My Hero One’s Justice – Poco Plus, Poco Ultra

Con la facilità odierna nel reperire manga e anime in occidente era naturale che la diffusione di tali media travalicasse la carta stampata o animata. Ormai siamo circondati da live action cinematografici di ogni tipo e anche il videogioco non è stato da meno; dai Dragon Ball Budokai, passando per i più recenti Naruto Shippuden di Cyberconnect 2 sino alle trasposizioni di Attack on Titan, Black Clover, Seven Deadly Sins e Kill la Kill, stessa sorte non poteva che non toccare al battle shonen del momento: My Hero Academia. L’opera di Kohei Horikoshi, targata 2014, è diventata in breve tempo il nuovo punto di riferimento per gli orfani di Naruto & Co. trovando sostegno anche dai pezzi grossi del settore come Masashi Kishimoto e Eiichiro Oda. My Hero One’s Justice non poteva che presentarsi come un picchiaduro e come prima iterazione, risulta essere una buona base di partenza su cui sviluppare eventuali seguiti.

I due moschettieri

Da un po’ di tempo a questa parte il mondo non è più lo stesso: improvvisamente cominciarono a manifestarsi nuove capacità nell’essere umano, forse un salto evolutivo che ben presto interessò circa l’80% della popolazione mondiale. L’apparizione dei Quirk (o Quork se guardate Italia 2) portò il mondo nel caos e solo alcuni uomini valorosi riuscirono a mettervi ordine. La nuova società formatasi ha reso possibile la realizzazione di un sogno d’infanzia, essere Super Eroi, un mondo precluso però al protagonista delle vicende: Izuku Midoriya. Nonostante la passione e la voglia di realizzare il suo sogno, Izuku è una delle poche persone al mondo a non possedere alcun Quirk e solo dopo un evento significativo potrà cominciare la sua rincorsa verso la propria realizzazione. Questo è in sostanza l’incipit di My Hero Academia ma stranamente, non lo è di My Hero One’s Justice. La scelta di Byking, sviluppatori del titolo, è quella di far partire le vicende già nel vivo, con Izuku (o da questo punto se preferite, Deku), intento a eseguire il tirocinio da Gran Torino, vecchia gloria tra gli eroi. Non partire dall’inizio dunque, è una scelta a dir poco coraggiosa, in quanto il rischio di tener fuori chi ancora non si è affacciato alle vicende di Horikoshi è presto detto: non basta una piccola introduzione iniziale infatti per creare il giusto contesto; solo chi segue il manga o l’anime dello studio Bones, riuscirà ad apprezzare quanto vede su schermo. Narrazione che prosegue attraverso tre tronconi principali di cui il primo dedicate al punto di vista degli Eroi e il secondo dei cosiddetti Villain, che ripercorrono le vicende del manga/anime con combattimenti singoli intervallati da piccole cutscene in stile fumetto. Sono presenti anche combattimenti “what if“, che cercano di aggiungere un minimo di profondità a storie già narrate. Nel complesso dunque, benché l’idea di separare le campagne rispecchia l’idea originale del mangaka, la narrazione non riesce a rendere giustizia alla famosa opera anche per chi conosce nei dettagli quanto avvenuto. Purtroppo anche le tematiche vengono un po’ lasciate da parte, palesando la natura di tie-in senza troppe pretese. My Hero Academia infatti, rappresenta l’ultima evoluzione dei battle shonen, con personaggi estremamente approfonditi, siano essi protagonisti o personaggi secondari, dando anche spazio a personaggi femminili di livello cosicché, anche il pubblico del gentil sesso abbia la possibilità di immedesimarsi nella sua eroina preferita. L’unione di manga giapponese con uno stile vicino ai fumetti americani inoltre, è la ciliegina sulla torta, in grado di far spiccare, anche visivamente, i disegni di Horikoshi, un altro punto forte dell’intera opera.
Ma il videogioco, non cerca di narrare solo le vicende del manga ma anche di divertire attraverso alcune modalità extra: oltre ai classici scontri uno contro uno e la modalità allenamento, My Hero One’s Justice offre anche le Missioni, un sistema di combattimenti suddivisi in vari stage con difficoltà crescente, in cui via via è possibile aumentare il livello del proprio personaggio e sbloccare le componenti dedicate alle personalizzazione, anche se purtroppo solo estetiche. Questa modalità rappresenta tutto il gioco: l’idea sulla carta è buona ma molti elementi risultano sin troppo abbozzati. A questo punto possiamo desumere che l’eventuale My Hero One’s Justice 2 potrebbe avvicinarsi a quanto mostrato in Dragon Ball Xenoverse, Attack on Titan 2 o Naruto to Boruto: Shinobi Striker, in cui la creazione del proprio alter ego, sfruttando componenti RPG, potrebbe dare quella profondità necessaria per tenere incollati i giocatori più a lungo.

