Bentornati all’appuntamento con Hi, My name is… la rubrica di approfondimento di GameCompass sulle personalità più importanti del settore videoludico. Anche questo mese avremo come ospite un illustre innovatore del medium, forse meno conosciuto al grande pubblico, ma non per questo di minore rilevanza: parliamo del padre dell’iconico Another World, il game designer francese Eric Chahi.
Chahi non è certo uno dei più prolifici autori del panorama videoludico, ma è sicuramente uno dei maggiori esponenti della storia del game design. La sua carriera inizia nei primi anni ’80, come programmatore nella francese Loriciels, sfruttando il proprio talento nell’utilizzo di Atari ST e Amiga per sviluppare titoli che al tempo finirono principalmente su Commodore 64, Oric-1 e Amstrad CPC. Una palestra che gli sarà utile negli anni anni a venire, come quando, nel 1989, passò alla Delphin Software in veste di artist responsabile per il titolo Future Wars. Sin da subito si distingue per una cura maniacale nei dettagli, tratto distintivo dei suoi lavori più riusciti. Chahi ha una visione d’avanguardia e un’abilità unica nel rendere possibili idee di design inedite e rivoluzionarie, sopperendo alle mancanze tecnologiche dell’epoca attraverso l’uso sapiente di una regia sempre puntuale e meccaniche ibride perfettamente dosate.
Il suo genio creativo esplode nel 1991 con l’uscita del memorabile Another World dopo due anni di travagliato sviluppo, infine pubblicato dalla Interplay Entertainment. La trama ruota intorno alle disavventure vissute da Lester Knight Chaykin, giovanissimo scienziato intento a replicare la creazione dell’Universo in scala ridotta. Le cose prenderanno una piega del tutto inaspettata, catapultando il protagonista in un mondo alieno, selvaggio e oscuro.
Quel lavoro di game design senza precedenti segna un solco indelebile nella storia del videogioco, creando un vero e proprio terremoto e stabilendo un confronto obbligatorio al quale il mercato non può più sottrarsi. Another World riduce a brandelli i canoni classici delle produzioni del tempo: la totale mancanza di qualsiasi tipo di informazione a schermo, fino alla possibilità di tentare all’infinito gli ostici passaggi presenti nel corso dell’avventura. Le rivoluzioni proposte dal titolo non si limitano solo a questo: lo stile visivo unico, la riproduzione di animazioni elaborate attraverso l’uso del rotoscopio, il sound design minimale d’atmosfera e la straniante sensazione di disorientamento da parte del giocatore che si vede catapultato in un mondo brutale e criptico, fanno di AW uno dei primi titoli in grado di restituire all’utente un’autentica esperienza cinematografica. Una pietra miliare che è stata largamente riferimento, inimitabile, alla quale molte delle produzioni moderne sono debitrici e che ha ispirato i più illustri game designer (da Hideo Kojima a Fumito Ueda ). Con Another World viene stabilito un punto di non ritorno importante, destinato a durare in eterno. Un capolavoro limpido e perfetto che, nonostante il passare degli anni, non perde un minimo del suo smalto e della sua freschezza, arrivando ai giorni nostri attraverso un’ottima riedizione in alta definizione, disponibile su tutte le piattaforme di gioco.
Un successo inabissato che consegnerà il nome di Eric Chahi nella memoria di ogni giocatore; il gioco segna una benedizione per la carriera del Designer ma al contempo una vera e propria sciagura poiché, una volta raggiunta la perfezione sintetica è molto difficile replicarne la formula.
Chahi si ripresenta sulle scene solo sette anni più tardi con Heart of Darkness, una sorta di seguito spirituale di AW. Questa volta con tematiche accessibili a un pubblico giovane e dai toni molto più fiabeschi e da cartone animato; uscito su Pc e PlayStation nel 1998. Nel gioco vestiremo i panni di Andy, ragazzino dotato di una notevole fantasia, coinvolto nella ricerca disperata del suo cane Whiskey, tragicamente rapito da una mano scheletrica proveniente dalle misteriose Darklands, terre oscure governate dal Master of Darkness.
