Uno sguardo a Castlevania: Symphony of the Night

Castlevania è una delle saghe più classiche e importanti del landscape videoludico, una serie di giochi avvincenti che nel tempo si sono saputi reinventare, ponendo ai giocatori sfide sempre nuove grazie a meccaniche sempre fresche e innovative. I recenti successi del Kickstarter di Bloodstained: Ritual of the Night, avviato dal padrino della saga Koji Igarashi e il già uscito Curse of the Moon hanno spinto Konami a rivedere la loro IP dall’alto in basso in modo da riportare la storica saga dei cacciatori di vampiri al suo originale splendore, anche se con risultati hit or miss: l’anno scorso abbiamo visto l’eccellente serie anime su Netflix basata su Castlevania III: Dracula’s Curse (di cui dal 26 Ottobre saremo in grado di vedere la seconda stagione) un nuovo gioco su iPhone, Castlevania: Grimoire of Souls, ancora in beta ma comunque non ben visto dai giocatori, ma soprattutto il recente annuncio di Castlevania: Requiem, una collection contenente i due capitoli della sub-saga Dracula X, cioè Castlevania: Rondo of Blood, gioco originariamente concepito per PC-Engine CD, e lo storico Castlevania: Symphony of the Night per PlayStation. Quest’ultimo è stato in grado di rilanciare la saga in un landscape di giochi in 3D, un titolo che ha letteralmente gridato al mondo che con le formule classiche dei giochi in 2D si poteva fare ancora molto e, se oggi i sidescroller dai gusti retrò sono molto popolari, che siano platformer nel senso più classico o metroidvania, lo si deve in grossa parte a titoli come questi. Oggi su Dusty Rooms, vista l’imminente uscita di Castlevania: Requiem (anche questa, come la serie anime, giorno 26) e il 21esimo anniversario del rilascio di Symphony of the Night in nord America, daremo uno sguardo al titolo più importante della saga, alle innovazioni portate e anche alle diverse versioni disponibili.