Quirk, quork e quark

È chiaro sin da subito come in My Hero One’s Justice bisogna menare le mani e lo si fa all’interno di arene che replicano gli stage più importati del manga. Una volta scesi in campo dunque si ha a che fare con un combat system ibrido, che mischia piccoli tecnicismi all’accessibilità, soprattutto per rendere ogni tipo di utente già pronto per il campo di battaglia. Oltre a combo fisiche eseguibili con la sola pressione di un tasto, abbiamo la possibilità di eseguire salti e scatti, quest’ultimi differenziati da personaggio a personaggio. In questo caso infatti, si nota una cerca cura al dettaglio: lo scatto di Lida col suo Quirk Engine è del tutto diverso da quello di Bakugo, che sfrutta le esplosioni generate dalle mani per muoversi rapidamente. Questo, oltre al fattore visivo, influenza anche gli scontri in piccola dose, dato che oltre allo scatto anche alcune movenze sono influenzate dal Quirk posseduto. Sembra che ogni personaggio sia stato modellato sulla base del proprio potere, risultando dunque diverso da qualunque altro. Ma esistono Quirk e Quirk e il loro sbilanciamento si riscontra anche sul roster, che conta soltanto 22 personaggi, lasciando fuori oltre ad alcuni elementi della della sezione A, anche la sezione B e soprattutto molti Pro Hero. Una delle pecche più grandi del titolo è appunto lo sbilanciamento: alcuni personaggi risultano del tutto inutili mentre altri, fin troppo efficaci. All for One, AllMight ma anche Todoroki, sono dei veri killer e utilizzarli permette già di partire con un minimo di vantaggio.
Ogni combattimento purtroppo soffre di molti alti, ma anche di profondi bassi, dovuti essenzialmente a un’IA in single player veramente deficitaria e una risposta ai comandi non sempre all’altezza. Anche la scelta di poter utilizzare alcuni colpi Quirk base a ripetizione, senza quindi ricaricare alcunché, rende le partite, sopratutto online, un vero incubo, in quanto si è portati allo spam di qualunque tecnica a nostra disposizione. I veri colpi Quirk, denominati Plus Ultra, richiedono il caricamento di una barra apposita (attraverso colpi inferti o subiti), su tre livelli, ognuno corrispondente a un determinato colpo spettacolare tranne il terzo, utilizzabile sono quando i due compagni a seguito (à la Naruto), sono a disposizione. Il risultato generale è soddisfacente ma è indubbio che è possibile fare di meglio. Resta inoltre inspiegabile come sia possibile combattere sulle pareti verticali di ogni stage come nell’opera di Masashi Kishimoto visto che, sia in manga che anime, questo non avviene.
Anche la personalizzazione dei propri personaggi preferiti non riesce a far centro: se è vero che abbiamo a disposizione molti asset differenti per grado di rarità, appartenenti ai vari personaggi, purtroppo questi hanno solo valenza estetica, senza dunque influire su alcuna statistica di gioco. Però possiamo divertirci a personalizzare le entrate in scena dei personaggi, partendo dal suo slogan e per sino le frasi da utilizzare in battaglia, piccole chicche per gli amanti della saga.