Rimodulare le meccaniche del precedente lavoro, senza correre il rischio di ripetersi o di stravolgere l’idea alla base non è di certo un lavoro facile; il pesante fardello di riuscire a creare un capolavoro come il predecessore, alzando ulteriormente l’asticella della qualità in profondo rispetto verso i suoi fan, è un peso che neanche un genio come Eric Chahi può sopportare. Infatti Hearth of Darkness si presenta al pubblico ricevendo una tiepida accoglienza in termini di critica, ma va decisamente male nelle vendite globali rivelandosi un pesante flop. Un’occasione mancata per un buon gioco in tutte le sue sfaccettature ma che, probabilmente, ha la sola colpa di essere uscito fuori tempo massimo, in un periodo in cui le avventure di questo genere avevano raggiunto il massimo della loro espressione con il dittico della Oddworld Inhabitants (Abe’s Odissey e Abe’s Exoddus) uscito soltanto qualche anno prima. Un brutto colpo per il nostro, tanto da farlo allontanare dallo sviluppo per un lungo periodo terminato soltanto nel 2011 con l’uscita di From Dust.
Pubblicato da Ubisoft Montpellier su PS3, Xbox360 e PC, From Dust si discosta totalmente da qualsiasi altro lavoro di Chahi rientrando nella catgoria dei god simulator sulla falsa riga del ben più popolare Black & White della LionHead, fondata dal visionario e più volte aspramente contestato Peter Molyneux.
Il nostro compito è quello di salvaguardare l’esistenza di una antica tribù indigena attraverso l’uso dei nostri poteri di creatore. L’idea di base è quella di dare la possibilità al giocatore di poter plasmare la terra e ogni elemento naturale presente su schermo, in funzione alla missione presentata. Ogni piccola tribù dovrà spostarsi dal punto A al punto B cercando di sopravvivere alle insidie naturali, come un’eruzione vulcanica, un devastante incendio o un gigantesco tsunami. Mano a mano che la fede nei nostri confronti si farà sempre più forte, i poteri divini in nostro possesso aumenteranno di portata ed efficacia ed il gioco ci concede la completa libertà d’azione nell’affrontare le varie situazioni proposte. Le meccaniche alla base sono originali e accattivanti e di certo il titolo rappresenta un gradito ritorno da parte del designer francese dopo una pausa durata più di dieci anni. Ma nonostante le buone intenzioni e un paio di idee azzeccatissime, la realizzazione tecnica non riesce a supportare pienamente la struttura di gioco e una certa legnosità dei controlli minano parzialmente l’esperienza. Al netto dei suoi difetti comunque From Dust rimane un piacevole passatempo per tutti gli amanti del genere “divino” anche se dalla mente brillante di Chahi ci si poteva aspettare uno sforzo creativo in più.
Per concludere, la figura di Eric Chahi è stata fondamentale per l’evoluzione del videogame. Il suo contributo è presente ancora oggi in molte delle idee alla base delle produzioni moderne e molto spesso date per scontate. Senza la fervida tenacia nel voler creare qualcosa di diverso ed inaspettato, il videogioco come lo conosciamo non sarebbe potuto esistere. Purtroppo la lungimiranza nell’intravedere potenziali sviluppi nella fruizione del videogioco da parte dei gamer e la perenne voglia di sperimentare con il medium non sempre hanno dato i risultati sperati. Pur sviluppando pochi titoli lungo il corso della sua carriera, ha saputo imbastire una importantissima rivoluzione interna, delineando un’esperienza narrativa e allo stesso tempo interattiva delle sue creazioni. In attesa di Paper Beast, suo ultimo lavoro in dirittura di arrivo su PlayStation VR per il 2019, questo è il nostro contributo ad un genio visionario i cui sogni hanno saputo regalare momenti indimenticabili ai giocatori di tutto il mondo.