The Textorcist: The Story of Ray Bibbia

Roma: la chiesa cattolica ha ottenuto il pieno potere sulla capitale italiana tramite metodi non proprio leciti, avvalendosi anche di poteri demoniaci. Solamente un esorcista, Ray Bibbia, si oppone al loro volere, ed è pronto a combattere il potere clericale a colpi di… tastiera.
Questo è il singolare incipit di The Textorcist: The Story of Ray Bibbia, prima fatica dello studio italiano Morbidware di Diego Sacchetti e Matteo Corradini (che i più conosceranno per il suo lavoro con i The Pills). The Textorcist è stato scritto proprio da Matteo, che ha saputo creare una storia tanto semplice quanto cazzuta al punto giusto.

Dio perdona, io no!

The Textorcist è il risultato di un felice incontro tra The Typing of the Dead e Dodonpachi, il typing game messo al servizio dello shump nella sua variante più hardcore: il bullet hell. Un ibrido decisamente strano e non convenzionale, ma che alla fine funziona alla grande, sfornando un titolo carismatico e originale come pochi nel panorama indie mondiale.
Ma andiamo con ordine: partiamo subito col dire che questo è un titolo che farà felici i fan dei film d’azione, visto che le citazioni non mancano (uno su tutti il Titty Twister di Dal Tramonto all’Alba), il tutto unito con una verve umoristica “all’italiana” davvero azzeccata. Non nego di aver urlato al colpo di genio quando ho dovuto usare il PC di Ray, un vetusto, ma utile Holyvetti, così come aver riso tanto alla scoperta di un gruppo black metal vegano (chiaro riferimento a Vegan Black Metal Chef) e all’easter egg del bidet.
Umorismo e citazionismo a parte, il gioco funziona: la pixel art è ben curata e non banale, e il gameplay è davvero un unicum nel mondo gaming. Il nostro compito è quello di azzeccare le parole dei nostri (veri!) esorcismi, il tutto mentre dovremo evitare i proiettili sparati dal nemico. Interessante il meccanismo della Bibbia, nostra unica arma per scacciare il maligno: fungerà da scudo, e se verremo colpiti verrà sbalzata dalle nostre mani, rimbalzando in giro per l’arena. Senza il nostro libro sacro, dopo un breve invincibility frame, saremo vulnerabili per tre colpi (dopodiché sarà game over) fino a quando riusciremo a riprenderla. Attenzione anche al timer attorno, se scadrà il tempo Ray perderà il filo delle proprie parole e sarà costretto a ricominciare l’esorcismo dall’inizio! Un meccanismo che sembra più facile a farsi che a dirsi, e che da quel sapore un po’ “soulslike” a The Textorcist: sarà fondamentale dosare le fasi di attacco con quelle di schivata per evitare di dover rincorrere la nostra preziosa bibbia ed essere così vulnerabili agli attacchi nemici. In un gioco simile, la pazienza è più di una virtù.
Particolare il gameplay, dicevamo, uno dei punti di forza del titolo. Essenzialmente abbiamo a disposizione tre approcci diversi: possiamo muoverci con le frecce direzionali e digitare le corrette lettere, usare la combo shift+WASD sempre per spostarci, oppure usare un joypad. Con quest’ultimo il gioco cambia radicalmente, trasformandosi da un typing game ad un rhythm game molto vicino a Crypt of the Necrodancer. Le lettere vengono sostituite dalla pressione dei bumper dorsali, ognuno di essi correlato a una lettera dell’esorcismo. Così facendo il gioco diventa forse più immediato, ma ugualmente difficile. Niente di impossibile, ma siamo decisamente nel campo dell’ “hard but fair”, così come si addice a questo tipo di giochi, che si ispirano alle difficoltà dei titoli degli anni ‘90. Chiude il tutto una colonna sonora a cura di GosT, autore di una synthwave potente e che flirta alla perfezione col metal, decisamente uno dei punti di forza del titolo.

In nomine dei nostris

The Textorcist scende in campo con la sicurezza di un veterano, e convince sotto molti punti di vista. Nonostante la relativa brevità del titolo, completabile in circa quattro o cinque ore, e un endgame ridotto all’osso (potremo affrontare ogni boss più volte, cercando di conquistare la vetta della leaderboard), la prima fatica di Morbidware è una piccola gemma che va giocata e amata, soprattutto per chi ama la difficoltà dei giochi di una volta, l’umorismo dei film d’azione e il panorama indie moderno.

 




Double Kick Heroes

Come dice un blog che seguo appassionatamente da anni, «la gente non sa cosa si perde a non essere metallari»: devono essere dello stesso avviso anche gli sviluppatori francesi di Headbang Club, autori di questo Double Kick Heroes, inizialmente creato per la Ludum Dare 34 a fine 2015, e poi arrivato in early access su Steam da circa un mese.

