Cyberpunk 2077: impressioni dalla demo

Il Cyberpunk è una corrente artistico-letteraria molto in voga nel ventesimo secolo: centinaia di opere, tra romanzi, film, serie TV, videogiochi e giochi di società, si sono ispirati a questa corrente interpretandola e reinterpretandola per modellarla secondo le necessità degli autori. Un’opera su tutti, fu quella ludica, riguardo un gioco di ruolo cartaceo chiamato Cyberpunk 2020, pubblicato dalla R.Talsorian Games (Stratelibri in Italia), che ebbe enorme successo nei primi anni dopo l’uscita, tanto che in seguito il GDR venne espanso più volte con altri manuali.

È proprio questo gioco cartaceo di successo che vede la sua trasposizione nel videogioco Cyberpunk 2077, di CD Project RED; gioco del quale finalmente, dopo una carrellata di video teaser/trailer, nelle ultime ore, è stato rilasciato il primo video long-play che, anche se in versione “alpha”, lascia a bocca aperta anche i più critici dei videogiocatori.

Dopo una piccola premessa della voce narrante sulla precarietà della versione ancora “non definitiva” del gioco, la demo si avvia con la selezione del personaggio, uomo o donna, completamente personalizzabile. Questo long-play si colloca temporalmente quasi all’inizio del gioco vero e proprio, dove V e il suo amico Jackie, supportati in remoto da Kiba, una net-runner (una sorta di hacker informatico), vengono ingaggiati per trovare e recuperare una ragazza il cui localizzatore impiantato, risultava spento. Gli agenti si recano all’interno del covo degli Scavenger, un’organizzazione criminale che effettua rapimenti per estrarre impianti cibernetici dai malcapitati.

Editor innovativo?

L’editor ci mostra per sommi capi le molteplici possibilità di personalizzazione del personaggio, passando dal semplice – si fa per dire –  editor fisico, a quello degli attributi. Viene sottolineato dal narratore che in Cyberpunk 2077 non si avrà la possibilità di scegliere la classe, introducendo un sistema dinamico in tal senso che permetterà di acquisirle durante il gioco: caratteristica interessante questa, che potrebbe permettere quindi una personalizzazione dell’esperienza di gioco, in maniera ancora più intima con il giocatore.

Il Gameplay

Cyberpunk 2077 è un gioco di ruolo open-world, con visuale esclusivamente in prima persona. Il gioco è ambientato in un enorme e complessa metropoli distopica collocata in California (Night City) e cosa ancor più incredibile è che l’intero gameplay, è stato studiato per avere caricamenti dinamici degli ambienti di gioco. L’ambiente di gioco è totalmente interattivo e la vita in città scorre fluida e indipendente, proprio per dare quel senso di realtà  che difficilmente si riesce a vedere nei videogiochi. Il titolo permette di equipaggiarsi con armi, oggettistica e vestiario che, come per ogni GDR che si rispetti, modificheranno le caratteristiche del personaggio in base alla qualità dell’equipaggiamento stesso. Durante il gioco  si potrà avere accesso ad alcuni laboratori medici presso i quali si apporteranno modifiche biomeccaniche al personaggio, modifiche che apriranno le porte ad abilità incredibili: un trapianto di cornea per zoomare e scansionare ogni cosa o un impianto palmare per le armi che impugneremo durante il gioco. A volte si potrebbero trovare mercati, non proprio legali, dove per il giusto prezzo, si potranno acquistare attrezzature cibernetiche militari riservate. La possibilità della scelta multipla durante i dialoghi e delle decisioni prese durante il gioco, come per esempio il tipo di approccio alla missione, se diplomatico o meno, influiranno sullo sviluppo del gioco, creando situazioni occasionali che personalizzeranno l’esperienza di gioco. L’implemento dei mezzi di trasporto, per i quali si potrà scegliere tra auto o moto, caratterizza ulteriormente questo GDR fuori dalle righe.
Lo studio dietro le armi proposte è d’eccezione: fucili d’assalto, a canna liscia o pistole, ognuna di esse offre possibilità differenti di approccio al combattimento con un buon equilibrio tra potenza e tattica.

