Sekiro: Shadows Die Twice – La Strana Cultura del Masochismo
Sono passati ormai poco più di dieci anni da quando Hidetaka Miyazaki ha definito un nuovo genere con Demons’ Souls, esclusiva PlayStation 3 che ha riscritto il concetto di sfida per i videogiocatori, con il protagonista (il giocatore stesso), immerso in un mondo a lui quasi sconosciuto, scoprendo il proprio destino tra mille difficoltà e ostacoli quasi insormontabili. Questo setting diede modo all’autore di portare avanti il proprio progetto con la trilogia di Dark Souls prima e Bloodborne poi.
Sekiro: Shadows Die Twice è però tutt’altro: l’iniziale strana partnership con Activision ha creato un prodotto sicuramente più accessibile ma anche dannatamente malvagio, in grado di far selezione già a partire dalle prime ore di gioco. Ma una volta superati tutti gli ostacoli, Sekiro è senza dubbio una delle migliori produzioni del 2019.
Dark Souls… in Giappone
Il Giappone dell’epoca Sengoku non è nuovo per le trasposizioni videoludiche (vedi Nioh), ma quando c’è lo zampino di From Software, tutto prende un’altra piega. Ogni elemento risulta nuovo, grazie alla solita spruzzata di dark fantasy che in questo caso rende la terra natia dell’autore un luogo magico e terrificante al tempo stesso. Anche all’interno di Sekiro: Shadows Die Twice ritroviamo gli elementi classici della poetica di Miyazaki: tra sangue, draghi, predestinazione ci si sente a casa anche se, la narrativa è decisamente più diretta. In questa produzione infatti, prendiamo le vesti di un personaggio con un proprio background narrativo e una sua caratterizzazione, uno shinobi caduto in disgrazia e che si troverà invischiato in situazioni ben più grandi di lui. Tutto viene raccontato attraverso cutscene, attraverso classici dialoghi con NPC (dotati di elementari animazioni labiali), level design e ovviamente attraverso le descrizioni degli oggetti, meno criptiche rispetto ai souls e in grado di arricchire una storia che si presenta ben più complessa di quanto sembri. Il mondo mostrato da From Software è dunque pieno di sfaccettature, ricco di NPC e di scelte più o meno velate che porteranno (dopo circa una quarantina di ore) a uno dei quattro finali disponibili.
Miyazaki dunque riesce a portare avanti il proprio pensiero riuscendo a portare anche in questo frangente un puzzle di storie, sentimenti e pericoli… più di quanto pensiate.
Weregame
Iniziamo col dire che proviamo pietà per tutti coloro che si approcciano a un titolo From Software per la prima volta, partendo proprio da questo. Al contrario delle precedenti opere infatti, in cui sin da subito venivano messe le cose in chiaro, qui le cose sono un po’ diverse. Si è discusso tanto della partership con Activision e per chi ha dimestichezza con le idee di Miyazaki, si riesce a capire benissimo chi abbia influenzato cosa. Ad esempio, sin dai primi momenti, tutto viene spiegato in maniera molto chiara, fornendo indicazioni utili sulla trama e sugli scopi da perseguire. Vi è persino una sezione allenamento dedicata, sfruttando un malcapitato non-morto che per sua volontà, verrà violentato dai colpi della Sabimaru, la Katana del nostro Sekiro. L’impressione è che l’ultima produzione “From” sia in qualche modo rivolta a un pubblico ben più vasto del solito, cercando di venir incontro anche ai “casual gamer” che non vogliono star ore a rimuginare su una singola frase presente in una descrizione di un oggetto. E così, invogliati a proseguire, quasi accompagnati per mano, ci accingiamo a entrare nel magico Giappone dell’Era Sengoku sino a quando, quella stessa mano, ce la si ritrova in faccia con maestosa e violenta potenza.
Tagliamo subito la testa al “Toro Infuocato”: Sekiro: Shadows Die Twice non è un gioco per tutti. Anche chi si è dilettato con i vari souls o Bloodborne si troverà di fronte a una cattiveria e malvagità senza precedenti, in cui ogni singolo errore può essere fatale.
