Seven Sisters

Arriva nelle sale italiane Seven Sisters, un fantastico film dalle influenze cyberpunk e dagli scenari futuristici che richiamano opere come Brazil, Il Quinto ElementoBlade Runner. La sceneggiatura di questa pellicola ha una storia abbastanza travagliata: scritta da Max Botkin nel 2001, Seven Sister, che ai tempi vedeva in realtà dei protagonisti uomini, non arrivò mai a trovare un produttore e finì per diventare una delle sceneggiature più belle mai scritte ma al contempo per molto tempo mai arrivate su grande schermo. In anni recenti, Tommy Wirkola, regista di alcuni film bizzarri come Hansel e Gretel: Cacciatori di Streghe, Dead Snow e Dead Snow: Red vs. Dead, ha ripescato la sceneggiatura e ne ha traslato la storia al femminile; la protagonista Noomi Rapace – che abbiamo visto in Sherlock Holmes: A Game of Shadows e in Prometheus di Ridley Scott – fu chiamata per il ruolo e ha dato vita, insieme ad altri attori di altissimo calibro come Willem Dafoe e Glenn Close, a questa bellissima storia futuristica affascinante, distopica e a tratti claustrofobica.

Anni di catastrofi e disastri naturali provocano disordine e carestie in tutto il mondo, ma la scienza arriva in soccorso alle crisi alimentari e, grazie a sofisticate tecniche scientifiche, gli scaffali dei supermercati tornano riforniti e colmi per venire incontro alle domande dei consumatori. Tuttavia l’alterazione della natura provoca negli umani alterazioni di DNA e, come conseguenza, si assiste a una crescita di malformazioni ma soprattutto dei parti plurigemellari. La popolazione aumenta a dismisura e, per non cadere ancora una volta nelle recenti crisi, viene applicata la legge del figlio unico; dal 2043 tutti i nascituri saranno figli unici, le nascite tracciate con un braccialetto elettronico e, nel caso di gravidanze indesiderate o parti gemellari, i secondi nati, intorno al loro settimo anno d’età, prenderanno parte al programma di crio-sonno, programma che li indurrà in uno stato onirico per anni per essere poi reimmessi nella società appena la demografia lo consentirà, godendo se non altro di una società più avanzata, tecnologica e migliorata. Intorno a questo periodo, una donna che risponde al nome di Karen Settman, dà alla luce sette gemelle, tutte identiche fra loro come delle gocce d’acqua, morendo durante il parto. Terrence Settman, il padre interpretato da Willem Dafoe, decide di adottare le sette bambine, visto che la donna non era più in buoni rapporti col marito, e di chiamarle come i giorni della settimana. Più in là scopriremo che Terrence aveva deciso di non rivelare le nascite al Child Allocation Bureau e così, con particolare ingegno, riuscì a mascherare le sette ragazze dietro adun’unica identità, ovvero quella di Karen Settman, la loro madre, facendole uscire di casa una alla volta a seconda del nome corrispondente al giorno della settimana. Le sette sorelle Settman (chissà che non sia un caso che si chiamino proprio Sett-man) hanno vissuto per anni dietro l’identità di Karen Settman ma sono a un punto in cui le loro personalità cominciano a emergere e la vita dietro a un’unica identità comincia a pesare ad alcune di loro; la maschera di Karen regge, ma è fragile, un’identità composta da sette personalità ma senza che una prevalga o abbia una volontà vera e propria, una vita di regole, precauzioni, prevenzioni, continui voltarsi le spalle e report a fine giornata per far sì che il resto delle sorelle apprenda ciò che la “sorella del giorno” ha vissuto per poter dare credibilità all’identità di Karen Settman. Per quanto queste si lamentino e condannino il sistema che le costringe a questa vita, non possono far molto, se non continuare a far finta di essere la Karen Settman che il governo conosce; in fondo Karen lavora in una banca e tecnicamente non le manca niente ma la sua vita è finta e ciò è sentito in maniera particolare