– Alcuni tratti del gioco sembrano ricalcare lo stile di Deus-EX, la tematica “cyberpunk”, alla base anche del titolo Eidos, salta fuori prepotentemente richiamando continui parallelismi con Cyberpunk 2077

Il Comparto Tecnico

Graficamente non passa di certo inosservato, ma dobbiamo sottolineare che stiamo pur sempre parlando di un WiP (work in progress), e nonostante ciò Cyberpunk 2077 potrebbe già essere all’altezza di alcuni giochi già presenti sul mercato. Environment, shader, texture e FX in generale, seppur non in veste definitiva, sono molto promettenti. Gli ambienti cittadini in particolare, non lasciano nulla al caso, sono ricchi di particolari, anche dinamici e rimangono perfettamente in linea con quello che potrebbe essere un contesto metropolitano confusionario, come quello rappresentato nello stereotipo comune del cyberpunk: graffiti e metallo ovunque!

Cosa ci Aspettiamo?

Sicuramente un gioco campione di vendite, perché se c’è una cosa che CD Project RED sta facendo bene, è quella di alimentare l’hype che gira attorno al loro “masterpiece”: Cyberpunk 2077.




Unsighted: un piccolo inno alla diversità

Non è semplice essere uno sviluppatore indipendente, e lo è ancora meno se si è una donna transessuale. Se poi aggiungiamo il vivere in un paese come il Brasile, patria non proprio legata ai videogiochi, diventa tutto ancor più arduo. Questa è in breve la storia di Tiani Pixel, sviluppatrice brasiliana, che insieme a Fernanda Dias e sotto il nome di Studio Pixel Punk è al momento al lavoro sul suo primo gioco: Unsighted, un cyberpunk post-apocalittico – a detta della stessa autrice – fortemente ispirato alle saghe di ZeldaMetroidSouls.
Durante il Brasil’s Independent Games Festival di San Paolo ha avuto modo di mostrare il suo lavoro al pubblico e trattare temi chiaramente a lei vicini, come la rappresentazione dei personaggi LGBTQ nei videogiochi e nella cultura pop in generale (argomento che anche noi abbiamo affrontato qui). Secondo la sua opinione, chiunque inserisca un personaggio del genere all’interno del proprio videogioco dovrebbe anche fare lo sforzo di informarsi il più possibile su tale argomento ed evitare che il risultato non divenga un mero stereotipo, nonostante tutte le buone intenzioni. Bisogna parlare con i diretti interessati, capire cosa fare e sopratutto cosa non fare. L’esempio che è stato preso in causa è quello di Hainly Abrams da Mass Effect: Andromeda: si presenta subito come transessuale e racconta di essere in viaggio per lo spazio solo perché vuole essere accettata. Buone intenzioni, ma non espresse al meglio.

Non solo i trans, ma qualsiasi “tipologia” di persone non dovrebbe essere subito etichettata per evidenziare il loro essere “diverse”, è qualcosa che dovrebbe uscire fuori col tempo e sopratutto non si dovrebbe dare l’impressione che la loro vita giri solo intorno a ciò che sono.
Con Unsighted, Tiani vuole creare un ambiente che possa includere e rappresentare nel modo più naturale possibile, inserendo personaggi considerati fuori dal comune all’interno del mondo dei videogame (a partire dalla protagonista, una donna di colore) e chiunque riesca difficilmente a sentire quella forte connessione a livello personale all’interno di un videogioco, potrà trovarla all’interno del suo titolo.
Questo media sta diventando sempre più importante e determinante anno per anno; in molti dicono che determinati videogiochi sono persino riusciti a segnare e cambiare la loro vita sotto diversi spunti: trovare la forza di andare avanti durante periodi difficili, prendere determinate decisioni, conoscere persone che in futuro diventeranno importanti. È giusto che vengano usati anche per aiutare quelle persone che si sentono diverse e ai margini della società ad accettarsi e sentirsi soddisfatte e fiere di ciò che sono.




Satellite Reign gratis per 48 ore

Humble Bundle ha reso disponibile per le solite 48 ore Satellite Reigngioco indie strategico prodotto e distribuito da 5 Lives Studios. Il gioco è ambientato in un mondo cyberpunk con meccaniche da GDR,  oltre al classico multiplayer online si può contare sulla coop sia online che in locale.