JoJo style

Se escludiamo l’eccellente Naruto Shippuden: Ultimate Ninja Storm 4, tutti i tie-in di anime e manga soffrono del medesimo problema e purtroppo, anche My Hero One’s Justice, non fa eccezione. Si può notare infatti una forte discrepanza visiva tra i modelli poligonali dei protagonisti e gli scenari, che vantano si un’ottima distruttibilità ambientale,  ma rispetto agli ottimi modelli dei personaggi, soffrono di una mancata cura nei dettagli e nell’uso di shader e texture. Come dicevamo appunto, i protagonisti risultano eccellenti, con ottime animazioni e in grado di rispecchiare le tavole di Koei Horikoshi, con tanto di onomatopee su schermo. Il risultato, almeno visivamente, è quello di un manga interattivo, molto bello a vedersi. Inoltre, tutto risulta stabile sui 60fps, con leggeri cali solo quando vi è un forte spam di Quirk. Anche i filtri svolgono un buon lavoro, tra anti-aliasing e anisotropico (anche se quest’ultimo non regolabile su PC), regalando una buona pulizia.
Sul fronte audio non poteva mancare il doppiaggio originale dell’anime giapponese, introducendo i capitoli nella modalità storia, nelle poche cutscene animate presenti e ovviamente durante gli scontri, forse in questo caso un po’ ripetitivi, ma con la possibilità di personalizzarli una volta sbloccati gli asset necessari. A sorpresa, anche le musiche risultano di buon livello, cercando di replicare nei suoni l’eccellente colonna sonora dell’anime, firmata Yuki Hakashi.

In conclusione

My Hero One’s Justice è, a conti fatti, un discreto punto di partenza: riesce a divertire nonostante qualche imprecisione qua e la e un comparto tecnico che pur soffrendo di alti e bassi, riesce a regalare un buon colpo d’occhio. Quello che manca è una reale profondità, con Byking che forse si è limitata a svolgere un semplice compitino con l’intento di  aggraziarsi senza fatica i fan della serie. L’auspicio è quello di vedere un futuro secondo capitolo più curato in ogni aspetto, in grado di dare giustizia a uno dei manga migliori degli ultimi anni.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Dusty Rooms: il viaggio di Link in Majora’s Mask

The Legend of Zelda è una saga che certamente non ha bisogno di presentazioni. È difficile trattare questi titoli nell’ambito del retrogaming in quanto ognuno di esso, che sia uscito negli anni ’90, nella scorsa decade o per una console portatile, è sempre così attuale da poter essere giocato in ogni era videoludica, risultando quasi sempre al passo coi tempi (ne sono esempi i numerosi remake usciti per Nintendo 3DS e Wii U). Oggi entreremo nel profondo di uno dei titoli più strani della saga, un titolo molto discusso e, a oggi, ancora fra acclamazioni e stroncamenti. The Legend of Zelda: Majora’s Mask fu un titolo che, come al solito, riscosse un gran successo commerciale ma lasciò ai fan una certa angoscia, un retrogusto amaro che, in realtà, non è facile da descrivere. Frase molto comune, fra i più appassionati, è: “Majora’s Mask è uno dei titoli più cupi della saga di Zelda“. Ma perché? Cosa c’è dietro agli scenari bizzarri, agli artwork ombrosi e alle tristi storie di Majora’s Mask? Diamo uno sguardo alle tematiche che abbracciano questo spettacolare gioco per Nintendo 64, rilasciato non molti anni fa per 3DS con una nuova veste grafica. Ovviamente, se non avete ancora giocato a questo titolo ma avete comunque intenzione di farlo, vi sconsigliamo di leggere questo articolo e perciò preferiamo lanciare un allarme spoiler.

