Le origini di Destiny

Destiny è probabilmente uno dei titoli più ambiziosi mai creati. L’opera di Bungie – sviluppatore conosciuto soprattutto per la serie in esclusiva Xbox Halo – ha avuto un percorso lungo e travagliato già dagli albori, quando la software house americana mosse i primi passi nel mercato videoludico.

Dall’inizio al destino

Dopo la creazione di Gnop!, vero e proprio clone del celebre Pong, nel 1990, si decise di passare a qualcosa di più complesso, uno sparatutto bidimensionale denominato Operation Desert Storm che contribui alla creazione della Bungie, così come la conosciamo oggi. Ma il titolo della svolta fu Pathways into Darkness, sparatutto in prima persona che ebbe un forte impatto sul mercato, divenendo uno dei titoli più venduti nel 1993.
Bungie finalmente crebbe in popolarità e grandezza, aprendo delle succursali in grado di ampliare il lavoro. Questo portò alla creazione di Oni, primo titolo su console che, nel 1999 vinse il  Game Critics Award come miglior gioco azione/avventura. La pubblicazione effettiva avvenne però nel 2001, su PlayStation 2PC e MacOS e consisteva nell’unione – inedita sino a quel momento – di sparatutto in terza persona e combattimenti corpo a corpo. Prendeva ispirazione da capisaldi della fantascienza come Ghost in the Shell ma, nonostante ciò, fu un flop commerciale, tanto che la succursale californiana di Bungie fu costretta a chiudere dopo soli quattro anni.
Il nuovo millennio avvenne un fatto importante: Microsoft decise di acquistare la software house statunitense per 30 milioni di dollari. Questo diede vita ad una delle partnership più fruttuose degli ultimi anni, ponendo le basi al progetto più ambizioso fino a quel momento: Halo.
Halo: Combat Evolved fu un titolo che segnò un’epoca e da allora, gli sparatutto in prima persona, non furono più gli stessi. Fu in tutto e per tutto una killer application per la nuova Xbox e portò tantissime innovazioni nel genere che oggi si danno per assodate, come l’utilizzo di mezzi sul campo, l’HUD posto direttamente sull’arma e un’IA fuori dal comune. Il successo di Halo però non impedì al fondatore di Bungie, Alex Seropian, di lasciare il posto, sentendosi ingabbiato sul piano creativo da una casa pressante come Microsoft. Questo non impedì comunque alla software house di bissare il successo, prima con Halo 2, poi con Halo 3, fino al 2007, anno in cui la partnership cessò.
Bungie voleva assolutamente lavorare su qualcosa di nuovo, di inedito, e fu così che si avviarono i progetti per Tiger, conosciuto successivamente col nome di Destiny.

Un romanzo videoludico

Il progetto Tiger era già avviato durante l’uscita di Halo 3, ma la partnership con Microsoft non era ancora del tutto conclusa. Infatti erano previsti altri due titoli dedicati alla saga: Halo 3: ODST e Halo: Reach. È proprio ODST che però comincia a suscitare curiosità da parte del pubblico: proprio all’interno del gioco a un certo punto è possibile osservare un poster, in cui sono raffigurate la Terra e quella che, a un primo sguardo, sembrerebbe la Luna. Facendo più attenzione però, ci si accorge che le proporzioni sono del tutto sbagliate e la Luna è molto diversa da ciò che siamo abituati a vedere. La scritta d’accompagnamento “Destiny Awaits”, non lascia alcun dubbio: Bungie sta portando avanti il suo titolo più ambizioso, che dopo qualche anno vedrà finalmente la luce.
Proprio quella simil-Luna si rivelerà essere Il Viaggiatore, figura centrale per la lore di Destiny:

Centinaia di anni nel futuro, l’umanità è riuscita a raggiungere e colonizzare l’intero Sistema Solare. È un’epoca d’oro ma un enorme cataclisma, denominato Oscurità, costrinse gli uomini a barricarsi sul pianeta natio, anche a causa l’arrivo di numerose specie aliene, cominciando così una lunga guerra. Ma un’entità, Il Viaggiatore, combatté contro l’Oscurità, permettendo agli ultimi superstiti di salvarsi e rifugiarsi nell’ultima città umana rimasta. Il Viaggiatore sovrasta questa città e alcuni abitanti, i Guardiani, usano la Luce, potere donatogli dell’immensa e misteriosa struttura, per difendere l’ultima roccaforte umana.

Ma la struttura narrativa di Destiny ricopre molti più anni e, come per i titoli From Software, è ricca di sfaccettature e profondità. Se, all’inizio del gioco, vediamo un’umanità in continua lotta per la sopravvivenza, gli eventi che hanno dato moto a tutto ciò cominciano miliardi di anni prima, epoca in cui una razza aliena, l’Alveare, comincia a combattere in nome dell’Oscurità, compiendo numerose stragi. Influisce anche il declino dei cosiddetti Caduti, popolo rigoglioso millenni prima dell’uomo ma crollato in disgrazia per via dell’espansione dell’Impero Cabal, che arriverà a lambire il pianeta Terra, avanzando sui territori marziani.
Tutti questi eventi – e tanti altri – diventano così un’enorme Space Opera, suddivisa in capitoli e potenzialmente infinita.

Per mettere in atto tutto ciò, bisognava erigere una struttura accurata e una direzione artistica che facesse spiccare il titolo tra il marasma di videogiochi presenti. Ecco così che Christopher Barrett, il direttore artistico, e Joseph Staten, direttore del design, immaginarono un universo che mescolava sapientemente il puro fantasy con elementi di fantascienza caratteristici, come navi e viaggi spaziali e alieni. Il risultato sono ambienti di gioco con una loro personalità, ricchi di dettagli diversi ed elementi al cui il giocatore può interfacciarsi, familiari nonostante il tempo trascorso.
Ma, in un Sistema Solare così espanso l’identità visiva doveva essere univoca: trovarsi sulla Luna o in un satellite di Giove, doveva risultare familiare, dando la sensazione di trovarsi in un mondo coerente e credibile.
Destiny si presenta dunque come un titolo complesso, anche per la scelta del nostro alter ego digitale e per le diverse classi presenti. Si tratta pur sempre di uno sparatutto in prima persona, che ci offre la scelta di vestire i panni dei Titani, i più corazzati, dei Cacciatori, esploratori e sicuramente più agili dei primi, e degli Stregoni, meno corazzati ma in grado di utilizzare al meglio i poteri del Viaggiatore. Anche le armi hanno qualcosa di speciale: disegnate da Tom Doyle, uno dei migliori 3D Artist del settore, fucili, pistole e pugnali, pur essendo un’evoluzione di quelle classiche utilizzate in tutti i FPS, hanno una loro identità e soprattutto contestualizzate alla razza e alla classe che utilizzeremo o affronteremo.
Uno dei punti forti del titolo risiede però nella colonna sonora, realizzata da Martin o’Donnell con la partecipazione nientemeno che di PaulMcCartney, in due intensi anni di lavoro, con uno studio attento sulle tonalità da assumere, vicino sì agli stilemi della fantascienza ma non troppo, con influenze fantasy e temi corali ed epici che avvolgono il giocatore enfatizzando i momenti adrenalinici e di meraviglia.

Destiny è stato un titolo controverso alla sua uscita: le premesse fatte non furono esattamente rispettate e ci vollero numerosi aggiornamenti e contenuti aggiuntivi prima di veder finalmente realizzato il sogno di Bungie, un universo vivo, cinematografico e in grado di far sognare tutti i videogiocatori.




Videogame nello Stivale: breve storia dei videogiochi in Italia

Quando si parla di videogiochi, l’Italia è tra i paesi industrializzati meno gettonati. Software house poco presenti – e soprattutto una cultura non al passo col resto del mondo– ci hanno un po’ penalizzati, anche a livello di mercato. Solo adesso vediamo un po’ la luce con SH come Milestone e Kunos e nuove realtà emergenti come Caracal Games, 34BigThings, MixedBag, Storm in a Teacup e altre che stanno cercando di dare un po’ di lustro al nostro paese. Nonostante ciò, la storia che riguarda i videogiochi del Bel Paese ha origini più antiche di quanto si possa pensare.