Tower 57

Ricordate i tempi dell’Amiga? Quei giochi per computer un po’ scrausi, un po’ over the top e dal character design alquanto bizzarro che trovavate in mezzo ai vostri floppy senza neanche capire come fossero finiti all’interno del vostro raccoglitore? Ecco che Pixwerk ci porta indietro nel passato con stile, in un epoca fatta di tempi di caricamento lunghissimi (tranquilli, qui non ce ne sono), violenza accentuata e joystick con le ventose da attaccare al tavolino: stiamo parlando di Tower 57, un bellissimo e divertentissimo top-down twin stick shooter per PC, acquistabile tramite le piattaforme Steam, GoG e Humble Bundle.
Il gioco è una vera e propria lettera d’amore per i fan di Alien Breed e Chaos Engine, entrambi popolarissimi titoli per Amiga e DOS, ma anche per chi apprezzato classici per console come Zombies ate my Neighbours e Smash Tv; la sua realizzazione è stata possibile grazie ai finanziamenti di quasi 2000 appassionati, ma Tower 57 offre di più di una semplice operazione nostalgica: è un titolo che fonde più generi, implementa nuove meccaniche, impossibili per i controller dell’epoca, ponendosi così come un gioco moderno, pieno d’azione ma soprattutto divertentissimo.

Time to kick some ass

La civiltà non è più come quella che conosciamo, le città non esistono più e le comunità di persone si sono organizzate in torri, come quella in cui stiamo per infiltrarci: si raggiungono in treno e all’interno di esse ci sono strade, negozi, ospedali, centri di bellezza, hotel e persino fabbriche. A quanto pare, in un piano della Torre, c’è una rivolta in corso e la I.T.G. ha inviato di nascosto 3 dei suoi 6 agenti di punta affinché questo spirito di rivoluzione non si diffonda come un virus. Scesi dal treno prenderemo subito dimestichezza con i semplici controlli e ci recheremo presto nella prima area di gioco, le fogne. I (bizzarri) personaggi del titolo hanno tutti più o meno le stesse caratteristiche: un’arma standard con proiettili infiniti (poco utile durante le mischie più selvagge), un’arma caratteristica più potente e dal raggio d’azione più ampio, un’arma o strumento di supporto e un attacco speciale che distruggerà tutti i nemici in una schermata. Quest’ultimo potrà essere attivato soltanto quando la barra speciale, che si riempie lentamente a ogni nemico annientato, sarà piena e metà della stessa potrà permetterci anche di cambiare personaggio in vista di guai o di una situazione meglio gestibile con un altro agente; non avremo più la possibilità di cambiarli una volta avviato il file di salvataggio perciò è bene trovare il giusto equilibrio sin da subito (anche se è molto difficile visto che dal menù possiamo solo osservare l’immagine dell’arma caratteristica e un’animazione del suo attacco speciale).
Il gioco, essendo un twin stick shooter, permette di controllare gli agenti in azione sia con un controller con due levette analogiche sia con mouse e tastiera, ed entrambi i metodi sono molto precisi e reattivi, perciò basterà scegliere con calma il metodo che più vi si addice. Eliminare tutto quello che c’è in una schermata non è per niente una passeggiata, i nemici si faranno sempre più frequenti e a ogni piazzola ci sarà sempre una vera e propria carneficina; il gameplay è ispirato ai più classici top-down shooter, come i già menzionati Chaos Engine, Zombies ate my Neighbors o Smash TV, ma attinge anche, da come si può notare nelle schermate più “affollate”, dai bullet hell alla Touhou, un po’ come avviene per le schermate di combattimento di Undertale (complesse, sì, ma nulla di impossibile); in aggiunta, come se non bastasse, gli elementi ambientali saranno quasi sempre distruggibili, alcune volte rivelando anche sezioni e passaggi nascosti, e avremo inoltre la possibilità, in alcuni stage, di salire a bordo di un carro armato e moltiplicare il caos in maniera esponenziale. Gli upgrade alle armi e alle parti del corpo danno al titolo, abbastanza definito nel suo genere, un’insolita veste RPG e dunque più potenti saremo, meglio riusciremo liberare le schermate dai nemici; sfortunatamente il gioco chiede molto grinding sin da subito e tutto quello che faremo per livellarci non sempre sarà ripagato. Per quanto sia divertente spazzare via i nemici nelle maniere più violente possibili per poi raccoglierne i soldi, che servono proprio per comprare gli upgrade, questi spesso non saranno mai abbastanza per comprare le migliorie negli appositi banconi; già dal secondo livello gli upgrade saranno decisivi e si finirà inequivocabilmente per creare disparità temporanee fra i personaggi. Tuttavia Tower 57 si pone come un gioco molto tosto, con la giusta pazienza (e con i giusti trucchetti per vincere alle scommesse nelle bische clandestine dell’hub world) è possibile completarlo in single player ma per godere veramente del potenziale di questo titolo vi consigliamo di giocarlo in co-op locale, proprio come si faceva con i titoli sopramenzionati; il gioco offre anche la possibilità di una cooperativa online, però, momentaneamente, i server sembrano deserti, e dunque non siamo proprio riusciti a provare questa modalità per mancanza di giocatori (anche per questo vi consigliamo di sedervi davanti al pc con un amico).

