Su Joker si è detto tanto, forse molto più di quello che il film intendesse dire. Questo lungometraggio segna però un fatto importante, non solo per la vittoria del Leone d’Oro a Venezia (primo cinecomic a riuscirci), ma anche per aver creato un fenomeno, delle sensazioni, meraviglia dove invece non c’era nulla. Non stiamo certo dicendo che il film non è valido, tutt’altro: Joker è un film memorabile, con un’interpretazione sublime di Joaquin Phoenix (certamente da almeno alla candidatura alla statuetta) e una fotografia capace di accompagnare l’andamento delle vicende sino al suo climax finale.
Ma Joker, è davvero così profondo, è davvero così eccezionale? Ragionandoci probabilmente no e oggi analizzeremo a fondo la pellicola cercando di trovarne l’intento: cosa racconta Joker?
Amor, ch’a nullo amato amar perdona
Joker ha la virtù di affrontare tante tematiche più o meno esplicite, che non ruotano necessariamente intorno alla figura di Arthur Fleck, la vera identità del villain. La Gotham rappresentata è uno spaccato della società attuale, ma fino a un certo punto: non si è ancora arrivati al punto della guerriglia urbana per differenze sociali, ma qualcosa comincia a intravedersi. Il contesto presentato è quello di una città in piena campagna elettorale, dove la forbice tra facoltosi e disagiati è sempre più ampia e tra quest’ultimi vi è proprio la famiglia Fleck. Qualcuno potrebbe dire che la Gotham mostrata non si discosti poi tanto da quella dei fumetti, e in effetti è così, ma il taglio più autoriale e intimo della pellicola riesce a dare un punto di vista diverso, toccando con mano quei bassi fondi e quel disagio che normalmente tra menti criminali senza scrupoli e cazzotti in pieno volto perdono di forza a discapito di altro. Una cosa che esce fuori dalla pellicola è il modo di affrontare i problemi sociali (e non solo), racchiuso nella frase pronunciata da Murray Franklin (Robert de Niro) «per catturare dei super topi servono dei super gatti» (frase con duplice significato, tra super cattivi e super eroi); non c’è serietà, o per meglio dire, si sottovaluta quanto accade attorno, non accorgendosi dell’avvenire in potenza. Proprio la nostra società, italiana ed estera, sembra vivere di questo principio, dalla Brexit, all’immigrazione fino al possesso di armi; nessuno è in grado di affrontare seriamente le questioni, nessuno è in grado di proporre soluzioni concrete, creando così un duplice effetto: il problema sussiste e chi vive il problema viene ulteriormente trascurato, aumentando ancor di più il disagio sociale. Nemmeno il brillante Thomas Wayne (Brett Cullen), ha l’intelligenza di capire la situazione, mettendo ancor più benzina sul fuoco dopo l’”incidente” della metropolitana. Sembra quasi che la situazione debba degenerare inevitabilmente ed è da qui che la figura del Joker può uscir fuori.
Ma chi è Arthur Fleck? Essenzialmente, Arthur è una persona disturbata, vuoi per la tragica infanzia, vuoi per il suo senso di inadeguatezza. Il percorso che lo porta a diventare Joker però, si scontra con una domanda non banale e che in qualche modo fa scaturire per forza di cose un paragone: nella sua malvagità, quanto c’è della sua indole e quanto della malattia? Il Joker di Heath Ledger ne Il Cavaliere Oscuro di Nolan, è ritratto come un lucido psicopatico, permeato da una follia razionale. Quello, è un Joker immerso in un contesto reale (non questo), una figura emblematica capace di trasmettere con puro meccanicismo il suo pensiero sul mondo; una figura simile al Comico di Watchmen, in cui comprensione e messa in atto sono due cose estremamente collegate. Nel Joker di Joaquin Phoenix, tutto questo prende strani connotati, mostrando un personaggio alla continua ricerca dell’accettazione e di un palcoscenico in cui mostrare le sue reali virtù ma, sempre e solo in balia degli eventi. Se verso la fine del film, assistiamo alla “maturazione” di Arthur, d’altro canto assistiamo anche a un punto di non ritorno che non ha un vera base da cui partire. Arthur si è semplicemente adeguato al Mondo, mondo non inteso come società, ma inteso proprio come sistema nella quale è facile venir trascurati, e non abbiamo certo bisogno di un discorso finale incentrato sull’empatia per accorgerci di quanto questo sia vero. È il Mondo a decidere le sorti di uno o dell’altro ed è il Mondo stesso a creare i propri mostri. Joker non è altro che uno di questi, qualcosa di inevitabile, proprio perché il Mondo è difficilmente plasmabile. Ne consegue dunque che la società, in mancanza di reali obbiettivi e leader acclamino un pazzo come loro guida, e il resto è storia. Ma in tutto questo, Arthur è spettatore, tanto quanto noi.
Nemmeno la visione della società varia secondo il punto di vista, seguendo la teoria secondo la quale tutto ciò che vediamo all’interno del film non è altro che la visione di un proto-Joker, pronto ad aprire gli occhi sulla reale natura del mondo. Il film è molto chiaro da questo punto di vista: le parti in cui la fantasia prende il sopravvento è spiegata in modo didascalico, quasi per evitare qualsiasi tipo di fraintendimento. Per cui, quello che vediamo è effettivamente la realtà dei fatti, in cui Arthur non è che un anello debole del sistema.
