Nella metà degli anni ‘90, diciamo più o meno con l’arrivo della prima PlayStation nei negozi, le demo erano praticamente ovunque: gran parte delle riviste videoludiche che si trovavano nelle edicole erano colme di versioni dimostrative dei titoli in uscita. Ma con l’avvento della rete a banda larga e degli store digitali, questo tipo di marketing è scomparso quasi del tutto. Cosa ha portato gli sviluppatori a cambiare metodo di promozione dei propri giochi?
Una delle principali motivazioni dell’abbandono delle demo è dovuto alla mancata imposizione da parte del mercato come modello di riferimento: semplicemente, esse non si sono rivelate efficaci come altre forme di pubblicità, come trailer e video gameplay. Questi ultimi permettono di mettere in risalto i lati migliori del titolo in uscita e nascondendo i difetti, generando così hype per il futuro acquirente.
Invece, le demo, devono riflettere lo stato attuale della lavorazione del gioco, con i suoi pro e contro: così facendo un giocatore dapprima interessato all’acquisto potrebbe ripensarci e decidere di risparmiare il proprio denaro, perché ciò che ha provato non ha rispettato i suoi standard. Questo non riguarda direttamente la scarsa qualità del prodotto o eventuali bug e glitch, ma può essere semplicemente essere una questione di gusti. Infatti, secondo Jesse Schell, game designer americano e professore di entertainment technology alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, ha condotto un’analisi dove è risultato che le demo dei giochi tendono a danneggiarne le vendite, piuttosto che migliorarle.
Le versioni dimostrative sono affette da un paradosso non da poco nel mondo del gaming: devono essere ben fatte, per incoraggiare l’acquisto da parte dei giocatori, ma non devono molto estese, perché un assaggio prolungato del titolo può accontentare i palati di tanti futuri acquirenti. Molte volte le demo offrono la parte iniziale del gioco completo: solitamente rappresentano la parte più semplice e poco interessante dell’intera opera. Molti giochi sbocciano dalla metà in poi, e può essere controproducente dare in prova qualcosa di non intrigante. Creare qualcosa ad hoc, come un livello bonus o una parte del gioco scritta appositamente per la demo richiede più lavoro, e quindi gli sviluppatori, col tempo, si sono concentrati di più su altre forme di pubblicità, ritenute più semplici e redditizie.
Un altro paradosso riguarda la pirateria: la “scusa” più usata da chi scarica illegamente un titolo è quella di volerlo provare sul proprio PC per vedere se funziona o se ne vale l’acquisto. In teoria, l’uscita di una demo dovrebbe scongiurare il rischio pirateria, ma non è stato il caso di Resident Evil VII: sia il gioco completo che la versione dimostrativa erano protette da Denuvo, il popolare DRM anti-pirateria. Ma la demo del titolo Capcom, uscita con due settimane di anticipo rispetto al titolo completo, ha dato tempo ai cracker di lavorare sul codice e aggirare la protezione, rendendo così disponibile l’ultimo capitolo della saga horror sui canali illegali.
Se analizziamo l’offerta attuale delle demo, prendendo per esempio lo store di Steam, si nota che la sezione omonima è abbastanza nascosta nella homepage, visto che si deve evidenziare prima il menù dei giochi e poi andare su demo: è un sistema quasi estinto e poco usato, che ha lasciato lo spazio ad altri metodi, come le open beta, i weekend gratuiti (vedi Overwatch di Blizzard) oppure, idea lanciata proprio dallo store di Valve, il rimborso. Quest’ultimo metodo pone dei limiti entro quale è possibile richiedere la restituzione del denaro speso, ovvero una finestra di tempo di due settimane dall’acquisto e non più di due ore di gioco. Pur sembrando poco conveniente, può risultare un buon metodo per non perdere i nostri sudati risparmi, soprattutto in casi dove la nostra macchina può faticare nelle prestazioni, magari anche a causa di una cattiva ottimizzazione, come accaduto per Batman: Arkham Knight.
Curioso il metodo usato, invece, su Origin, lo store di Electronic Arts: per 3,99€ mensili o 24,99€ annuali, si può diventare membri di Origin Access e approfittare del 10% di sconto negli acquisti dello store, e dieci ore di prova per i rispettivi giochi. Nonostante queste misure non vadano effettivamente a sostituire le demo, possono risultare un buon metodo per provare molti titoli.
Insomma, la situazione è molto diversa rispetto al passato: ai tempi le demo erano quasi una necessità, e acquistare una rivista o scaricare l’eseguibile da un sito web era la prassi, in un mondo dove i titoli completi erano quasi ad appannaggio dei negozi specializzati. Con il passaggio dal fisico al digitale, la necessità di provare una demo è venuta sempre di più a mancare, grazie anche a servizi come Humble Bundle o lo stesso Steam, che molte volte offrono giochi completi scaricabili gratuitamente, oppure “pacchetti” di più giochi ottenibili a un prezzo altamente competitivo. Così facendo si contribuisce alla crescita del nostro amato e odiato backlog, ma alla fine è il prezzo da pagare per l’evoluzione del medium videoludico. Potrebbe essere comodo un ritorno al passato, ma probabilmente, le demo sono scomparse perché non ne sentiamo più il bisogno come venti anni fa.