Sekiro è qualcosa di completamente diverso, a cominciare dallo stile di combattimento, votato più all’azione offensiva che all’attesa, sfruttando le tante novità offerte dal titolo From Software. Niente stamina prima di tutto e questa è una mancanza a cui bisogna abituarsi in fretta: il poter attaccare, schivare o correre senza sosta è qualcosa di nuovo in questi frangenti e, se all’inizio questa libertà può dare alla testa, ci si accorge immediatamente di come un approccio sbagliato porti a un solo e singolo esito: morte. Ogni errore costa caro e riconoscere al più presto le movenze del nemico è assolutamente fondamentale. Il combattimento è dunque una danza, fatta passi leggeri, salti leggiadri e deviazioni effettuate al millisecondo. È questo il segreto di Sekiro, in cui è possibile anche parare i colpi avversari, ma a vostro rischio e pericolo: anche se invisibile, nelle serie precedenti, vi era una sorta di contatore di “equilibrio” che una volta sceso a zero, dopo aver ricevuto numerosi colpi, si entrava in una fase di stordimento che rendeva inevitabile qualsiasi colpo critico. Questo concetto, qui, viene estremizzato, portando addirittura a vista suddetta barra, denominata della Postura. Ogni colpo la danneggia e più si è feriti più lentamente si ricaricherà. Per evitare di rimanere brutalmente uccisi o facilitare l’eliminazione del nemico, sarà necessario imparare la deviazione (una sorta di parry), che infligge danni alla postura altrui riducendone i nostri. Bisogna tenere alta la soglia d’attenzione di ogni singolo movimento avversario, studiarlo e trovare soluzioni ma fortunatamente, abbiamo a disposizione alcuni strumenti in grado di aiutarci, utilizzabili attraverso la cosiddetta Protesi Shinobi, un arto meccanico in grado di ospitare diversi dispositivi – curioso come nel giro di pochi giorni abbiamo avuto come protagonisti due personaggi (Nero e Sekiro) con medesime caratteristiche –.
Ogni attrezzo shinobi, da una potente ascia a uno scudo in grado di respingere i proiettili avversari, possiede un proprio albero dei potenziamenti e altrettante caratteristiche; ognuno di essi può essere ovviamente adeguato o meno per il nemico che stiamo affrontando ma fortunatamente intercambiabili in tempo reale (per un massimo di tre strumenti) oppure sostituiti attraverso il menu (il gioco va in pausa). L’utilizzo di questi strumenti ampia a dismisura il gameplay, sopperendo in qualche modo alla mancanza di altre armi da utilizzare, avendo come sola e unica arma principale la Sabimaru. Tralasciando alcuni elementi tradizionali come fiaschette curative e oggetti di potenziamento, Sekiro è nuovo anche dal punto di vista dei movimenti, contando su una mobilità senza precedenti, sfruttando un level design che fa della verticalità il suo marchio di fabbrica. Il rampino del braccio prostetico è vitale non solo per l’esplorazione ma anche per tendere agguati o fuggire come un lampo; da notare come per scelta precisa di From Software è possibile appigliarsi solo in punti strategici, decisi a priori. Questo limita sì la libertà concessa al giocatore ma ha altresì permesso uno studio più attento della posizione di nemici e del protagonista all’interno del contesto, presentando le soluzioni migliori al videogiocatore.
Essendo uno shinobi, lo stealth entra prepotentemente all’interno del design del gioco; del resto Sekiro è in qualche modo una reminiscenza di un nuovo Tenchu. Abbiamo a disposizione un comando dedicato alla “postura stealth”, elementi ambientali da sfruttare e ovviamente le alture per monitorare le zone. Queste sezioni funzionano abbastanza bene in generale, permettendo di liberare potenzialmente una zona senza essere visto oppure origliare, carpendo informazioni utili per il prosieguo. Il problema deriva però da un’intelligenza artificiale che di certo non aiuta, con personaggi in grado di non accorgersi di una violenta morte a pochi passi ma di allarmarsi in gruppo a centinaia di metri di distanza. Tutto risulta purtroppo mal calibrato e soprattutto poco approfondito, nonostante lo sblocco di abilità a essa dedicate. Proprio queste abilità, unite a quelle offensive e speciali sono il modo con cui il nostro personaggio può evolvere e migliorare, unito alla possibilità di aumentare vitalità, postura e forza d’attacco solo ed esclusivamente attraverso l’ottenimento di oggetti chiave.
