di essere il migliore?




La storia del più grande Kickstarter del sud-est asiatico

Se siete a Kuala Lumpur e state cercando sviluppatori indipendenti, potreste andare al fiorente centro tecnologico di Bangsar South.

Grazie a un accordo con UOA Holdings, agenzia che si occupa dello sviluppo immobiliare, la Malesia Digital Economy Corporation (MDEC) ha compiuto un grande passo verso il suo obiettivo, cioè quello di trasformare rapidamente, Bangsar South (zona di Kuala Lumpur) nel principale centro del paese per lo sviluppo di giochi di ogni tipo; ospiterà da grandi aziende come Streamline Studios, ai tanti team piccoli e creativi che operano da Komune.
Forse, il più interessante tra tutti questi sviluppatori è Magnus Games, che è riuscito a  raggiungere una fama senza precedenti per uno sviluppatore del sud-est asiatico delle sue dimensioni. Lo studio è stato fondato nel 2015 dai due fratelli malesi, DC Gan e Welson Gan. I loro primi sforzi di sviluppo erano tutti rivolti a un’area del mercato che i tutte le software house emergenti preferiscono scegliere come target: giochi mobile gratuiti. Questo portò i due fratelli in una zona inesplorata, visto che non sapevano “creare” un gioco circondato dalle monetizzazioni, infatti, come ha affermato DC «quando compro un hamburger mi aspetto di ricevere un hamburger».
Quindi, i due fratelli si trovarono rapidamente al di fuori della loro zona di comfort, cercando di programmare titoli che raramente giocavano. Infatti, lo stesso, definisce il loro lavoro di quel periodo come un fallimento.
Magnus Games è sempre stata alla ricerca di free-to-play capaci di fornirgli una reputazione e, di conseguenza, fargli ottenere qualche finanziamento per ciò che DC chiama “il nostro gioco dei sogni”. Tuttavia, vicini al fallimento, i fratelli si riunirono e decisero di puntare il tutto per tutto.
Essi passarono dal free-to-play al premium, dai dispositivi mobile al PC e alle console, il tutto reso possibile da una piccola quantità di investimenti privati ​​e denaro preso in prestito da amici e familiari. Grazie ai loro innumerevoli sforzi riuscirono a realizzare il loro sogno sviluppando Re: Legend, l’ibrido simulatore di giochi di ruolo. Il titolo è stato approvato da Square Enix nel 2016.

In Re:Legend, i fratelli hanno cercato di combinare le varie esperienze fornitegli dalle ore di gioco di titoli che hanno fatto la storia.
Ma cos’ha portato la Magnus Games tra le braccia di Square Enix? Quando la società si è rivolta a Kickstarter, era sicura di avere un prodotto che fosse in grado di suscitare entusiasmo in diversi tipi di giocatori e quindi, di attrarre il tipo di pubblico che avrebbe investito in un gioco che potrebbe essere vicino al rilascio.
La campagna “Re: Legend Kickstarter” è iniziata alla fine di luglio 2017, con un obiettivo di finanziamento di circa $53.000 ma dopo 30 giorniera già a quota 480.000, garantendo al gioco versioni per Xbox One, PlayStation 4 e Nintendo Switch,  assicurandogli un doppiaggio completo nei dialoghi. La loro non era solo la più grande campagna Kickstarter di uno sviluppatore di giochi in Malesia; infatti è stato, inoltre, il più grande Kickstarter nella storia del sud-est asiatico.
Durante questi 30 giorni, DC ha affermato che lui e suo fratello lasciarono a malapena la loro casa. Infatti, trascorrevano le giornate gestendo tutto,  dalla copertura della stampa, al contatto con gli streamer, inviando centinaia di e-mail e rispondendo direttamente a ogni singolo commento lasciato dalla comunità Kickstarter.
Il denaro che Magnus Games ha racimolato, quando la campagna è finita nell’Agosto del 2017, è stato abbastanza da permettergli di creare la versione di Re: Legend che i fratelli avevano immaginato. In pochissimo tempo, il loro titolo cominciò a essere confrontato con i titoli AAA. Il che costringe la società a mantenere il livello di aspettativa che tutti i loro fan si aspettano da questo titolo.
In Malesia, raccogliere fondi per una start-up di giochi non è un’impresa da poco: L’industria locale è ancora troppo giovane ed è per questo che il governo è intervenuto per aiutare le società, con il sostegno e le sovvenzioni con organizzazioni come MDEC. Tre anni fa, Magnus Games ha deciso di abbandonare il settore mobile e free to play per inseguire il suo sogno, ma così facendo, si è trovata davanti a qualcosa di più grande di quanto potesse immaginare. Per la giovane start-up, la nuova sfida è soddisfare il suo pubblico senza rovinare tutto quello che è stato costruito con il loro duro lavoro.