da Giovedì, la più irrequieta ed eversiva delle sette sorelle, probabilmente la più diversa e che non vuole più accettare compromessi (se non altro nominata secondo il giorno dedicato a Giove, irrequieto e funesto Dio della guerra). Non è certamente per nulla facile fare quello che ha fatto Noomi Rapace che ha interpretato tutte e sette le sorelle Settman, grazie a un ingegnoso uso dei green screen, controfigure e a una recitazione profonda per ognuna delle protagoniste. L’attrice svedese, a detta sua, si è divertita un sacco nei ruoli delle sorelle Settman, si è preparata per cinque mesi per le parti parlando un sacco di volte sia allo specchio che rispondendo a battute immaginarie nella quotidianità; l’impegno dell’attrice è evidente e i suoi sette ruoli sono restituiti con classe, distintamente e senza alcuna sbavatura. Ci sono tratti distintivi che spiccano per ogni ragazza, come la noncuranza di Sabato, la particolare bontà di Domenica e l’insicurezza di Martedì e Venerdì, ma ci sono anche tratti comuni a tutte le ragazze, come la compassione, la bontà d’animo e l’aiutarsi a vicenda l’un l’altra. Decisivo invece è stato l’utilizzo del green screen che ha permesso la realizzazione di scene così delicate, in cui la protagonista non doveva solamente rispondere alle sue stesse battute ma farlo con precisione e cura, guardando ad esempio nella direzione giusta o attendere il momento esatto per rispondere alla battuta di una sorella che aveva interpretato precedentemente. Non dimentichiamo inoltre la prestanza fisica dell’attrice che, parallelamente alle sue doti recitative, ha dovuto prepararsi fisicamente a delle scene d’azione infuocate, che per fortuna non scadono mai nell’assurdo per fini di mera spettacolarità.

Il film, sia tramite i dialoghi che con le scene d’azione, riesce molto bene a restituire quel senso di claustrofobia e persecuzione di un regime totalitario pronto a sopprimere qualsiasi cosa vada contro le loro regole: i cattivi sembrano agire per il meglio ma ciò che può sembrare il bene di tutti è in realtà una maschera per nascondere ciò che si cela veramente dietro “la sicurezza” e “l’ordine” che il Governo in carica propaganda. Nicolette Caymam, il capo del C.A.B. interpretata da Gleen Close, è infatti una persona costretta a essere gelida, pronta a tenere in mano la situazione e a tenere nascosta tutta la verità sulla propria candidatura ma che, in fondo, è dispiaciuta di non trovare altra alternativa per il bene dell’umanità, e, per quanto la legge del figlio unico possa sembrare anche a lei una barbarie, sa che questa è l’unica soluzione per tenere a freno quell’ondata demografica che non sembra fermarsi.
La fotografia è molto curata, in grado di restituire quel senso di grandezza che di fa sentire piccolo di fronte una città immensa, fra strade affollate e caotiche che quasi non fanno respirare. Tuttavia le ambientazioni, seppur molto belle e ben curate, sono un po’ noiose, già viste, nulla che ci faccia restare a bocca aperta o ci entusiasmi come in Blade Runner 2049. Le scenografie sono piene di strumentazioni ipertecnologiche che si fondono perfettamente agli ambienti e regalano alle scene della luce propria che accentua ancora di più il rapporto tecnologia-uomo ma, anche qui, nulla che non abbiamo già visto in recenti film. La colonna di Christian Wibe non è niente male, si adatta bene a ogni scena, non sfora mai oltre il rappresentato ed è sempre in tono con ciò che vediamo, anche se anche qui, come già per il comparto grafico, non riusciamo a gridare al capolavoro, per quanto belle le melodie che fanno da sfondo alla storia non offrono alcuna sonorità originale: si tenta, come in molti altri film, di travolgere lo spettatore con suoni forti e pomposi, ma alle musiche di questo film manca un timbro che possa conferir loro unicità e distinzione e questo stampo sonoro, comincia a stancare.