Il principio

Nonostante i cabinati fossero già comuni a partire dagli anni settanta, è dal decennio successivo che il nostro paese comincia realmente a muovere i primi passi all’interno di un mercato in ascesa costante. Paesi come Stati Uniti e Giappone erano pionieri di una tecnologia digitale che in Italia attecchiva con difficoltà, ma questo non impedì a società lungimiranti di fare i loro primi tentativi, sia nella produzione di hardware che di software. Già nel 1981, la Zaccaria costruì il suo primo cabinato, il Quasar. Non solo era una novità in sé ma risultò anche innovativo per via dell’introduzione del co-op: infatti due giocatori potevano condividere il singolo schermo entrando nella stessa partita. Questa peculiarità lo spinse al punto di essere uno dei cabinati più apprezzati negli Stati Uniti.
Furono realizzati altri cabinati, che non ebbero la stessa fortuna fino a quando, con l’avanzare della tecnologia delle console casalinghe, cominciarono a sparire del tutto. L’ingresso in campo dell’Atari VCR 2600 spinse alcune aziende, tra cui la GIG, a investire su questo nuovo tipo di videogiochi. Uno dei primi tentativi fu Leonardo, una console progettata sulla base della Bandai Arcadia che, come la console giapponese, faticò a trovare mercato. Nel frattempo però, oltre alla costruzione di intere macchine da gioco divenne fondamentale entrare nel mercato videoludico con dei software proprietari. Essendo la patria del calcio, uno dei primi videogiochi italiani ad avere un discreto successo fu I Play 3D Soccer per Amiga e Commodore 64, sviluppato da Simulmondo. Se oggi possiamo giocare a FIFA o a Pro Evolution Soccer lo dobbiamo anche a questo, in quanto fu uno dei primi giochi di calcio con visuale tridimensionale dall’interno del rettangolo di gioco. Questa software house italiana si dedicò successivamente alla produzione di avventure grafiche, fra cui quelle su Dylan Dog, che ebbero un discreto successo.
Nonostante la crisi di mercato di metà anni ottanta, questo settore cominciava a prendere sempre più piede tanto che, in quegli anni, cominciarono ad apparire anche le prime riviste dedicate come Video Giochi di Jackson o Zzap edita da Hobby/Xenia.
Negli anni novanta è sempre il calcio a portarci avanti, e Italy ’90 Soccer di Bardari Bros, sfruttando le notti magiche dei Mondiali, seppe ritagliarsi il suo spazio arrivando sulle console più popolari dell’epoca. Oltre a questo, ampio respiro ebbero anche Over the Net e Warm Up, che resero Bardari la società italiana più affermata.

La crescita degli anni novanta

Se sui software gli italiani cominciavano a prendere spazio, sull’hardware le difficoltà cominciavano a diventare eccessive: l’8-bit era ormai obsoleto e nuove e più potenti macchine – tra cui il PC che entrava nelle case – portarono le società italiane a rinunciare alla produzione di proprie console per via dei costi divenuti ormai proibitivi. Ciò nonostante, molte software house cominciarono a muovere i primi passi cercando di sfruttare un mercato che cresceva in modo esponenziale e che non dava segni di resa. Tra i giochi più conosciuti in questi anni vi è sicuramente Lupo alberto, basato sul fumetto creato da Silver nel 1973. Fu un titolo di grande successo, sviluppato da Idea Software con personale del calibro di Antonio Farina e Simone Balestra che di lì a poco avrebbero fondato Graffiti/Milestone, nel 1994. Proprio la Milestone diventa una delle software house più affermate non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, specializzandosi nei titoli motoristi con o senza licenza.
Un’altra figura di spicco in quegli anni è Christian Cantamessa che, dopo aver contributo alla creazione di The Big Red Adventure per Dynabyte, divenne – ed è tutt’ora – Lead Designer di Rockstar Games per lo sviluppo di Red Dead Redemption e Level Designer per GTA: San Andreas.
La metà degli anni novanta vede l’entrata in campo di nuove e più potenti console come Sony Playstation che, con l’utilizzo di supporti ottici, consentiva l’utilizzo di una maggiore quantità di dati. Questo diede modo ad alcune software house come Trecision e PixelsStorm di sviluppare titoli più complessi, come Puma Street Soccer, un gioco di calcio da strada con una fisica per certi versi innovativa ma che non diede modo al titolo di riscuotere il successo sperato. Altre software house, come LightShock Software, si dedicarono allo sviluppo di picchiaduro come Pray for Death, che prendeva molto da Killer Instinct ma riuscì ad avere una propria identità, diventando un titolo abbastanza controverso per via della musica di sottofondo utilizzata (Techno ndr) e una trama che consisteva nella creazione di un torneo indetto da Lucifero in persona e personaggi che spaziavano da cloni di Bruce Lee a vichinghi e dominatrici. Non siamo al livello di Tempesta d’ossa o va all’inferno, ma ci andiamo vicino.
Tra quegli anni e il nuovo secolo nascono e muoiono infinite SH ma, se c’è un elemento che ha cambiato radicalmente la fama delle società italiane, è sicuramente il Nintendo GameBoy Advance, per il quale lo sviluppo di titoli italiani ebbe notevole fortuna. Questo spinse alla creazione – tanto da diventarne pionieri – e allo sviluppo di giochi per handheld che ebbero notevole successo anche fuori dai confini italici.

Un mondo nuovo

Nel nuovo secolo è sempre Milestone a fare la voce grossa, collaborando con colossi del calibro di Electronic Arts: Superbike 2000 e Superbike 2001, sfruttando la licenza della SuperBike, riscossero un ottimo successo internazionale sia di critica che di pubblico, considerati ancora tutt’oggi, tra i migliori giochi sulle due ruote di sempre.
Il 2000 è un anno importante anche per l’entrata in scena del primo studio Ubisoft in Italia, Ubisoft Milano, che contribuì a dare i natali a Paperino: Operazione Papero. Lo studio milanese ha aumentato di anno in anno la sua sfera d’influenza, passando dallo sviluppo e la conversione di titoli per le console portatili fino allo sviluppo di interi titoli come l’acclamatissimo – e recentissimo – Mario+Rabbits: Kingdom Battle. La sua mano è presente anche nei recenti Assassin’s Creed, Rogue e Liberation, in Ghost Recon: Wildlands e Just Dance 4, titoli dall’ottimo successo e che sicuramente danno lustro al nostro paese.
I primi anni del 2000 sono contraddistinti dall’avvento di nuove console come PlayStation 2 e Xbox. Queste console permisero uno sviluppo tecnologico non indifferente e una delle software house che prese la palla al balzo fu proprio l’italiana Idoru che, assieme a Double Jungle, contribuì a sviluppare titoli su licenza di campionati di Basket o Pallavolo ritagliandosi una notevole fetta di mercato.
In questi anni anche diversi publisher vengono fuori, come Halifax o 505 Games. In stretta collaborazione con Konami, Sega, Square-Enix, o l’italiana Kunos Simulazioni, permettono la distribuzione nel nostro paese di titoli dal calibro di Pro Evolution Soccer, Assetto Corsa o Payday 2.