Duke: la storia di un pad che ha rivoluzionato il mercato console

Se siete videogiocatori conoscerete sicuramente il pad Xbox e le sue particolarità, ma non tutti sanno che prima di avere un prodotto super compatto ed ergonomico, come quello della One, ci sono voluti anni e anni di continui test e ricerche mirate che, in precedenza, hanno portato alla creazione di uno dei controller più criticati e discussi della storia delle console. Stiamo parlando del Duke, un pad quasi il triplo più grande del DualShock PlayStation e quindi molto più pesante e ingombrante.
Non tutti conoscono la storia della creazione di questo controller e della fatica di  Microsoft nel realizzarlo.

La principale ideatrice fu Denise Chaudhari, prima donna a entrare nel team Xbox ed esperta di design industriale ed ergonomia. Chaudhari però, non aveva mai avuto a che fare con controller ma questo, l’ha aiutata a entrare nel team, visto che la sua idea non era condizionata da scelte di design e funzionalità di terzi.
Chaudhari non cominciò la progettazione del controller da zero, ma è stata aiutata dal direttore creativo di Xbox Horace Luke, fornendole alcuni schizzi e dei prototipi dei circuiti di base. Questi circuiti, però, erano grandi, ingombranti e soprattutto erano stati stampati su un’unica pista che di certo non facilitava la creazione di un prodotto maneggevole e delle dimensioni ridotte, al contrario del Dualshock di PlayStation che prevedeva un circuito stampato su due piste differenti e poi sovrapposte per salvare spazio, creando di conseuenza un pad più piccolo.
La stessa Chaudhari cercò di replicare il progetto di Sony, ma trovò moltissima difficoltà nel lavorare con il produttore degli stessi circuiti Mitsumi, che ha rifiutato di lavorare con Microsoft, forse perché non giapponese ma americana. Questo episodio non scoraggiò il team Xbox che continuò a lavorare al progetto, creando le caratteristiche che ancora oggi ritroviamo nei moderni pad (stick analogici non paralleli, la disposizione dei tasti A, B, X e Y e molto altro).

Ma il problema non fu tanto il dover implementare delle sostanziali novità nel mondo dei pad per console, ma la dimensione: molti potranno sostenere che le dimensioni non contano, ma il popolo orientale la pensa diversamente. Infatti la divisione Microsoft Japan, al contrario del resto del mondo, disprezzava univocamente il controller; si pensa che abbiano anche consigliato ad alcuni sviluppatori giapponesi di non creare titoli per quella console se prima le dimensioni del controller non fossero state modificate, creando non pochi problemi alla casa di Redmond. Per questo, Chaudhari fu inviata, insieme a parte del suo team, nella terra del sol levante per riuscire a studiare e progettare le modifiche in base alle esigenze del mercato nipponico.
Al suo ritorno in America, però, non fu soddisfatta dei test effettuati, anche perché l’interprete giapponese era totalmente contrario al Duke, odiandolo con tutto il cuore e, secondo Chaudhari, aveva sicuramente omesso alcuni particolari per la realizzazione di un pad migliore; inoltre, la maggior parte delle lamentele erano rivolte alla grandezza del controller, cosa che ovviamente il team Xbox non si aspettava minimamente.
Ma anche se i risultati del test diedero esisto negativo: il 15 novembre 2001, in America, uscì l’Xbox e il pad contenuto nella confezione era proprio il Duke, senza alcuna sostanziale modifica nella forma. In Giappone, però, visti i risultati totalmente negativi, i progettisti industriali di Microsoft, crearono un Controller S, esclusivo per il mercato nipponico che uscì qualche mese dopo insieme alla console. Questo nuovo joypad era molto più piccolo rispetto al Duke originale (circa i due terzi) e apportava alcune modifiche, come la distanza e la disposizione di alcuni tasti o il loro colore.
Il lancio di questo nuovo controller ha avuto moltissimo successo rispetto al Duke, visto che la maggior parte degli utenti si lamentò della grandezza e della scomodità, e fu per questo motivo che ben presto il Duke, che si trovava all’interno delle confezioni delle console, furono rimpiazzati da questo nuovo modello.
Chaudhari è comunque orgogliosa del lavoro fatto, anche se nel giro di pochi mesi il suo controller, dopo moltissimi test e ricerche, è stato “cestinato” da Microsoft per fare spazio al Controller S. Questo perché ha lasciato un segno indelebile sullo stile e sull’ergonomia dei pad Xbox: basti pensare agli stick analogici che oggi come oggi sono un segno distintivo dei controller Xbox.