Insomma, Seven Sisters – il cui titolo al di fuori di Italia e Francia è What happened to Monday – sembra a primo acchito un film atto ad attrarre i fan dei superhero movie pieni di azione e di effetti speciali all’avanguardia ma in realtà è così: nonostante la grande produzione possa metterlo accanto ai film più frenetici di oggi, Seven Sisters regala una visione profonda allo spettatore, un’opera che va vista e commentata, una storia che può essere letta e vissuta da più punti di vista e che, attraverso ognuno di questi, può fornire una visione diversa di ogni situazione rappresentata. Seven Sisters è sicuramente un film per gli amanti del cyberpunk, e dunque di film come Blade Runner, Brazil, Strange DaysIl Quinto Elemento ma anche I Figli degli Uomini; è un film con un contenuto molto solido che offre solide riflessioni, tante prospettive e che pone questioni su diversi temi quali l’amore per la vita, la libertà d’opinione, la vita in tempi critici e se e in che misura anche in questi casi il fine possa davvero giustificare i mezzi. Le visual e le musiche di questo film sono molto belle ma, come già ribadito, non raggiungono particolari picchi emozionali né si stagliano nell’immaginario dello spettatore; il film risulta vagamente approssimativo in questi aspetti e anche un po’ piatto. Tanti, troppi elementi già visti, possibilmente fatti anche meglio, ma triti. In compenso, il film offre una storia veramente bella da godere e tanti spunti per un bel dibattito post visione con gli amici, ed è certamente un’opera da vedere perché non lascerà alcuno indifferente alla sua visione.




Blade Runner 2049

Era il 1982 quando il capolavoro di Ridley Scott uscì nelle sale cinematografiche di tutto il mondo; Blade Runner non solo fu un pioniere dell’effettistica sempre più presente nei film di Hollywood ma ebbe un impatto culturale senza precedenti. Blade Runner divenne un punto di riferimento per la cultura cyberpunk, stile i cui tratti caratterizzanti sono la fantascienza, il post-modernismo nonché la psichedelia e il romanticismo; mondi utopici in cui gli uomini, anche se serviti in tutto e per tutto dalla tecnologia, perdono il contatto con sé stessi e l’individuo diventa piccolo, insignificante, isolato in una società il cui rapporto fra essere umano e tecnologia si intreccia così tanto da non esserci più un confine fra questi ultimi. L’uomo diventa macchina e la macchina diventa umana. Blade Runner divenne presto un film di culto, uno dei film più protetti di Hollywood e che ben presto acquisì un aurea di intoccabilità e perfezione che oggi gli permettono lo status di leggenda. La pellicola, come è normale che succeda, ha influenzato diverse opere cinematografiche successive come Terminator del 1984, Brazil del 1985, il Quinto Elemento del 1997, e in oriente la sua ispirazione è chiara in manga e anime come Akira del 1988 e la serie di Ghost in the Shell che ha visto quest’anno una nuova reiterazione cinematografica. Gli elementi del film sono anche ben visibili in diversi videogiochi come Flashback: the quest for identity del 1993, Beneath a Steel Sky del 1994 e l’acclamato Snatcher del 1989, gioco creato dal celebre Hideo Kojima e la cui similitudine con la pellicola è palese. L’idea di un sequel fu considerata dal regista Ridley Scott per molti anni finché in anni recenti questo progetto si andò a concretizzare pian piano: l’acquisizione dei diritti da parte della Alcon Entertainment nel 2011, il coinvolgimento del regista e di Harrison Ford nel 2012, fino alla conferma del sequel avvenuta nel 2015 con il titolo Blade Runner 2049 e con Denis Villeneuve come regista. L’annuncio di questo film divise i fan più devoti del regista e della pellicola: ci furono (e ci sono ancora) quelli che videro in Blade Runner 2049 la solita mossa commerciale hollywoodiana, l’ennesimo revival nostalgico per attirare nuovi fan o il reboot mascherato da sequel innecessario, e quelli che non vedevano l’ora di riimmergersi in quella Los Angeles futuristica e rivedere il caro vecchio agente Deckard alle prese con un nuovo caso da risolvere. I nuovi trailer, usciti per il lancio nelle sale cinematografiche, hanno forse allontanato ancora di più gli scettici con ancora un briciolo di speranza per il film, mostrando diverse scene d’azione e montate come un qualsiasi film hollywoodiano. Ma Blade Runner 2049 è davvero un film come gli altri?