Ci siamo anche noi

E dunque arriviamo a oggi. Chi si ritaglia ampio spazio nel settore è sicuramente Milestone che, sfruttando licenze come quella del Moto Mondiale, conquista ogni anno grandi consensi da parte di critica e pubblico nonostante tecnicamente non proprio al passo coi tempi. I motoristici sono il suo pane e titoli come i vari WRC, MXGP e un titolo come Ride, che con la nomea di Gran Turismo delle moto” ha avuto un grandissimo successo, e ulteriormente migliorato col secondo capitolo, hanno contribuito a far sì che Milestone sia una delle software house più apprezzate a livello globale.
Chi ha mosso i primi passi in questi anni – e molto bene anche – è Kunos Simulazioni che dopo aver sviluppato simulatori di guida come NetCar Pro e Ferrari Virtual Academy, ha portato – e sta ancora portando avanti –  il progetto Assetto Corsa, apprezzatissimo simulatore di guida non solo dalla critica e dal pubblico ma anche da case costruttrici come Ferrari, Lamborghini o Porsche. L’utilizzo del laser scan e migliori tecnologie per la raccolta dati delle vetture hanno reso Assetto Corsa, il più preciso simulatore di guida sul mercato. L’avvento del titolo su console, seppur con qualche problema, ha portato questa piccola software house, con sede nel Circuito di Vallelunga, a rivaleggiare con i pezzi grossi nel settore, come Turn10 e Polyphony Digital, facendosi ben valere.
È una delle maggiori realtà italiane e anche questo sta contribuendo alla crescita di piccoli team di venir fuori, fra cui, oltre a quelli citati all’inizio, c’è anche Ovosonico che ha appena sfornato il suo piccolo capolavoro Last day of June.
Il futuro sembra quanto più roseo e dopo un lungo e tortuoso percorso, siamo riusciti finalmente a ritagliarci il nostro spazio nell’immenso universo dei videogiochi.




F1 2017 – L’unico Modo per far Vincere Ferrari

La Formula 1 è il campionato motoristico per eccellenza, uno sport d’elité con i piloti migliori del mondo a bordo delle auto più veloci del mondo. Da quando Codemasters detiene i diritti di questo brand, ha avuto il merito di riportare in auge questo sport anche a livello videoludico e, da allora – a parte il tonfo della versione 2015 – si è sempre ben comportata, facendo uscire ottimi titoli. In un anno in cui nella realtà si è arrivati a uno stravolgimento dei regolamenti, con auto completamente diverse e sicuramente più performanti, ecco che la casa inglese si è dovuta adeguare, portando con F1 2017 tutte le novità di questa stagione; ma non solo.

L’imbarazzo della scelta

Ovviamente il fulcro principale dell’offerta risiede nel Campionato di Formula 1 ufficiale, in cui, una volta scelto il team d’appartenenza, gareggeremo in ognuna delle 20 piste presenti nel calendario. Tutto parte dalla creazione del nostro alter ego digitale, scegliendo conformazione del volto, nazionalità e il casco. La scelta del team non sarà banale: se è vero che siamo liberi di scegliere qualsiasi auto sin da subito, gli obbiettivi di ciascuna squadra differiscono in base al blasone e ai risultanti ottenuti nel campionato reale; risulta quindi più semplice partire con una Renault piuttosto che con una Mercedes, in quanto, scegliendo la “Stella d’Argento”, saremo costretti a puntare sempre al podio per tenerci il posto in squadra.
Ma le modalità presenti sono davvero tante: tralasciando il classico multiplayer, dove non ci sono novità particolari rispetto gli anni precedenti, possiamo confrontarci con gli Eventi, una serie di piccole gare a tema, che riproducono azioni salienti avvenuti durante la stagione in corso. Gli eventi a disposizione vengono continuamente aggiornati e potremmo cimentarci ad esempio nella rimonta di Sebastian Vettel al Gran Premio del Canada, in cui dalla 18esima posizione, rimontò sino alla quarta. Sono eventi che avvicinano ancor di più il videogioco alla controparte reale, diventando un titolo estremamente consigliato a tutti gli amanti di questo sport.
Se ciò non bastasse abbiamo a disposizione una serie sterminata di campionati ai quali partecipare, tutti di natura diversa grazie anche alla presenza di vetture che hanno fatto la storia della Formula 1, dalla McLaren di Senna, alla Ferrari F2004 di Michael Schumacher, che permettono una varietà di situazioni altrimenti inaccessibili. Sono presenti campionati che prevedono solo circuiti cittadini, altri l’utilizzo di vetture di una certa annata e così via. Oltre a questi vi sono eventi specifici dedicati a tali vetture, che si interpongono anche tra i vari weekend del campionato ufficiale. Questi eventi, definiti “per gli sponsor”, sono gare dalle caratteristiche particolari in cui dovremmo cimentarci in gare di sorpasso o d’inseguimento.
Concludono l’ottima offerta le classiche gare veloci che permettono di cimentarsi con qualunque vettura, sia contemporanea che classica, in tutti i circuiti presenti, compresa qualche variante più corta. Anche queste gare non saranno mai banali, in quanto potremmo regolare un’infinità d’impostazioni, al fine di creare l’evento che più ci aggrada.
F1 2017, conscia dei passi falsi fatti nell’ultimo biennio, porta così una grande varietà di contenuti single e multiplayer che vi terranno incollati allo schermo fino all’uscita del prossimo titolo.

1000 CV tra le mani

Una volta scesi in pista notiamo subito una novità intrinseca di questo titolo: le vetture 2017 sono più grandi, più potenti e con un grip maggiore rispetto all’anno precedente. Cambia, quindi, l’approccio, ma, se è vero che possiamo affrontare curve a maggiore velocità, l’uscita da esse diventa sempre un fatto di preoccupazione in quanto, ad un accelerazione vigorosa, molte volte corrisponde un testacoda. Inoltre, nemmeno la rinnovata larghezza delle auto è da sottovalutare: i circuiti cittadini, come Monaco o Singapore, potrebbero diventare un incubo, soprattutto sotto pioggia battente. Bisogna quindi fare attenzione a così tanti parametri da sentirsi realmente un pilota di Formula 1, digitale almeno.
Già a partire dalle prove libere, dovremo effettuare una serie di prove diverse, atte a raccogliere più dati possibili su tracciato e vettura. La familiarizzazione del tracciato ci permetterà di studiare le giuste traiettorie di gara, prove di gestione di carburante e gomme, test sui giri da qualifica e prove di costanza diventano fondamentali non solo per studiare bene il circuito, adeguare l’assetto della vettura ed elaborare strategie, ma anche per collezionare dei punti necessari allo sviluppo della vettura. Come nella realtà infatti, le vetture di Formula 1 sono dei veri laboratori su ruote, in continua evoluzione: lo sviluppo di nuove componenti si attua su un reticolo di potenziamenti da installare che spaziano dall’aerodinamica, alla meccanica, sino al controllo finale di qualità necessario per avere l’ok finale al montaggio del nuovo pezzo. Una volta aggiunti nuovi componenti potremmo acquisire dei vantaggi di prestazioni rispetto alla concorrenza, aiutandoci così ad ottenere risultati migliori.
Ritorna anche la gestione della Power Unit, l’insieme di motore a combustione e tutte quelle componenti elettriche atte al recupero dell’energia cinetica come MGU-K e MGU-H che man mano che si andrà avanti subiranno problemi di efficienza dovuti al consumo e che quindi di volta in volta andranno sostituiti, rispettando però il regolamento, visto che il numero di queste componenti è limitato.
Anche la gestione della rivalità col compagno di squadra sarà un elemento da non sottovalutare, in quanto diventare Primo pilota, in base ai risultati ottenuti, ci permetterà di ottenere nuovi componenti sviluppati per primi e usufruire così dei vantaggi ottenuti.
Dopo aver quindi effettuato prove e qualifiche ecco che ci si ritrova in gara, sulla griglia di partenza. Potremo scegliere se effettuare il cosiddetto giro di ricognizione in cui controllare il tracciato e scaldare le gomme, fino alla tanta adrenalinica partenza: pigiare la frizione, salire coi giusti giri motore, e rilasciare al momento giusto, farà la differenza tra guadagnare o perdere posizioni sin dal via.
Comincia così una lotta serrata, in ogni Gran Premio, per ogni posizione, ostacolati da una più che buona intelligenza artificiale che ci darà filo da torcere ma stando attenti ad evitare inutili contatti.
Un aiuto prezioso arriva dal computer di bordo, quest’anno strapieno di parametri a cui stare attenti: alla sola pressione di un tasto, di volta in volta, potremmo verificare condizioni di gomme, freni, power unit, gestire la densità della benzina e il suo stato, ripartizione frenante e cambiamento di strategia. È un vero e proprio hub, in cui lo stato della vettura viene costantemente monitorato. Anche dal muretto dei box, il nostro ingegnere di pista sarà una presenza costante e utile nel comunicare informazioni; possiamo anche porre noi delle richieste, o con l’apposito menu digitale o attraverso il microfono, a voce: distanza dal nostro avversario diretto, informazioni generali sulla gara, meteo e tanto altro, diventa a portata vocale, aiutando di molto il controllo vettura, evitando inutili distrazioni e soprattutto migliorare l’immedesimazione.