Infine arriviamo all’elemento più controverso, il concetto di morte che per From Software è molto caro. Resuscitare, oltre che elemento narrativo, è qualcosa che bisogna imparare a sfruttare a livello strategico. In certi frangenti la morte può salvarvi la vita ma bisogna fare tremenda attenzione. Una morte sfrutta un nodo speciale che può essere ricaricato attraverso il riposo agli Altari dello Scultore (Falò) o attraverso i colpi critici inferti ai nemici. Ritornare in vita ha delle conseguenze, non solo su Sekiro (percentuale di monete ed esperienza persa per sempre), ma anche sul mondo di gioco che in qualche modo può ricordare la Tendenza dei mondi di Demon’s Souls.
Sekiro: Shadows Die Twice è dunque un titolo completo sotto tutti i punti di vista, nonostante sia lontano dalla varietà dei souls. Ma queste sue caratteristiche, in qualche modo, rendono l’esperienza di gioco comunque unica per ogni giocatore, che potrà comunque sfruttare ciò che ha imparato nel new game + o in qualche futura espansione che siamo sicuri, arriverà.
Kintsugi
From Software non ci ha abituato a titoli “spacca-mascella”, cosa che si riconferma anche in questo frangente. Nonostante però non vanti qualità visive di altri titoli, in qualche modo, non se ne sente ne la mancanza, ne il bisogno. La capacità della casa di Tokyo di rendere memorabile qualunque anfratto degli ambienti di gioco e dei personaggi, nonostante texture, shader e luci poco a passo coi tempi, è sorprendente, con l’impressione abbastanza concreta che tutto sia costruito mettendo in cima alla lista la direzione artistica prima di qualunque altra cosa. Tutte le sezioni presenti hanno una loro personalità, dai valichi innevati a lugubri villaggi, dove noi, assieme a Sekiro, possiamo immergerci alla stessa maniera con cui in Dark/Demon’s Souls affrontavamo una nuova zona. Il level design, benché colleghi meno tutto l’ambiente di gioco, è come da tradizione su altissimi livelli, ricchi di scorciatoie, segreti, tutto studiato per essere affrontato nella migliore maniera possibile. Ma vi è un’altra tradizione, anche se di stampa negativa: i difetti classici delle serie precedenti permangono, come compenetrazioni letali e la gestione della telecamera, senza dubbio migliorata ma ancora non perfetta, rendendo alcuni scontri ancor più difficili di quanto siano.
Sul fronte audio, ritorna il doppiaggio italiano, che svolge un buon lavoro cercando di replicare in qualche modo la solennità di certi dialoghi e la psicologia di Sekiro, un uomo distrutto, che dopo aver perso qualunque stimolo, ritrova un proprio scopo. In qualche modo però, la lingua originale (giapponese) riesce a restituire qualcosa in più, probabilmente grazie al contesto generale e a doppiatori forse un po’ più in parte. Menzionando il suono di deviazione della Sabimaru che presto diventerà iconico, le musiche svolgono un ruolo chiave, presenti anche come accompagnamento ambientale. Ovviamente è durante le boss fight che questa componente da il meglio, comunicando sempre qualcosa su chi stiamo affrontando, tra musiche auliche, malinconiche ed evocative.
In conclusione
Sekiro: Shadows Die Twice è semplicemente il titolo più malvagio prodotto da From Software. Nonostante un’accessibilità facilitata, probabilmente su direttive Activision, Sekiro è qualcosa che raramente si vede all’interno del mercato videoludico, qualcosa che se ne infischia della massa e capace di far selezione già dalle prime ore. Ma se si è perseveranti, pazienti e abbastanza abili, vi ritroverete tra le mani una perla, un gioco maestoso sporcato soltanto dai difetti tipici delle produzioni From Software, alla quale probabilmente non vuole (o sa) porvi rimedio. Nonostante questo, Sekiro: Shadows Die Twice rimane senza dubbio nella top tre del 2019, nonostante l’anno, sia appena iniziato.
Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Sapphire Radeon RX 580 8GB NITRO+ Special Edition
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10
Bloodborne: l’incubo di H.P. Lovecraft
Di Hidetaka Miyazaki abbiamo parlato tanto, un uomo che ha aperto la strada ai souls-like grazie a Demon’s Souls, prima, e la trilogia di Dark Souls dopo. Ma c’è un’opera in particolare che l’ha consacrato come uno dei migliori autori videoludici contemporanei, creando una delle maggiori esclusive PlayStation 4 di successo: Bloodborne.
Sin dai suoi primi trailer, il titolo colpì sin da subito per ambientazioni intrise di un misto fra gotico, vittoriano e la classica spruzzata di dark fantasy che qui trova il suo picco. Eppure fu altro ad attirare l’attenzione, dei legami forse all’inizio flebili ma che man mano sarebbero risultati palesi: l’influenza di uno dei più grandi scrittori horror e di fantascienza del ‘900, ben presto saldarono un legame inaspettato tra Miyazaki e H.P. Lovecraft, un’unione perfetta che oggi sviscereremo.
Attento a ciò che desideri
Nato nel 1890 a Providence (Stati Uniti), Howard Philips Lovecraft è uno scrittore che, come in molti casi, ebbe maggior fortuna e successo solo dopo la sua morte (1937), divenendo vero e proprio autore cult dei nostri tempi per tutti gli amanti dell’horror, dark fantasy e fantascienza. Tra i temi principali delle sue narrazioni spicca la ricerca della conoscenza definita dall’autore “proibita”, in quanto, una volta ottenuta, il destino non è dei più auspicabili. Ne Il Richiamo di Cthulhu (1926), infatti, è proprio l’ignoranza la vera salvezza dell’uomo, intesa come l’incapacità di mettere assieme i vari pezzi del puzzle cosmico, un fattore misericordioso, capace di tenerci lontano dalle oscure verità che si celano al di là dei neri mari dell’infinito. Fondamentale è anche il tema del sogno e la struttura onirica derivante, protagonista in molte opere dello scrittore statunitense e, soprattutto, la filosofia del Cosmicismo, un pensiero tangente al nichilismo, che converte la mancanza di significato in insignificanza, della quale l’uomo è all’oscuro. Secondo Lovecraft, infatti, l’essere umano non è altro che una particella dell’infinito, tanto che se la nostra specie dovesse un giorno scomparire nessuno lo noterebbe. Nessuna scienza, fede o conoscenza porterà l’uomo ad avere un posto di rilievo nel Cosmo. Questi temi dunque, sono quelli che si legano maggiormente l’autore di Providence a Bloodborne e Miyazaki, che ne ha mescolato il pensiero con le opere di Heidegger ed Ernst Jünger, è riuscito a trasporre in maniera coerente l’ideologia e il simbolismo dell’intera struttura narrativa “lovecraftiana”.
Punti intuizione, conoscere l’inconoscibile, i Grandi Esseri, le mutazioni, l’Incubo, non sono altro che la realizzazione di un pensiero preciso e forse condiviso tra i due autori.
«La più antica e potente emozione dell’uomo è la paura e, la più antica e potente paura, è la paura dell’ignoto.»
«Temi ciò che non comprendi. Temi il sangue Antico.»
Con queste due frasi, appartenute a Lovecraft e a Maestro Willem, fondatore dell’Accademia di Byrgenwerth in Bloodborne, apriamo la nostra analisi di un’opera che non solo trae ispirazione dagli scritti di H.P. ma riesce anche ad andare oltre.
The call of the Moon Presence
L'”andare oltre” è stato possibile grazie a un’opera interattiva come il videogioco. Si è discusso a lungo di come “l’ottava arte” possa intersecarsi con opere di natura diversa, approfondendone diversi aspetti, esaltandone qualità o elaborandone il potenziale in nuce. Questo è ciò che è avvenuto con Bloodborne, un’opera che, come da tradizione From Software, è indicata a chi sa ascoltare e leggere attraverso i simboli, traendone conclusioni una volta terminato il gioco più volte.