PUBG: costruire hype a costo zero

Per molte persone, il successo di PlayerUnknown’s Battlegrounds è arrivato dal nulla. Ma come spiega Sammie Kang, community manager di PUBG, il risultato che possiamo apprezzare oggi, deriva da un progetto ben preciso e pianificato. Nel 2016, PUBG Corporation era ancora conosciuta come Bluehole, con un team di 25 persone che hanno lavorato insieme per circa 10 anni su Devilian, mmorpg fantasy. Queste le parole di Kang:

«Dovevamo avere un successo minimo, per promuovere il nostro videogioco a costo 0 su Twitch e sapevamo che questa, poteva essere la nostra prima strategia di marketing fin dall’inizio.»

La Bluehole non aveva la possibilità economica di pagare gli streamer di high-tier allo scopo di sponsorizzare il videogioco, dunque si rivolsero agli streamers mid-tier; quest’ultimi avevano l’unico interesse di portare qualcosa di nuovo sul loro canale creando qualcosa di unico. Purtroppo molti di questi streamer non disponevano di hardware e connessioni adatte per un contenuto esclusivo tripla A. Gli sviluppatori allora decisero che quella era un’occasione per offrire hardware e contenuti esclusivi agli streamer che ne necessitavano e in cambio, quest’ultimi avrebbero fatto del loro meglio per promuovere e sponsorizzare il gioco sul loro canale.

Dopo quattro mesi di sviluppo, il gioco era pronto per una closed pre-alpha, che ospitò 1100 tester e proseguì per 6 ore distribuite nel corso dei giorni a seguire.

Per capire meglio cosa desiderassero streamer e spettatori, Kang ha seguito su Twitch uno svariato numero di streamer e con alcuni di loro contribuito a creare uno speciale feeling tra sviluppatore e streamer. Kang, interessato molto dunque al parere delle persone allo scopo di migliorare il suo videogioco, si mette a disposizione di tutti, insieme al suo team, per rispondere a tutte le richieste ricevute, a tutte le ore del giorno.

Kang continua

«I content creators e gli streamer non sono strumenti di Marketing, molte case di produzione li pagano per giocare un videogioco, ma non saranno in grado in questo modo di creare una relazione di amicizia duratura. Gli streamer devono essere coinvolti emotivamente e per fare questo, abbiamo creato una situazione vantaggiosa per entrambi i lati.»



Vivendi esce da Ubisoft: tutti i dettagli dell’operazione.

Ubisoft ha annunciato di avere trovato un accordo con Vivendi per la fuoriuscita di quest’ultima dalla composizione societaria. Dopo una lunga lotta per contrastare l’acquisizione ostile da parte di Vivendi e numerose perplessità sull’operazione, la guerra per il controllo del colosso francese del gaming pare essere stata vinta dalla famiglia Guillemot.
Vivendi era entrata nell’assetto societario di Ubisoft nel 2015, ha investito 794 milioni di euro in tre anni e cedendo adesso l’intero pacchetto azionario del 27,3% (30.489.300 di azioni per un valore di circa 2 miliardi di euro) realizzerà una plusvalenza di oltre 1,2 miliardi di euro. Di queste, 18.368.088 verranno acquisite da investitori qualificati, 3.030.303 da Guillemot Brothers SE e la restante parte tornerà a Ubisoft.
Nell’ambito della cessione subentreranno due nuovi investitori a lungo termine, l’Ontario Teachers Pension Plan, che ha acquistato azioni tramite il ramo Relationship Investing della divisione Public Equities, e il colosso cinese Tencent, con il quale è stata sancita una partnership strategica che accelererà l’ingresso in Cina dei franchise della società transalpina.

In particolare, l’operazione sarà così strutturata:

Ontario Teachers’ Pension Plan ha acquistato 3.787.878 di azioni, pari al 3,4 % del capitale, per un prezzo di circa 250 milioni di euro.
Tencent ha acquistato 5.591.469 di azioni Ubisoft, pari al 5.0% del capitale, per un prezzo di circa 369 milioni di euro.
Quella fra Ubisoft e Tencent sarà un’alleanza strategica che accelererà significativamente la crescita dei prodotti Ubisoft in Cina nei prossimi anni.
Ubisoft ha accettato di riacquistare 9.090.909 delle proprie azioni (pari all’8,1% del capitale, per un prezzo di circa 600 milioni di euro) da Vivendi attraverso una transazione strutturata sotto forma di forward sale (vendita a termine) tramite Crédit Agricole Corporate Investment Bank (CACIB) e di un successivo meccanismo di buy-back  (riacquisto di azioni proprie), che consentirà a Ubisoft di acquistare progressivamente le azioni in un arco di tempo che va dal 2019 al 2021. Il riacquisto sarà strutturato, da un lato, tramite uno strumento derivato con il quale Ubisoft stipulerà un accordo di pagamento anticipato su parte delle azioni, con liquidazione delle azioni alla scadenza nel 2021 o anticipatamente e, per le restanti azioni, tramite un total return swap con liquidazione a scadenza o anticipata a discrezione di Ubisoft, o in contanti (con Ubisoft che beneficerà o sopporterà la variazione del valore delle azioni) o con un regolamento in azioni a fronte del pagamento del prezzo delle stesse azioni. Il riacquisto di azioni sarà finanziato principalmente attraverso le risorse finanziarie di Ubisoft. In caso di aumento delle dimensioni del Private Placement (l’insieme di operazioni attraverso cui emittenti pubblici e privati offrono strumenti finanziari di nuova emissione che vengono collocati presso un numero limitato di destinatari internazionali), il numero di azioni che saranno riacquistate da Ubisoft verrà ridotto di conseguenza.

