I Soprano: Shakespeare, la Mala e la rivoluzione “Made in America”
Sapete qual è il punto forte dei drammi e delle commedie di William Shakespeare? I monologhi. Tramite questo espediente, il drammaturgo è riuscito a mettere a nudo i moti interiori dei propri personaggi, siano essi giovani innamorati di famiglie eternamente rivali o Re scozzesi completamente fuori di testa che bramano solo il potere. Con il monologo aprono le porte del loro animo e lo spettatore conosce ogni cosa che passa per la testa dei protagonisti. Perché lo scrittore di Stratford-upon-Avon, circa 500 anni fa, aveva capito che l’immedesimarsi con i personaggi è fondamentale. Il pubblico ha bisogno di raffigurarsi in questi soggetti complessi, spesso aristocratici o di alto lignaggio, ma pur sempre esseri umani. Al teatro, insomma, il monologo spacca.
La televisione è un’altra cosa. È follia anche il solo pensare di mettere un qualsiasi personaggio davanti a una telecamera e fargli sciorinare monologhi rivolgendosi al pubblico in maniera diretta. Uno spettatore medio spegnerebbe la TV dopo nemmeno cinque minuti. Bisogna creare un ulteriore elemento che permetta tutto questo, parlare da soli non basta, ed è così che comincia la rivoluzione de The Sopranos, serie televisiva prodotta dall’emittente privata HBO e scritta dall’autore David Chase, introducendo sin dalla primissima puntata un elemento nuovo, sia nel teatro “shakespeariano”, perché ancora non esisteva, sia in televisione, perché nessuno l’aveva ancora introdotta come parte integrante della vicenda: la psicanalisi.
Il protagonista è l’italo-americano Anthony “Tony” Soprano, astro nascente della famiglia mafiosa dei DiMeo, che spadroneggia da anni nello stato del New Jersey, Stati Uniti. Un uomo alto, massiccio, un po’ stempiato che veste con camice smanicate e pantaloni di lino. Ha ben due famiglie a cui pensare: la prima è quella composta dalla moglie Carmela, il figlio Anthony Junior e la figlia Meadow; la seconda, non meno importante, è formata dal suo vice Silvio Dante, i luogotenenti Paulie Gualtieri, Sal “Pussy” Bompensieri e il nipote Christopher Moltisanti. Entrambe le famiglie, in un modo o nell’altro, sono causa di forte stress per lui: la prima è da proteggere, la seconda invece è da tenere in piedi. Avere due nuclei da tenere a galla non è semplice, e Tony se ne rende conto a sue spese, dopo un violento attacco di panico durante il compleanno del figlio Junior. Scopre che non è invincibile, che le sue paure e i suoi demoni non possono rimanere ancorati alla sua anima senza conseguenze. Chi glielo doveva dire che sarebbe dovuto andare da una strizzacervelli come la dottoressa Jennifer Melfi, per essere in grado di mandare avanti le baracche?
La famiglia e la psicanalisi. Ecco due punti fondamentali, inscindibili nel personaggio di Tony. Un padre affettuoso da una parte e un Boss duro e spietato dall’altra, due personalità che si incontrano dentro uno studio circolare. La dottoressa Melfi rappresenta il punto di unione, ma anche la valvola di sfogo del nostro protagonista, sullo sfondo dell’America di fine secolo che si evolve e, dopo l’11 settembre, ha paura come lui. Il risultato è anche una serie estremamente onirica, che gioca col sogno in momenti cruciali della trama continuamente.
The Sopranos si è guadagnato l’appellativo di serie televisiva “Pop” non solo per il suo modo di trattare la realtà di un Boss proveniente da Avellino, ma perché racchiude anche elementi meta-cinematografici e dettagli visivi e sonori che hanno fatto la differenza. Per prima cosa la scelta del cast: gran parte degli attori hanno partecipato a film e collaborato con registi che hanno fatto la fortuna del genere gangster movie della New Hollywood: da Il Padrino di Francis Ford Coppola, passando per Prove Apparenti di Sydney Lumet, fino ad arrivare a Quei Bravi Ragazzi di Martin Scorsese. Quest’ultimo in particolare viene sviscerato da continui rimandi e citazioni all’interno della serie, ma anche le altre opere vengono omaggiate, perché The Sopranos è anche questo, un continuo “grazie” al genere cinematografico da cui trae ispirazione. Lo sviluppo dei personaggi, nel corso delle sei stagioni, è calcolato alla perfezione. Attori e attrici come Michael Imperioli, Dominic Chianese, Edie Falco o Lorraine Bracco, solo per citarne alcuni, danno una profonda caratterizzazione e riescono a mettere alla luce i profondi chiaroscuri dei loro doppi televisivi. Ma la vera star è lui, James Gandolfini, che nell’interpretazione di Tony Soprano regala alla televisione un gangster cattivo, impulsivo, forte, ma con molti demoni da combattere che ritornano dal suo passato tormentato e dal rapporto, mai totalmente risolto, con i genitori Johnny e Livia Soprano. Il tutto combinato a una regia notevole, un ulteriore passo avanti rispetto alla televisione precedente. E la musica, anche lei, considerata come “personaggio”, è ricercata in ogni scena in cui appare: si passa dai Rolling Stones a Pavarotti, dai Journey fino a Jovanotti.
In definitiva: una delle più importanti opere “Made in America”, citando il titolo della puntata finale della serie, che ha rappresentato il punto di svolta nella serialità dal 2000 in poi. Parliamoci chiaro: Breaking Bad, Game of Thrones o Stranger Things non sarebbero mai nate, se non fosse stato per The Sopranos. Lo zenit di quella che viene definita “Età dell’oro delle serie TV”. Se non l’avete vista, male: e da vedere, rivedere, e amare. Perché, di Tony Soprano, ce n’è uno solo.