Follia con classe

Le peculiarità grafiche, come già accennato all’inizio, si rifanno allo stile e alla palette di colori 16 bit tipica dell’Amiga, ma il vero punto forte di questo titolo è il suo art style: le tecnologie retro-futuristiche/fantascientifiche che caratterizzano gli ambienti di questa società distopica si rifanno al dieselpunk, stile che fonde elementi steampunkcyberpunk con una spruzzata di Art Deco degli anni ’30; il tutto si fonde perfettamente con la coloratissima, seppur opaca, grafica dei popolarissimi tardi computer Commodore. Per darvi un idea di questo particolarissimo stile vi basterà pensare a giochi come Bioshock o Grim Fandango, oppure a film come Blade Runner, Brazil di Terry Gilliam o il leggendario Metropolis di Fritz Lang (film che influenzano, difatti, anche la trama di Tower 57). Non mancheranno, inoltre, infiniti rimandi all’Amiga stesso come le sfere a scacchi un po’ dappertutto, simbolo del popolarissimo PC, o il floppy che segna il salvataggio automatico con i tipici temi arcobaleno; tocchi del genere sono delle vere chicche per i più nostalgici! L’art stile generale influenza, di conseguenza, anche i personaggi giocabili e i ritratti che li raffigurano, così come quelli degli altri NPC del gioco, che risultano bizzarri e over the top, inutile a dirlo, in pieno stile anni ’90!
Gli stessi personaggi godono di doppiaggio, e le linee di dialogo, quando questi esaminano un oggetto o raccolgono medi-kit e munizioni, sono veramente esilaranti, specialmente quelle di The Don che, essendo italiano, quando analizza qualcosa di cui non ne capisce il significato ci delizia con un bel «che c***o è» (espresso con un poco convincente accento anglosassone, un po’ alla Italian Spiderman). La musica che fa  da sfondo al gioco si mantiene nell’area elettronica, attinge dal chiptune dei giochi per computer europei, un po’ dalla demoscene ma senza necessariamente utilizzare quegli stessi suoni; tutto sommato la colonna sonora è ben composta e ci sono molti bei temi anche se, nonostante sia molto valida, rimane impresso poco e niente delle melodie dei livelli.

E chi se lo aspettava!

Tower 57 è davvero una bellissima sorpresa: è difficile, ha stile, diverte con meccaniche molto semplici e presenta pochissimi bug sul piano del gameplay. Il vero peccato questo gioco è la sua longevità; anche se la difficoltà ci terrà lontani dal completarlo in un batter d’occhio purtroppo il gioco finisce proprio quando cominceremo a diventare veramente bravi, il che significa fra le 3 e le 5 ore di gioco. Ad ogni modo, i diversi personaggi permettono almeno un po’ di rigiocabilità più, specialmente se si vuole ottenere il finale buono, ma la vera peculiarità del titolo sta nel suo multiplayer, pensato e tarato per una sessione di gioco in compagnia. Raccomandiamo vivamente Tower 57 anche se vi servirà un buon inglese per apprezzare la storia e lo humor; il gioco non è tradotto in italiano e la lingua utilizzata è giusto un po’ astrusa, forse per attenersi meglio ai toni noir della storia. Con 11,99€ potrete però portarvi a casa un bel titolo in grado di regalarvi piacevolissime ore insieme ai vostri amici o online (se riuscite a trovare qualcuno): una vera e propria gemma nascosta.




