Videogiocare è soprattutto imparare

Durante un’intervista rilasciata a GameInformer, il creative chief officer di Ubisoft Serge Hascoet, è sembrato molto emozionato riguardo al futuro del settore videoludico.

«Questa è un’industria fantastica» afferma Hascoet, secondo lui il settore è in un momento di crescita esponenziale, l’anno scorso il VR era una tecnologia da poco, ma adesso sembrerebbe prendere piede ed è fantastico che ci sia l’avanzare di giochi come Fortnite, che portano uno “svecchiamento” delle normali tematiche videoludiche.
Tuttavia, secondo il creative chief officer, al settore manca qualcosa di molto importante: un’anima. Il suo pensiero è che, al momento, non si stia facendo abbastanza per migliorare l’esperienza dei giocatori, visto che molti videogiochi sono basati sull’intrattenimento ma, invece, dovrebbero inoltre far apprendere qualcosa ai giocatori.

Il suo principale “punto di riferimento” sono i giochi da tavolo e i card game, i quali, oltre a divertire, aiutano a comprendere il comportamento umano, stimolando la comprensione degli avversari e quanto siano veritieri i loro comportamenti. Infatti, queste nozioni vengono imparate divertendosi, quindi si dovrebbe cercare un modo di portare questo tipo d’insegnamenti all’interno dei giochi.
«I videogame riguardano il gaming, e il gaming non è solo entertainment: riguarda soprattutto l’apprendimento learning. Quando impari, puoi divertirti. Quando il gioco si ferma all’intrattenimento stiamo dunque perdendo qualcosa. Ragiono sempre col team riguardo i benefit che il giocatore trarrà dal gioco per usarli nella vita reale: allo stato attuale stiamo facendo poco in tal senso. Quel che mi emoziona è invece pensare di fare qualcosa che diverta e al contempo che abbia benefici nella vita reale.»
Hascoet ha continuato dicendo che si dovrebbe puntare alla creazione di giochi con modalità simili a quella introdotta in Assassin’s Creed: Origins, cioè, la modalità Discoverydove gli utenti possono effettuare un “tour” delle creazioni storiche egiziane.
Infine, Hascoet ha affermato che Ubisoft è piena di marchi adatti a formare i più giovani, come Child of Light, Rayman, Mario+Rabbids: Kingdom Battle,  ma sono giochi che non vendono tanto quanto giochi del calibro di AC. Infatti, è per questo motivo che i team di sviluppo della software house tendono a cercare di accettare tendenzialmente più titoli che coinvolgano un audience più adulta.




L’autore di The Witcher chiede 16 milioni di euro per diritti d’autore

Andrzej Sapkowski,  autore della saga che ha ispirato la serie di videogiochi The Witcher, ha richiesto una porzione dei guadagni alla CD Projekt Red, la quale ha rifiutato la richiesta.
All’interno del documento inviato dai legali dell’autore si esprime la richiesta di quest’ultimo di avere un indennizzo di 60 milioni di zloty polacchi (circa 16 milioni di dollari), affermando che la software house abbia superato i limiti concessi dal diritto d’autore: secondo i legali, il developer polacco avrebbe infatti acquistato solamente i diritti di una parte dell’opera, e quindi la produzione degli altri titoli potrebbe contenere materiale che non rientra nei termini dell’accordo originario.
La parte denunciante ha concluso affermando di essere a conoscenza del fatto che la richiesta non sia ordinaria, ma che è in preparazione da vario tempo e che l’autore è pronto a qualsiasi scenario.
Il rappresentante di Sapkowski ha affermato che è disposto a organizzare un incontro entro il 19 Ottobre, e dà un ultimatum di 14 giorni alla società.
La casa di sviluppo ha tuttavia già risposto rifiutando l’ammontare di denaro richiesto dall’autore e affermando che la compagnia ha legittimamente ed effettivamente comprato i diritti sul lavoro dello scrittore. In fine, nel documento di risposta, CD Projekt RED ha anche detto che ci tiene a mantenere un rapporto di amicizia con l’autore che ha concesso il materiale per la realizzazione delle opere videoludiche e, quindi, cercheranno di risolvere questa disputa “pacificamente”.
Non risulta chiara la tardiva mossa di Sapkowski, il quale non ha reclamato a seguito dell’uscita dei titoli successivi al primo. Quel che è probabile è che tutti i soldi guadagnati dalla saga (specie con l’ultimo capitolo, The Witcher III) abbiano fatto una certa gola.




Remothered: Tormented Fathers

Nella mia storia di gamer ho vissuto un periodo (neanche breve) in cui mi sono allontanato dai videogame. Non è stato un momento dettato da ragioni di stanchezza nei confronti del medium, né una scelta dovuto a mancanza di stimoli: senza troppi giri di parole è stata una forma di self-punishment, dovuta a una serie di circostanze che hanno caratterizzato una transizione particolare della mia vita. Il ritorno all’ovile videoludico è avvenuto in un momento ancora più critico, un frangente in cui ho capito la reale dimensione dei videogame nella mia esistenza: quella di scialuppa di salvataggio, asse di quella Pequod che, irrobustita da scrittura e letteratura, mi ha permesso negli anni di restare a galla nell’eterna lotta contro i miei capodogli umorali. In quel frangente difficile, in piena epoca PS3, mi ritrovai a rispolverare la mia vecchia PS2 come fossi ancora lo studente dei primi anni di università. Capii tempo dopo le ragioni della scelta, che risiedevano in un bisogno di ritrovamento di un “Io originario”, lasciato forzatamente per anni in un ripostiglio della coscienza. Ricordo che entrai in un negozio e, ravanando tra l’usato, trovai una copia di Haunting Ground, che si rivelò il mezzo necessario per l’apertura di quel portale temporale: è curioso che, in un momento simile, nel quale molti penserebbero come necessaria la serenità piuttosto che un concentrato di tensione e immagini cupe, siano stati i survival horror a tornare in mio soccorso. Dico “tornare” perché il lato gotico del fantastico è stato un po’ il mio portale d’accesso a tutte le arti: quello di racconti e arabeschi di Edgar Allan Poe della SugarCo è stato il primo libro che ricordo di aver amato, così come nel cinema dei quei primi anni ’90 rimanevo folgorato da IT. E non è un caso che fosse proprio Maniac Mansion a introdurmi al mio genere preferito, le avventure grafiche, col suo carico di mistero e di tensione che accompagnavano l’intento parodistico nei confronti delle storie horror. Inutile dire che il primo approccio con quello che era destinato a divenire il moderno survival horror fu con Alone in the Dark, e da lì fu solo un attendere i Silent Hill, i Forbidden SirenProject Zero, titoli dotati non soltanto di una narrazione grandemente curata, che andava dallo psicologico al folklore nero, ma che calavano il giocatore in uno stato di assoluta impotenza, rendendo necessario ricorrere a ben altro che agli scontri fisici o armati per assicurarsi la sopravvivenza. Non potevo dunque non amare Clock Tower 3, ed è chiaro come la storia di Fiona Belli, costretta a fuggire con l’aiuto di un cane per le stanze dell’immenso castello di Haunting Ground, fosse un inevitabile, dolcissimo ritorno a sensazioni perdute.
Ed è partendo da simili sensazioni che è per me necessario introdurre il primo grande pregio di Remothered: Tormented Fathers (altrimenti a cosa sarebbe servito questo lungo preambolo?), la cui esperienza di gioco è stata una madeleine proustiana che, nella sua lenta masticazione, ha avuto il merito di sprigionare sfere sensoriali sopite da un po’ di anni. Ma non è certo questo personalissimo assunto di partenza a farne l’ottimo survival horror che è.