Piccola nota: gli eventi del film sono preceduti da tre corti, commissionati da Villeneuve stesso, che raccontano di alcuni eventi avvenuti fra Blade Runner e Blade Runner 2049. La visione di questi non è fondamentale per la comprensione del film, tuttavia sono un bellissimo extra da godere prima o dopo la visione del nuovo film al cinema, specialmente il corto animato 2022: Black Out diretto da Shinichiro Watanabe, creatore della serie anime Cowboy Bebop. Il film si apre con una nota che ci spiega che, dopo gli eventi di Blade Runner, la Tyrell Corporation, che produceva i replicanti Nexus-6, è fallita ma che questa è stata assorbita dalla Wallace Corporation che promise alla gente dei replicanti più obbedienti e sicuri. La storia poi si sposta al 2049, anno in cui il nostro protagonista K, un replicante di ultima serie interpretato da Ryan Gosling, è alle prese con un “ritiro” di un vecchio replicante, tale Sapper Morton interpretato dall’ex pluri-campione WWE Dave Bautista. Da questo evento partirà successivamente l’indagine di K dopo che egli, nel luogo della missione, avrà fatto una scoperta molto particolare. Da qui parte il vero film il cui pacing è degno dell’originale; Blade Runner 2049 è un film che si sviluppa lentamente esattamente come un film noir, senza annoiare o confondere le idee dello spettatore. Come il suo predecessore –  ma questo lo si poteva benissimo immaginare – non è un film semplice da seguire, la pellicola chiede allo spettatore un po’ più del minimo dello sforzo mentale, giusto quel po’ per renderci parte dell’indagine del protagonista rendendo noi stessi spettatori protagonisti della pellicola. Da protagonisti ci sentiremo veramente immersi in quelle atmosfere mastodontiche del film, volando sulla nostra Spinner fra i palazzi giganteschi della Los Angeles del 2049 e camminando fra le affollatissime strade piene di gente di ogni tipo e stuzzicherie che producono fortissimi odori. Da questi scenari dispersivi si passa anche alla sede  della Wallace che, al contrario degli stereotipati laboratori futuristici, vengono rappresentati ambienti minimali dalla scenografia povera. Qui gli ambienti hanno un che di templare un po’ come a sottolineare il fatto che dai laboratori Wallace nasca la vita e dunque si ha proprio l’impressione di trovarsi in un luogo sacro dove hanno luogo i miracoli della scienza; set dunque ideali per gli ambiziosi personaggi Luv e il proprietario Niander Wallace, rispettivamente interpretati dagli eccezionali Sylvia Hoeks e Jared Leto. Questa maestosità nelle scenografie è accompagnata dall’altrettanto maestosa colonna sonora composta da Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch; i temi classici di Vangelis fanno ritorno in questo nuovo film ma, ovviamente, la pellicola include nuovi bellissimi brani composti appositamente per essa. Come si sa le musiche di Hans Zimmer sono sempre molto epiche e solenni come lo si può evincere dalle colonne sonore delle serie di film Pirati dei Caraibi, la trilogia di Batman di Christopher Nolan e il recente Dunkirk; tuttavia, nonostante il compositore del film emuli perfettamente lo stile tipico della soundtrack del primo capitolo, l’assenza del tocco dolce di Vangelis si sente e la classica pomposità tipica di Zimmer potrebbe risultare a tratti un po’ fastidiosa in un film del genere. C’è un’alchimia evidente fra film e colonna sonora, però probabilmente non c’è quel tocco misterioso e introspettivo della musica del primo capitolo e che dunque portava un film come Blade Runner fuori dagli schemi. Purtroppo film moderni necessitano di colonne