Il titolo si presenta come un rhythm game misto a shoot ‘em up, un particolare ibrido che ben si sposa con l’atmosfera apocalittica e decadente, ispirata dai lavori cinematografici del regista americano Robert Rodriguez: infatti qui l’ispirazione viene principalmente dal seminale Dal Tramonto all’Alba. Quindi aspettatevi tonnellate di zombie e soprattutto una colonna sonora trascinante e potente: ma andiamo per gradi.

All’avvio di Double Kick Heroes, oltre alle opzioni, vedremo le tre modalità del gioco: arcade, storia e editor, e la modalità inferno da sbloccare una volta completata la modalità storia.
La modalità arcade ci presenta i vari livelli del gioco in modo separato, affrontabili in quattro difficoltà di grado ascendente: si va dal rock, più facile e con un solo strumento da gestire, a estremo, più complicato avendo tre tracce e tutti gli strumenti della band da suonare. La modalità arcade è formata da 18 livelli, più uno in arrivo nel prossimo futuro; gli stessi presenti nella modalità storia, che riprende i livelli della modalità arcade, ma ci aggiunge delle cutscene disegnate in una pixel art di buona fattura. La storia è quanto di più semplice si possa pensare: è scoppiata un’apocalisse zombie e bisogna salvare la pellaccia. Cosa che ricorda, fra l’altro, il recente video di Ten Thousand Ways to Die degli Obituary, leggendario gruppo death metal statunitense.
Durante il nostro viaggio, faremo conoscenza dei personaggi che fanno parte del gruppo dei Double Kick Heroes e, andando avanti nei livelli, affronteremo boss che sembrano usciti proprio da alcuni b-movies della Troma, e incontreremo alleati che prendono spunto da musicisti o attori: è il caso di Marlene Branson, citazione del celebre anticristo del rock americano, Marilyn Manson, oppure troveremo anche James Hetfield dei Metallica, nel ruolo di co-capo di una prigione insieme al celebre attore di film d’azione Danny Trejo.

Il gameplay è quanto di più intuitivo ci possa essere: basta seguire le note che si trovano in basso sullo schermo e andare più a tempo possibile. Più si azzecca il timing delle note, e più aumenteremo il nostro punteggio e la possibilità di ottenere armi più potenti come il fucile, che ha uno sparo più ampio, come nelle più classiche delle spread gun, o un potente cannone.
I livelli tradizionali sono ben strutturati e offrono delle buone sfide, soprattutto alle difficoltà più elevate. Rivedibile, a mio avviso, la meccanica dei boss: ho trovato abbastanza confusionario il fatto di poter spostare la direzione della Gundillac, ovvero la nostra Cadillac armata di tutto punto, mentre dovevo fare attenzione alle note da azzeccare e al raggio d’azione degli attacchi nemici. È un’idea che magari offre più profondità al titolo, ma rende il tutto più complicato da giocare, visto che bisogna tenere d’occhio non solo la parte bassa dello schermo, dove troviamo le note, ma anche la parte superiore dove troviamo i nostri eroi e l’armata di zombie e mob.
Menzione d’onore per la colonna sonora, come ogni buon rhythm game che si rispetti: tutto a cura del compositore francese Fredric Elmobo Botte, già autore delle musiche di titoli come i due Nightmare Creatures o Pac in Time, che qui ritroviamo a spaziare dal rock da classifica fino a generi più pesanti come death e black metal, il tutto coadiuvato da alcuni musicisti della scena francese.

Ci manca da analizzare solamente la modalità editor: quella che, poteva essere un grandissimo punto a favore del titolo, si ritrova, alla fine, a essere un’opera incompiuta. Il tutto funziona importando il nostro file mp3 preferito, da unire al livello e i nemici scelti sempre da noi: peccato che il gioco non offra un’analisi automatica del file, come viene fatto da titoli procedurali come Beat Hazard Ultra o Audiosurf. Invece, Double Kick Heroes ci propone tre alternative: creare le note da zero, seguendo il brano di nostra scelta (ipotesi che, francamente, trovo folle sotto ogni punto di vista), importare un file MIDI (cosa che, sì, funziona, ma non benissimo come dovrebbe), oppure controllare se si trova qualcosa di già pronto sul workshop di Steam. Peccato che quest’ultimo sia letteralmente deserto, ma voglio pensare che sia dovuto allo status early access del titolo che altro.

In conclusione, l’opera prima di Headbang Club presenta degli alti ma anche dei bassi: l’atmosfera del gioco è ben congegnata e si sposa perfettamente con le musiche di Elmobo. Il gameplay, per quanto buono nella sua base, avrebbe bisogno di una leggera sistemata, così come l’editor dei livelli, davvero scomodo e poco user friendly. Diciamo che Double Kick Heroes è come la prima demo di un gruppo formato da pochi mesi: acerbo, ma con del potenziale che può uscire fuori magari in un prossimo lavoro. E in tal caso, li aspetteremo con impazienza!