Seven Sisters

Arriva nelle sale italiane Seven Sisters, un fantastico film dalle influenze cyberpunk e dagli scenari futuristici che richiamano opere come Brazil, Il Quinto ElementoBlade Runner. La sceneggiatura di questa pellicola ha una storia abbastanza travagliata: scritta da Max Botkin nel 2001, Seven Sister, che ai tempi vedeva in realtà dei protagonisti uomini, non arrivò mai a trovare un produttore e finì per diventare una delle sceneggiature più belle mai scritte ma al contempo per molto tempo mai arrivate su grande schermo. In anni recenti, Tommy Wirkola, regista di alcuni film bizzarri come Hansel e Gretel: Cacciatori di Streghe, Dead Snow e Dead Snow: Red vs. Dead, ha ripescato la sceneggiatura e ne ha traslato la storia al femminile; la protagonista Noomi Rapace – che abbiamo visto in Sherlock Holmes: A Game of Shadows e in Prometheus di Ridley Scott – fu chiamata per il ruolo e ha dato vita, insieme ad altri attori di altissimo calibro come Willem Dafoe e Glenn Close, a questa bellissima storia futuristica affascinante, distopica e a tratti claustrofobica.

Anni di catastrofi e disastri naturali provocano disordine e carestie in tutto il mondo, ma la scienza arriva in soccorso alle crisi alimentari e, grazie a sofisticate tecniche scientifiche, gli scaffali dei supermercati tornano riforniti e colmi per venire incontro alle domande dei consumatori. Tuttavia l’alterazione della natura provoca negli umani alterazioni di DNA e, come conseguenza, si assiste a una crescita di malformazioni ma soprattutto dei parti plurigemellari. La popolazione aumenta a dismisura e, per non cadere ancora una volta nelle recenti crisi, viene applicata la legge del figlio unico; dal 2043 tutti i nascituri saranno figli unici, le nascite tracciate con un braccialetto elettronico e, nel caso di gravidanze indesiderate o parti gemellari, i secondi nati, intorno al loro settimo anno d’età, prenderanno parte al programma di crio-sonno, programma che li indurrà in uno stato onirico per anni per essere poi reimmessi nella società appena la demografia lo consentirà, godendo se non altro di una società più avanzata, tecnologica e migliorata. Intorno a questo periodo, una donna che risponde al nome di Karen Settman, dà alla luce sette gemelle, tutte identiche fra loro come delle gocce d’acqua, morendo durante il parto. Terrence Settman, il padre interpretato da Willem Dafoe, decide di adottare le sette bambine, visto che la donna non era più in buoni rapporti col marito, e di chiamarle come i giorni della settimana. Più in là scopriremo che Terrence aveva deciso di non rivelare le nascite al Child Allocation Bureau e così, con particolare ingegno, riuscì a mascherare le sette ragazze dietro adun’unica identità, ovvero quella di Karen Settman, la loro madre, facendole uscire di casa una alla volta a seconda del nome corrispondente al giorno della settimana. Le sette sorelle Settman (chissà che non sia un caso che si chiamino proprio Sett-man) hanno vissuto per anni dietro l’identità di Karen Settman ma sono a un punto in cui le loro personalità cominciano a emergere e la vita dietro a un’unica identità comincia a pesare ad alcune di loro; la maschera di Karen regge, ma è fragile, un’identità composta da sette personalità ma senza che una prevalga o abbia una volontà vera e propria, una vita di regole, precauzioni, prevenzioni, continui voltarsi le spalle e report a fine giornata per far sì che il resto delle sorelle apprenda ciò che la “sorella del giorno” ha vissuto per poter dare credibilità all’identità di Karen Settman. Per quanto queste si lamentino e condannino il sistema che le costringe a questa vita, non possono far molto, se non continuare a far finta di essere la Karen Settman che il governo conosce; in fondo Karen lavora in una banca e tecnicamente non le manca niente ma la sua vita è finta e ciò è sentito in maniera particolare da Giovedì, la più irrequieta ed eversiva delle sette sorelle, probabilmente la più diversa e che non vuole più accettare compromessi (se non altro nominata secondo il giorno dedicato a Giove, irrequieto e funesto Dio della guerra). Non è certamente per nulla facile fare quello che ha fatto Noomi Rapace che ha interpretato tutte e sette le sorelle Settman, grazie a un ingegnoso uso dei green screen, controfigure e a una recitazione profonda per ognuna delle protagoniste. L’attrice svedese, a detta sua, si è divertita un sacco nei ruoli delle sorelle Settman, si è preparata per cinque mesi per le parti parlando un sacco di volte sia allo specchio che rispondendo a battute immaginarie nella quotidianità; l’impegno dell’attrice è evidente e i suoi sette ruoli sono restituiti con classe, distintamente e senza alcuna sbavatura. Ci sono tratti distintivi che spiccano per ogni ragazza, come la noncuranza di Sabato, la particolare bontà di Domenica e l’insicurezza di Martedì e Venerdì, ma ci sono anche tratti comuni a tutte le ragazze, come la compassione, la bontà d’animo e l’aiutarsi a vicenda l’un l’altra. Decisivo invece è stato l’utilizzo del green screen che ha permesso la realizzazione di scene così delicate, in cui la protagonista non doveva solamente rispondere alle sue stesse battute ma farlo con precisione e cura, guardando ad esempio nella direzione giusta o attendere il momento esatto per rispondere alla battuta di una sorella che aveva interpretato precedentemente. Non dimentichiamo inoltre la prestanza fisica dell’attrice che, parallelamente alle sue doti recitative, ha dovuto prepararsi fisicamente a delle scene d’azione infuocate, che per fortuna non scadono mai nell’assurdo per fini di mera spettacolarità.