Nell’ambito della transazione, la Guillemot Brothers SE acquisirà 3.030.303 di azioni (pari al 2,7% del capitale, per un prezzo di circa 200 milioni di euro), arrivando a un totale di 17.406.414 di azioni per un totale del 19.4% dei diritti di voto e il 15.6% del capitale azionario: sommando le azioni del CEO, i Guillemot avranno un totale di 20.636.193 di azioni, che si traducono nel 24.6% dei diritti di voto in assemblea e nel 18.5% del capitale azionario. L’acquisto sarà strutturato sotto forma di strumento derivato, Guillemot Brothers SE aderirà a un contratto a termine con CACIB e a un collar (strategia per cui, ad ogni 100 azioni acquistate, viene associato l’acquisto di 1 put e la vendita di 1 call) sulle azioni Ubisoft, a scadenza nel 2021 o anticipato, e liquidato in azioni o in contanti. Le azioni sottostanti il ​​collar vengono date in pegno a CACIB, che sarà autorizzata a riutilizzarle da Guillemot Brothers SE a determinate condizioni specificate nell’accordo.
La rimanente quota ceduta da Vivendi, 8.988.741 di azioni (pari all’8,0% del capitale), sarà venduta tramite un Accelerated Bookbuilding (procedura svolta in tempi rapidi con cui vengono cedute a investitori istituzionali quote societarie particolarmente rilevanti) le cui dimensioni, in base al livello di interesse nel collocamento, potrebbero essere aumentate fino a 1.500.000 di azioni, riducendo di conseguenza il numero di azioni riacquistate da Ubisoft. J.P. Morgan Securities Plc fungerà da Sole Global Coordinator (dunque unico coordinatore globale) per l’Accelerated Bookbuilding. CACIB, come controparte di Guillemot Brothers SE nel contratto a termine e nel collar, venderà anche 2.887.879 azioni nell’hedging delle sue operazioni in strumenti derivati. Per chiarezza, l’hedging consiste in una serie di operazioni di copertura del rischio per proteggersi dagli eventi negativi legati a un altro investimento.

Il prezzo di acquisto per ogni azione è stato concordato in 66 euro, e oggi il titolo ha chiuso alla borsa di Parigi a 68,56 euro.
A seguito della transazione, Vivendi si impegna a non detenere più alcuna partecipazione in Ubisoft né ad acquisire azioni in Ubisoft per 5 anni.

Yves Guillemot, CEO e Co-Founder di Ubisoft, ha dichiarato:

«L’evoluzione del nostro assetto azionario è una grande novità per Ubisoft, ed è stato reso possibile dall’eccezionale messa in atto della nostra strategia e dal decisivo supporto degli “Ubisoft talents” e “players” e dei nostri azionisti. Voglio ringraziarli tutti calorosamente. L’investimento dei nuovi azionisti di lungo termine dimostra la loro fiducia nel futuro e nella creazione di valore di Ubisoft, e il riacquisto delle azioni da parte di Ubisoft sarà un vantaggio per tutti gli azionisti. Finalmente gli accordi di partnership strategiche  che abbiamo sottoscritto ci permetteranno di accelerare la nostra crescita in Cina negli anni a venire e di entrare in un mercato dal grande potenziale.
Oggi Ubisoft sta raccogliendo i frutti di una strategia di lungo termine e la profittevole trasformazione verso un business che accrescerà i profitti. Ubisoft ha la posizione ideale per sfruttare i numerosi driver di crescita del mercato dei videogame nei prossimi anni: siamo concentrati più di prima nella finalizzazione del nostro piano strategico.»

Il gruppo di Vincent Bollorè aveva già acquisito Gameloft da Ubisoft e, nonostante l’exit dalla società, «conferma la sua intenzione di rafforzare la propria presenza nel settore dei videogiochi, particolarmente dinamico, che è uno dei capisaldi dello sviluppo del Gruppo».