Incubi in analessi

La narrazione di Remothered: Tormented Fathers comincia in medias res, mentre un’anziana Madame Svenska racconta a un interlocutore fuori campo gli accadimenti di cui è stata protagonista anni addietro Rosemary Reed, a seguito di un incontro con il notaio Felton ottenuto spacciandosi per una dottoressa dell’istituto nel quale era tempo stato ricoverato. Smascherata durante il colloquio da Gloria, infermiera preposta alle cure del notaio, la vedremo introdursi in casa Felton qualche ora dopo essere stata messa alla porta. Sarà l’inizio di una catabasi nell’orrore nascosto fra le mura domestiche, ma soprattutto nell’inferno della psiche umana. La sua esplorazione la porterà gradualmente nei meandri di una dark side che vedrà luce tra documenti, video, foto e altri oggetti utili a ricostruire un oscuro passato, fatto di nebulose sperimentazioni su un farmaco dell’evidente impatto sui processi mnemonici, il Phenoxyl, e di un ambiguo rapporto con la figlia del notaio, Celeste, misteriosamente scomparsa anni addietro. A “disturbare” questo percorso di scoperta ci saranno gli avversari che si avvicenderanno nel gioco, dallo stesso Felton, armato di falce e deciso a contrastare ogni intrusione, a una misteriosa suora rossa armata di uno spesso bastone a forma di colonna vertebrale. Le scoperte saranno molto interessanti, e verranno pagate al prezzo di lunghe ore di terrore e tensione costante.

Padri tormentati

Pur essendo uscito lo scorso 30 gennaio (data annunciata nel corso della Milan Games Week 2017) su PC, per poi arrivare in estate su PS4 e Xbox, Remothered: Tormented Fathers ha alle spalle una lunga storia di sviluppo: l’idea di base nasce già quando il creative director Chris Darril sedeva ancora tra i banchi di scuola della sua Catania. Nel 2007 si sviluppa un primo nucleo fortemente indebitato con Clock Tower, che vide una più marcata e originale identità un paio di anni dopo, quando il progetto cominciò ad assumere una prima forma su RPG Maker XP, dove viene pensato come survival horror 2D. Chris Darril comincia però a intuire i limiti di una simile scelta e, nonostante alcuni riscontri positivi sulla rete, decide di mettere in standby lo sviluppo, rifiutando anche alcune proposte di cessione dei diritti o di partnership. È una scelta difficile, umile e intelligente, e che darà i suoi frutti anni dopo, quando il game designer tornerà sul progetto con alle spalle esperienze di rilievo maturate nel settore, proprio in campo survival horror, da Forgotten Memories: Alternate Realities al più recente Nightcry, nel quale Darril assume il ruolo di board artist e concept designer sotto la direzione del regista Takashi Shimizu (noto per la saga cinematografica di The Grudge) e di Hifumi Kono, padre della saga di Clock Tower. Chiaro come simili lavori possano arricchire l’esperienza di un game designer, e questi anni sono utilissimi per garantire a Chris Darril una maggior consapevolezza nel passaggio dal 2D al 3D e, soprattutto, per poter lavorare su Unreal Engine 4, motore sul quale è sviluppata la versione finale del gioco.
Il risultato è letteralmente da manuale: quella di Remothered: Tormented Fathers è una lezione accademica in campo survival horror. Darril dimostra di aver acquisito alle perfezione le dinamiche e le meccaniche del genere, e ne dà saggio nel videogame che vede il suo esordio alla direzione creativa. All’interno della villa, il cammino di Rosemary Reed sarà disseminato della documentazione utile a ricostruire l’intera cornice narrativa, in un procedimento “piece by piece” mantenuto lineare e che non rende mai la narrazione frammentaria. Dalla nostra visuale in terza persona ci troveremo spesso a muovere la protagonista in modalità stealth, stando attenti a evitare lo stalker di turno e a nasconderci in un armadio o sotto un divano per sfuggire all’attacco, al quale potremo non soccombere scagliando un oggetto da lancio o, in ultima istanza, reagendo con tempismo usando un’arma di difesa. Vari di questi oggetti potranno essere utilizzati anche come diversivi da piazzare in posti strategici, e in giro per la casa si potranno trovare dei potenziamenti di attacco e difesa dei singoli item.
A differenza di altri titoli del genere, qui non è presente una modalità di gestione del panico, elemento che forse avrebbe regalato un po’ di pepe al gameplay: ci troviamo con una Rosemary praticamente instancabile, e questo facilita un po’ la dinamica hide&run su cui si regge il gioco. A compensare ci pensa però un buon bilanciamento dei nascondigli, non così frequenti da rendere troppo semplice la fuga: è uno degli elementi a favore di una gestione degli ambienti e di una strutturazione dei livelli globalmente molto ben congegnate.