Il metroidvania per eccellenza

Nel 1994 Super Metroid perfezionò un genere prima d’allora poco definito e poco popolare; la più grande innovazione che portava a livello di fruizione era la mappa in-game chiara e intuitiva, dove erano segnati i punti di salvataggio, i punti di ricaricarica, i luoghi già visitati e quelli ancora da scoprire. In casa Konami, Castlevania: Rondo of Blood riscosse un ottimo successo in Giappone ma per via dell’insuccesso del PC-Engine CD negli Stati Uniti, lì rinominato Turbografx-16 CD, il gioco non fu mai rilasciato da quelle parti. Per compensare la sua assenza venne prodotto un porting per Super Nintendo nel 1995, rinominato Castlevania: Dracula X in Nord America e Vampire Kiss in Europa, ma ciò che arrivò era troppo distante dal gioco originale e perciò i fan cominciavano a presagire che la saga si stesse dirigendo in cattive acque. In realtà, Koji Igarashi, da poco reduce del successo di Rondo of Blood alla quale lavorò, fu incaricato di creare un nuovo titolo della saga e così Konami lo mise dietro a  Castlevania: Bloodletting per Sega 32X ma ben presto, come l’add-on si rivelò un insuccesso, lo sviluppo del gioco passò a Sony dove poi fu completato e coniato in Castlevania: Symphony of the Night. Già nelle prime fasi del progetto, Iga non voleva lanciare l’ennesimo capitolo della saga ma voleva comunque mantenere la formula platform che aveva reso iconica la saga degli ammazza-vampiri. Ispirato dal già citato Super Metroid e la saga di The Legend of Zelda, nonché dalle critiche mosse a Castlevania II: Simon’s Quest (titolo per NES che offriva la medesima impostazione del futuro Symphony of the Night), Iga implementò un gameplay simile che favorisse sia la longevità che l’esplorazione e il puzzle solving, entrambe caratteristiche non sue.
Il risultato fu semplicemente eccezionale: la nuova veste action-platformer, da lì in poi, appunto, rinominata in metroidvania, si adattò perfettamente al gameplay già ottimo di Castlevania e concentrò il nuovo gameplay sull’esplorazione graduale del castello di Dracula, ovviamente possibile collezionando i power up e le abilità per Alucard uno alla volta, una sezione del castello per volta. La storia è ambientata nel 1796, quattro anni dopo le vicende di Rondo of Blood: Richter, Belmont è scomparso e il castello di Dracula riappare dal nulla in una notte di luna piena; Alucard, vampiro e figlio del conte (analizzate bene il suo nome, non notate niente?), corre nel castello per poi trovare al suo interno la Morte, braccio destro di Dracula che lo spoglia di ogni equipaggiamento, Maria Renard, una cacciatrice di vampiri, e un Richter Belmont che crede di essere il padrone del castello e un signore delle tenebre. Si scopriranno ben presto gli stratagemmi del conte e spetterà a noi svelare la verità sul lavaggio del cervello di Richter e scongiurare il ritorno di Dracula una volta e per tutte. Castlevania: Symphony of the Night è il primo titolo della saga (ma anche l’unico in 2D) ad avere dei dialoghi interamente doppiati: anche se a tratti possono sembrare buffi, servirono a dare la giusta importanza alla storyline proposta e uno storytelling che, prima d’allora, era riservato primariamente ai giochi in 3D, ancora una volta, dunque, rivendicando l’importanza dei giochi d’impostazione classica. Insieme agli elementi tipici del genere metroidvania, come appunto il backtracking, i power-up e le abilità collezionabili che ne permettono l’esplorazione graduale, in Symphony of the Night vengono introdotte tantissime feature RPG, prima fra tutti il sistema di level up basato sui punti di esperienza che si ottengono ogni volta che un nemico (o boss) viene annientato e ciò permette una crescita ancora più dinamica del nostro personaggio che vedrà incrementarsi i punti di attacco e difesa gradualmente; se ciò non bastasse, sarà possibile equipaggiare il nostro Alucard con nuovi mantelli, armature, stivali, armi diverse dalla spada, Famigli (degli spiriti che ci accompagneranno durante la nostra avventura) e accessori che possono renderlo immune o più resistente a fuoco, ghiaccio, oscurità, luce e persino aculei. Il castello in sé è gigantesco e pertanto Symphony of the Night garantisce una longevità non indifferente, migliorata peraltro grazie alla campagna aggiuntiva con Richter Belmont.
Potremmo parlare ad nauseam delle novità introdotte in questo capitolo ma, non volendovi parallelamente rovinare una prossima esperienza con Castlevania: Symphony of the Night, vorremo sottolineare la sua importanza per la saga e per il landscape videoludico. Da un lato, Symphony of the Night è ancora l’unico Castlevania di questa impostazione a essere stato sviluppato per console: Castlevania: Circle of the Moon, Harmony of Dissonance, Aria of Sorrow, Dawn of Sorrow, Portrait of Ruin e Order of Ecclesia, che sono i titoli metroidvania della saga, sono tutti stati sviluppati per gli handheld Nintendo, fra il Gameboy Advance e il Nintendo DS. Le eccezioni in 2D, per console, sono state fatte e ne sono un esempio Castlevania: Harmony of Despair, un gioco co-op online, e The Adventure ReBirth che uno stage by stage ispirato a Castlevania: The Adventure per Gameboy; tuttavia, nessun metroidvania è apparso per console dopo Symphony of the Night e pertanto questi giochi sono stati riservati al piccolo schermo. Per il resto, su console, è stato inseguito fino all’ultimo il sogno di vedere la saga in un ambiente in 3D e i risultati, per quanto si possano amare o odiare, non sono mai arrivati ai livelli dei metroidvania, probabilmente neanche con il filone reboot Lords of Shadows. Anche se non abbiamo più visto un Castelvania in questo stile per una console, Symphony of the Night ha dimostrato ancora di più cosa era possibile fare con questo stile di gioco e da lì in poi, più che altro con l’inizio del nuovo millennio, sono cominciati a uscire grandi titoli indipendenti che si rifacevano al suo stile e a quello di Super Metroid. Ne sono grandi esempi Cave Story, Ori and the Blind Forest, Shadow Complex, Guacamelee, i giochi della saga di Shantae e la lista non si ferma a questi pochi titoli. Il punto è che Castlevania: Symphony of the Night ha avviato una vera rivoluzione e la sua importanza si vede nei titoli cloni rilasciati, i fan che finanziano in pochi minuti il Kickstarter di Koji Igarashi e persino nella risposta di Konami nel rilasciare a breve Castlevania: Requiem per PlayStation 4. Non a caso Symphony of the Night è uno dei titoli più belli della storia dei videogiochi e giocarlo, per un vero giocatore, è quasi un obbligo.