Il titolo di quest’anno dunque, porta tutta l’esperienza maturata con i capitoli precedenti su nuovi livelli, creando probabilmente il miglior titolo di Formula 1 degli ultimi anni. E una delle feature dei titoli Codemasters torna anche qui, ovvero un’attenta gestione della difficoltà, di gestione della vettura e IA. Sono tanti i parametri su cui potremo intervenire, adattando la difficoltà a chiunque. La vettura sarà quindi più o meno difficile da controllare in base ai vostri gusti e anche l’intelligenza artificiale si comporterà di conseguenza. Proprio le vetture, le vere protagoniste, continuano la lunga tradizione di paritaria unione tra simulazione e arcade: per quanto la vettura senza aiuti di guida sia difficile da tenere in pista, soprattutto sul bagnato, con tutti gli aiuti attivi si andrà quasi su binari e fare un errore diventa praticamente impossibile. La varietà di situazioni, grazie al meteo dinamico e/o incidenti che potrebbero far entrare in scena safety car o virtual safety car, rendono ogni gara unica e soprattutto viva. Ogni GP sarà una continua battaglia sui decimi di secondo che, alle difficoltà più elevate, faranno la differenza.
Infine una chiosa sulle vetture classiche, su cui è stato fatto un buono studio, comportandosi in maniera completamente diversa rispetto all’era d’appartenenza: la McLaren di Senna, un mostro turbo di circa 1200 CV sarà un cavallo imbizzarrito mentre, una moderna Red Bull, meno potente ma con poco carico aerodinamico, risulterà un po’ più semplice. Non siamo sui livelli di un Assetto Corsa, ma per un titolo del genere portare tutta questa varietà è sicuramente un lavoro ottimo e che difficilmente può essere trascurato.
Da segnalare  – ma sono sottigliezze, almeno per ora – una mancanza reale della gestione del proprio alter ego digitale: quindi niente interviste ad esempio, ma magari, con la nuova esperienza che EA sta maturando con Alex Hunter in FIFA, un giorno anche Formula 1 potrà contare su tale feature, sicuramente accattivante.

Bello, ma non bellissimo

Il nuovo Ego Engine, che ha debuttato nel 2015, comincia a dare i suoi frutti dopo qualche anno di sviluppo: le vetture sono squisitamente modellate, sia le contemporanee che le classiche. Tutti i dettagli sono al loro posto, considerando che le auto sono più complesse rispetto agli anni passati. Texture di buona qualità, ottimi shader e filtri regalano un’esperienza visiva davvero ottima, toccando il picco nelle piste in notturna come Singapore in cui, le cui le luci dinamiche si aggiungono in un contesto già ottimo, diventando quasi fotoreale. Fanno meno gridare al miracolo la modellazione e la resa degli elementi di contorno come alcuni edifici e il pubblico, oltre alla realizzazione del personale e dei piloti che deludono un po’, contando anche su animazioni poco eleganti. I danni alle vetture, nonostante i paletti imposti dalla FIA, sono bene realizzati e sono un deciso passo avanti rispetto ai titoli precedenti.
Nonostante l’ampia personalizzazione delle caratteristiche tecniche, marchio ormai di fabbrica della casa inglese, fanno fastidiosamente la loro comparsa alcuni cali di frame rate in condizioni particolari come tante vetture presenti contemporaneamente e durante un’acquazzone, più un tearing a volte fin troppo evidente.
Da segnalare l’utilizzo ufficiale delle grafiche FIA per ogni gran premio e il commento di Carlo Vanzini, telecronista per SKY, e del pilota Luca Filippi al commento tecnico. Per quanto si senta la lettura di un copione, Vanzini fa un ottimo lavoro, introducendo tutti i gran premi, cercando di portare – per quanto può –  il suo stile. Luca Filippi, per quanto puntuale è un po’ troppo monòtono, mancando di enfatizzare alcuni momenti, spegnendo così l’entusiasmo.
Musiche d’accompagnamento discrete vengono soppiantate dalla buona realizzazione dei suoni delle vetture e di contorno: ogni rombo delle diverse annate è ben riprodotto, passando da rochi suoni odierni agli ululanti V12 degli anni 2000. Anche gli altri suoni, come i vortici generati da un passaggio ravvicinato ad alta velocità tra le barriere e gli stridii degli pneumatici danno un tocco di realismo in più che aiuta l’immedesimazione.

In conclusione

F1 2017 riesce nell’intento di portare a tutti gli appassionati un titolo di ampio respiro e davvero immenso. Le tante modalità presenti sono ben realizzate portando il giocatore al senso d’appagamento in ogni frangente. Il campionato ufficiale gode di tutte le migliorie apportate in questi anni da Codemasters, avvicinandosi sempre più alla controparte reale, pieno di elementi gestionali ma che, per alcuni vincoli della FIA, sono impossibili da ampliare – almeno per ora. Vetture classiche che fanno in loro ritorno in pista più belle che mai sono in grado di far saggiare, soprattutto ai più giovani, tutta la storia recente della Formula 1, con tutte le differenze del caso.
È un titolo da non farsi scappare se siete amanti di questo sport, in grado di contribuire a riportare entusiasmo in una Formula 1 che cerca di uscire dalla crisi.




WWE 2K18 Primo Trailer

WWE 2K18 verrà rilasciato in tutto il mondo il 17 Ottobre 2017 per Nintendo Switch, PlayStation 4 e Xbox One. Non si hanno invece ancora notizie di un rilascio su PC e la sua ipotetica data di uscita. Siamo sicuri che tutti gli appassionati su PC siano in trepidazione, a maggior ragione dopo aver visto questo trailer.

https://www.youtube.com/watch?v=Mp4cDm6kiVw




Agents of Mayhem

Ci troviamo in un periodo storico che sta segnando un netto divario nel settore videoludico, ci si discosta sempre più dalle correnti “arcade“, soprattutto quando si parla di alcuni generi in particolare, a favore di una buona narrativa e del coinvolgimento emotivo del giocatore. Ne abbiamo avuto l’esempio con moltissimi giochi di recente uscita, soprattutto nel panorama indipendente, per citarne uno su tutti, Last Day of June, gioco che punta chiaramente tutto sul peso della narrazione.
Agli antipodi, i ragazzi di Volition Deep Silver rielaborano una “vecchia” ricetta, in parte già utilizzata in passato. Prendete un frullatore e buttateci dentro:

  • Tutto il bello dei Saints Row, vecchie glorie della software house
  • Personaggi cartooneschi
  • Armi improbabili
  • Automobili avveniristiche da urlo
  • Città futuristiche
  • Nemici ignoranti
  • Una storia “non storia”
  • Una gnocca a capo della nostra organizzazione
  • Boss semi-robotici
  • Il doppio salt… ma che dico, il triplo salto!
  • Il viola – dico sul serio è ovunque, diverrete ossessionati dal viola, anche il joypad della vostra PS4 avrà il suo sensore luminoso… viola!
  • Una gnocca a capo della nostra organizzazione – eh… l’ho già detto?

Ok! Adesso frullate tutto per bene e poi pigiate sulla  su “Nuova Partita” in Agents of Mayhem!

Welcome to Seoul!