Fra design e regia autoriale

Il level design è infatti uno degli elementi meglio studiati di Remothered: anche qui, nessuna rivoluzione, nessuna soluzione audace o fuori dagli schemi. La meta del design è un’altra: si vede il chiaro intento di proporre scenari e livelli che rispondano perfettamente ai canoni del genere, capaci di assicurare le stesse dinamiche in termini di ostacoli e vie di fuga. È un lavoro di taratura del metronomo dei tempi di gioco, e anche in questi termini l’obiettivo è pienamente centrato: non era affatto un risultato scontato, ed è una scelta che apporta giovamento anche sul piano visivo, con environment attentamente architettati e ben giocabili in fase di gameplay, ma anche molto belli a vedersi. Le relazioni di ordine-caos tra i vari elementi ambientali creano una perfetta armonia contestuale, restituendo il senso di opulenza e decadenza, di splendore perduto e insanità gotica che danno al titolo una cifra stilistica ben marcata, con una straordinaria cura dei dettagli che si apprezza particolarmente in ambienti come lo studio di Felton o l’attico, dove l’affastellarsi di manichini e bambole penzolanti è un altro chiaro omaggio all’iconografia di genere, una scelta quasi scolastica che riesce miracolosamente a non risultare retorica, preservando la bellezza del quadro d’insieme. I tributi videoludici, a onor del vero, sono disseminati ovunque e, se le dinamiche di gioco richiamano Clock Tower e i suoi derivati, il rapporto con la memoria-psiche richiama molto da vicino la già citata saga di Silent Hill, non ultimo Shattered Memories sia per l’oscura ambivalenza che sta nella relazione tra personaggi e ricordi perduti, sia per alcune sequenze video, dalle sedute di mesmerizzazione (dove l’inquadratura richiama il mezzobusto dello psicanalista del titolo Konami) al dondolio della ragazzina sull’altalena. Il tributo di Chris Darril non si ferma al medium videoludico, l’influenza è marcatamente cinematografica, come può intuirsi dalle lunghe cinematiche del titolo e soprattutto dall’alta cura al linguaggio di regia, all’uso della prospettiva, ai movimenti di camera, ai piani sequenza: il game designer catanese ha ammesso il proprio debito nei confronti di Polanski (palesato già nel nome della protagonista), di Lynch, di Hitchcock e del Pupi Avati de La casa delle finestre che ridono e del Demme de Il silenzio degli innocenti (che la protagonista sia molto simile a Jodie Foster lo avete notato tutti, no?) ma, a guardar bene, si riesce a scorgere anche di più: l’attico non può non riportare alla mente i manichini del Maniac di Lustig, di Tourist Trap, di House of Wax, di The Basement (o quelli del Silent Hill videoludico, of course) così come le bambole al muro ci rimandano a classici come DollsPuppet Master o al più recente Dead Silence. C’è lo sguardo abissale di David Cronenberg, la morbosità del primo Tobe Hooper, e anche la raffinata artigianalità del John Carpenter degli inizi: se dovessimo guardare Remothered solo da un punto di vista eminentemente cinematografico, sarebbe già un esordio straordinario, nel quale il director mostra di aver imparato bene anche la lezione dei grandi maestri della settima arte.
I difetti di questo primo titolo si manifestano in realtà su un piano eminentemente tecnico, con un’illuminazione a volte troppo marcata, che rende personaggi e ambienti un po’ affettati, un uso non sempre felice della saturazione cromatica (visibile fin dalle prime sequenze, a partire dalla brace della sigaretta accesa di Rosemary Reed) e animazioni che portano con sé più di una sbavatura. Ma parliamo di un lavoro indipendente, dove ai team di Darril Arts e Stormind Games va riconosciuto comunque il merito di aver ottimizzato bene le risorse disponibili, ottenendo una resa che sul piano tecnico è ottima ad onta delle imperfezioni. Se l’art-style trova i più felici risultati nel quadro d’insieme, con una quantità di elementi negli ambienti che formano uno stupendo mosaico, capace di restituire un veridico sfarzo e al contempo un’inquietante entropia, i primi piani denotano certi limiti poligonali in termini di definizione dei character, così come alcuni dettagli nei personaggi godono di scarso dinamismo, ma ricordiamo che il miglioramento di alcuni elementi in tal caso non dipende dalla sola perizia tecnica, quanto dal budget.
Il peccato meno veniale di quest’opera sta forse all’interno del comparto sonoro: se negli SFX il titolo può vantare una buona gamma ben gestita, dove i rumori di sottofondo o d’impatto sono utilizzati con sapienza, un problema non da poco si riscontra giocando in cuffia. Con gli headset alle orecchie, infatti, si può sentire chiaramente come i suoni degli stalker (dal rumore dei passi a un appropriatissimo Old MacDonald had a Farm canticchiato da Felton, scelta d’efficacia, che aumenta a dismisura il senso di inquietudine) provengano soltanto da sinistra, risultando un po’ penalizzante per l’esperienza di gioco, in un titolo dove l’ascolto del nemico diventa molto importante, in quanto le scelte riguardo il cammino determinano la vita e la morte, e un audio monodirezionale non permette di intuire la posizione del nemico. Per fortuna le meccaniche sono studiate bene e questo difetto (derivante anche dai limiti di Unreal in termini di audio 3D) risulta un limite non castrante.
Dal punto di vista sonoro, del resto, il gioco si avvale di una colonna sonora straordinaria, che vede Nobuko Toda (composer che ha contribuito a soundtrack del calibro di Final Fantasy XIV e a quelle di vari Metal Gear Solid) al fianco dell’italiano Luca Balboni, giovane compositore che recentemente aveva dato un ottimo saggio delle proprie capacità musicali in Mine, italianissimo film di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro con un buon riscontro di critica e pubblico. Il suo lavoro in Remothered non è certo da meno, anzi, l’estrazione eminentemente cinematografica dell’OST si percepisce all’istante, si sente un debito verso grandi maestri del cinema classico come Hans Zimmer e Danny Elfman ma che non si traduce in un’obbedienza mite e pedissequa al canone: si sentono a tratti le atmosfere cupe e asfissianti del Mother! di Aronofsky, richiamando quel gioco di dissonanze messo su da Jóhann Jóhannsson, ma anche influenze più “pop”, che nei brani cantati riportano alle sonorità melanconiche e cullanti dell’Elvis Costello di Imperial Bedroom. Il risultato è una pietra preziosa sul piano compositivo, che ben si incastona in un gioiello horror del mondo videoludico indie.

Nastro rosso

Senza troppi giri di parole, Remothered: Tormented Fathers è l’esordio videoludico italiano dell’anno: con una scrittura equilibratissima, sottesa fra l’orrore della memoria e l’inferno della psiche, e una forte base cinematografica che si dispiega in intense cinematiche, il titolo riesce a sostenere dall’inizio alla fine una narrazione senza inciampi, sorretta da circa 6 ore di gameplay dinamico, ricco di enigmi ben strutturati e di fughe al cardiopalmo, in un susseguirsi di colpi di scena ed evoluzioni che non spezzano mai la tensione e stimolano la continua ricerca della soluzione per andare avanti. Nel lavoro di Chris Darril, lo abbiamo già detto, non si manifesta alcun intento rivoluzionario nei confronti del canone di genere, ma la maestria con cui è strutturato e realizzato questo titolo d’esordio rende bene l’idea di quale sia la sua cassetta degli attrezzi, lasciando grosse aspettative per il futuro.
Del resto, nelle intenzioni del game designer catanese, Remothered: Tormented Fathers è solo il primo capitolo di una trilogia di cui è stata già scritta l’intera storia: il potenziale è enorme, e ci sono tutti i motivi per attendere con trepidazione il sequel, sperando che una grossa produzione sposi il progetto e fornisca un adeguato budget per un titolo che merita i fasti del tripla A.




Sony dice sì al cross-platform su Fortnite

Negli ultimi mesi, Sony, è stata al centro di numerose polemiche sulla decisione di non fornire un servizio di cross-platform per giochi come Minecraft, Rocket Legue e il più famoso Fortnite, per i giocatori PS4. Oggi, la stessa Sony, ha deciso di permettere a tutti i possessori di PlayStation 4 di giocare insieme agli utenti PC, Mac, Switch, Xbox One, iOS e Android a Fortnite, proprio a partire da oggi, grazie a una open beta che permetterà a Sony di valutare il da farsi per eventuali altri titoli che si avvarranno del cross-platform.
Sicuramente una notizia che aspettavano in molti e che permetterà la creazione di una community ancora più vasta.




Kingdom Hearts III: tutti i mondi possibili

Mancano oramai pochissimi mesi dall’uscita del nuovo capitolo di Kingdom Hearts, che andrà a terminare la saga di Xehanort, ma proprio durante il Tokyo Game Show è stato confermato che comunque la storia di Sora continuerà. Kingdom Hearts III è atteso per il 25 gennaio, nella terra del Sol Levante, mentre quattro giorni dopo, il 29 gennaio, sarà disponibile nel resto del mondo. La community, sin dal suo annuncio, ha sempre creato e sviluppato ipotesi e teorie su probabili colpi di scena della trama e soprattutto, con l’acquisizione da parte di Disney di moltissime società di produzione, tra cui Pixar, Marvel e la più recente 21st Century Fox, su i possibili mondi che si potranno visitare e tutti i personaggi giocabili.
In questo articolo stileremo una lista di quelli, che secondo noi, potrebbero essere dei mondi inediti all’interno del nuovo gioco di Tetsuya Nomura; ovviamente ogni mondo dovrà avere delle caratteristiche specifiche, come una boss fight finale, una data di pubblicazione non troppo recente e soprattutto la possibilità di utilizzare i diritti dell’opera da parte di Square Enix.
ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere dei piccoli spoiler sulle trame dei film Disney e del mondo di Kingdom Hearts.

Fantasia

Fantasia e Fantasia 2000 sono due film d’animazione pubblicati da Walt Disney rispettivamente nel 1940 e nel 1999, già apparsi in Kingdom Hearts Dream Drop Distance. Questi due film non presentano un’unica e vera e propria trama, ma tutte le storie sono raccontate attraverso traccie di musica classica presenti, da Johann Sebastian Bach fino a Ludwig Van Beethoven e Igor Stravinskij. In Kingdom Hearts III, questo mondo si potrebbe presentare infestato dai Nessuno o dagli Heartless, come in 3D, oppure sottoforma di mondo musicale, come fu per Atlantica in KH II, riuscendo a coniugare un gameplay d’azione a un semplice music game.