Giochiamoci!

La cosa più saggia da fare, in questo momento, è aspettare l’uscita del prossimo Castlevania: Requiem e godersi Symphony of the Night in questa nuova generazione. Tuttavia ci chiediamo: quale versione inseriranno nella collection? Eh si, di Castlevania: Syphony of the Night esistono tante versioni, recuperabili in molte piattaforme; pertanto, sia per i più curiosi che per i più impazienti che vogliono recuperarlo prima del 26 Ottobre (in quanto, giustamente, non tutti abbiamo una PlayStation 4), vi spiegheremo in dettaglio tutte le versioni disponibili.
La prima, la versione per PlayStation, è quella più pura e pertanto è la migliore della generazione 32 bit: i controlli sono studiati per il set di tasti del joypad di PlayStation, così come tutto il comparto grafico e la programmazione generale che permette tempi di caricamento brevi e azione veloce anche quando nell’area di gioco ci sono molti nemici. Questa è la versione che è stata presa come riferimento per le future re-release su PSP, come bonus del gioco Castlevania: The Dracula X Chronicles, e su Xbox 360 Live Arcade. Tuttavia, se volete giocare la versione originale per PlayStation, le copie originali PAL e NTSC-U costano parecchio e l’unica alternativa e puntare alle versioni NTSC-J, sempre molto costose ma più convenienti rispetto alle versioni americane e europee. Per quanto la critica fosse a favore di Castlevania: Symphony of the Night, il gioco non vendette benissimo e questo è il motivo principale dell’odierno sovrapprezzo.
L’anno successivo, nel 1998, uscì una versione per Sega Saturn, da molti vista come una sorta di passo indietro, il ché fu molto strano viste le capacità della console rivale in ambito 2D. Il porting fu affidato a Konami Computer Entertainment Nagoya, un team diverso da quello originale e, durante lo sviluppo, vi furono diversi problemi che portarono a una versione evidentemente poco curata: notabile sin dall’inizio e l’immagine “allargata” e non adattata per la maggiore risoluzione del Saturn, distorcendo così gli sprite di alcuni nemici particolarmente grandi; le cutscene all’inizio e alla fine del gioco poterono invece godere di questa feature ma l’immagine, stavolta, fu ristretta e per tanto non erano in fullscreen. Ad aggravare la situazione c’erano anche gli eccessivi tempi di caricamento, presenti persino alla transizione da un’area del castello all’altra, al richiamo del menu e al richiamo della mappa (che, in assenza di un tasto select nel controller del Saturn, si doveva richiamare dal menu di pausa. Dunque due caricamenti di fila!), i rallentamenti durante le sezioni più animate e la famosa assenza degli effetti di trasparenza necessari per rendere al meglio le cascate e gli ectoplasmi; tuttavia, probabilmente verso la fine dello sviluppo, il team riuscì a sviluppare correttamente gli effetti di trasparenza, come dimostrato dala battaglia contro Orlox, ma essendo in ritardo con i tempi di consegna avranno consegnato il gioco senza poter sistemare le restanti imperfezioni. A ogni modo, nonostante questi difetti, la versione per Saturn risulta la più ricca di contenuti e alcuni fan sono in grado di confermare che questa è la migliore versione di questo titolo: il gioco permette sin da subito di selezionare, alla creazione del file, Alucard, Richter e persino Maria, che oltre a essere un personaggio giocabile è anche un boss nella campagna principale. Poi, grazie alla disposizione dei tasti del Saturn, ad Alucard è stata aggiunta una “terza mano” utile per assegnargli le pozioni per recuperare vita o i punti magia (nella versione per PlayStation bisognava entrare nel menu, assegnare la pozione alla mano sinistra, tornare nel gioco e consumarla durante l’azione), sono stati aggiunti i Goodspeed Boots che permettono, una volta raccolti, di correre più velocemente e attraversare alcune zone del castello in modo rapido premendo due volte avanti, più nemici, più boss, più Famigli e due zone inedite dalla versione PlayStation. Le aggiunte di questa versione vanno a perfezionare il gameplay già ottimo di Castlevania: Symphony of the Night ma purtroppo l’unica feature recuperata per le versioni successive è la campagna di Maria Renarde per la versione PSP. Koji Igarashi è cosciente del fatto che molti fan vogliono la maggior parte delle feature per Saturn ma nel 2007 ha apertamente espresso che non si sente a suo agio con quella determinata versione e non sopporta il fatto che ci sia il suo nome sopra. Probabilmente le feature di questo porting non torneranno più ma in fondo, è anche vero che non sono indispensabili per godere appieno di questo gioco, specialmente visti i gli assurdi prezzi di questo gioco per Sega Saturn su eBay.
Nel 2006 Castlevania: Symphony of the Night è stato rilasciato per Xbox 360 Live Arcade e questa particolare versione si rifà esattamente alla versione per PlayStation; in aggiunta alla dashboard online e agli achievement, è stata la prima versione del gioco in HD e, grazie alla potentissima architettura della console Microsoft, sono stati corretti persino quei pochi rallentamenti presenti nella versione originale. Con buona probabilità questa sarà la versione che troveremo giorno 26 Ottobre per PlayStation 4 però, chissà: troveremo qualcosa della versione del Saturn? Troveremo qualcosa di completamente inedito, come una campagna con Trevor Belmont, Sypha Belnades e Grant Danasty visto che in un punto del castello si combatte contro i loro fantocci? Non possiamo fare altro che aspettare e sperare di trovare una versione ancora migliore delle precedenti!