Dal Giustificazionismo al male dell’Empatia e viceversa
Ma, il film purtroppo non approfondisce ulteriormente la questione e, come vedremo, questo sarà un habitué; sembra quasi un “vorrei, ma non posso” e questo trova risposta nel pubblico. Il film, per fare un paragone strambo, ha sembianze di un fucile a pompa, in cui non è importante la precisione del messaggio e il bersaglio da colpire: si spara una rosa di colpi, si ferisce qualcuno ma mai mortalmente. In questo assurdo paragone, il “ferito” è il pubblico che in qualche modo ha sì apprezzato la pellicola ma che è anche rimasto deluso dalla profondità narrativa che Joker sembra vantare. Questo perché essenzialmente, il lavoro di Todd Philips e Co. DEVE piacere a tutti, senza distinzioni ed è per questo che alcune scene vengono edulcorate o persino non mostrate.
Da questo, si arriva a un altro problema del film, il rapporto tra Arthur e il pubblico. Sembra stupido ricordarlo ma Joker, è un sadico pluri-omicida capace di commettere qualunque atrocità con la massima freddezza. In questo lungometraggio esiste un problema con l’empatia che spinge lo spettatore a mettersi nei panni di un uomo con evidenti problemi psichici e che, per una successione maledetta di eventi si ritrova a essere quello che è. Il problema però, è che manca un reale “punto di rottura” del legame tra Joker e gli spettatori. Facendo un esempio, Walter White in Breaking Bad ha un percorso molto simile, dove l’intento di Vincent Gilligan è stato quello di creare un personaggio con cui il pubblico poteva identificarsi ma che man mano che la storia proseguiva, quello stesso pubblico l’avrebbe rigettato. Vi è più di un momento in cui Walter White commette atti ingiustificabili e proprio su questa parola ruota tutto il senso dell’articolo. Nel film, come detto, manca il punto di rottura: non vedremo mai Arthur compiere una reale atrocità nei confronti di un innocente. I suoi omicidi (tralasciando l’ultimo, in cui il personaggio può dirsi “formato”) sono una sequela di vendette verso chi ha riso di lui, non prendendolo mai sul serio. Gli atti malvagi compiuti infatti, fanno tendere il personaggio pericolosamente verso l’antieroe, cosa che la figura di Joker non è e non deve mai essere, come se gli atti potessero essere in qualche modo giustificati. Il giustificazionismo presente deriva essenzialmente dalla malattia e dal “se la sono cercata”, cosa che contrasta alquanto con ciò che si vorrebbe rappresentare. Inoltre, la figura della follia di Arthur non viene mai realmente fuori, nemmeno dopo l’aver soffocato a morte la madre: la frase, ormai iconica, «la parte peggiore dell’avere una malattia mentale è la gente che si aspetta che finga di non averla” sembra un pensiero molto egoista quando quella stessa donna, forse messa peggio del protagonista, viene mandata in cielo senza tanti giri di parole. Ma ehi, è Joker, che vi aspettavate? E no, perché questo atto contrasta con uno degli intenti del film e si ricollega al suo più grande problema: la banalità.
Quello che Joker non riesce proprio a fare è spingerci davvero a ragionare sulle questioni che accadono tutti i giorni, fermandosi proprio prima della spinta finale: la critica alla società, la messa in scena della malattia mentale e il rapporto con gli altri, derivano essenzialmente da una sovralettura di un film lineare e forse un po’ pretenzioso. Anche il “metterci nei panni degli altri” non è altro che la riproposizione di un concetto d’empatia storpiato negli ultimi anni, portato avanti da Obama in poi: l’empatia intesa in questo modo, oltre a non essere una buona guida morale, è anche controproducente alla società, mettendo a fuoco solo determinati problemi, determinate vittime a discapito di tutti gli altri. Eppure, anche questo concetto, viene espresso con la stessa banalità, da un pazzo che in un programma TV chiede soltanto un po’ di attenzione.
In Conclusione
Joker ha indubbiamente moltissime qualità e in generale è sicuramente un buon film sorretto dalla straordinaria interpretazione di Phoenix. Ma tutto questo non basta a decretarlo come capolavoro. La sovralettura creatasi è qualcosa che ha più ha che fare l’emotività e l’empatia, quasi se si fosse avvolti da un’aura di Sindrome di Stoccolma che porta il pubblico ad amare oltre modo qualcosa che semplicemente meriterebbe un abbraccio.
Questa è una delle poche voci fuori dal coro, che vede il film per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse. In ogni caso, se cercate reale critica alla società, approfondimento e immersività nelle malattie mentali vi suggeriamo qualche opera: le prime due sono fumetti di Alan Moore, V for Vendetta e Watchmen da cui sono stati tratti due lungometraggi. L’ultimo è invece un videogioco: Hellblade: Senua’s Sacrifice di Ninja Theory, racconta le vicende di Senua, affetta da disturbi mentali come la schizofrenia, regalandovi un punto di vista estremamente intimo e diverso da qualunque media esistente.
Dateci un’occhiata e poi rivedete Joker. Ne riparleremo.