Il film, sia tramite i dialoghi che con le scene d’azione, riesce molto bene a restituire quel senso di claustrofobia e persecuzione di un regime totalitario pronto a sopprimere qualsiasi cosa vada contro le loro regole: i cattivi sembrano agire per il meglio ma ciò che può sembrare il bene di tutti è in realtà una maschera per nascondere ciò che si cela veramente dietro “la sicurezza” e “l’ordine” che il Governo in carica propaganda. Nicolette Caymam, il capo del C.A.B. interpretata da Gleen Close, è infatti una persona costretta a essere gelida, pronta a tenere in mano la situazione e a tenere nascosta tutta la verità sulla propria candidatura ma che, in fondo, è dispiaciuta di non trovare altra alternativa per il bene dell’umanità, e, per quanto la legge del figlio unico possa sembrare anche a lei una barbarie, sa che questa è l’unica soluzione per tenere a freno quell’ondata demografica che non sembra fermarsi.
La fotografia è molto curata, in grado di restituire quel senso di grandezza che di fa sentire piccolo di fronte una città immensa, fra strade affollate e caotiche che quasi non fanno respirare. Tuttavia le ambientazioni, seppur molto belle e ben curate, sono un po’ noiose, già viste, nulla che ci faccia restare a bocca aperta o ci entusiasmi come in Blade Runner 2049. Le scenografie sono piene di strumentazioni ipertecnologiche che si fondono perfettamente agli ambienti e regalano alle scene della luce propria che accentua ancora di più il rapporto tecnologia-uomo ma, anche qui, nulla che non abbiamo già visto in recenti film. La colonna di Christian Wibe non è niente male, si adatta bene a ogni scena, non sfora mai oltre il rappresentato ed è sempre in tono con ciò che vediamo, anche se anche qui, come già per il comparto grafico, non riusciamo a gridare al capolavoro, per quanto belle le melodie che fanno da sfondo alla storia non offrono alcuna sonorità originale: si tenta, come in molti altri film, di travolgere lo spettatore con suoni forti e pomposi, ma alle musiche di questo film manca un timbro che possa conferir loro unicità e distinzione e questo stampo sonoro, comincia a stancare.

