Devil May Cry è un brand che non ha bisogno di presentazioni ma, qualora vi servissero, be’… tornate indietro, recuperate almeno i quattro titoli principali e poi tornate qui; sicuramente leggerete questa recensione con un piglio un po’ diverso. Hideaki Itsuno è tornato, e il suo Devil May Cry 5 sembra raccogliere quanto di meglio la serie abbia prodotto nel corso degli anni: c’è un bel po’ del quarto capitolo, la freschezza del terzo, le idee dell’originale e qualche piccolo dettaglio ispirato anche dal DMC – Devil May Cry di Ninja Theory, lavoro tra i più sottovalutati del settore ma apprezzato dai designer originali. Il secondo capitolo, invece, vanta soltanto qualche accenno, come se tutto fosse accaduto durante una bella sbronza.
Insomma, detta così Devil May Cry 5 sembra un “more of the same”, un titolo che cerca di accontentare i fan della serie con del fan service banale in ricordo dei tempi andati; ma fortunatamente c’è molto, ma molto di più, tanto che l’ultima fatica Capcom si candida automaticamente a essere uno dei migliori giochi di questo 2019.
Bastardi senza gloria
Benché non sia l’elemento principale del franchise, gli sceneggiatori hanno avuto comunque l’onere di completare linee narrative rimaste in sospeso. Ma a far la differenza – come sempre del resto – non è “cosa” si racconta ma il “come“. Nelle dodici ore circa necessarie a completare la campagna verremo avvolti da sequenze al cardiopalmo e contornate dal solito mood nonsense, tamarro e diretto che ci ha accompagnati soprattutto a partire dal terzo capitolo. Oltre a Nero, che ritorna da Devil May Cry 4, e ovviamente Dante, fa la sua comparsa un terzo protagonista misterioso: V (una lettera, un perché). Oltre a essere un personaggio funzionale alla narrazione, questi è anche il motore che dà il via alle vicende, con lo scopo di fermare il Qliphoth, un ancestrale Albero Sacro. Del suo modo di combattere parleremo successivamente ma, nonostante un’eccessiva rapidità, quasi repentina, nel suo cambiamento di stato, V riesce a far centro, con la sua dose di carisma necessaria all’interno di un roster che vede per protagonista un mostro sacro come Dante e il riuscitissimo Nero. Le vicende si susseguono con ritmi incalzanti, a volte con ritmo frenetico, altre con il giusto tempo, per darci modo di entrare “in intimità” con il personaggio in questione. Tralasciando qualche piccola ingenuità, come le prevedibili reali identità di Nero e V, tutto procede spedito, con una narrazione non lineare e ben congegnata e su più livelli temporali, ricca di riferimenti ai capitoli precedenti e ad altre opere come l’anime, ripreso più volte grazie anche all’ingresso in-game di Morrison (“agente” di Dante), che nel frattempo ha subito un cambio di etnia. Il passato di Dante e dei suoi trascorsi sono sviscerati a più riprese, mostrando anche piccoli traumi e debolezze che arricchiscono ancor di più il background di un personaggio ormai iconico. Non si tratta certo di una scrittura da premio Oscar, sia ben chiaro, ma è comunque sufficiente a rendere Devil May Cry 5 il migliore dal punto di vista narrativo. Ovviamente non potevano mancare Trish e Lady, accompagnate in questa occasione da Nico, la compagna d’avventura di Nero senza peli sulla lingua che svolge funzione di principale di comic relief ma anche da amica fidata, oltre che un ruolo chiave all’interno del gameplay.