Tutto ha avuto inizio in una tranquilla e soleggiata giornata in quel di Seoul, quando d’un tratto dal cielo iniziarono a piovere strane capsule giganti – molto simili ad astronavi… o erano più astronavi simili a capsule? – contenenti centinaia di nemici in eso-tuta spaziale, chiamati Legion, armati fino ai denti, pronti a distruggere l’intera, ridente città. Ma ecco che, quando tutto sembra ormai perduto, 3 super agenti, Hollywood, Fortune e HardTack, si fiondano, da qualche parte su nel cielo, via per un condotto, che li farà precipitare sul luogo dello scontro atterrando “super-eroicamente” indenni. Questo scontro costringerà gli agguerriti nemici a rinchiudersi in una delle loro basi segrete e i nostri intrepidi eroi a scovarli.
Tutto questo verrà rappresentato con un simpatico cartoon che ci inizierà poi al tutorial del gioco. Tutorial che appare sin da subito semplice e divertente, proprio per l’anima arcade del gioco. Ci verranno illustrate le modalità di attacco per ognuno dei primi 3 personaggi che avremo a disposizione all’inizio del gioco, che fondamentalmente si riducono a: attacco semplice, attacco “melee” (corpo a corpo) o “dodge” (schivata). A queste vanno aggiunte le abilità speciali e le abilità Mayhem (davvero distruttive e variegate da personaggio a personaggio).

Prima una Panoramica

Come è ben chiaro sin dall’inizio, lo scopo del gioco è quello di eliminare da tutto il territorio la presenza dei Legion, quindi, una volta completato il tutorial, avremo finalmente accesso al nostro Quartier Generale, chiamato ARK. Lì verremo convocati da Persephone, la donna a capo dell’organizzazione, che ci farà il punto della situazione. All’interno della struttura, saranno presenti dei negozianti, grazie ai quali potremo potenziare il nostro equipaggiamento come anche il QG stesso, poiché migliorando la presenza del Mayhem sul territorio, avremo accesso a nuove tecnologie che favoriranno la nostra squadra durante le missioni. Sarà possibile, inoltre, selezionare nuove missioni, contratti, sfide o reclutamenti, necessari, questi ultimi, per poter reclutare gli altri 9 super agenti del Mayhem.

A questo punto, vi starete chiedendo se esiste la possibilità di esplorare liberamente Seoul, alla scoperta di collezionabili e quant’altro: sì, sarà possibile farlo dall’ARK, tramite il menù di selezione delle missioni. In città, potremo prendere possesso di diverse autovetture civili, un po’ come in tutti i giochi di questo genere, ma l’agenzia ce ne darà una tutta nostra, reperibile in qualsiasi momento grazie alla pressione di un tasto sul joypad; sarà possibile sostituire questo veicolo trovando dei “moduli progetto“, sparsi nei numerosissimi forzieri presenti nella vasta mappa di gioco. I forzieri, potranno contenere anche denaro, gadget e diversa componentistica per lo sviluppo di nuove armi o abilità.

Durante l’esplorazione, quasi sicuramente ci imbatteremo in qualche sanguinosa sparatoria con i nemici che infestano le strade della città. Per nostra fortuna, per favorire il nostro giro turistico, avremo a disposizione un’abilità comune a tutti gli agenti… il triplo salto in alto!
Grazie ai nostri salti – mirabolanti direi – riusciremo a muoverci agevolmente tra quasi tutti gli edifici del gioco, permettendoci, oltre che a sfuggire dai soldati dei Legion, anche di raccogliere alcuni dei forzieri nascosti sui tetti o dei fluttuanti frammenti di cristallo rossi. Raccogliendo 10 frammenti, otterremo un nucleo, che ci servirà per l’ apprendimento di una delle 3 capacità uniche di ogni agente Mayhem.

Le tre “S”

Salta, Spara e Schiva! Questo è Agents of Mayhem.

Il gameplay di AoM è molto intuitivo. Sin da subito si ha un gran feeling con il joypad e con tutte le abilità del nostro personaggio. É facile muoversi nel mondo di gioco, immediatamente vi ritroverete a saltare di palazzo in palazzo senza neanche rendervene conto. Lo stesso non può dirsi del sistema di guida delle vetture, risulta un po’ legnoso e poco preciso, soprattutto nelle curve e l’uso del freno a mano, posso assicurarvi che non vi aiuterà così tanto.
Alcuni spunti da GDR, come il livellamento dei personaggi e dello stesso Quartier Generale, rendono questo titolo ancora più appetibile. L’acquisizione dei punti esperienza, ha un ruolo fondamentale nel gioco: bisognerà accumularne molta nelle missioni, per far salire di livello gli agenti, l’ARK e quindi progredire poi con altre nuove missioni che si sbloccheranno man mano.
Il sistema di combattimento è ben congegnato, difficilmente capiterà che possa non piacervi uno degli agenti. Sono tutti molto diversi tra loro, caratterizzati magistralmente, ognuno con uno stile di combattimento interessante e ben studiato. Come l’agente Yeti, un gigante sovietico, che avrà a disposizione un’arma spara ghiaccio potentissima, oppure Kingpin, un gangster di quartiere, che una volta assoldato da Persephone, la nostra affascinante capo-organizzazione, si avvarrà della potenza di una piccola mitragliatrice e di uno stereo, per stordire i nemici a suon di rap mentre li picchia selvaggiamente!

Che dire dei Legion? Sicuramente non saranno tantissimi, ma ci accontenteremo del fatto che siano davvero fighi. Non avranno una gran barra di energia ma fanno parecchio male, specialmente quando ci ritroveremo nel bel mezzo del fuoco incrociato. A volte, dopo una manciata di soldati semplici, vedrete apparire una sorta di super-soldato duro a morire, all’eliminazione del quale riceveremo diverse ricompense e molti PE (punti esperienza).

Impressioni… di settembre

Pollice in su quindi per Agents of Mayhem: lo si potrebbe definire un surrogato di svariati giochi, all’interno si notano chiari richiami ai Saints Row, soprattutto agli ultimi capitoli della saga, ma anche alcuni spunti di Crackdown 1 e 2, vecchia IP per Xbox e Xbox360, di cui si aspetta il sequel su Xbox one.
Graficamente il gioco è molto accattivante, bellissimi i modelli dei personaggi come anche l’intero environment, con stupendi colori vivaci e quell’accenno di cel-shading che ci sta su come la ciliegina sulla torta.
Di certo è uno di quei giochi che quando smetti di giocare, non vedi l’ora di poter ricominciare. Sono talmente tante le trame da poter seguire che non annoia mai, ti fa venir voglia di giocare per ore e ore. Stanco di proseguire per la trama principale? Bene allora svolgi i contratti, recluta nuovi agenti, completa le sfide e le attività o più semplicemente scendi in città ed esplorala in lungo e in largo!
Agents of Mayhem terrà i cacciatori di platino incollati allo schermo per molto… moltissimo tempo.




Open Beta per Raiders of the Broken Planet

Lo shooter asimmetrico Raiders of the Broken Planet sarà lanciato il prossimo 22 settembre. Prima del lancio però i giocatori potranno provare l’open beta e le prime due missioni su Xbox One, Ps4 e Pc.
Enric Alvarez, co-proprietario di Mercury Steam, ha dichiarato «Sono emozionato per tutti i giocatori che finalmente proveranno il prologo. L’open beta è gratis da scaricare e e permetterà ai giocatori di provare le pazze avventure in cui li vogliamo portare. Speriamo  che ognuno si diverta con le prime due missioni e con qualcuno del team che sarà online nel weekend. E non siate tristi di giocare come antagonisti, è bello essere cattivi ogni tanto!»
L’intero prologo sarà disponibile gratis al lancio, mentre la prima campagna costerà all’incirca 10 €. Saranno rilasciate altre tre campagne a intervalli regolari per lo stesso prezzo, e sarà anche possibile scegliere una campagna che da ai giocatori degli inviti per giocare in co-op con i propri amici senza bisogno che loro posseggano il gioco.