Tutto ciò che troviamo a Yharnam lo si deve ai Pthumeriani, esseri capaci di raggiungere una conoscenza superiore, grazie alle tracce di entità “aliene”, potenti e capaci di interagire su piani diversi dell’esistenza. L’ascensione verso i Grandi Esseri fu un evento fondamentale ma uno di essi in qualche modo rimase indietro, generando gli eventi iniziali di Bloodborne. La scoperta di questo Grande Essere (Ebrietas) avviò uno scontro di idee tra Maestro Willem e il suo allievo prediletto, Laurence, in una dialettica che è metafora di uno scontro tra scienza e fede. Entrambi infatti, capirono l’enorme possibilità che si era appena aperta ai loro occhi: elevare la specie umana, al fine di scoprire i significati più reconditi dell’esistenza. Ma mentre Willem attuò tale idea attraverso lo studio dei Grandi Esseri, cercando di “allineare” occhi e mente per svelare il nascosto, Laurence intraprese un’altra via, seguente a un’incredibile scoperta avvenuta nei sotterranei della città di Yharnam. Una volta trovato il Sangue Antico, Laurence comprese che l’unico modo per raggiungere i Grandi Esseri era quello di utilizzare questa sostanza dalle proprietà incredibili, capace di curare qualsiasi male. Nacque così la potente Chiesa della Cura, che la distribuì come fosse una benedizione concessa dagli dèi (avvenimento simile nel ciclo dei Miti di Cthulhu). Inutile dire che il Sangue Antico rivelò conseguenze inaspettate. Ma in realtà la questione è un’altra: il Sangue Antico è qualcosa che deve essere temuto, l’umanità non è pronta ad aprire gli occhi, e questa è una cosa che Willem e Laurence sanno molto bene. Ma quest’ultimo, decide comunque di andare oltre. Possiamo affermare che l’elevazione dell’uomo non avviene tramite l’utilizzo della “benedizione” divina ma attraverso il superamento delle proprie paure nei confronti delle divinità che, ben presto, divenne pura e semplice arroganza. Non a caso, il rapporto con le divinità in Lovecraft è una delle chiavi per la comprensione della sua poesia, che si evolverà al punto da divenire vero e proprio Misoteismo, la visione negativa e malvagia degli dei.
Al nostro primo ingresso tra le vie di Yharnam tutto questo ha già trovato una connotazione ben precisa: gli uomini curati si trasformarono in bestie e qualcosa di potente ma inconoscibile sta per arrivare (o è già arrivato). Proseguendo, scopriamo che Maestro Willem è riuscito nel suo intento, riuscendo a svelare la natura dei Grandi Esseri e forse, i loro piani: la riproduzione. Forse è dovuto a questa scoperta la creazione di Rom, unica barriera dimensionale capace di fermare l’ingresso dei Grandi Esseri nel nostro piano esistenziale. Infatti, proprio dopo la sua eliminazione, l’inganno viene svelato, entrando nella dimensione della Presenza della Luna, probabilmente architetto di tali incubi. È qui che la visione onirica degli scritti di Lovecraft raggiunge il suo picco in Bloodborne: quello che viviamo all’interno del gioco è sempre una realtà (sogno o incubo) generata da qualcun’altro e, via via, riusciremo a infrangere le varie barriere in cui si intersecano le varie dimensioni. Questo è possibile anche grazie all’utilizzo delle Rune, descritte come la trascrizione in simbolo della voce dei Grandi Esseri e palese collegamento alle iscrizione su pietra ne Il Richiamo di Cthulhu.
Noi siamo i Grandi Esseri
Lo scopo del Sogno del Cacciatore è quello di eliminare un Grande Essere o, se volete, una divinità. Siamo ben lontani dalle azioni di Kratos in quanto, non cerchiamo vendetta, non cerchiamo comprensione verso noi stessi e ben che meno sollievo. La morte della divinità non rappresenta nemmeno la decadenza di Yharnam, come poteva essere nel caso della morte di Dio in Nietzsche. La fine del Grande Essere segna la libertà, il potere di decidere il proprio destino, elevandoci però, a un Grande Essere noi stessi una volta consumati tutti i cordoni ombelicali. Se il nostro alter ego evoluto sarà una presenza benevola o malevola non ci è dato saperlo, ma è interessante notare come l’unica scappatoia alla comprensione totale del mondo sia diventare ciò che non vorremmo essere, quasi seguendo la filosofia degli “oppressi oppressori”. Negli altri finali avremo l’opportunità di risvegliarci dall’incubo grazie e solo alla nostra morte per mano di Gehrman, il Primo Cacciatore, ma potremo divenire anche i nuovi burattini della Presenza della Luna, alla ricerca di qualcuno che elimini altri Grandi Esseri.