WALL-E

Un lungometraggio pubblicato nel 2008, che si presta molto ai temi trattati in Kingdom Hearts: quello della ricerca degli amici. Infatti il mondo di WALL-E potrebbe essere ambientato sulla Axiom, la navicella spaziale in cui il tenero robottino si avventura per trovare la sua amica EVE. I luoghi sarebbero un po’ monotoni, ma se si fosse in grado di gestire le aree della nave in modo da avere circa tre luoghi ampi, si potrebbe candidare come possibile mondo. Oltretutto il nemico sarebbe AUTO, un “timone” che esegue tutte le direttive assegnategli, magari potenziato dall’oscurità o corrotto dai bug di Kingdom Hearts Coded (confermata la loro presenza anche nel terzo capitolo).

Ralph Spaccatutto

Di Ralph sappiamo che sarà presente come evocazione in Kingdom Hearts III, ma non abbiamo la conferma di un possibile mondo dedicato all’omonimo film. Come nel mondo di Agrabah, in cui otterremo Genio come evocazione, Ralph potrebbe seguirci dopo aver liberato e chiuso la serratura del suo mondo. Il lungometraggio uscì nel 2012 nelle sale e proprio nel quest’anno uscirà il secondo capitolo. I luoghi potrebbero essere molteplici e soprattutto inerenti a molti giochi arcade famosi in tutto il mondo, ma purtroppo, c’è l’incognita dei diritti: nel film compaiono alcuni personaggi Nintendo e di altre società, che potrebbero non dare il consenso per il loro utilizzo. Le ambientazioni visitabili potrebbero andare dalla Game Central Station ai vari stage dei giochi e, anche in questo caso, trattandosi di video games, potrebbero essere presenti i bug di KH Coded o  un cattivo affiliato a Malefica, che possa utilizzare il potere oscuro oppure l’antagonista del film stesso, ovvero Re Candito; staremo a vedere.

Le follie dell’imperatore

Ebbene sì, secondo noi il mondo de Le follie dell’imperatore potrebbe esserepresente in Kingdom Hearts III. Le follie dell’imperatoreA scuola con l’imperatore sono opere piene di ironia, che potrebbe smorzare la trama cupa e oscura di KH, inserendo quel pizzico di ilarità all’universo creato da Nomura. Come alleato potrebbe essererci Pacha, che dovrà salvare l’imperatore dalla malefica Yzma, che con le sue pozioni e con l’aiuto dell’oscurità potrebbe mettere in pericolo l’intera popolazione Inca.

Il pianeta del tesoro

Uno dei migliori film d’animazione targati Disney preferiti, forse perché la storia, i personaggi e l’intero universo in cui vive Jim Hawkins sono rimasti memorabili, oppure perché l’accoppiata pirata-spazio è uno dei sogni di tutti i bambini.
Il pianeta del tesoro è uno dei mondi che farebbe piacere ritrovare in Kingdom Hearts III, con la possibilità di visitare Montressor, Crescentia e lo stesso Pianeta del tesoro. Il problema sorge con il cattivo di turno da dover battere in cui John Silver non è assolutamente un personaggio papabile (lo scoprirete guardando il film). Si potrebbe avere un Heartless o con più probabilità, un membro dell’Organizzazione in cerca del forziere che Luxu, che come si vede in Kingdom Hearts X Back Cover, si portava dietro. Quest’ultima potrebbe essere interessante come teoria, visto che nell’ultimo trailer rilasciato da Square Enix, un membro dell’Organizzazione stava proprio cercando questo misterioso forziere nel mondo dei Pirati dei Caraibi. Incrociamo le dita.




Nuovo record di utenti per Fortnite

L’ormai famosissimo gioco di Epic Games continua a diventare ancora più famoso e a macinare record su record. l’ultimo nella lista è di Agosto, dove 78,3 milioni di giocatori hanno avviato almeno una battle royale, tra mobile, console e PC. Ovviamente tanti giocatori garantiscono molti acquisti in-app ed è così che solo a Luglio Epic Games ha guadagnato un miliardo di dollari, ottenendo dall’uscita del gioco anche un aumento di valore dell’azienda, che da 825 milioni nel 2012 è salita a 8 miliardi di dollari.




Destiny 2: I Rinnegati

Era il 6 settembre 2017 quando Destiny 2 arrivava sugli store e sugli scaffali dei negozi. Un gioco che prometteva almeno tre anni di vita, eguagliando il predecessore che riuscì a tenere incollati allo schermo milioni di giocatori per un triennio intero. Come molti titoli, Destiny ha vissuto alti e bassi, ma si è sempre ripreso, sfornando DLC e attività sempre più coinvolgenti e sempre più appetibili a un pubblico vasto. Dall’uscita del Re dei Corrotti, infatti, il gioco di casa Bungie ha avuto un’impennata nelle vendite, che hanno aiutato la casa di Bellevue a tenere unita e salda una community che stava pian piano diminuendo. Non è semplice sviluppare un prodotto che possa durare tre anni consecutivi, soprattutto se con una lore strutturata e, allo stesso tempo, un comparto online che aveva il compito di fronteggiare colossi come Call of Duty e Battlefield; per questo Bungie ha deciso di rilasciare contenuti a pagamento, diluiti nei tre anni di vita del suo prodotto.
Molte sono state le critiche, soprattutto riguardo il costo di queste espansioni, vendute tra i 20€ e i 35€, ma altrettanto alto è stato il numero di giocatori – compreso il sottoscritto – che hanno continuato, con entusiasmo, l’avventura che avevano iniziato, dando fiducia al lavoro svolto dagli sviluppatori.
Con l’arrivo di un secondo capitolo della saga, il pubblico (soprattutto i fan della prima ora) sembrava elettrizzato all’idea di giocare a un nuovo Destiny, rincontrare i vecchi personaggi e seguire la storia che, nel primo capitolo, ha lasciato non pochi buchi narrativi, ma anche spaventato dal potersi trovare tra le mani un prodotto ancora poco maturo da non riuscire a portare avanti quello che il primo Destiny aveva fatto.
Le novità apportate in Destiny 2 stravolgevano completamente il gameplay, di cui si è già parlato nella recensione completa: un cambiamento radicale è stato ad esempio quello riguardante le armi, che ha favorito un gunplay un po’ più equilibrato in PvP, a discapito del divertimento e della fluidità. Queste scelte hanno allontanato da Destiny alcuni dei vecchi giocatori, che non hanno ritrovato in questo secondo capitolo quello che invece si aspettavano.
Dopo il disastroso debutto del primo DLC, Bungie è riuscita a ricalibrare il tiro con il successivo, centrando quasi del tutto il bersaglio: accontentando i giocatori e aggiungendo nuove quest secondarie con lo scopo di aumentare le ore di gioco medie.
Con l’uscita, però, de I Rinnegati, Destiny 2 sembra essere resuscitato, Bungie ha letteralmente fatto il miracolo.