Pro Evolution Soccer 2018: le impressioni dalla Demo

Dopo tanta attesa, Konami ha reso disponibile la demo di Pro Evolution Soccer 2018 – o PES 2018 per gli amici –  anche su PC. Questo è un evento importante, in quanto, negli ultimi anni, questa versione si è rivelata essere un semplice porting dai titoli rilasciati per Xbox 360 e PlayStation 3, nemmeno di ottimo fattura. Questa situazione non ha fatto altro che indispettire gli utenti per Personal Computer, che sono spesso passati a un prodotto più curato come FIFA. Ecco dunque che finalmente Konami sembra aver capito l’importanza di questo mercato e, da ora in poi, anche qui la concorrenza si farà sempre più serrata.

Piccoli passi avanti

La demo testata non presenta grossi contenuti: semplici amichevoli e il co-op 3vs3 le uniche modalità con cui cimentarsi. Tra le squadre presenti troviamo top team come Barcellona, Borussia Dortmund e Inter, squadre sudamericane e tre nazionali come Brasile, Argentina e Germania. Se il 3vs3 si presenta molto divertente, dove è essenziale far gioco di squadra per riuscire a portare a casa il risultato e soprattutto punti esperienza per migliorare l’affinità tra i calciatori, le semplici amichevoli sono un ottimo modo per testare le nuove caratteristiche che la versione 2018 riserva.
Da notare immediatamente è il migliorato sistema di controllo dedicato al primo impatto col pallone, dove il calciatore selezionato, nel caso di una cosiddetta “palla sporca”, proverà a stopparla in qualche modo. Ne conseguono quindi nuove animazioni, più complesse, che rendono sicuramente più veritiero quello che stiamo vedendo. Tutto il gameplay di PES 2018 è un insieme di piccoli, ma ragionati, miglioramenti come ad esempio un rallentamento della velocità di gioco e i contrasti, decisamente più realistici e che rispondono della stazza dei diversi giocatori. Diventa così più facile vedere un Miranda sovrastare un povero Rakitic o Coutinho fare fatica a contrastare Piqué.  Rispetto all’edizione scorsa, dunque, sarà essenziale avere un po’ più di pazienza, anche in vista di un miglioramento sostanziale dell’intelligenza artificiale, sia avversaria che dedicata ai nostri compagni. I primi, da un paio d’anni, godono del cosiddetto Team ID, almeno per i team più blasonati, dove le squadre rispondono realisticamente al nostro modo di giocare, sfruttando le routine comportamentali studiate dalla controparte reale. Anche se a un primo sguardo risulta meno accentuato del concorrente, tutto questo fa sì che ogni partita avrà una sua identità e non sarà mai uguale a un’altra. Giocare contro il Barcellona o contro l’Inter risulta sicuramente un’esperienza diversa, in grado di regalare grosse soddisfazioni una volta segnato un gol.
Un bel lavoro sembra esser stato fatto anche sull’intelligenza artificiale dei nostri compagni, pronti a inserirsi negli spazi o aiutarci in caso di difficoltà. I movimenti del nostro team saranno quindi corali, dove diventa più semplice imbastire azioni d’attacco. Questi movimenti automatici però, hanno un rovescio della medaglia: qualora in fase difensiva cominciamo a faticare, subendo ripetutamente percussioni da parte degli attaccanti avversari, i difensori controllati dalla CPU andranno sì a coprire gli spazi ma in modo da risultare distanti e soprattutto poco reattivi nel caso in cui l’azione cambi lato. A complicare ulteriormente le cose ci pensa il dorsale adibito alla selezione del calciatore, davvero impreciso. Si tratta pur sempre di una demo ma sono situazioni che se non corrette possono inficiare la qualità del titolo finale.
Un’ulteriore novità è riservata ai calci piazzati, dove spariscono le poco eleganti traiettorie, in favore di uno stile molto vicino al titolo Electronic Arts. Sarà la postura a fare la differenza e dovremo essere noi a capire come calciare il pallone e quale traiettoria assumerà. Questa feature è qualcosa che migliora sensibilmente l’immedesimazioni ma, come per FIFA, anche qui serve la giusta dose d’allenamento. Un tocco di classe è dato dalla fisica del pallone, ulteriormente migliorata e – tralasciando piccoli svarioni – sempre pronta a rispondere ai tocchi, più o meno potenti, dati dai calciatori. Da verificare meglio a titolo completo è però la fisica del pallone sui campi bagnati dove la sfera non sembra essere influenzata dalla pesantezza del campo ì, né ben che meno da eventuali zolle o difetti di quest’ultimo.
Purtroppo ci sono da segnalare anche alcuni punti deboli ormai classici della serie: animazioni, sicuramente migliorate, ma dove si notano frame di collegamento tra i diversi movimenti, arbitri abbastanza timidi e soprattutto i portieri, a cui a volte manca il senso dell’orientamento.

La next-gen su PC

Ovviamente la prima cosa che balza all’occhio è il comparto tecnico. Finalmente anche i “PCisti” possono godere dei progressi fatti nella tecnologia digitale degli ultimi anni, trovando un prodotto sicuramente ben realizzato. Il colpo d’occhio generale è davvero molto buono, soprattutto nella riproduzione degli stadi delle migliori squadre, con un’ottima mole poligonale accompagnata da texture in alta definizione. Anche la resa del pubblico è di ottima fattura anche se si presenta meno movimentata rispetto al nuovo FIFA, dove è stato fatto un lavoro apposito per renderlo sicuramente più realistico. Calciatori più famosi perfettamente riprodotti, con quelli dei team legati dalla partnership esclusive davvero eccezionali, non solo per la ricostruzione digitale ma anche per le movenze in campo. Sembrano di molto trascurati invece i giocatori di seconda fascia, poco curati e difficilmente riconoscibili.

In conclusione

Anche quest’anno lo scontro finale tra PES 2018 e FIFA 18 si fa più acceso che mai. Il titolo Konami ha puntato sul miglioramento di alcune caratteristiche di gameplay e sulla fisica, facendo piccoli passi avanti verso la simulazione ma mantenendo intatta la sua indole. Su PC risulta finalmente un bel titolo da gustarsi anche con gli occhi ma, complice una serie di difetti storici che sembrano non essere spariti, contenuti da valutare a pieno e la necessità di vedere quanto la mancanza di licenze influisca sul titolo, aspettiamo di provare il gioco completo per le dovute conclusioni. In ogni caso il lavoro sembra promettente.




FIFA 18: le impressioni dalla Demo

Come ogni anno, il mese di settembre è dedicato ai calcistici per antonomasia: Pro Evolution Soccer e FIFA. Nella veste 2018, entrambi i titoli presentano grosse novità che analizzeremo nel corso dell’intero mese, cominciando il percorso con la Demo di FIFA 18, uscita su PlayStation 4, Xbox One e PC. Alla fine, dopo anteprime e recensioni ci sarà uno speciale per eleggere, anche quest’anno, il miglior titolo calcistico della stagione.
Al suo secondo anno di Frostbite Engine, il titolo EA implementa alcune feature che arricchiscono ulteriormente il senso di realismo e una rinnovata modalità “The journey” nella quale Alex Hunter, ormai affermato, dovrà confrontarsi con le difficoltà che deve affrontare un calciatore professionista.

Hai voluto la bicicletta?

