Evidentemente questo è un anno particolare, l’ultimo dedicato a questa generazione. Tutti stanno impazzendo e alcuni dei titoli proposti finora sembrano andar contro la mera razionalità tanto cara al videogiocatore. Se questo può essere definito probabilmente l’anno di Kojima e del suo Death Stranding, l’influenza del New Weird che sta spopolando ultimamente è riuscita a contagiare grandi e piccoli studio e, in qualche modo, lo troviamo un po’ dappertutto: Cyberpunk 2077, Wolfenstein Youngblood, il già citato Death Stranding e molti titoli indie ma ce n’è uno che sale dritto al vertice del podio (finora) come esperienza più “strana” degli ultimi anni. L’ultimo lavoro di Remedy è un videogioco realizzato con amore, un titolo memorabile che tutti, almeno una volta, devono giocare. Tra visioni ispirate da David Lynch, Stanley Kubrick e una spruzzata di Carl Jung, Control vale da solo il prezzo del biglietto.
Al di là del bene e del male
Il primo impatto con Control è decisamente straniante: ci troviamo di fronte a fatti in pieno svolgimento e di difficile comprensione. Jesse Faden (Courtney Hope) non è solo una semplice protagonista ma è niente meno che la nuova direttrice del Federal Bureau of Control, una sorta di FBI allestita per studiare e scoprire eventi paranormali. Ma all’interno della Oldest House, centro nevralgico delle nostre avventure, niente è come sembra e continui colpi di scena e momenti di meraviglia vi terranno incollati allo schermo per tutta la durata delle vicende. Il mondo creato da Remedy è quasi una prosecutio di quanto allestito con Alan Wake, Quantum Break e Max Payne, mescolate in salsa puramente “lynchiana” e l’impatto dell’autore del Montana (benché non sia stato in alcun modo reso partecipe del progetto) è tangibile sin dai primi istanti di gioco, attraverso una ricercatezza stilistica che rende Control unico nel suo genere. La regia e l’attenzione ai dettagli è qualcosa di sublime, arricchita da quell’aria da Serie TV che lo studio ci ha ormai abituati a vedere: tra primi piani caratterizzati da una fotografia capace di generare inquietudine, piccoli “sommari” all’inizio di ogni missione principale e sopratutto il non sapere cosa aspettarsi in qualunque frangente di gioco rendono Control un interessante esperienza videoludica e meta-narrativa.
Di fatto, Jesse Faden, non è sola: come una novella J.D. – Scrubs, ovviamente – saremo diretti spettatori dei suoi pensieri, senza filtri; lei è arrivata alla Oldest House per un motivo che, come potete immaginare, aprirà la strada a qualcosa ben più grande di lei. Ma questa continua introspezione dicevamo, prende anche la forma di dialogo con un’entità astratta e fin dall’inizio tende a confondere il videogiocatore: questa entità siamo noi? È in antitesi con l’Hiss? È una presenza reale legata a Jesse per qualche motivo? Lo scoprirete solo giocando, ma è incredibile come la sceneggiatura e la messa in scena giochi continuamente con le aspettative dello spettatore. E questo, ci porta finalmente all’Hiss, l’entità manifestata all’interno della Oldest House e in grado di assumere diverse forme, capaci di corrompere chiunque. Il suo ruolo, come quello dell’edificio, è di fondamentale importanza, non solo come mero nemico da affrontare ma importante stimolo nell’approfondire l’intera lore imbastita dai ragazzi di Remedy. A tal proposito numerosi sono i documenti e video in grado di incollare le tessere del puzzle di Control e mai come in questo caso, la lettura e la visione dei vari contenuti diventa fondamentale. Certo, l’eccessiva mole di informazioni multimediali può far presupporre una carenza di sceneggiatura “diretta”, ma questo titolo è anche questo, l’essere immersi in un mondo che gioca con le sue regole in cui persino la protagonista è a conoscenza di fatti che per il giocatore resteranno ignari per molte ore. In poche parole, Control si prospetta come una delle migliori esperienze degli ultimi anni, grazie a una scrittura di livello, coerente e soprattutto magnetica.
Un po’ Sylar, un po’ Chuck Norris
Tutte le vicende a cui prenderemo parte saranno all’interno della Oldest House con i suoi oscuri segreti. A volte si ha come l’impressione che lo stesso edificio sia un personaggio, alla stregua dei vari comprimari con cui potremmo interagire grazie a dialoghi ben scritti e recitati, permettendoci di approfondire il contesto. La struttura di gioco dunque, replica quella dei “metroidvania“, stile visto in tantissime salse ma che qui sembra avere una rilevanza particolare: ogni luogo scoperto o esplorato è un piccolo mondo, anch’esso con una storia alle spalle capace di integrarsi perfettamente all’intera sceneggiatura del titolo. L’esplorazione, benché contornata da un consultazione della mappa abbastanza difficoltosa, è semplicemente un piacere, sospinti dalla curiosità, cercando di scoprire le tante sfaccettature della F.B.C.