Castlevania: Grimoire of Souls per iOS. I perché di tali scelte

Konami ha fatto un po’ di fatica da quando Hideo Kojima ha lasciato la compagnia che ha dato i natali al suo Metal Gear e altre popolarissime serie come Contra, Ganbare Goemon e Silent Hill; sono diversi anni ormai che il popolarissimo developer cerca di trovare una propria identità all’interno della scena videoludica. In fondo, si fa viva quando c’è da lanciare qualche  nuova IP come il recentissimo Metal Gear Survival o l’annuale Pro Evolution Soccer anche se, specialmente per i fatti relativi al licenziamento di Kojima, non sembrano entusiasmare mai i fan. A ogni modo non è che lo storico developer non abbia titoli da sfornare o non sia pronto per un ritorno in grande stile: i fan ebbero un barlume di speranza quando, nel 2015, Konami lanciò un sondaggio che chiedeva agli utenti quali fossero i titoli che più conoscevano e, un primo risultato si vide con l’uscita di Super Bomberman R per Nintendo Switch, un titolo addirittura ripescato dalle IP di Hudson Soft (compagnia che Konami comprò nel 2012).
In questi giorni è apparso un nuovo probabile frutto di quel sondaggio, il ritorno di una delle saghe più amate di sempre: Castlevania: Grimoire of Souls. La popolare saga degli ammazza-vampiri è in stallo da Castlevania: Lords of Shadows 2, un bel gioco ma che, come i precedenti Lords of Shadows e Lords of Shadows: Mirror of Fate, portò la saga in acque sconosciute. Koji Igarashi, lo storico direttore che diresse la saga dopo il leggendario Symphony of the Night, lasciò Konami perché contrario alla loro decisione di metterlo dietro allo sviluppo di titoli mobile distogliendolo, se non altro, dalla sua visione di Castlevania in favore di MercurySteam (gli sviluppatori dietro agli ultimi tre capitoli della saga) che non vedeva di buon occhio.
D’allora Igarashi, similarmente a Keiji Inafune quando lasciò Capcom, lanciò uno dei kickstarter più efficaci della storia, indirizzato verso la creazione di Bloodstained: Ritual of the Night, con l’obiettivo finale di 500.000 dollari; raggiunse 5 milioni in pochissimo tempo e si aspetta il suo rilascio in questo 2018. Konami, visto anche l’interesse dei fan verso il titolo indipendente di Igarashi, ha sicuramente pensato bene di produrre e annunciare Castlevania: Grimoire of Souls (un po’ come ha fatto Capcom con l’annuncio di Mega Man 11, giusto per offrire un’alternativa al malandato Mighty No. 9), annuncio che è stato in grado di far tremare la terra per una frazione di secondo. Anche se le immagini mostrano molti personaggi cari alla saga, un art-style tradizionale, una grafica 2.5D e,  uno “story mode” con la possibilità di un multiplayer in cooperativa (simile forse a quella già vista in Castlevania: Harmony of Despair), Konami ha comunque – e decisamente – smorzato l’entusiasmo generale, annunciando il rilascio per dispositivi iOS. I prodotti Apple, anche se non pensati appositamente per il gaming, sono ottimi dispositivi in grado di restituire un’azione di tutto rispetto, ma è chiaro che quando si pensa a titoli classici come questi non è la prima piattaforma che viene in mente ai giocatori; dunque, perché questa scelta?

