Estate a Metro City

Ho conosciuto i videogiochi d’estate, da bambino,  a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, quei cabinati nelle sale giochi dopo una giornata di mare attiravano sempre la mia attenzione, rimanevo affascinato da quei colori, dai suoni, dagli sprite in movimento, e ben presto ne diventai un frequentatore assiduo.
Riuscivo a stare per ore attaccato a un cabinato senza mai annoiarmi: ricordo di essere riuscito persino a finire un gioco come Ghouls ‘n Ghosts con un solo gettone, e non è un’impresa facile. Molti conoscono il famoso titolo di Tokuro Fujiwara, platform a scorrimento orizzontale con forte componente action in cui si impersona un cavaliere di nome Arthur, impegnato nella sfida di salvare la principessa rapita da un potente demone. Come in ogni gioco a piattaforme che si rispetti, il nostro personaggio deve correre e saltare tra i vari livelli, bellissimi e cupi a vedersi, dal cimitero iniziale a una foresta di cristalli fino al castello del nemico. Quel che mi piaceva, ed era uno dei motivi per cui finivo per preferire una sessione a Ghouls ‘n Ghosts talvolta anche al mare, era la miriade di armi da lancio che di cui potevi disporre: si poteva possedere un’arma alla volta, ma ognuna aveva la propria peculiarità e magia personale. Si partiva con indosso un’armatura, quella normale che assorbe un colpo dai nemici, ma si poteva acquisire anche quella magica che oltre ad assorbire un colpo permetteva di utilizzare delle mosse speciali (differenti a seconda dell’arma che stiamo utilizzando). Persa l’armatura si moriva inesorabilmente al colpo successivo. Il tutto risultava di una difficoltà esagerata, niente a che vedere con la gran parte dei giochi odierni, se si aggiunge anche il fatto che bisogna portarlo a termine due volte prima di vedere la schermata finale,  completarlo era davvero un’impresa titanica.
L’estate era un ottimo momento per dedicarsi a una simile sfida, il tempo libero permetteva di vestire l’armatura e combattere i terribili demoni che hanno generato le bestemmie di migliaia di giocatori.
L’estate era anche un ottimo momento per menar botte, e infatti arrivò Final Fight: molti ricorderanno questo storico beat ‘em up a scorrimento orizzontale, caratterizzato da sprite enormi per l’epoca, e con una giocabilità di molto migliorata rispetto ai precursori: bellissimo Double Dragon, ma il passo in avanti era netto. A partire dalla scelta dei personaggi, e dalla loro ognuno contraddistinto da caratteristiche uniche: a cominciare da Mike Haggar, il sindaco e padre che tutti vorrebbero avere: primo cittadino della criminosa Metro City, si vede rapire la propria figlia Jessica dalla folle gang criminale Mad Gear e si lancia senza remore nel cammino per riprenderla. Lento rispetto agli altri personaggi, ma anche il più potente, poteva afferrare i nemici per poi usare mosse da wrestling che ricordavano quelle di Zangief (il russo di Street Fighter, anch’egli nella scuderia Capcom, deve molto al nerboruto combattente di Final Fight); ad accompagnarlo Cody, personaggio molto equilibrato nelle caratteristiche, capace di usare i coltelli come arma da mischia e lanciarli, e da Guy, meno potente degli altri ma caratterizzato da un’estrema velocità, capace di saltare sui muri e rimbalzare per poi eseguire un calcio volante; cos’altro poteva catalizzare le attenzioni di noi giovani gamer, che avremmo pure potuto giocare in co-op, menando legnate in due in giro per la città con mosse spettacolari ed effetti sonori esagerati? Il gioco era un’icona annunciata.
Se mi chiedete di ricordare le mie estati, l’uomo che sono ricorderà le serate con gli amici, le bevute e le risate, ma il gamer che già all’epoca coltivavo richiamerà alla mente questi due titoli, quelli che più hanno totalizzato la mia attenzione da ragazzino, fino all’arrivo di sua maestà Street Fighter II: non penso abbia bisogno di presentazioni, e ci metteremmo una stagione intera a parlarne.
Era veramente difficile schiodarmi da un cabinato, anche col caldo che faceva, per questo motivo a volte attiravo sguardi di ammirazione dagli altri bambini, altre volte li innervosivo, e capitava anche di essere partecipe anche di piccole zuffe tra ragazzini (succedeva anche questo, nelle sale giochi della mia città, anche l’arcade poteva regalarti momenti di vita vera).

