Il tema della comunità LGBTQ e di come questa venga vista, tollerata e più o meno integrata all’interno della società è ormai un argomento portante da anni, e che non cessa di creare fronti opposti in termini d’opinione. Qualunque sia la vostra posizione in merito, il mondo sta di fatto accettando (lentamente, molto lentamente se guardiamo il quadro globale: fino all’anno scorso solo 23 paesi nel mondo accettavano il matrimonio tra persone dello stesso sesso) una realtà che è stata sempre presente ma che solo adesso trova libera espressione. I Gay Pride, come le leggi su unioni civili, adozioni, pari opportunità, matrimonio fanno fronte alle oltre 70 nazioni che ancora considerano l’omosessualità un reato punibile con sanzioni che vanno dalla galera alla pena di morte.
Parallelamente, anche nell’universo dei videogiochi l’omosessualità va trovando espressione come forma di normalità, allontanandosi dallo stereotipo che, nei secoli, ha visto dominare in arti e vari aspetti della creatività soltanto un modello eterosessuale; anche in questo caso il processo non è stato indolore: non si assiste a forte odio o discriminazione, ma ancora un bacio omosessuale come quello visto nell’ultimo trailer di The Last of Us Part II riesce a far discutere la rete. Dopo quasi mezzo secolo di storia del medium, la figura del personaggio queer ha ancora una presenza marginale. I videogame dove è possibile trovare personaggi che si discostino da un modello etero sono davvero pochi se paragonati alla gigantesca mole di titoli disponibili, e questo fornisce il metro di come ancora la cultura popolare affronti in punta di piedi un simile tema.
Nella mia esperienza da giovane videogiocatrice, il mio primo incontro con un character queer è stato circa all’età di cinque anni, quando giocando a Super Mario Advance incontrai Strutzi (Birdo, in originale).
A quell’età non avevo la minima idea di cosa fosse un trans, e quando da più grande scoprii che Strutzi lo era, rimasi piacevolmente colpita di come Nintendo (già alla fine degli anni ’80, in Super Mario Bros. 2, dove se ne registra la prima presenza) avesse integrato un personaggio del genere nei suoi giochi.
Oggi, più informata e consapevole, non posso non fare caso al fatto che moltissimi dei personaggi apertamente gay, lesbiche, bisessuali o trans non vadano incontro a un destino felice. Basti guardare giochi come le saghe di Mass Effect e Dragon Age, The Last of Us e Life is Strange: nei titoli di Bioware è possibile avere relazioni omosessuali: molti NPC sono apertamente gay, lesbiche, bi o trans, e chi ci ha giocato sa come tanti di questi, o i loro partner, siano destinati a un epilogo tragico. La solfa non cambia con Life is Strange dove il rapporto tra Max e Chloe (o prima ancora Chloe e Rachel) sembra destinato a non essere mai felice. Se le forme creative sono figlie della propria epoca ed espressione del proprio tempo, anche questo sembra essere sintomo della condizione attuale di chi vive l’omosessualità nella nostra epoca, dove l’accettazione è maggiore rispetto ai secoli passati, ma ancora la strada da fare è molta.
I videogame in questo senso mostrano coraggio: sempre a fine anni ’80 in Final Fight viene introdotto il personaggio di Poison, in questi anni saghe come Shin Megami Tensei e Dragon Age, per non parlare di avventure come Fable o The Longest Journey. Naughty Dog ha introdotto il tema in maniera forte e senza mezzi termini già in Left Behind, DLC del primo capitolo di The Last of Us dove Ellie vive con naturalezza l’amore verso la sua compagna già alla sua giovanissima età. Nel secondo capitolo la vediamo alle prese con una nuova relazione, e si spera che, nonostante vivano ancora in un mondo dai contorni apocalittici, il loro futuro non sia così nefasto. Naughty Dog ha una grande responsabilità sulle sue spalle.
La comunità dei gamer LGBTQ richiede a gran voce personaggi rappresentativi, magari con finali più felici, con uno spazio che consenta loro le stesse esperienze ed emozioni di un qualsiasi altro videogiocatore.
La strada, tutto sommato, è quella giusta.