Con l’avvento della stagione 4 e della terza espansione, Destiny 2 si è aggiornato alla versione 2.0 (aggiornamento fruibile da chiunque, anche se non in possesso dei DLC). Questo aggiornamento ha apportato delle modifiche al gunplay e al gameplay, le modifiche che fin dal primo giorno, i giocatori, desideravano: un gunplay simile a quello di Destiny. Ma passiamo a quello che è il vero DLC, il motivo per cui, sembra dirci Bungie, Destiny 2 non è affatto morto.
La casa madre ha sempre fatto leva sulla community, resa parte fondamentale della propria politica, ma questa volta ha deciso di provare a scontrarcisi, decidendo di eliminare uno dei personaggi più apprezzati dell’universo creato da Bungie: Cayde-6. Esatto, come è stato anticipato dai vari trailer, Cayde-6, l’Avanguardia dei cacciatori, è morto.
Forse la scelta di Bungie è stata simile a quella di Eiichiro Oda, padre di One Piece: tutti e due hanno scelto di eliminare un personaggio molto importante per la popolarità. Cayde-6 era forse un po’ troppo carismatico, un po’ troppo comico per la narrazione di Destiny, che è sempre stata cupa, oscura, quasi sempre mantenendo toni bassi.
Cayde-6 cadrà per mano di Uldren Sov, fratello della defunta Mara Sov, regina degli Insonni morta nel primo capitolo per mano di Oryx, padre di Crota. Il nostro compito sarà quello di vendicare la scomparsa di Cayde-6, combattendo contro i tirapiedi di Uldren, che ci ostacoleranno nel nostro intento.
La storia si svolgerà in due inedite aree: la Riva Contorta e la Città Sognante. Due territori inesplorati prima d’ora, che vedono la luce con questo nuovo DLC. La Riva Contorta è una zona desolata ai margini dell’Atollo, nella Cintura degli Asteroidi, in cui incontreremo i Baroni, i leader di una casata di caduti, i nemici di questa espansione, chiamati gli Infami; mentre la Città Sognante è una roccaforte sacra per gli insonni, inaccessibile per tutti gli altri, ma che ancora oggi è celata da un velo di mistero.
La Riva Contorta ha una mappa abbastanza vasta, che comprende cinque macro aree, che ospiteranno eventi e missioni secondarie, oltre a due nuovi NPC: il RagnoPetra Venj, la guardia fidata di Mara Sov.

Oltre a vantare una storia davvero buona, con colpi di scena e dalla durata media di circa 3/4 ore, I Rinnegati aggiunge una nuova modalità, un ibrido tra PvE e PvP: Azzardo. Una modalità, anch’essa inedita nel mondo di Destiny, una sorta di miscuglio tra La Prigione degli Anziani e una partita in Crogiolo. Questa nuova attività, 4v4, ci metterà contro a nemici dell’universo di Destiny che, una volta uccisi, lasceranno cadere delle particelle che dovranno essere raccolte e canalizzate all’interno di una torretta, evocando un nemico più potente, in relazione al numero di particelle depositate in contemporanea, che ostacolerà i rivali, i quali faranno lo stesso. Una modalità davvero ben gestita, meccaniche di gioco innovative e divertenti che premiano più il gioco di squadra che il lavoro svolto dal singolo giocatore.
Con l’avvento della versione 2.0, come anticipato, Destiny 2 si è rinnovato in tutti i sensi, soprattutto in ambito gunplay: gli slot delle armi sono infatti rivisti e riprogrammati, in modo da avere più varietà e combinazioni di armi possibili. Facendo così, Crogiolo e tutte le altre attività hanno ricevuto una grossa rivoluzione, rendendo più divertente, e sicuramente meno frustrante, l’intero gioco. Inoltre è stata introdotta una nuova arma: l’arco; che occuperà lo slot delle armi primarie e cambierà l’esito di molti scontri nel Crogiolo.
È stato anche aumentato il level cap che arriva a 50 e il livello di potere, che è aumentato a 600. Ovviamente si potrà salire di livello con l’esperienza ottenuta da taglie, missioni e attività varie, mentre il potere si potrà aumentare con armi e armature ottenute in game.
Una delle novità più importanti, che hanno portato il gioco ad aggiornarsi in maniera corposa, sono state le nove nuove abilità delle sottoclassi, tre per ogni personaggio: Via dei Mille Tagli, Via del Fantasma e Via della Corrente per la classe dei cacciatori, Armonizzazione della FissioneArmonizzazione del ControlloArmonizzazione della Grazia per lo stregone, mentre Codice dei DevastatoriCodice del ComandanteCodice del Missile per la classe Titano.

La retta VIA

Il Cacciatore è il più agile tra le tre classi disponibili, una scelta quasi obbligatoria se si vuole giocare in maniera competitiva in Crogiolo. Con le nuove abilità ottenute con il terzo DLC, si riconferma un’ottima scelta per le sessioni multiplayer.
La Via dei Mille Tagli è una nuova super abilità con danno da Fuoco che permette di scagliare una pioggia di coltelli da lancio infuocati sugli avversari, riuscendo a colpire più di 5 nemici alla volta.
La Via del Fantasma – una delle più forti, sia in Crogiolo che in PvE – è una super abilità con danno da Vuoto, molto simile alla Lama ad Arco di Destiny, ma migliorata e con abilità inedite, come Esecuzione Impeccabile, che ci permetterà di diventare invisibili effettuando delle uccisioni precise.
Mentre l’ultima super è la Via della Corrente, che ha danno ad Arco, una super molto simile al Bastone ad Arco, vista agli inizi di Destiny 2, ma questa aggiunge la possibilità di creare uno scudo con il bastone evocato e, quindi, respingere i colpi oppure sferrare un devastante montante che colpirà più nemici in successione.

Là dove armonizzando il ciel t’adombra

Lo stregone è invece la sottoclasse più versatile, capace di essere devastante in PvE e, allo stesso tempo, tattico in PvP. Anche le nuove super abilità si comportano allo stesso modo, fornendo una più vasta scelta di combinazioni armi-super e una più ampia combinazione con altre sottoclassi.
Armonizzazione della Fissione, super da Vuoto, permette di teletrasportarsi per un breve tratto, così da schivare i colpi e disorientare l’avversario e di creare un’onda d’urto che causerà un ingente danno ai nemici che saranno intorno a noi.
Armonizzazione del Controllo, invece causa danni ad Arco e consente allo stregone di proiettare un raggio mortale a lunga distanza, eliminando i nemici che incontra sulla sua strada.
Armonizzazione della Grazia è l’ultima super abilità con danni da Fuoco che si rivela consigliata soprattutto per il PvE, perché, lo stregone, può evocare una sorgente che cura gli alleati e ne amplifica le capacità d’attacco.

Il Codice è tutto

Il Titano, rispetto a gli altri due personaggi, è pura forza bruta, l’attacco e la difesa sono le sue caratteristiche migliori, a discapito della sua agilità.
Grazie al Codice dei Devastatori, il Titano può evocare un martello gigante infuocato, che schiaccia gli avversari e allo stesso tempo li polverizza. Inoltre, come attacco corpo a corpo, può lanciare un martello contro i nemici e, raccogliendolo, si potrà riutilizzare.
Il Codice del Comandante, invece, è molto simile a Sentinella, una delle nuove abilità introdotte con Destiny 2, poiché il titano può evocare uno scudo da Vuoto e proteggere i propri compagni di squadra, permettendo loro di avanzare senza subire alcun danno.
Con il Codice del Missile, il titano si trasforma in un vero e proprio missile, scagliato grazie all’energia ad Arco sugli avversari causando ingenti danni. Anche a mani nude non se la cava male, con un attacco che ricorda molto l’Assaltatore: si scaglia balzando sugli avversari e infligge danno con un’onda d’urto scatenata dalla sua caduta.

Destiny 2: I Rinnegati sembra essere il punto di svolta per il gioco di Bungie, una scelta che potrebbe ribaltare completamente la situazione per un titolo che, seppur promettente e con delle buone idee, ha subito un calo considerevole di utenza, giocatori che sono rimasti delusi dal titolo e da ciò che offriva, ma che, con una semplice espansione, sta riprendendo vita. Purtroppo il prezzo è considerevole, si parla di 40€, e difficilmente calerà nel corso del tempo, specie in tempi brevi, e ciò ha portato alcuni dei vecchi possessori di Destiny 2 a non acquistarlo o aspettare l’uscita delle recensioni e le prime opinioni, per decidere.
La storia, ma soprattutto la nuova attività ibrida, hanno centrato il segno, riuscendo a interessare i giocatori, portandoli ad approfondire alcuni temi attraverso i Trionfi, una sorta di Grimorio, abbandonato in Destiny 2, che ritorna con una nuova veste, ma con lo stesso incarico: spiegare e accrescere le conoscenze dei guardiani sui personaggi del mondo di Destiny.
Personalmente, sono speranzoso del fatto che Bungie riesca a risollevare del tutto Destiny 2, con aggiornamenti costanti e contenuti gratuiti o quantomeno con prezzi abbordabili, e se continua di questo passo, sono sicuro che ci riuscirà.