Le fasi del lutto di Kübler-Ross

Come ogni capitolo prima di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Majora’s Mask ha una storia lineare e ci viene rivelata visitando i luoghi prestabiliti e i loro dungeon. In molti si lamentano del fatto che questo titolo è molto corto in quanto presenta solamente quattro dungeon e un hubworld. È possibile, tuttavia, riconoscere in questi cinque luoghi le altrettante fasi del lutto di Kübler-Ross, psicologa americana che ha studiato a fondo i fenomeni psicologici che avvengono prima della morte. Vediamoli insieme seguendo l’avventura di Link:

  • Negazione: la nostra avventura comincia a Clock Town, un borgo la cui luna ci si sta per schiantare. Nonostante questo grosso problema, nessuno sembra darci peso, appunto, sembrano negare che la luna stia per abbattersi sulla loro città: gli abitanti vivono nella più normale tranquillità, tanto è vero che la città è in fermento per il carnevale che comincerà fra tre giorni, tempo in cui la città verrà spazzata via. Per farvi un esempio, nell’ufficio del sindaco, il capocarpentiere Muto reputa dei codardi quelli che intendono fermare il carnevale per via della caduta della luna e il maestro di arti marziali del distretto est arriva persino a dirci che al terzo giorno taglierà in due la luna con la sua spada.
  • Rabbia: la nostra prima incursione al di fuori di Clock Town è alla palude a sud, zona della tribù dei Deku. Qui il capo tribù sta per giustiziare una scimmietta ritenuta responsabile per la scomparsa della principessa Deku nonostante la sua provata innocenza; il loro capo è semplicemente arrabbiato perché, non sapendo come reagire perde il controllo prendendosela con chi gli capita a tiro.
  • Patteggiamento: nel territorio a nord, lo spirito del goron Darmani prega Link affinché lo possa far tornare in vita per poter aiutare il suo villaggio. Tuttavia, l’unica cosa che il nostro eroe è in grado di fare è alleviare il suo dolore con la canzone della cura (no… Non quella di Franco Battiato!) e far vivere il suo spirito in lui dopo la sua definitiva morte.
  • Depressione: il passo precedente ci insegna dunque che alla morte non c’è scampo; si perde il contatto col mondo e perciò si cade in depressione. Nell’area ovest della mappa troviamo Lulu, una cantate zora che ha perso le sue uova, dunque i suoi figli; verremo a conoscenza della sua storia tramite i ragazzi della sua band mentre lei sta ferma a guardare l’orizzonte in silenzio, senza dirci nulla e, se è per questo, senza reagire di fronte alla scomparsa dei suoi piccoli.
  • Accettazione: l’ultima area da espolare sarà il Canyon Ikana. Nonostante questa sia una zona arida piena di morte è anche una zona in cui si accettano i propri sentimenti e si perdona per raggiungere la pace interiore. Per prima cosa troveremo il compositore Sharp che, quando sentirà la canzone della pioggia, ripensera a suo fratello Flat, anch’esso compositore, e lo perdonerà per essersi concentrato troppo nel ricostituire la famiglia reale con la conseguenza di averlo trascurato. Tuttavia, il simbolo più grande dell’accettazione è la Stone Tower all’interno del canyon; dopo averla scalata duramente finiremo all’interno di dungeon dove recupereremo la freccia luce che sta a simboleggiare l’illuminazione (che viene dal cielo, esattamente dove ci troviamo avendo letteralmente scalato una torre), l’accettazione della morte.

La tematica del lutto ci accompagna per tutto il gioco e il fatto che la quest principale finisca proprio con “l’illuminazione” non è di certo un caso. Il gameplay di Majora’s Mask si ripete costantemente negli stessi tre giorni e ciò simboleggia il lutto stesso: il fatto di essere intrappolati nella stessa situazione non è che un’allegoria di questo triste sentimento e appunto, l’unico modo per uscirne è accettare le nostre perdite o il fatto stesso che si muoia al termine della nostra vita. Tuttavia, premettendo che tutto questo sia vero, sorge una domanda spontanea: quale perdita stiamo elaborando, o meglio, quale perdita sta elaborando Link?