Partiamo proprio con il viaggio di Alex Hunter, giunto – per così dire – alla seconda stagione. Non è più un pivello arrivato dai bassifondi, bensì un calciatore professionista di prospettiva, cercato da moltissime squadre, non solo in Premier League, ma anche all’estero. Questa è una delle tante novità di questa modalità: non saremo più relegati al solo campionato inglese ma potremmo giocare in squadre blasonate dei campionati più importanti d’Europa. PSG, Bayern Monaco, Real Madrid sono solo alcuni dei club di cui potremo vestire la maglia, aumentando a dismisura la profondità della narrazione e soprattutto la varietà. La scrittura di Tom Watt si arricchirà di ulteriori colpi di scena e momenti drammatici e, come visto nella brevissima demo, situazioni che faranno rischiare la carriera al giovane Alex. “The Journey” è sicuramente un ottimo modo per vedere il calcio da un altro punto di vista, il cosiddetto dietro le quinte di un mondo vasto e pieno di sfaccettature. Anche tecnicamente risulta migliorato, con cutscene più pulite e definite e soprattutto con maggiori dettagli negli spogliatoi  che, nella prima iterazione risultavano davvero vuoti. Da segnalare qualche piccolo calo di frame durante gli intermezzi, ma ricordo che non si tratta di una build finale. Questa seconda stagione de “Il viaggio” sembra davvero migliorata e comincia davvero ad appassionare come se fosse una buona serie TV e, se aggiungiamo la possibilità di personalizzare Alex, più l’incontro con calciatori del calibro di Cristiano Ronaldo, ne vedremo delle belle.

Un deciso passo avanti

FIFA 18 presenta diverse novità in termini di gameplay, non solo dedicate al gioco in senso stretto ma anche strutturalmente. Un’innovazione che balza subito all’occhio è la possibilità di decidere prima dell’inizio della partita le tre sostituzioni disponibili: direttamente dal menu della gestione della squadra possiamo scegliere chi sostituire con chi in modo da snellire i tempi di gioco. Si avrà così, nel corso della partita e solo durante le pause, la possibilità di effettuare una sostituzione veloce indicata dall’icona in basso a destra. Una volta premuto il grilletto destro del vostro joypad ecco che si avvierà istantaneamente la cutscene della sostituzione senza dover mettere in pausa il gioco. Questo è un elemento importante soprattutto nelle modalità online in quanto possono venir annullate le strazianti pause che possono inficiare il ritmo della partita. Qualora non decidessimo i cambi in ogni caso la CPU ci suggerirà quale scelta effettuare e starà a noi scegliere se procedere o meno.
Scesi finalmente in campo, notiamo subito delle differenze: il ritmo di gioco è decisamente diminuito e anche la fisica del pallone ha subito una vistosa variazione, risultando più pesante. Questo porta a un gameplay molto più ragionato, in cui il centrocampo diventa fulcro essenziale delle nostre giocate. Galoppate sulla fascia ridotte al minimo ma controlli migliorati sui giocatori  portano il titolo EA su un altro livello rispetto alla concorrenza: si ha davvero l’impressione del controllo totale, e l’abilità col pad sarà decisiva se si vogliono ottenere risultati. A complicare ulteriormente le cose, le squadre si arricchiscono di un’IA più evoluta e soprattutto più caratterizzata in base alla squadra contro cui giocheremo: il nuovo Real col suo rinnovato tiki-taka, il catenaccio juventino, la forza dell’Atletico di Madrid cambieranno drasticamente il nostro modo di approcciarci alle partite contro la CPU. Diventa fondamentale studiare un minimo l’avversario e modificare opportunamente le nostre strategie di gioco. A questa caratterizzazione delle squadre, si unisce anche il cosiddetto Real Player, il nuovo sistema di scan Electronic Arts, che replica al dettaglio le movenze dei calciatori più famosi, distinguendoli letteralmente dalla massa. Ecco quindi Cristiano Ronaldo correre con la sua caratteristica postura ed esultare con il suo urlo dopo un gol; Robben che dopo una lunga falcata rientra per provare il tiro e Neymar  un vero funambolo che non sta mai fermo. Tutto ciò porta a un livello superiore il titolo, aumentando la verosimiglianza alla controparte reale.
Fortunatamente le nuove animazioni sono disponibili, in generale, al resto dei giocatori, con soluzioni più varie per tiri, cross e passaggi.
Ovviamente non parliamo di un titolo perfetto: almeno in questa demo risulta difficile non notare qualche sbavatura del comparto animazioni e soprattutto nei contrasti, a volte un po’ innaturali.
Resta comunque da vedere il gioco finito, in uscita il 29 Settembre, in cui potremmo vedere se queste ottime premesse saranno confermate.

Tutti allo stadio

Tutte le novità apportate l’anno scorso con il FrostBite Engine sono state ulteriormente migliorate: tutto risulta più definito già a partire dalla demo, con una migliore gestione dell’antialiasing che regala una maggiore pulizia generale. Il nuovo sistema di scan ha inoltre permesso una gestione maggiore dei dettagli sui volti dei giocatori più blasonati; la verosimiglianza è ormai vicina al fotorealismo, anche se la differenza tra che gode di questa feature e chi no risulta più netta: calciatori di secondo piano ma anche, almeno per adesso, giocatori di un certo livello come Gonzalo Higuaìn sono ancora molto indietro rispetto ai loro omologhi reali.
Una delle novità visive più acclamate è la nuova gestione del pubblico e delle atmosfere da stadio. Le partite risultano così più coinvolgenti con un pubblico sempre in movimento e che non si limiterà solo ad alzarsi o sedersi. Se, ad esempio, una nostra bordata finirà sugli spalti, la parte del pubblico in traiettoria si affretterà a prendere il pallone, ammassandosi in prossimità della sfera. E ancora le esultanze, diverse da stadio a stadio e tanti piccoli dettagli rendono il tutto più emotivo.

In conclusione

La demo di FIFA 18 ci lascia con ottime impressioni. Le novità sono tutte chiaramente visibili e innalzano di molto il livello qualitativo. Partite senza dubbio più reali grazie alle nuove movenze di calciatori e team, unita al nuovo pubblico negli stadi arricchiscono di molto l’atmosfera generale, avvicinandosi così a una partita trasmessa in TV. Anche Alex Hunter e il prosieguo del suo viaggio ci hanno incuriosito, esplorando zone nascoste del calcio e che senza dubbio, non vediamo l’ora di approfondirle.
Restiamo dunque in attesa del gioco completo e, di conseguenza, della recensione finale.




Shenmue 1 & 2 in arrivo per Xbox One e Ps4?

Secondo vari venditori dell’est Europa, i primi due capitoli di Shenmue  arriveranno sia per Xbox One che per Playstation 4. Anche se non ci sono notizie ufficiali, i vari leak danno credibilità a questi rumour.
Sono infatti spuntate durante il weekend i giochi in boundle per Ps4 e Xbox One su Alza, un rivenditore ceco, e sui siti sloveni Heureka, GetGame e MadGamer.
Sega non ha commentato, ma una remastered giocherebbe a favore dell’azienda dato il lancio previsto nel 2018 del terzo capitolo della saga.
Tra tutti solo GetGames ha dato una periodo di rilascio, molto vaga tra l’altro, ovvero il 2017, a un prezzo di €49,99 mentre MadGamer lo aveva segnato a €59,99.

Shenmue nacque come gioco per Sega Saturn, con protagonista Akira di Virtua Fighter, anche se lo sviluppo finì poi su Sega Dreamcast per uscire infine nel 1999 in Giappone; il terzo capitolo è stato invece finanziato grazie a Kickstarter.




Life is Strange: Before The Storm – Episodio 1: Svegliati – Una Parola è Troppa e due sono Poche

Life is Strange è oggi conosciuta come una delle migliori avventure grafiche degli ultimi anni, avvalendosi di molti premi e sicuramente una delle migliori sorprese del 2015. Con uno stile peculiare e soprattutto una caratterizzazione di personaggi e ambienti di molto sopra la media, il titolo – o per meglio dire – la serie Dontnod Entertainment è riuscita a creare una storia tangente il Teen drama ma lontano dalle banalità che purtroppo siamo abituati a vedere ultimamente: tante, belle, storie personali, tanti intrecci e soprattutto messaggi di fondo che rimangono impressi, magari per alcuni scontati, ma narrati con una tale forza, che difficilmente potrete trovare lo stesso in opere simili. In attesa della seconda stagione, prevista per il 2018, Deck Nine Games – sviluppatore in questa occasione – ci porta di nuovo ad Arcadia Bay, cittadina protagonista delle prime vicende, ma due anni prima. Before the Storm è infatti un prequel, dove approfondiremo la natura di Chloe ma soprattutto quella  di Rachel Amber, perno del primo Life is Strange.