sonore moderne e, comunque sia, Hans Zimmer consegna una colonna sonora ben fatta e ben ispirata anche se manca di leggerezza. Parlando dunque di modernità è giusto volgere uno sguardo al cast del film e all’obbiettivo che questo film si pone: Blade Runner 2049, un po’ come è avvenuto in Star Wars Ep 7: tTe Force Awakens, è un film che, sì, porta ad oggi un’eredità passata, un revival di un qualcosa di tanti anni fa, ma lo fa utilizzando principalmente attori recenti. Siete in grado di contare quante volte abbiamo citato il nome di Harrison Ford in questo articolo? Giusto una volta! I più nostalgici che hanno in mente di guardare un film in cui l’agente Rick Deckard è al centro delle vicende del film rimarranno abbastanza delusi, ma in senso buono: se la storia dovesse continuare questo film è un vero e proprio passaggio di testimone, dal cast storico al cast nuovo pronto ad emozionare in una maniera nuova ma sempre fedele ai temi originali del film. Il cast è stato veramente azzeccato, gli attori lavorano insieme perfettamente e con Blade Runner 2049 hanno sicuramente confermato ancora una volta le loro grandi capacità recitative e che sono in grado di portare la serie verso nuovi orizzonti per il futuro. Harrison Ford, e con lui del cast originale giusto Edward James Olmos e Sean Young, non è veramente al centro di questo film ma questo è decisamente un bene; Ford dimostra (ed ha già dimostrato in Star Wars Ep. 7) che è in grado di mettersi da parte, lasciare spazio ad attori più giovani e talentuosi ma soprattutto catalizzare la storia ed essere di supporto al protagonista che si dimostra decisamente all’altezza del ruolo, così come tutto il cast. Portare avanti il nome di Blade Runner comporta una grossa responsabilità ma il cast è stato decisamente all’altezza delle aspettative.

Blade Runner 2049 ha decisamente sofferto di dubbie scelte di marketing: in fase di promozione si è deciso di mostrare un lato del film poco interessante, un lato pieno di azione intento solo a stupire. Come già detto, Blade Runner 2049 – come del resto il primo Blade Runner – è un film lento e le scene d’azione che imbottiscono i trailer sono veramente poche, o meglio, poche in relazione alla durata del film (ben 2 ore e 43 minuti). Purtroppo in un epoca in cui i revival funzionano bene o falliscono miseramente Blade Runner 2049 si è decisamente posto male allontanando principalmente chi aveva adorato il film originale; questo nuovo film è veramente degno del precedente ma purtroppo, per avvicinare nuovo pubblico, hanno montato dei trailer pomposi che non hanno ben poco a che vedere con la pellicola. Questo è un film in grado di convincere specialmente i più scettici, un film che ha dimostrato di proiettarsi verso il futuro senza dimenticarsi della formula originale; Blade Runner 2049 è un film che spezza la monotonia e che in uno scenario in cui i revival sono all’ordine del giorno, si distingue con classe e si pone ad una spanna sopra gli altri. Per una migliore visione del film inoltre consigliamo di vederlo in 2D poiché Blade Runner 2049 è un film molto visuale, molto iconico, e probabilmente lo sforzo mentale richiesto per la fruizione del film permette un’immersione ancora più reale e viva, l’effetto stupore possibilmente è meno immediato ma più soddisfacente; gli occhiali 3D sicuramente faranno la loro bella figura ma un’immediata immersione con gli occhiali 3D è forse sconsigliabile per un film lento e che necessita molta attenzione. Blade Runner 2049 è certamente uno dei titoli più caldi del mese di Ottobre e che merita assolutamente di essere visto.