Insomma, Seven Sisters – il cui titolo al di fuori di Italia e Francia è What happened to Monday – sembra a primo acchito un film atto ad attrarre i fan dei superhero movie pieni di azione e di effetti speciali all’avanguardia ma in realtà è così: nonostante la grande produzione possa metterlo accanto ai film più frenetici di oggi, Seven Sisters regala una visione profonda allo spettatore, un’opera che va vista e commentata, una storia che può essere letta e vissuta da più punti di vista e che, attraverso ognuno di questi, può fornire una visione diversa di ogni situazione rappresentata. Seven Sisters è sicuramente un film per gli amanti del cyberpunk, e dunque di film come Blade Runner, Brazil, Strange DaysIl Quinto Elemento ma anche I Figli degli Uomini; è un film con un contenuto molto solido che offre solide riflessioni, tante prospettive e che pone questioni su diversi temi quali l’amore per la vita, la libertà d’opinione, la vita in tempi critici e se e in che misura anche in questi casi il fine possa davvero giustificare i mezzi. Le visual e le musiche di questo film sono molto belle ma, come già ribadito, non raggiungono particolari picchi emozionali né si stagliano nell’immaginario dello spettatore; il film risulta vagamente approssimativo in questi aspetti e anche un po’ piatto. Tanti, troppi elementi già visti, possibilmente fatti anche meglio, ma triti. In compenso, il film offre una storia veramente bella da godere e tanti spunti per un bel dibattito post visione con gli amici, ed è certamente un’opera da vedere perché non lascerà alcuno indifferente alla sua visione.




Tokyo 42 – Citazioni ne Abbiamo!?

Ogni tanto si assiste a un ritorno agli anni ottanta: che sia per la moda, sui libri, film o videogiochi poco importa; in qualche modo quegli anni ci hanno lasciato qualcosa e riviverne i momenti migliori mette una pezza alla nostalgia. Proprio in ambito videoludico abbiamo avuto molti esempi di revival che, prendendo spunto da film di genere come Dredd, Blade Runner o Robocop, hanno fatto saggiare le peculiarità di sceneggiatura e messa in scena tipica di quegli anni. Basti citare il DLC di Far Cry 3 denominato Blood Dragon, un’enciclopedia della fantascienza più trash anni ottanta, fino al titolo protagonista di quest’oggi, Tokyo 42. Anch’esso recupera tutte le caratteristiche dei lungometraggi di quegli anni, le situazioni, i dialoghi e il design, impacchettando un titolo divertente e di intrattenimento, pur non privo di qualche difetto.

Cyberpunk 2042

Impersoniamo qualcuno la cui vita cambia improvvisamente. Veniamo a scoprire dalla TV che siamo stati incastrati per un omicidio accaduto per le strade di Tokyo. L’unica cosa da fare è scappare e cercare risposte su chi è stato e perché. Inutile dire che le parole assumeranno forma di proiettile. Questo è insomma l’incipit di Tokyo 42, di certo non una trama cervellotica, ma comunque adatta al tipo di contesto. È un pretesto, qualcosa che ha la funzione di introdurci al mondo di gioco e di guidarci verso il finale. Anche i comprimari subiscono una caratterizzazione anni ottanta, con dialoghi sopra le righe e colpi di scena abbastanza forzati. Nel corso della storia interagiremo con diversi personaggi, tutti con uno stile di vita abbastanza discutibile, ma che saranno utili per scoprire la verità su quanto successo. La trama si sviluppa come se fosse il primo GTA (con il dovuto metro di paragone): nel peregrinare da un capo all’altro di Tokyo troveremo, in parallelo alle missioni principali, quest secondarie legate ai diversi personaggi, oltre a un sistema – che potremmo definire “di contratti a termine” – che ci permetterà di acquisire reputazione e denaro. Proprio la reputazione diventa il fulcro del gioco: maggiore sarà, più avremo a che fare con i pezzi grossi della mala e, di conseguenza, avremo modo di acquisire informazioni cruciali.
Insomma, Tokyo 42 non è altro che un’accozzaglia di cliché anni ottanta, piena di riferimenti a film, manga (uno su tutti Ghost in the Shell), e tanto altro di quanto sfornato in quegli anni. E proprio per questo ci piace.