The Chloe show

Svegliati è il primo di tre capitoli che usciranno prossimamente. Sin da subito si può notare un cambio stilistico che incide soprattutto sui dialoghi, più incisivi, diretti e sicuramente più conformi alla ben più temeraria e ribelle Chloe, rispetto alla timida Maxine che abbiamo conosciuto in precedenza. Nonostante questo, e l’assenza soprattutto del riavvolgimento temporale, Before the Storm è un Life is Strange in tutto e per tutto, dove protagoniste diventano le storie, prima dei singoli personaggi. Proprio come la serie ci ha abituato, il tutto è un intreccio di parole, pensieri, ansie e paure di ragazzi e ragazze che sognano un futuro quanto più roseo a dispetto delle difficoltà.
Molte delle domande fatte nell’opera originale troveranno subito risposta in questo primo episodio a cominciare da Rachel Amber, figura divenuta quasi mitologica nel corso dell’avventura. Grazie all’ottima scrittura sapevamo già molto, ma vederla e interagire con lei è tutt’altra cosa: una ragazza modello, bellissima, intelligente, affascinante, forse troppo bella per essere vera. Nelle circa tre ore della nostra vita passata insieme a lei notiamo però tutte le fragilità di una ragazza che si appresta a diventare donna, ignara del destino che l’attende. Ma è proprio il rapporto tra lei e Chloe il vero protagonista di questo prequel e che probabilmente verrà sviscerato più avanti: un rapporto basato su bisogni diversi ma reciproci, che comincia quasi per caso ma che segnerà profondamente la vita di entrambe. Chloe e Rachel risultano una coppia meglio assortita – e forse più bella da vedere – rispetto a Chloe e Max proprio perché, come vedremo meglio tra poco, è un rapporto più vero e scaturito da una sola e singola scelta. Decisioni che si scontreranno anche con vecchie conoscenze, più o meno simpatiche, per le vie di Arcadia Bay. Anche qui, personaggi che abbiamo imparato a conoscere mostreranno qualcosa di nuovo, arricchendo il puzzle della loro caratterizzazione.
Anche l’avere tre capitoli a disposizione, rispetto ai cinque precedenti, aiuta a condensare le vicende eliminando il più possibile i cosiddetti tempi morti. Il risultato è che già a partire da Svegliati assistiamo a tante vicende diverse, tutte con il proprio peso e momenti che non annoiano.

Ne uccide più la lingua che la spada

Uno degli elementi distintivi di Life is Strange, nonché della tipologia di gioco in questione, è la serie di dialoghi a scelta multipla, che possono più o meno, influenzare la direzione che prenderanno alcune vicende.
Se però, nell’opera originale, potevamo contare quasi su un checkpoint volontario, sfruttando il potere di Max, qui le cose si fanno più complicate in quanto, come nella realtà, si sceglie una volta sola. Se siamo abituati a farlo con titoli Bioware, ad esempio, in un titolo come questo ogni decisione ha un reale peso specifico non solo in base al carattere del nostro interlocutore ma anche al contesto. Bisogna prestare attenzione a ciò che viene detto, a quando viene detto e soprattutto al “come”. Ne consegue così un’attenzione per i dialoghi che raramente si vede in altre opere, con una scrittura sapiente e calibrata. Proprio riguardo l’attenzione al dialogo è riservata una feature particolare, novità introdotta con questo capitolo e  – possiamo dirlo – peculiarità di Chole: alcuni dialoghi di un certo peso, che influenzano in maniera più determinante il corso della storia, diverranno delle vere e proprie boss fight in cui bisognerà prestare ancora maggiore attenzione alle parole pronunciate dal nostro rivale per ritorcergliele contro.
Oltre alla scorpacciata di linee di testo, è presente l’ormai rodata esplorazione dell’ambiente, sempre in terza persona, che in questo frangente diviene ancor più importante: trovare oggetti, carpire frasi dette da terzi e, novità, vie alternative, diventano tutti elementi che influenzeranno le vicende. Quindi, non è importante soltanto cosa dite, ma anche cosa fate e come. Questo porta a una rigiocabilità infinita, cercando di studiare tutti gli intrecci possibili in un’Arcadia Bay mai così viva.
Come Maxine, anche Chloe possiede un suo diario e, ovviamente, l’immancabile cellulare: se sul diario troveremo tutti i suoi pensieri dedicati ai fatti accaduti e persone incontrate, gli sms del telefono saranno ulteriori linee di dialogo utili ad approfondire i rapporti tra i vari personaggi. Questi stessi messaggi, scambiati in maniera del tutto automatica, saranno influenzati nei toni dagli avvenimenti che abbiamo contribuito a influenzare.
Cambia anche la questione obiettivi: se per caso dimentichiamo cosa fare, basterà premere il grilletto destro del vostro joypad per trovare l’informazione scritta a penna, sulla mano di Chloe. Resta inspiegabile come una mancina riesca a scrivere sulla stessa mano che sta utilizzando, ma son dettagli di poco conto.

Dì che sei un artista

Life is Strange e, di conseguenza, Before the Storm, non verranno certo ricordati per un impianto tecnico d’eccellenza. Se sulla direzione artistica intrapresa da Dontnod Entertainment, e portata avanti da Deck Nine Games non c’è nulla da eccepire, è sulla qualità visiva che questo titolo mostra il fianco. Bellissimi dialoghi aiutano a focalizzarsi su ciò che si dice, questo è vero, ma fa storcere il naso pensare alle poco eleganti animazioni, facciali e non e a texture talvolta davvero pessime. Non stiamo certo parlando di un tripla A, sia ben chiaro, ma è impossibile non rimanere indifferenti di fronte ad alcune lacune tecniche che, un titolo del 2017, non dovrebbe avere. In ogni caso, anche se quasi impercettibile, troviamo un miglioramento di alcuni filtri, rispetto al titolo originale, tra cui un miglior antialiasing e filtro anisotropico oltre ad un leggero miglioramento di definizione generale. Ma è davvero troppo poco per portare questo titolo, almeno tecnicamente, su livelli decenti.
Ciò che manca visivamente, fortunatamente viene compensato a livello uditivo con musiche che spaziano tra diversi generi e sempre adatte al contesto. Come per Life is Strange con protagonista Max, la colonna sonora risulta naturale, ben amalgamata al contesto al punto da rendere immagini e musica una cosa sola. Se il resto degli effetti sonori possiamo classificarli come normali, menzione d’onore va ai doppiatori/doppiatrici che hanno fatto davvero un buon lavoro per un titolo assai complesso come questo. Nonostante il cambiamento di doppiatrice per Chloe, Rhianna DeVries riesce a regalarci la ragazza che abbiamo imparato ad amare, se non di più, riuscendo a utilizzare la perfetta tonalità nelle situazioni in cui è richiesto. Anche Rachel Amber è resa molto bene, forse diversa da come l’avevamo immaginata, ma sempre intrigante e difficile da leggere. Ne risultano così personaggi reali, con una vita reale e soprattutto, reazioni audio-visive reali.

In conclusione

Il primo episodio del nuovo Life is StrangeBefore the Storm, riesce nell’intento di amalgamarsi perfettamente nella storyline di Arcadia Bay. Tutto risulta naturale e le vicende di Chloe Price e Rachel Amber vi terranno incollati allo schermo fino all’uscita del prossimo episodio. Proprio la caratterizzazione della Amber esce con prepotenza da Before the Storm, una ragazza fino a qualche settimana fa misteriosa ma che nonostante tutto continua ad esserlo, diventando un personaggio dalle mille sfaccettature, sola in un mondo dove è amata da tutti. A dispetto di un comparto tecnico antiquato ma di un comparto audio che fa la voce grossa, questo nuovo Life is Strange è un titolo da non farsi scappare se avete amato le vicende di Maxine Caulfield.