Forza Horizon 4: una demo, una sicurezza

Normalmente il 2012 è ricordato per la terribile profezia Maya, che avrebbe annichilito la terra in data 21 dicembre (per la cronaca, siamo ancora qui) o per il centenario della tragedia del Titanic o per il miliardo di visualizzazioni di Gangnam Style su YouTube. I ricordi dei videogiocatori sono abbastanza diversi ma quasi tutti concordi: l’arrivo di Forza Horizon ha segnato in maniera indelebile i racing arcade e, da allora, il titolo di Playground Games non ha fatto altro che migliorare mantenendo incontrastato il proprio posto sul trono. Giunti al quarto capitolo, le novità sono consistenti e possiamo essere già sicuri di una cosa: anche nei prossimi due anni Horizon manterrà con forza lo scettro di miglior racing arcade.

Una quattro stagioni

Come già saprete, il perno centrale su cui ruota tutta la produzione è il cambiamento climatico che, rispetto a Project CARS 2, si espande in maniera più concreta e sull’intero ambiente di gioco. Dalla bellissima sequenza introduttiva possiamo già cogliere le differenze nette tra le varie stagioni, studiate a puntino sopratutto per nel rapporto tra la temperatura dell’asfalto e quella delle gomme. Non stiamo certo parlando di una simulazione certosina, del resto è e rimane un racing arcade, ma sono differenze che si notano, risaltate dalla disattivazione degli aiuti di guida. Il passaggio da estate a inverno è evidente: sia che si tratti di sterrato o asfalto, l’attenzione dedicata alla guida aumenta esponenzialmente alle temperature più basse, dovuta principalmente alla fredda temperatura delle gomme e alla conseguente minore aderenza. L’incidente dunque è sempre dietro l’angolo, ma è anche un’occasione per constatare quanto la fisica sia migliorata e una distruttibilità ambientale più marcata, anche se dovrà essere verificata più nel dettaglio.
Forza Horizon 4 sembra essere – come al suo solito – estremamente vario: abbiamo potuto partecipare ad alcuni eventi partendo con mezzi base come Audi TT o Lancia 037 per lo sterrato, oltre a uno spettacolare evento da stuntman che ci ha posto nelle condizioni di inseguire un jet a bordo di una Bugatti Chiron. La natura sandbox del titolo dunque permane, con la possibilità di sbloccare via via degli “avamposti” che diventeranno il nostro hub e garage, permettendoci anche il viaggio rapido.Tornano anche le personalizzazioni, dall’avatar alla vettura, probabilmente molto più varie e complete rispetto ai precedenti capitoli.
Ma altra novità, passata un po’ sottotraccia, è il cambiamento avvenuto nell’online, trasformando Horizon in un vero e proprio MMO, con 72 giocatori contemporanei: questa volta, potremo far parte del Team Adventure, un PvP in cui due squadre composte da sei utenti possono gareggiare per far parte delle diverse leghe presenti. Ma questa struttura varia in maniera netta il mondo di gioco, avendo a che fare con comportamenti reali e non “semplici” riproposizioni come i Drivetar, che rimarranno a disposizione del single player.

Lo stato dell’arte

Ricordando che il titolo nasce nativamente a 4k per essere sfruttato dall’ammiraglia Microsoft (Xbox One X), Forza Horizon 4 fa sfoggio di sé anche a 1080p, con vetture realizzate minuziosamente sia negli esterni che all’interno e un environment britannico semplicemente superbo, pulito e risaltato da un ottimo impianto luci, capace di rendere alla perfezione il cambiamento di clima. Tutti le texture, gli shader e i poligoni sembrano essere al loro posto, perfetti, e anche i vari filtri riescono a restituire un’immagine priva di difetti evidenti, in tutte le condizioni.
Sul fronte audio siamo anche qui su altissimi livelli. Pur non avendo potuto approfondire le variazioni climatiche, già dall’anteprima si è potuto notare come i cambiamenti non sono solo visivi ma anche sonori: è tutto l’ambiente a “suonare” diversamente, a cominciare dal contatto tra asfalto e gomme. I rombi dei motori, benché non raggiungano le vette toccate da Kunos Simulazioni, si presentano in maniera del tutto similare a quelli del fratello “serioso” Forza Motorsport 7. Ottimi, ma non eccezionali.

In conclusione

Nonostante il poco tempo a disposizione, Forza Horizon 4 ci ha convinti: l’implementazione delle stagioni, i miglioramenti alla fisica e alla struttura ludica sembrano essere ben integrati e in grado di differenziare il titolo in maniera netta dai propri predecessori. Peccato solo che la Gran Bretagna non offra scorci eccezionali come fu per ambientazioni come l’Australia, ma, tralasciando questo aspetto, siamo sicuri che il nuovo lavoro di Playground Games non deluderà nessun amante dei racing game. Appuntamento dunque al 2 Ottobre su Xbox One e PC.




FIFA 19: le impressioni dalla demo

Come ogni anno, l’arrivo del nuovo FIFA sugli scaffali segna l’inizio definitivo della nuova stagione calcistica, correlando gioie e delusioni del calcio reale a quello digitale. FIFA 19 è l’ennesima evoluzione del calcistico canadese cominciata con FIFA 17 e con l’avvento del Frostbite Engine, presentando diverse novità sul piano contenutistico e alcune di gameplay, che hanno un impatto visibile già dalle prime partite di questa demo. In attesa della recensione, dunque, diamo un primo sguardo a queste novità.

Verso il Triplete

L’arrivo in pompa magna della Champion’s League e competizioni tangenti non è certo passata inosservata, tanto che ha avvicinato alcuni utenti dell’altra sponda (PES) al nuovo titolo Electronic Arts. L’integrazione di questa aggiunta sembra totale, a cominciare dalla modalità Kick-Off completamente rivista: abbiamo infatti a disposizione non solo la classica amichevole, ma anche una serie di match da affrontare all’interno di tornei ufficiali e una serie di parametri in grado di modificare pesantemente gli incontri. Pur non presenti nella demo, sappiamo già che sarà possibile affrontare delle amichevoli molto particolari in cui spicca la modalità “Sopravvivenza“, nella quale un giocatore lascerà il campo una volta segnata una rete, fino alla vittoria di chi si ritroverà con meno calciatori sul rettangolo di gioco. Ma sarà possibile giocare amichevoli dove varranno ad esempio soltanto i tiri da fuori area, o quelli al volo e via dicendo, sino a una gara senza regole dunque, senza fuorigioco, falli e tutto l’impianto regolamentare del calcio moderno. Inoltre, potremmo affrontare le varie fasi della Champion’s in totale libertà e, cosa importante, richiesta dagli amatori del single player, tutte le nostre statistiche verranno raccolte in un infografica visibile costantemente nel menu.
Le novità fortunatamente non si fermano ai contenuti: una volta scesi in campo si nota subito l’impatto degli Scontri 50/50, una feature che permette una migliore gestione della fisica, prendendo in considerazione la reale stazza degli atleti. Già dalle prime battute, infatti, assisteremo a contrasti più realistici e battaglie più marcate per il possesso palla. Risaltano anche le differenze tra i vari calciatori in cui – in parole povere – un Verratti farà molta fatica a contrastare un Dembélé del Tottenham. Anche l’Active Touch System presenta delle novità sostanziali: i calciatori che ricevono palla modificano la postura in base al contesto in cui si trovano, se tra attacco o difesa, se pressati o liberi di muoversi. La posizione che assumeranno, dunque, modificherà il tipo di impatto che avrà il corpo sul pallone e viceversa, aggiungendo un tocco in più verso il realismo. Infine, il Timed Finishing, disattivabile dal menu di personalizzazione delle assistenze al gioco, funziona in maniera del tutto simile alla ricarica delle armi in Gears of War. Questa volta per colpire bene il pallone serviranno due tocchi del tasto adibito al tiro, uno per la potenza e uno per l’impatto dove, il tempismo, sarà fondamentale. Effettivamente serve un minimo di pratica per assimilare la nuova meccanica, soprattutto se abituati al vecchio sistema: non è detto infatti che colpendo il pallone con le stesse modalità con cui avveniva nei precedenti episodi l’esito sarà il medesimo.
Ma le novità non si fermano qui. Una piccola grande implementazione è data dalle Tattiche Dinamiche, che vanno ad aggiungersi al menu contestuale dell’atteggiamento della squadra in campo, da difesa a oltranza ad attacco totale. Prima di una partita abbiamo la possibilità di associare a ogni tipo di comportamento uno schema ben preciso, con modulo, posizione in campo dei giocatori e tattiche completamente personalizzate e variabili in tempo reale durante il corso della partita. Facendo un esempio potremmo associare alla difesa a oltranza per difendere un risultato importante un 5-4-1 oppure ad attacco totale un 4-2-4. Una volta cambiato atteggiamento col d-pad vedremo spostarsi dunque i calciatori in tempo reali, assumendo la nuova posizione. C’è un “però”: l’uso indiscriminato di tale pratica può aprire enormi spazi su campo e letali se sfruttati dagli avversari. È bene dunque cambiare tattica una volta tranquilli e con il possesso palla.