Ma c’è molto di più.
All’interno del titolo, due sono i consumabili più importanti: le Fiale di Sangue per ripristinare punti vita e i Punti Intuizione, necessari per comprendere il mondo intorno a noi e svelare l’inimmaginabile (ma portandoci alla Follia). Abbiamo bisogno di entrambi e, come abbiamo detto, entrambi gli oggetti vengono da idee contrapposte. In poche parole l’elevazione dell’umanità, è possibile solo attraverso l’unione di scienza e fede, capaci di completarsi a vicenda, svelando i punti nascosti dell’una o dell’altra. Ma, come Lovecraft insegna, tutto ciò non fa altro che portare alla follia o alla morte, vista anche come una sorta di liberazione, cosa che effettivamente avviene – come detto – in uno dei finali.
L’opera di Miyazaki va oltre Lovecraft. Bloodborne è un esperimento metaludico in cui le nostre azioni sono ben più significative rispetto al mero uccidere mostri per le vie di Yharnam. Ma con “le nostre azioni” non ci riferiamo alle azioni del nostro alter ego bensì alle nostre, quelle che compiamo da videogiocatori.
Il nostro alter ego agisce da protagonista delle vicende, alla ricerca di quel libero arbitrio reso insignificante dai Grandi Esseri. Ma così come il nostro personaggio è all’oscuro di essere una marionetta nelle mani di qualche divinità, così come per Lovecraft potrebbe essere l’essere umano, il personaggio è all’oscuro della nostra esistenza come videogiocatori e guida diretta delle sue azioni. Questo perché, essenzialmente, i Grandi Esseri siamo noi.
E se non c’è paura più grande dell’ignoto, questo potrebbe rivelarsi come atroce una volta compreso forse che Lovecraft c’era andato vicino e che Miyazaki non ha fatto altro che portare avanti il suo pensiero, forse trovando il coraggio di chiudere la frase dopo una virgola. Tutto quel che di spaventoso e inimmaginabile troviamo nelle opere lovecraftiane e in Bloodborne forse racchiude la risposta all’ignoto: ovvero che i mostri siamo noi.
E cosa c’è di peggio dello scoprire che tutto ciò che odiamo, disprezziamo, che ci terrorizza, è lì, davanti lo specchio?
Il mondo di H.P. Lovecraft nei videogiochi
Weird Fiction, il sottogenere letterario horror legato a doppio filo con Howard Philip Lovecraft, popolare scrittore americano che, con racconti come Il Richiamo di Cthulhu, L’orrore di Dunwich e La Maschera di Innsmouth ha ispirato vari media, come televisione, cinema e musica. Prendiamo per esempio i Metallica di The Call of Ktulu o gli Electric Wizard di Dunwich. Ma il culto di Cthulhu è applicabile ai videogiochi? Per chi non conoscesse i lavori di Lovecraft, basta sapere che gran parte dei suoi scritti sono basati sull’esistenza dei grandi antichi, ognuno di essi descritto in un libro chiamato Necronomicon, quest’ultimo protagonista di un cult cinematografico come L’armata delle tenebre, ma non solo…
Cthulhu Fhtagn
Partiamo dai primi anni ‘90, dove la francese Infogrames attinse a piene mani dalla mitologia “lovecraftiana”, con tre titoli, quali il primo Alone in the Dark del 1992, Shadow of the Comet dell’anno seguente e Prisoner of Ice del 1995. Nel primo titolo, fondamentale per l’evoluzione dei videogiochi, essendo il primo survival horror della storia, abbiamo delle atmosfere fortemente debitrici al lavoro di Lovecraft (che viene citato anche nei credit), oltre alla presenza del Necronomicon e del De Vermis Mysteriis nella libreria di Jeremy Hartwood, personaggio su cui si basa l’indagine da parte di Edward Carnby.