Di estati da allora ne sono passate, la mia passione per i videogiochi non è mai diminuita: si è gradualmente spostata dall’ambiente delle sale giochi a quello casalingo, ero un fiero possessore di Sega Mega Drive con annesso Mega Cd (su cui ho potuto finalmente giocare a Ghouls ‘n Ghosts  e Final Fight comodamente seduto sulla mia poltrona), e d’estate adesso potevo organizzarmi con gli amici per giocare a Golden Axe, Mortal Kombat nel salotto di casa mia; certo, avevo anche amici possessori del Super NES, e lì si andava a giocare a Street Fighter 2 e Mario Kart: la console war era feroce, si faceva a gara se fosse meglio Sonic o Super Mario, ma alla fine vincevano sempre i videogame. Perché i videogiochi, quelli belli, non hanno tempo né un colore politico o calcistico, i videogiochi belli si giocherebbero in ogni stagione e, sia al caldo dell’estate o durante la pigrizia invernale, sono sempre un’occasione per ritrovarsi con gli amici, pronti ancora una volta menar le mani a Metro City o in una favela del Brasile, ovunque ci portino in vacanza i nostri amici virtuali.




Un’estate al nerd

La spiaggia, strade assolate, vento che sferza in faccia durante un giro in motorino, arrivare al mare, distendersi e dimenticare ogni cosa: la scuola, il lavoro, inverni e autunni di pensieri, responsabilità e preoccupazioni. L’estate è questo, ed è serate nei chioschi, chitarre davanti a un falò, baciarsi distesi sulla battigia e andare a dormire soltanto al palesarsi dell’alba. Per alcuni è i giochi all’aperto quando si è piccoli,  per altri le passeggiate in bicicletta, per altri le birre, le prime limonate… ha il sapore di ogni età, l’estate, e c’è sempre spazio per ogni cosa, e c’è il tempo per farla, quella cosa, nella calma placida di ogni ora libera e vacanziera.
In questo abbondare di tempo libero, volete non si trovi spazio per i videogiochi? Perché fra una pausa e l’altra del dolce far niente, tra una partita a pallone e una gara di tuffi, il tempo per una partitina in formato handheld o per un giro di joypad nella propria stanza si è sempre trovato. O, se si era in giro, non si lesinava una visita alla sala giochi, per chi abbia vissuto quell’epoca d’oro di luccicanti coin-op.

Per l’estate vogliamo regalarvi uno spazio amarcord, un momento dedicato ai ricordi estivi, piccoli racconti che testimoniano un altro frammento della nostra passione per i videogiochi. Passione che non ha tempo, né stagioni deputate, che se ne infischia del caldo boia e delle ore che passano fino a che si è fatta notte fonda, istanza del cuore che ti dice: gioca, tanto tornerà un altro inverno, gioca e non pensare ai mille petali di rose.

E quei giorni noi siamo qui a ricordarli, noi che abbiamo una redazione che spazia dai 17 ai 40 anni. Vogliamo raccontarveli tutti, questi decenni di differenza, queste estati che, pur segnando un arco lungo quasi un quarto di secolo, ci hanno riunito qui, sotto l’emblema di una bussola, uniti da un’unica passione. Dunque sedetevi con noi in riva al mare, prendete una bevanda gassata, mettete le cuffie e lasciatevi trascinare indietro nel tempo questi brevi racconti fatti di pixel e parole, righe che raccontano di estati al sapore di nerd.