Col sorrisetto, sulla faccetta
È chiaro come in un hack ‘n’ slash il gameplay svolga un ruolo chiave. Devil May Cry 5 riprende lo stile e le meccaniche del precedente capitolo ma reinterpretandole in una nuova salsa, sfruttando anche la maggiore potenza dell’hardware attuale. Abbandonata la telecamera fissa, ci si ritrova all’interno di un’orgia adrenalinica di colori, suoni e botte da orbi che Capcom ci ha saputo regalare spesso, anche se qui siamo su ben altri livelli. Aver tre personaggi giocanti significa avere tre differenti approcci al combattimento: partendo dal nuovo arrivato V, ci troviamo ad avere a che fare non con il “solito” mezzo demone armato di lama ma con un evocatore, in grado di richiamare due creature più una speciale, vecchie conoscenze del capitolo originale. Lo stile di V è totalmente diverso rispetto a qualunque altro personaggio della serie: a combattere saranno i demoni evocati, mentre “l’uomo misterioso” starà a distanza, agendo solo in caso di colpo di grazia. Ma ricordiamoci che si tratta pur sempre di Devil May Cry e anche qui le cose si fanno interessanti: come da abitudine (e vale anche per Nero e Dante) abbiamo a disposizione una caterva di combo e colpi speciali da sbloccare grazie all’ausilio di Gemme Rosse (la moneta in-game); ne consegue che la varietà di abilità presenti tange i picchiaduro più affermati, dovendo di volta in volta imparare le combinazioni presenti, accordare il più possibile armi e combo, annullare l’animazione del personaggio e così via. Con V tutto questo risulta forse un po’ troppo facilitato, raggiungendo molto spesso il Grado SS senza particolari difficoltà. Non che manchi tecnicismo, ma l’utilizzo di più creature, unita alla capacità di effettuare un eliminazione dopo l’altra, facilità un po’ le cose.
Nero è semplicemente Nero. Persa la possibilità di utilizzare il Devil Bringer, è costretto a usufruire di protesi speciali costruiti dalla sua fedele Nico. I Devil Breaker, diventano così un’idea geniale, in grado di variare l’approccio ai combattimenti come raramente visto in altre produzioni: essi hanno abilità diverse ed è possibile portarne sino a otto se sbloccati gli slot necessari; ognuno di loro ha capacità uniche come la possibilità di lanciare scariche elettriche in grado di stordire i nemici, fermare il tempo o trapanare per bene. La loro varietà è molto ampia possedendo a loro volta un’abilità speciale devastante che se usata causerà la distruzione dell’arto meccanico. Proprio la loro distruzione diventa un elemento attivo del gameplay di Nero in quanto l’unico modo per cambiare Devil Breaker è quello di sacrificarlo. Se a prima vista questa scelta può sembrare limitante, giocando ci si accorge come tutto abbia un senso logico: oltre a portare un certo tatticismo nella scelta delle protesi da utilizzare a inizio missione, le esplosione hanno sempre un effetto attivo, danneggiando i nemici, aiutando quasi a non interrompere le combo. Inoltre c’è da considerare che inserendo la possibilità del cambio, Nero sarebbe stato sin troppo simile a Dante, capace di cambiare stile, influenzandone il moveset. Ma lo vedremo dopo. Ogni Devil Breaker è dotato di un rampino, capace di far attrarre verso di noi ogni nemico e sbilanciarlo oppure di lanciarci verso il malcapitato con tutta la nostra furia.
Ma che Devil May Cry sarebbe senza una spada? La Red Queen di Nero torna più in forma che mai, con la sua peculiarità di poter essere caricata (sino a un massimo di tre volte) rendendola ancor più potente. La combinazione di Red Queen e dei Devil Breaker trasforma Nero in una macchina di morte quasi esilarante: Nero si diverte e con lui ci divertiamo anche noi. Pad alla mano, l’utilizzo del nuovo ammazza demoni è una gioia per gli occhi e per il cervello, restituendo feedback puramente adrenalinici capaci di assuefare ogni videogiocatore. E non siamo ancora arrivati alla parte migliore.
Ovviamente Dante riesce a regalare le migliori soddisfazioni, non migliori rispetto a Nero ma semplicemente diverse, probabilmente per l’affezione all’iconico personaggio. Dante è in tutto e per tutto il figlio di Sparda che conosciamo, capace di intercambiare in tempo reale armi e stile come solo lui sa fare. Passare dalla Rebellion (la celeberrima spada di Dante) alla Balrog (una sorta di armatura per gli arti) e Cavaliere R, in poche parole uno “moto – sega” (!) è puro piacere, intenso come un Ferrero Rocher fondente (molto buono). Tutto diventa, dopo aver fatto un po’ di pratica – soprattutto ne Il Vuoto – pura tecnica e istinto, una combinazione che raramente, ma molto raramente troverete in altre opere simili.