In Shadow of the Comet, avventura grafica ispirata ai giochi Sierra, oltre al ritorno del Necronomicon fa capitolino anche la città di Illsmouth ambientata nel New England (una delle ambientazioni preferite dello scrittore americano), chiaramente ispirata alla Innsmouth de La maschera di Innsmouth, oltre a varie creature e divinità del pantheon lovecraftiano. Chiudiamo la tripletta con Prisoner Of Ice, altra avventura grafica, questa volta basata su Le montagne della follia. Il titolo si collega al precedente Shadow of the Comet, visto che il suo protagonista John Parker assumerà un ruolo molto importante nelle avventure del luogotenente Ryan tra i ghiacci dell’Antartide.
Facendo un balzo avanti negli anni, troviamo dei riferimenti lovecraftiani anche su Fallout 4, il popolare RPG di Bethesda. Ci riferiamo alla missione della casa Cabot, dove scopriamo che i suoi abitanti hanno più di 400 anni! tutto questo grazie ad un antico manufatto trovato in Arabia Saudita nel 1800. Chiaro riferimento ad Abdul Al-Hazred, colui che per primo ritrovò il Necronomicon, ottenendo così sì la vita eterna, ma a scapito della propria sanità mentale.
Passando al franchise di South Park, i fan non sono nuovi al culto di Cthulhu, visto che il grande antico che riposa a R’lyeh appare in tre puntate della serie animata legate alla morte di Kenny. Ma nel recente Scontri Di-Retti, troviamo Shub-Niggurath (presente anche nel primo Quake), noto anche come “il capro nero dei boschi dai mille cuccioli”, e, coadiuvato dalla sua armata di cultisti, rappresenta uno dei nemici più ardui da sconfiggere dell’intero gioco.
Non è morto ciò che può giacere in eterno
Uno dei giochi più curiosi è Sherlock Holmes: Il risveglio della divinità, dove il popolare investigatore creato dalla penna di Arthur Conan Doyle questa volta si occupa di misteriosi rapimenti nella città di Londra: più avanti nell’avventura scopriremo un culto di adoratori di Cthulhu atti a risvegliare il grande antico con una serie di sacrifici.
Probabilmente, il titolo più conosciuto dell’iconografia videoludica lovecraftiana è Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth, uscito tra 2005 e 2006 per la prima Xbox e per PC: il gioco prende ispirazione dal pieno immaginario dello scrittore americano, da La maschera di Innsmouth, passando per Il richiamo di Cthulhu, Dagon e L’ombra venuta dal tempo, tra le tante opere. Ancora oggi viene ricordato per la sua dedizione al mondo di Lovecraft e per la sua meccanica che fa leva sulla follia e sulle allucinazioni mentali, meccanica che troveremo anche in giochi più recenti, come l’acclamatissimo Bloodborne di From Software.
Chiudiamo con due titoli, di cui uno in arrivo fra qualche mese: partiamo con Eldritch, titolo in prima persona che ricorda molto Minecraft, e che ci permette di esplorare mondi generati casualmente, ma abitati da creature prese dal mito di Cthulhu. E, come se non bastasse, già la citazione “lovecraftiana” del titolo, il DLC si chiama Mountains of Madness, esattamente come il racconto.
Gli occhi degli appassionati sono attualmente concentrati su Call of Cthulhu di Cyanide Entertainment: il titolo, presentato recentemente all’E3 2018 prende ispirazione anch’esso da La Maschera di Innsmouth e vedrà l’investigatore privato Edward Piece atto a indagare sulla tragica morte della famiglia Hawkings, verificatasi nell’isola di Darkwater, al largo di Boston. Il gioco sembra un sequel indiretto di Dark Corners of the Earth, cosa che mette in fibrillazione gli amanti di Lovecraft ma, prima della sua uscita, stabilita per ottobre 2018, citiamo direttamente il mito del grande antico: «Nella sua dimora a R’lyeh il morto Cthulhu attende sognando».
Annunciati i titoli PS PLUS di maggio 2018
Sono stati appena annunciati i titoli disponibili di maggio per gli abbonati al servizio PlayStation Plus. Il mese scorso Mad Max e Trackmania Turbo sono stati resi disponibili al download gratuito per tutti gli utenti PS+, mentre a maggio saranno presenti i seguenti titoli:
- Beyond: Due Anime (PS4)
- Rayman Legends (PS4)
- Risen 3: Titan Lords (PS3)
- Eat Them (PS3)
- King Oddball (PS Vita)
- Furmins (PS Vita)
Non è la prima volta che Sony rende disponibile una sua esclusiva, già nel mese di marzo protagonista del PS PLUS è stato Bloodborne, e adesso Beyond Two Souls, proprio in corrispondenza dell’uscita di Detroit Become Human, sviluppato proprio da Quantic Dream. I giochi per il PlayStation Plus saranno disponibili al prossimo aggiornamento settimanale, martedì 1 maggio.