La chiamavano Trinità

All’interno della demo è presente anche un piccolo estratto del Viaggio: Campioni, ultimo episodio della serie dedicata ad Alex Hunter. Anche qui le novità sono molteplici, a cominciare dalla possibilità di scegliere già da subito la sorellastra Kim Hunter o l’amico/rivale Dennis Williams, ora nel Manchester United. Hunter invece, è un nuovo giocatore del Real Madrid e questo avrà delle forti ripercussioni sulla sua carriera come del resto sul suo carattere. Il successo, la fama e la gloria potrebbero destabilizzare il giovane calciatore inglese ma questo, lo vedremo in dettaglio sul titolo completo. In questa preview abbiamo avuto solo modo di giocare come Alex, in un match di Champion’s League contro lo United. Le meccaniche sembrano le medesime ma sappiamo già che il protagonista potrà scegliere come “mentori” tre campioni del Real come Modric, Marcelo Kroos, che avranno un impatto importante non solo sull’aspetto ludico, ma anche nella vita privata.
A livello tecnico invece non sono presenti grosse novità. Si può notare una migliore cura delle divise, nuova regia per alcune cutscene e nuova inquadratura alle spalle del portiere al rinvio da fermo, permettendo una migliore visione del campo, soprattutto se si vuol giocare palla corta. Le vere novità probabilmente le vedremo con l’implementazione del ray tracing, magari già dal prossimo anno.

In conclusione

Manca poco ormai all’arrivo di FIFA 19 che si presenta davvero ricco dal punto di vista contenutistico e con alcune implementazioni al gameplay che ne migliorano il feeling. Nonostante alcune piccole criticità sembrano permanere come fisica del pallone non proprio precisa e forse una eccessiva velocità di gioco, il titolo Electronic Arts si appresta a conquistare il mercato, nonostante il suo rivale sia uscito da circa un mese.




Immortal: Unchained – La Sindrome di Stoccolma

Quando sei un piccolo team di sviluppo, appena nato, con poca esperienza ma con grande voglia di fare, non è facile varcare il confine che porta al successo. Questo vale per tutti gli ambiti, incluso ovviamente quello videoludico, nel quale Toadman Interactive si è lanciata nello sviluppo di un titolo ambizioso e che sembra fare tanto il verso ai capisaldi di molti generi. Non è la prima volta che abbiamo a che fare con un souls in salsa fantascientifica (non ultimo The Surge di Deck13), ma Immortal: Unchained è diverso, e pare già essersi fatto conoscere come il “Dark Souls con i mitra“. Effettivamente, unire meccaniche da TPS a un souls like sembra un’operazione folle e un po’ fuori dal mondo, eppure, seppur con qualche scivolone, sembra funzionare.

Da cosa nasce cosa

Approcciarsi alle vicende scritte da Anna Tole (The Witcher) e Adrian Vershinin (Crysis 3, Battlefield 1), come in ogni buon souls like che si rispetti, non è operazione delle più semplici. Salvo qualche eccezione (vedi Nioh), in più titoli del genere l’insieme si presenta in maniera frammentata, raccogliendo manufatti, sbloccando armi o attivando dei “dispensatori di lore“. Eppure, nonostante qualche palese citazione, tutto funziona, fregiandosi della tanto in voga “profezia da compiersi” ma in salsa del tutto nuova.
Tutto, ma proprio tutto, ha inizio da un Monolite misterioso, che con la sua energia dà vita all’Universo e ai nove mondi protagonisti delle vicende. Come da prassi, si scatenano guerre per il controllo di un simile potere, e da questi conflitti sono i Prime a trarne vantaggio, avviando così un’era prospera. Una volta creato il nostro personaggio attraverso un menù avaro di elementi di personalizzazione, saremo chiamati a risvegliare il potere del Monolite per scongiurare l’apocalisse in arrivo, anche se si avranno un po’ di sorprese lungo il cammino, sino a un finale interessante e per certi versi coraggioso.
All’interno del titolo avremmo a che fare con NPC, pochi a dir la verità, ma ben scritti e preziosi per scoprire lati della storia più intimi ed emotivi, ma anche per instillare qualche piccolo dubbio al giocatore sul proprio percorso e sulle proprie azioni.
Molto dunque viene raccontato attraverso dialoghi e descrizioni, ma non mancano alcune cutscene, narrate attraverso artwork interessanti stilisticamente ma che rischiano di distanziare un po’ il giocatore dal racconto; solo l’ultima cutscene è generata con il motore di gioco, fortunatamente. Non è presente un “new game+”, né multiplayer o altri elementi online, ma Toadman ha precisato che molte feature verranno introdotte in futuro, già a partire dai prossimi mesi.
Per la cronaca, il titolo è stato completando in circa 25 ore di gioco, con qualche portale residuo ancora da aprire e qualche boss opzionale da affrontare.