È un titolo che come da tradizione predilige l’attacco più che la difesa e ovviamente non ci si può staticamente difendersi: l’importanza alla schivata è infatti relativa e seppur presente, attraverso una combinazione di tasti, difficilmente sarà un opzione presa in considerazione.
L’attenzione riservata al puro combattimento è andata anche verso la realizzazione di ambienti strutturati con cognizione di causa e benché presentino il più delle volte il sistema classico di “corridoio-arena”, il level design riesce a sorprendere, invogliando in qualche modo l’esplorazione alla ricerca di oggetti utili alla missione. Questo in certi frangenti diventa fondamentale in quanto in questo capitolo sono state completamente rimosse le Stelle di cura e di ricarica del Devil Trigger. Dunque la barra vita che abbiamo è quella che ci dobbiamo tenere, sfruttando eventualmente la trasformazione in demone per rigenerarla. A far da contraltare però vi è una maggiore disponibilità di Gemme Dorate (una sorta di vita in più) oltre a un numero infinitamente più alto di gemme rosse, visto anche la presenza dei tre personaggi giocabili. Il titolo è estremamente equilibrato e nonostante sia presente la possibilità di effettuare degli acquisti attraverso microtransazioni, non se ne sente mai il bisogno.
Piccola nota anche all’aggiunta del cosiddetto Cameo System, in cui uno o più giocatori reali possono intervenire in partita, trasformando in certi frangenti, DMC in un cooperativo online. Questo sistema, però, benché discretamente interessante, è un elemento quasi superfluo e che non incide in alcun modo sull’andamento della partita, se non per qualche piccolo aiuto in caso di numerosi nemici.
In ogni caso Devil May Cry 5, in ogni sua traslitterazione di gameplay, è puro piacere e se non vi diverte, allora il problema siete voi.
Un Giappone che funziona
Il RE Engine si mostra in tutta la sua potenza, rendendo Devil May Cry 5 una gioia per gli occhi, soprattutto su PC. La modellazione dei personaggi, così come le animazioni rendono il tutto molto verosimile, enfatizzato da animazioni facciali tra le migliori viste finora. Tutto risulta pulito e fluido e su PC perfettamente ottimizzato, segno che in Giappone forse stanno cominciando a prendere a cuore la comunità di “pcisti”. Proprio questa versione risulta essere di gran lunga la migliore rispetto alla versione console, garantendo una maggiore cura per i background e soprattutto per gli effetti, dal motion blur all’occlusione ambientale, tra l’altro presenti con opzione “variabile” nel menu apposito, permettendo una gestione adeguata di questi anche per macchine non performanti. Spiccano, come già accennato, i modelli e le animazione dei personaggi, non solo durante le cutscene (splendide, coreografiche e ricercate) ma anche durante il gameplay, tra evoluzioni pittoresche e violenza inaudita.
Anche la componente audio non è da meno, con l’ormai iconica Devil Trigger del duo Casey e Ali Edwards e le musiche d’accompagnamento diverse per ogni personaggio ma che hanno in comune il crescendo parallelamente al livello di stile ottenuto. Ne consegue che la musica accompagna direttamente, ma in maniera naturale, l’azione, creando un mix perfetto e adrenalinico. Rispetto al reboot di Ninja Theory (DMC – Devil May Cry) il gioco non è doppiato in italiano ma soltanto in inglese e giapponese, con sottotitoli. La sincronia con il labiale è perfetta in entrambi i casi, piacevole e godibile in entrambe le lingue.
In conclusione
Devil May Cry 5 è l’ulteriore conferma del periodo d’oro di Capcom: nonostante sia un sequel di una saga quasi ventennale riesce nell’intento di accontentare tutti, dai fan più esagitati ai neofiti, che magari potranno recuperare i prequel. Una trama funzionale ma ben sceneggiata accompagna tre differenti gameplay di altissimo livello, rendendo questo quinto capito forse il migliore hack ‘n’ slash degli ultimi dieci anni. Soltanto qualche leggero difetto sporca un titolo da eccellenza assoluta e che forse aprirà le porte a un nuovo remake sulla falsa riga di Resident Evil II: quello dell’originale Devil May Cry.