È probabile che Konami non voglia semplicemente lanciare titoli per l’utenza che conosce e desidera ancora dei nuovi Castlevania ma, da quel che sembra, una mossa del genere evidenzia la volontà di raggiungere più giocatori possibili. Ogni persona fisica con un cellulare, in fondo, è un potenziale giocatore e, in un’epoca in cui il mercato cinese si apre verso il gaming, in grado di diventare in pochissimo tempo leader nel settore, è chiaro che Konami voglia ricavarsi uno spazio in questo nuovo scenario rinnovando, nel processo, la sua immagine; se non altro, anche se non nel modo in cui potremmo pensare, Konami è stata molto presente nella scena mobile in questi ultimi anni ed è possibile che il loro core business si stia spostando piano piano in quel determinato settore. Può dunque essere che Castlevania: Grimoire of Souls non sia “il loro Mega Man 11” poiché non vogliono semplicemente consegnare qualcosa ai fan della saga storica ma anche far conoscere la saga a chi non l’ha mai presa in considerazione, soprattutto in un paese come la Cina in cui le saghe classiche sono semi-sconosciute.
Tuttavia, Konami sa ancora che i giocatori che vogliono un loro ritorno in pompa magna si trovano principalmente fuori dalla scena mobile ed è per questo che titoli come Metal Gear Survive e Super Bomberman R non sono mancati, assenti nell’App Store e Google Play e che probabilmente, mai ci saranno. Gli iPhone e gli iPad non sono le “migliori console di gioco” (anche se i comandi su touch screen possono essere quasi sempre sostituiti da un bel controller fisico bluetooth) ma ciò non significa che non potremmo vedere questo titolo in altre piattaforme. Nintendo Switch, per esempio, ha accolto positivamente molti titoli già presenti su mobile (come Sparkle 2) e il processo contrario non è neppure un’assurdità al giorno d’oggi (basti pensare alle versioni mobile di Minecraft o Playerunknown’s Battleground). Ci sono ancora pochissime informazioni su questo nuovo titolo Konami: anche se stiamo parlando di un titolo mobile, le immagini sembrano promettere bene (ricordando molto Castlevania: The Dracula X Chronicles per PSP) e il solo fatto di rivedere Simon Belmont, Alucard, Soma Cruz, Charlotte e Shanoa e altri, scartando così lo stile e i personaggi dell’universo alternativo di Lords of Shadows, è certamente un buon punto a loro favore.
Qualsiasi saranno le scelte di Konami, tuttavia, sappiamo che queste non saranno mai fatte senza logica e se hanno deciso di puntare su mobile avranno certamente dati di mercato a supporto delle loro azioni anche se, comunque, non esclude a prescindere un rilascio per console o PC più in là. Ci auguriamo, inoltre, che questo non sia l’ultimo revival delle saghe storiche Konami e che potremo presto vedere presto dei nuovi Contra, Gradius, Ganbare Goemon, Zone of the Enders o Suikoden su console, PC o mobile (tutto pur di poterli rigiocare).