Annunciati i titoli PS PLUS di aprile 2018
Il mese scorso è stato il turno di Bloodborne, ottima esclusiva Sony, e Ratchet and Clank, questo mese, però, i protagonisti non sono più delle esclusive, ma Mad Max e Trackmania Turbo.
Ecco l’elenco completo:
- Mad Max (PS4)
- Trackmania Turbo (PS4)
- In Space We Brawl (PS3)
- Toy Home (PS3)
- 99 VIDAS (PS Vita )
- Q*Bert Rebooted (PS3, PS Vita e PS4)
I giochi per il PlayStation Plus saranno disponibili al prossimo aggiornamento settimanale, martedì 3 aprile 2018.
Annunciati i titoli PS PLUS di marzo 2018
Anche questo mese Sony rende disponibili grandi giochi per gli abbonati al servizio PlayStation Plus, questo mese è il turno di Bloodborne, grande esclusiva Sony, e Ratchet and Clank, altra ottima esclusiva.
Ecco l’elenco completo:
- Bloodborne (PS4)
- Ratchet and Clank (PS4)
- Legend of Kay Anniversary (PS3)
- Mighty No. 9 (PS3 e PS4)
- Claire: Extended Cut (PS Vita e PS4)
- Bombing Busters (PS Vita e PS4)
Per gli abbonati al PS PLUS marzo sarà un grande mese, che per adesso si aggiudica la migliore libreria dei titoli PS+ del 2018.
I giochi per il PlayStation Plus saranno disponibili al prossimo aggiornamento settimanale, martedì 6 marzo 2018.
Nuovo teaser rilasciato da From Software
I fan di From Software aspettavano notizie sul progetto su cui sta lavorando lo studio e ieri notte ai The Game Awards è stato rilasciato un teaser criptico a riguardo: “Shadows Die Twice“.
Dal teaser possiamo trarre solo ipotesi: è probabile si tratti del seguito di Bloodborne, fra l’altro la pagina di Bloodborne ha condiviso il trailer e scritto “twice“, ma potrebbe trattarsi anche di una mossa per confondere le acque e annunciare un nuovo capitolo di Tenchu, di cui troviamo vari indizi come ad esempio i Kanji sullo sfondo di alcune immagini o certi suoni ambientali.
Vari titoli in cantiere per Japan Studio
Japan Studio è uno degli studi sussidiari più prolifici di Sony Computer Entertainment, capace di sviluppare giochi del calibro di Bloodborne, Gravity Rush Remastered, The Tomorrow Children, The Last Guardian, Gravity Rush 2 e titoli di prossima uscita come Everybody’s Golf and Knack 2. Durante un’intervista a IGN USA, il vicepresidente Allan Becker ha dichiarato che lo studio intende mantenere la prolificità degli ultimi anni e cha ha in sviluppo diversi nuovi titoli:
«Credo che Japan Studio possa avvalersi di molta gente talentuosa, ma per qualche ragione credo che siamo rimasti indietro sul piano della tecnologia, già dai tempi di PS2 e PS3. Japan Studio non stava producendo così tanti titoli al tempo. Con PS4 stiamo davvero cominciando a costruire quella tecnologia di cui siamo stati sprovvisti.
Non vorrei sbilanciarmi troppo ma con il lavoro Gravity Rush 2 e The Last Guardian credo che Japan Studio abbia raggiunto questa grande pietra miliare, e adesso ci sentiamo liberi di provare qualcosa di nuovo. Siamo verso il completamento di Knack 2 e il team interno sarà più libero di lavorare su nuovi titoli.»
Uno di questi è di certo il remake di Shadow of the Colossus, mentre i restanti sono divisi tra nuove IP e sequel di franchise già esistenti, come ha spiegato nella stessa intervista anche il presidente di SCE Worldwide Studios, Shuhei Yoshida.