In questo contesto, dove gameplay e trama sembrano estremamente interconnessi, le fasi shooting vivono di vita propria grazie all’arma in dotazione del Direttore in grado di assumere diverse forme, dalla classica pistola, alla mitragliatrice sino a una sorta di lanciagranate. È possibile switchare in tempo reale tra due modalità d’arma che risulta essere al contempo utile e limitante: se passare ad esempio da lunga a corta gittata crea dei vantaggi sottintesi, lascia un po’ l’amaro in bocca la sola possibilità di ulteriore cambio modalità senza l’ausilio del menu apposito, mettendo in pausa il gioco. Le cinque modalità disponibili, se intercambiate in tempo reale avrebbero portato ancor più varietà e tatticismo a un gameplay che comunque, nonostante ciò, risulta molto appagante. Jesse non è un essere umano qualunque e l’incontro con alcuni Oggetti del Potere, oggetti speciali in grado di racchiudere peculiarità particolari grazie all’influenza dell’Hiss, la renderanno una macchina paranormale micidiale; senza elencarli tutti per non rovinare la sorpresa, ci soffermeremo sul Lancio, ovvero l’uso della telecinesi per attrarre gli oggetti per poi spedirli contro i nemici. Questa abilità rispecchia la volontà di Remedy di produrre qualcosa di estremamente esaltante e coreografico, facendo sentire il giocatore davvero all’interno del mondo di gioco: l’interazione ambientale è ai massimi livelli così come, ovviamente, la distruttibilità ambientale; ne consegue che durante gli scontri, avremo l’inquadratura stracolma di elementi, in grado di enfatizzare ogni piccolo anfratto di gameplay. Anche il resto dei poteri a disposizione è estremamente appagante da usare, potenziabili ulteriormente attraverso classici punti esperienza, così come l’arma in dotazione che, grazie all’uso di perk casuali, può generare effetti diversi a seconda delle nostre esigenze, come una ricarica più rapida dell’energia o il minor consumo di proiettili (comunque infiniti).
Tutto perfetto quindi? Benché Control riesca a rendere quasi tutto ciò che vediamo a schermo memorabile, è difficile non rimanere basiti (in senso negativo), dalla realizzazione dell boss fight, in netto contrasto rispetto al resto del titolo. In poche parole prive di mordente e a tratti noiose.
Ma tralasciando questo aspetto, Control è un’esperienza appagante anche dal punto di vista del gioco in senso stretto, con ampia libertà lasciata al giocatore. Nel bene o nel male, la Oldest House è il nostro parco giochi.
Semplicemente un miracolo
Quello che risalta immediatamente, come già accennato, è la gestione della fisica che, tralasciando qualche lecito svarione nel riprodurre la giusta massa degli oggetti, è tra le cose più riuscite del titolo. Si ha sempre la sensazione di stare in un luogo concreto, dove la minima interazione crea delle conseguenze. Tutto questo grazie anche al Northlight Engine, lo stesso utilizzato in Quantum Break ma qui in pieno spolvero: la gestione di un alto numero di poligoni, la loro interazione e filtri di ottima fattura sono solo la punta dell’iceberg di un motore che da il suo meglio nella gestione delle luci attraverso un lavoro encomiabile anche senza l’attivazione del Ray Tracing. Tutto questo ben di dio risulta anche ben ottimizzato e, se ci pensate, è un piccolo miracolo: nelle situazioni più concitate con distruzione “a go go”, effetti luci singoli per ogni elemento a schermo e dettagli ultra, Control riesce a mantenersi stabile e le piccole correzioni avvenute nell’ultimo periodo ne hanno ulteriormente migliorato le performance. Tutt’altra storia invece con Ray Tracing attivo: che la tecnologia sia ancora un po’ acerba lo si è capito, ma fa specie notare come a cotanta bellezza visiva corrisponda a un calo drastico del frame rate, anche con DLSS attivo. Nulla di ingiocabile, ma se volete godervelo appieno, a 4K e RT attivo, sappiate che qualche sacrificio bisogna farlo. Facendo notare con leggero disappunto la mancanza dell’HDR e animazioni non proprio al passo coi tempi, Control rimane una gioia per gli occhi, grazie a una regia impeccabile e con cutscene da brivido che a volte mischiano sapientemente il digitale col live-action, alla stregua di Hellblade: Senua’s Sacrifice.
Dal punto di vista audio, il titolo si presenta solo in lingua inglese con sottotitoli, con ottima interpretazione di Courtney Hope nei panni della protagonista Jesse Faden, e dei comprimari, mai sopra le righe e attenti a un conteso così particolare. Nota di merito infine agli effetti sonori, estremamente peculiari e attenti nel restituire i giusti feedback, sia in fase puramente esplorativa sia durante la presenza dell’Hiss, con un attento studio del sound design, definito appositamente per rendere al meglio questa entità.
In conclusione
Control è semplicemente una piccola perla che, come spesso accade, rimane incompresa. I dati di vendita purtroppo non sono rosei, vuoi per una campagna marketing priva di mordente e un periodo di lancio azzardato. Ma di qualità ce n’è davvero tanta, qualità realizzata col cuore da un team di sviluppo che ha realizzato l’opera che voleva e, di questi tempi, non è cosa da poco. Il viaggio di Jesse all’interno della Oldest House è uno dei più memorabili degli ultimi anni, con Control, in grado di candidarsi senza alcun problema al titolo di miglior gioco dell’anno 2019.