Come la fortuna viene implementata nei videogiochi

16 settembre 2007: uno youtuber giapponese, che rispondeva al nome di Computing Aestetic (oggi lo stesso canale si chiama Is mayonnaise an instrument?), caricò un video di 48 secondi dal titolo ULTRA MEGA SUPER LUCKY SHOT. Il video mostra il raggiungimento di un high score a Peggle, un gioco molto popolare vagamente ispirato al Pachinko in cui una palla viene sparata dall’alto e piano piano scende giù rimbalzando fra alcuni blocchi; più blocchi vengono colpiti più alto sarà il punteggio. Nonostante Peggle richieda al giocatore giusto qualche calcolo prima del lancio della palla, il gameplay vero e proprio è affidato al caso e il fatto che dei blocchi vengano colpiti o meno è solo questione di fortuna. La run di Computing Aestetic fu una delle più miracolose: la pallina, scendendo, non solo colpì gran parte dei blocchi ma richiamò anche una sezione bonus che gli permise di racimolare un punteggio da record. Incredulo, lo youtuber scrisse nella descrizione del video, che a oggi conta oltre le 200.000 visualizzazioni, «I couldn’t balieve this when it happened!!!!!!!!!» (Ndr).
Questo è solamente uno dei circa 20.000 video su YouTube che include i tag “Peggle” e “Lucky“, tutti video di giocatori così stupiti da voler condividere la loro fortuna col mondo. Tuttavia, i giocatori non sono così fortunati come il gioco spinge a credere. Jason Kapalka, uno degli sviluppatori del titolo, ci spiega come la fortuna, specialmente durante i primi livelli, venga manipolata giusto un po’ per evitare la frustrazione del giocatore nel breve periodo, e soprattutto perché possa imparare le regole del gioco divertendosi.

«L’apperente rimbalzo casuale della pallina in Peggle è spesso manipolato per dare ai giocatori un risultato migliore. […] Quando viene richiamato il “Lucky Bounce”, la palla tende a colpire di più blocchi possibili anziché cadere direttamente nelle zone morte. Questa fortuna extra è aggiunta nella prima dozzina di livelli affinché i giocatori si divertano imparando le regole del gioco. […] L’angolatura del rimbalzo viene modificato giusto di qualche grado, perché altrimenti la palla reagirebbe in maniera poco realistica; serve a incoraggiare i novizi e non a rendere il gioco “irreale” agli occhi dei giocatori più increduli».

La fortuna è in realtà manipolata da un game designer onnipotente: esso fa sì che un gioco regali al giocatore la giusta dose di vittoria al momento giusto. Anche Sid Meier, creatore dell’acclamata saga Civilization, ha capito che ridurre in una certa misura le avversità durante le battaglie riduce anche lo stress nei giocatori. Un test ha dimostrato che un giocatore che sapeva di avere il 33% di successo in battaglia, è riuscito a perdere per tre volte di fila, rendendolo alterato e incredulo (in Civilization puoi ripetere la stessa battaglia più volte, fino a quando non vinci, anche se ciò comporta dei costi a ogni sconfitta). A quel punto Sid Meier studiò più da vicino le distorsioni cognitive dei giocatori: se le probabilità di vittoria sono 1 su 3 è come se il gioco assicurasse che al terzo tentativo il giocatore vincerà la battaglia, dandogli dunque una falsa speranza. La fortuna di certo incentiva il gameplay ma se è troppa, diventa tutto surreale.

Dalla divinazione agli scacchi

In tempi antichi, la fortuna era il segno dell’intervento divino: i giochi erano un modo per mettere alla prova sia le abilità umane che l’esistenza divina. Platone ci ha raccontato che la fortuna era una componente fondamentale nei giochi dell’antico Egitto, luogo in cui fu creato, secondo la leggenda, il dado da gioco per mano della divinità Thot. Solitamente ricavato da ossa o zoccoli di animale, il dado veniva usato per i giochi da tavola o per una particolare divinazione mistica chiamata astragalomanzia; l’aiuto divino era così decisivo che molti dei dadi venivano portati nella tomba affinché il defunto potesse ricevere un ulteriore aiuto nell’aldilà.
Nel XI secolo, il re norvegese Olaf II Haraldsson si ritrovò in una disputa territoriale con il re svedese riguardo l’isola di Hising; non riuscendo a trovare un compromesso, il re della Norvegia si affidò ai dadi per risolvere la questione. Ottenendo per due volte il numero sei, il re Haraldsson disse che non c’era più motivo di continuare la disputa; convertitosi al cristianesimo, era certo che Dio l’avrebbe aiutato a ottenere sempre il 12. Olaf II, racconta ancora la leggenda, continuò a ottenere tale numero fino a quando, durante l’ultimo e decisivo lancio, uno dei dadi si spezzò mostrando sul tavolo due 6 e un 1; questo è uno dei motivi per cui il 13, in alcuni paesi, è spesso considerato un numero fortunato.
A ogni modo la fortuna, anche se non è più un segno divino, è ancora parte dei giochi moderni; così come un lancio dei dadi o la pesca di una carta probabilità a Monopoly può ribaltare le sorti della partita, lo sviluppatore indipendente Zach Gage ha introdotto l’elemento aleatorio nel gioco degli scacchi nel suo Really Bad Chess. Gage spiega che il gioco nella sua concezione originaria è molto bilanciato, e tutto risiede nelle abilità del giocatore; pertanto l’elemento della fortuna aiuta i giocatori meno capaci a capire le meccaniche e far sì che siano invogliati a giocare più a lungo. La sua app mobile del 2016 dà infatti al giocatore la possibilità si avere un set di cinque regine, sistemare le pedine in maniera asimmetrica e far sì che il giocatore più esperto giochi solo con un esercito di pedoni e un re. Zach Gage commenta:

«(queste aggiunte) danno ai giocatori più deboli almeno una chance contro i giocatori più esperti, rendendo la scacchiera più difficile da analizzare».

Dai giochi elettromeccanici ai videogiochi

Nei giochi elettromeccanici come le slot machine o i flipper, la fortuna è l’unico modo per “fregare” la macchina. Negli primi anni ’50 la Gottlieb, compagnia produttrice di giochi elettromeccanici e sviluppatori del classico arcade Q*bert, notò che le partite a flipper dei giocatori meno esperti duravano pochissimo; di lì a poco introdussero prima le alette per rispedire la palla in alto e poi il meccanismo “ball saver” che innalzava un muro fra queste. Il fatto che quest’ultimo entrasse o meno era questione di fortuna, un “mistero” celato nell’algoritmo del software.
Nei videogiochi la fortuna è in realtà ancora più evidente: vi siete mai chiesti come mai il portiere della vostra squadra preferita a FIFA riesce a parare la palla il più delle volte? Come mai quando siete fra le ultime posizioni in un racing game le auto avversarie sembrano rallentare? E ancora, anche se è cosa risaputa, come mai una volta una volta in testa a Mario Kart raccogliete solo banane, monete e qualche rarissimo guscio verde? Questo è perché “l’effetto fortuna” vi tiene concentrati e incentiva il vostro gameplay. Se veniste a conoscenza di questo fattore non giochereste con la stessa intensità; è giusto che tutto ciò rimanga un mistero poiché la fortuna è tale solamente quando è imprevedibile.

Nei tempi antichi gli artefici della fortuna venivano invocati tramite le preghiere; oggi è possibile trovarli su LinkedIn. Paul Sottosanti, uno dei principali game designer della Riot Games che ha lavorato a League of Legends, afferma che lo scoprire i meccanismi della fortuna nei videogiochi potrebbe distruggere ogni senso di gioia e realizzazione, dunque è importante che questi rimangano celati (più a lungo possibile) nel codice del gioco. Nei videogiochi si innesta spesso quello che Sottisanti chiama “Pity Timer“: il giocatore potrà ottenere una determinata ricompensa, per esempio, dopo 10 ore di gioco e ciò rende quest’ultima un risultato ancora più apprezzabile. In Castlevania Harmony of Despair, un “metroidvania” multiplayer con elementi RPG, ogni personaggio, al termine della battaglia col boss, riceveva un oggetto; su internet giravano mappe e FAQ che spiegavano dove e al termine di quale battaglia si potevano ottenere. Ma per quanto si “boostasse” il livello di fortuna, nelle statistiche del personaggio gli oggetti rari apparivano solamente al termine di un countdown nascosto; una volta scaduto il conteggio sarebbe entrata in aiuto quella determinata caratteristica del personaggio e la fortuna avrebbe davvero influenzato l’occorrere di un oggetto raro.

 