Tra Chuck Norris e Carla Fracci

Tutto ha inizio nel Nucleo, il nostro hub centrale che somiglia vagamente al Nexus di Demon’s Souls. Da qui potremo interagire con gli NPC, personalizzare il nostro equipaggiamento e livellare. Ma, cosa ancor più importante, potremo teletrasportarci verso i tre mondi che è possibile visitare: Arden, Veridian e Apexion. La parte succosa del titolo è il gameplay, un po’ schizofrenico, capace di passare da buone idee e ottimi spunti a scivoloni grossolani. La caratteristica principale di Immortal è di essere un TPS (Third Person Shooter) abbinato alle classiche meccaniche da souls, comportando un approccio completamente nuovo in entrambi i sensi: in primis, la possibilità di colpire i nemici, ed esser colpiti dalla distanza è alquanto straniante al primo approccio, dovendo schivare i colpi in arrivo a più riprese e al contempo – se possibile – aggirare l’avversario per colpirlo alle spalle o destabilizzarlo, situazione simile a Nioh o probabilmente al futuro Sekiro.
Altra meccanica interessante, ma mitigata rispetto alla versione di prova, è il danno localizzato: possiamo colpire arbitrariamente gli arti, smembrando così i corpi dei nostri poveri nemici. Una volta colpito l’arto dove è impugnata l’arma, si attiveranno anche animazioni uniche dove l’avversario cercherà di colpirci come può. Inoltre, bisognerà fare molta attenzione a risparmiare proiettili in quanto, una volta terminati, saremo in balia dei nemici, che come noi dovranno fermarsi a ricaricare. Fortunatamente, attraverso consumabili – se in nostro possesso – e una volta sbloccati i restanti slot per le armi, questo problema viene molto mitigato.  Il nostro arsenale si compone di diverse tipologie di armi, tutte con caratteristiche proprie: passiamo da carabine a fucili a pompa, per andare da pistole a SMG, fucili di precisione e lanciagranate. Queste armi si suddividono anche per il tipo danno inflitto, cosa che si sposa benissimo con le diverse resistenze dei vari nemici. Sono presenti anche armi corpo a corpo, consistenti in una coppia di lame, asce o martelli utili soprattutto per infliggere il colpo di grazia agli avversari e risparmiare così qualche proiettile. Queste armi purtroppo risaltano il primo dei grossi limiti del titolo: difatti, non possiedono moveset apposito, non vi è possibilità di effettuare combo o di incatenare colpi in maniera bizzarra tra uno sparo e un colpo melee. In fin dei conti è come se non ci fossero, limitando anche la costruzione di specifiche build o anche diversi approcci al combattimento. Le armi bianche, come quelle da fuoco comunque, sono potenziabili attraverso materiali recuperati e i Bit (la valuta del gioco), ma anche smantellabili, recuperando così oggetti per il crafting. Questo sistema, benché semplice, aumenta a dismisura la voglia di sperimentare l’utilizzo di armi diverse, grazie anche a un costo in Bit molto accessibile. A questo, si accostano anche dei perk (simil anelli di Dark Souls), suddivisi tra attacco, difesa e supporto: il loro utilizzo permette di variare leggermente build durante il gioco e, quando la situazione lo richiede, aumentare magari la salute, la stamina oppure la velocità di ricarica delle armi o il recupero di elementi per il crafting. La loro varietà è sicuramente un punto di forza, così come lo è del resto tutta la struttura su cui si poggia il gioco. Però… c’è un però: è possibile configurare tutto questo soltanto una volta attivato e utilizzato un Obelisco (Falò). Questo significa che, una volta trovata un’arma di nostro interesse, potremmo cambiarla soltanto riposandoci, limitando pesantemente il gameplay. Un altro limite è l’assenza di diverse corazze a disposizione, avendone soltanto una che, trovando gli appositi terminali di potenziamento, andrà via via assemblandosi sino al suo completamento; almeno abbiamo la possibilità di personalizzarla, scegliendo il colore e la livrea da applicare, una volta trovati i componenti necessari. Ma qui finora non abbiamo nemmeno scalfito la schizofrenia dei ragazzi di Toadman.

Pad alla mano le sensazioni sono abbastanza positive, con un impostazione simil-Bloodborne abbastanza intuitiva: nessun tipo di parata o di parry, tutto è riservato alle schivate che possono essere migliorate nei frame delle animazioni attraverso il level-up. Inutile dire quanto siano fondamentali. Il tutto, in generale, funziona: sfruttare l’intelligenza artificiale per dividere i nemici e poi colpirli singolarmente può essere una buona soluzione, anche se non sempre praticabile, vista la presenza di avversari capaci di teletrasportarsi che diventano un vero incubo. I nemici che affronteremo sono discretamente vari e suddivisi per tipologia. Il loro limite di aggro è variabile, per cui potrebbe capitare di essere seguiti fino alla fine dei tempi.
Ma il problema principale è l’equilibrio di gioco, il più grande peccato di Immortal, che consta di situazioni al di fuori delle comprensione umana ma anche di sezioni ben strutturate (Apexion su tutte) capaci di far venire il dubbio se un simile sviluppo sia stato portato avanti dalle stesse persone. Capiterà infatti di assistere a veri errori da principianti, come il posizionamento di Obelischi nel ben mezzo di un’orda di avversari che comporta lo spreco di risorse preziose mettendo semplicemente piede fuori da una zona che, da prassi, dovrebbe essere invece sicura. Questi errori si verificano anche nel level design, costruito ad hoc per far provare il brivido della scomunica a qualunque giocatore, creando una difficoltà accessoria dove magari vi sono già dei problemi da gestire. Eppure, anche qui, il level design riesce a volte a sorprendere, con ambienti molto grandi e ben collegati tra loro, ricordando – con la giusta cautela – i fasti di From Software. Anche il ritmo soffre dei medesimi problemi, con sezioni al cardiopalmo una dietro l’altra e momenti di vuoto assoluto, soprattutto verso il finale.
Ma veniamo alle boss fight, tutte abbastanza differenti fra loro, ma che in qualche modo non riescono a risultare memorabili. Se a volte il loro approccio deve essere “studiato”, facendo attenzione ai movimenti e ai tipi d’attacco, altre volte risultano un po’ troppo semplici, in quanto basta appostarsi alle spalle del nemico per finirlo senza alcuna difficoltà. Alcune di esse sono configurate come opzionali, oppure “segrete” sbloccando alcuni portali (tipo Stargate), in grado di trasferirci da un pianeta all’altro. Tutti questi problemi sono figli probabilmente della poca esperienza del team, ma forse anche frutto di una cattiva interpretazione dell’opera di Miyazaki in certi frangenti. C’è da dire però – per correttezza – che alcuni di questi problemi, anche se in misura molto più limitata, esistono anche nei capolavori di genere. Si sbaglia solo con le dosi, quindi.

Disincanto

Nel nostro vagabondare tra i pianeti, purtroppo, raramente troveremo scorci mozzafiato. Forse questo è uno dei limiti più grandi di Immortal: Unchained: sa fin troppo di già visto, tra il design delle costruzioni e persino dei nemici che, in qualche modo, richiamano personaggi di altri brand. Nonostante questa mancanza di idee e un certo piattume generale, ogni tanto il titolo sembra destarsi, regalando momenti di grande impatto visivo e in qualche modo memorabili, ma avviene così di rado che quasi a un occhio meno attento potrebbe sfuggire. Se il comparto artistico dunque non fa gridare al miracolo, figuriamoci quello tecnico in senso stretto, povero di dettagli e con qualche problema di troppo tra glitch, bug, qualche piccolo errore nelle collisioni, nei geo data, pop-up delle texture e nell’intelligenza artificiale. Quest’ultima, a dire il vero, riesce a sorprendere in molti frangenti, accerchiandoci o stanandoci con granate. Insomma, è un titolo che ha sicuramente bisogno di un’ulteriore rifinitura, con molti problemi risolvibili tramite semplici patch riparatorie.
Sul fronte audio, il titolo può vantare un buon doppiaggio inglese, espressivo al punto giusto e capace di caratterizzare adeguatamente gli NPC. Anche le musiche che accompagnano quasi sempre l’azione sono abbastanza azzeccate, dal tono epico ma soprattutto risultano funzionali. Effetti sonori nella media anche se alcuni in certi frangenti, sembrano quasi una tortura.

In conclusione

Una volta concluso Immortal: Unchained sarete chiamati a un’importante decisione: ricominciare, riscoprendo piccoli risvolti di trama a vostro rischio e pericolo o attendere l’uscita di alcune patch, permettendo un NG+ più equilibrato e tecnicamente più curato? Qualunque sia l’esito, la prima fatica di Toadman Interactive, seppur con tanti difetti, risulta un titolo interessante che, con piccoli accorgimenti, può diventare un ottimo spunto per un eventuale sequel. Sa essere molto cattivo, ma volete mettere la soddisfazione di superare tutte le avversità del fato digitale?

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.