Se non hai un gatto non sei nessuno

Tokyo 42 è innanzitutto uno sparatutto-sandbox. Le varie missioni che sceglieremo hanno una buona dose di varietà d’approccio: sfruttare la mappa sarà essenziale in ogni frangente, non solo se si vuole affrontare il tutto in stealth, ma anche se si vuole intraprendere la strada di uno Steven Seagal qualunque. Il nostro arsenale è molto vario, e va dalle classiche pistole ai fucili di precisione, sino al bazooka e a una katana che regala grosse soddisfazioni. Quando si comincerà a fare sul serio inizierà una vera e propria guerra: capiterà molto spesso di trovarsi da soli contro decine di nemici e centinaia di proiettili visibili a schermo; proprio quest’ultima caratteristica sarà essenziale dato che ci permetterà di schivare letteralmente i colpi nemici e di rispondere di conseguenza, magari sfruttando la scarsa IA degli avversari.
Particolare è anche il sistema di puntamento – un po’ macchinoso, a dir la verità –nel quale diventa essenziale mirare con attenzione ma, complici alcuni problemi di prospettiva, può risultare frustrante, soprattutto durante i momenti più concitati. Qualora le cose si mettessero davvero male, entrerà in scena anche un simpatico sistema di mimetizzazione olografica: consumando l’energia di una batteria non meglio specificata, potremmo cambiare aspetto e mischiarci così tra la folla. Anche questo sistema dovrà essere pianificato e bisognerà controllare se nelle vicinanze sia posizionato o meno un sistema di ricarica dell’energia. Una volta perse le tracce, i nemici riprenderanno il proprio pattugliamento. È un titolo che non risulta per nulla semplice, grazie anche al fatto che basta essere colpiti soltanto una volta per ritrovarci all’altro mondo. Oltre a questo avremo a che fare anche con le Nemesi, colleghi assassini che desiderano farci fuori; anche loro possono mimetizzarsi tra la folla per cui, potenzialmente, ogni cittadino di Tokyo può diventare una minaccia. Fortunatamente potrà venire in nostro soccorso – una volta sbloccato – un gattino modificato geneticamente che, con il suo potere di rilevazione, può aiutarci a trovare la Nemesi e quindi rispedirla al mittente.
Un elemento cardine del gameplay di Tokyo 42 è la prospettiva, nel bene e nel male. Tutta la mappa può essere infatti ruotata a intervalli di 90° permettendoci di vedere tutto ciò che rientra nel nostro interesse. Il rovescio della medaglia si ha però quando ci troviamo in spazi stretti, magari tra un palazzo e l’altro, dove diventa praticamente impossibile vedere la strada da percorrere o individuare eventuali ripari. Peggio ancora quando si è alla guida di un mezzo di per sé già difficile da governare che, con l’aggiunta di un cambio prospettico di questa portata, diventa una delle parti più frustranti del titolo.
Tokyo, comunque, si presenta molto colorata, con un design che si rifà in parte a opere come Ghost in the Shell: grattacieli colorati, enormi schermi continuamente animati e alcuni sistemi tecnologici ci proiettano direttamente nel futuro; è liberamente esplorabile a piedi ma è possibile utilizzare anche – una volta sbloccati – i vari punti d’interesse, un sistema di teletrasporto in tempo reale molto utile, data la dispersività e caoticità della mappa. Particolare è anche la scelta di annullare completamente i danni da caduta, anche da altezze proibitive.
Lungo la città sarà possibile fare acquisti in punti specifici, soprattutto di armi e munizioni, ma anche di alcuni oggetti di dubbia utilità, come ad esempio un casco di banane. La mappa presenta anche dei piccoli segreti da raggiungere, oggetti rari che, una volta recuperati, entreranno a far parte del nostro arsenale.
Durante il gioco si sente comunque la mancanza di una reale omogeneità tra le varie parti del titolo, si ha l’impressione che mondo di gioco e narrazione siano completamente slegate e anche alcune meccaniche risultano ancora grezze.
Anche l’audio generale e le musiche non fanno gridare al miracolo, ed è un vero peccato perché proprio sul piano sonoro potevano essere inserite delle chicche davvero niente male. Il titolo è completamente tradotto in italiano.

In conclusione

Tokyo 42 si presenta come un titolo dall’alto potenziale mal sfruttato: l’approccio alle missioni è sicuramente il punto forte del titolo ma il sistema di puntamento impreciso, la mappa molto carina ma caotica e, soprattutto, i già citati problemi di prospettiva, rendono questo indie game spesso frustrante. La sfida data dalle missioni può comunque intrattenere e un contesto che non si prende molto sul serio aiuta molto a non focalizzarsi su alcuni difetti narrativi e di design. Chi è amante della fantascienza anni 80-90 troverà comunque modo di apprezzare le scorribande per le vie di Tokyo.