La fortuna per gli sviluppatori

Se in alcuni titoli la fortuna dà un senso di equilibrio nella difficoltà, ci sono altri giochi in cui questo fattore aleatorio genera profitto. L’arrivo degli smartphone e dei diversissimi titoli gratis sugli store hanno segnato anche l’inizio dell’era delle microtransazioni e delle lootbox; il “pity timer” all’interno di questi giochi è spesso sviluppato in maniera molto intelligente. In Hearthstone, spiega sempre Paul Sottosanti, è possibile ottenere una carta rara ogni 40 pacchetti circa; tuttavia, le stesse carte, sono acquistabili sullo store del gioco.
Il principio delle microtransazioni e lo spingersi oltre la “normale routine” è in sé un concetto non nuovissimo. Il dottor Burrhus Skinner, negli anni ’50, ha dimostrato come un essere senziente possa essere condizionato da una macchina; per farlo, si munì di degli animali, come topi o piccioni, e di una sua particolare invenzione, ovvero la Skinner Box. In pratica ha mostrato come questi animali, ricevendo una ricompensa ogni volta che un tasto fosse premuto, si stancassero o fossero subito sazi; tuttavia il dottore, programmando la ricompensa in maniera casuale, mostrò come l’animale fosse più incline a premere il tasto, tenendolo concentrato sull’azione sino a risultarne quasi dipendente. Questa dipendenza non era dovuta tanto alla ricompensa, ma al tasto. Il rilascio della dopamina nel cervello, che (mantenendoci in un linguaggio alla portata di tutti) manda i neurotrasmettitori in tilt, è dovuto all’attesa della ricompensa, e non all’ottenimento della stessa. Lo stesso principio, in realtà, accade con questo tipo di giochi: vi siete mai accorti, per esempio, delle lunghe animazioni prima di aprire unalootbox su Overwatch? Il cervello rilascia dopamina durante le animazioni e anche se otteniamo la solita ricompensa per l’ennesima volta il principio rimane. Nei videogiochi però si aggiunge il fatto che, per evitare la solita ricompensa dopo ripetute run, si è invece spinti a ottenere una ricompensa diversa, prima dello scadere del pity timer, pagando una somma di denaro. In questo caso, si potrebbe innescare il meccanismo “Sunk Cost Fallacy“: in poche parole, più soldi si investono in un gioco, in attesa della ricompensa desiderata, più sarà difficile abbandonarlo nonostante gli output poco soddisfacenti e le aspettative che calano. È la stessa cosa che avviene al casinò o persino in una relazione amorosa molto complicata: più è alto l’investimento e più è difficile smettere nonostante gli output siano semi nulli. Tuttavia non si può parlare di gioco d’azzardo in ciò che riguarda i videogiochi poiché, anche se si investissero 50 € per un set di lootbox, riceveremmo sempre qualcosa in cambio, a differenza del casinò dove si può invece uscire praticamente con le tasche vuote; il problema sta sempre e solo nell’aggirare quel maledetto algoritmo della fortuna.
È importantissimo dunque mantenere il controllo in quei giochi in cui la fortuna è il fulcro della dinamica. Lo psicologo Clark Edwards, direttore del centro della ricerca sul gioco d’azzardo dell’Università della British Colombia, spiega più in dettaglio certi meccanismi del nostro cervello e in quale zona finisca parte della dopamina:

«La parte interessata del cervello che regola la ricompensa e il movimento è lo Striato, dove ci sono diversi nuclei cerebrali. […] La stessa regione alimenta i vizi, che sono ovviamente collegati alle dipendenze».

Il futuro della fortuna

Nonostante l’ambiente videoludico sia cambiato drasticamente, ci sono molti game designer hanno tentato più volte di “eliminare la fortuna”. Larry DeMar, un noto designer di macchine flipper della Williams, ha tolto più volte il meccanismo “Ball Saver“, pensando da sempre che questo rovini la purezza del gioco.
Tuttavia, l’approccio purista non sempre convince il giocatore medio. Jason Kapala, lo sviluppatore di Peggle, dice che oggi i giocatori cercano tracce di manipolazione quando queste non ci sono. e ha persino pubblicato alcuni file per dimostrare che i risultati erano veramente casuali, ricordando:

«Quando lavoravo ai giochi online era quasi impossibile convincere i giocatori che i risultati non erano manipolati. Questi elaboravano teorie assurde su come i principianti ottenessero migliori risultati per far sì che continuassero a giocare e i veterani spinti a migliorare le loro abilità ottenute.».

Il gioco è un mezzo  di confronto per gli esseri umani ed è anche corretto pensare che questo rimanga puro e inalterato; tuttavia, delle perdite ripetute o semplici capricci ci portano a pensare che la fortuna funzioni seguendo uno schema logico. Ma, alla fine della fiera: a cosa serve la fortuna? La risposta è: a tutto. E a niente.
Il tutto si baserà sempre sulle nostre abilità ma, che sia un algoritmo o un segno divino, la fortuna ci accompagnerà sempre nella nostra esperienza da giocatori.