L’elegia del vuoto

Una prima ipotesi ci sorge guardando sia la fine di Ocarina of Time che quella che l’inizio Majora’s Mask: Navi, la fatina che accompagnò Link sia da adulto che da bambino nella precedente avventura, abbandona il nostro eroe una volta riposta la Master Sword nel suo piedistallo mentre, all’inizio del secondo gioco per Nintendo 64 ci viene spiegato che Link, dopo aver liberato Hyrule dal male, è partito alla volta di un viaggio personale e segreto, un viaggio alla ricerca di un amico. Che Link stia cercando di riempire il vuoto lasciato da Navi? Potrebbe essere una semplice spiegazione che giustificherebbe il tutto ma ciò non spiega diverse altre cose che in realtà ci portano a pensare ben altro, ovvero che Link si trovi in uno stadio oltre la vita e dunque in una sorta di purgatorio.

Innanzitutto diamo uno sguardo al nome di questa nuova landa che, ricordiamo, non è Hyrule: Termina ci fa pensare proprio a “termine“, “fine“, un luogo dove appunto terminano le nostre avventure. Questo mondo si trova sotto terra ma nonostante tutto c’è un cielo e si alternano giorno e notte (se non altro c’è anche una gigantesca luna che non potrebbe stare di certo all’interno di un pianeta), decisamente un po’ strano per essere un mondo sotterraneo dalla quale accediamo tramite un dirupo altissimo; è strano inoltre come Link possa essere sopravvissuto alla caduta dopo che la serie ci ha insegnato che cadere da punti alti non è sicuramente salutare. Ancor più strano è il fatto che Epona, il destriero dell’eroe, non solo possa essere sopravvissuta alla caduta ma anche aver percorso la stessa strada percorsa da Link (impossibile per un cavallo visto che bisognava sfruttare i fiori Deku) per poi finire al Ranch Romani. Inoltre, rimanendo tema, in questo nuovo mondo troviamo tante persone che abbiamo già visto in Ocarina of Time, come appunto le sorelle Romani (che reincarnano la gioventù e l’età adulta di Talon del precedente gioco), il suonatore d’organetto, la banchiera e molti altri. Non dimentichiamo inoltre la meccanica principale del gioco: le maschere e dunque l’abilità di prendere le sembianze di Darmani, Mikau e il figlio del maggiordomo della famiglia reale Deku, tutte persone morte. Che le persone all’interno del gioco, che per altro hanno le stesse sembianze di molti NPC di Ocarina of Time, possano essere tutte passate a miglior vita e noi ci ritroviamo dunque in una sorta di oltre mondo? Ma ancora più inquetante è l’effetto della Elegy of Emptiness che per altro ci aiuterà a trarre delle conclusioni quasi definitive (seppur assurde). Concentriamoci intanto sul tipo stesso del componimento musicale: “elegia“, un componimento triste, malinconico, dai toni meditativi che nascono principalmente da una condizione di infelicità (come appunto la morte). Tuttavia, quando la si suona con l’iconica ocarina del tempo si formano delle statue che sembrano dei veri e propri monumenti alla memoria, e le abbiamo di Darmani, di Mikau, del Deku e di Link stesso… Ma i primi tre non erano morti? Ciò significa che anche Link è morto?
Per quanto la domanda sia assurda ci sono ben due prove a sostegno di questa assurda teoria, la cui prima potrebbe trovare persino conferma in Hyrule Historia stesso. Lo spirito dell’eroe in Twilight Princess è l’incarnazione dell’eroe del tempo, ovvero il Link di Ocarina of Time e Majora’s Mask, sottoforma di Stalfos (ovvero i guerrieri scheletro tipici della saga che, stando a ciò che dicono i Kokiri in Ocarina of Time, erano in origine persone che si sono perse nei Lost Woods); stando ad un suo dialogo, lo spirito tramanda le sue tecniche al Link di Twilight Princess non solo per l’appartenenza alla stirpe dell’eroe ma anche perché nella sua vita, a quanto pare, “ha avuto dei rimorsi”. Confrontando questo titolo con Majora’s Mask le domande sorgono spontanee: che l’eroe del tempo possa essere morto prematuramente? Oppure, vista la sua forma attuale, che possa essersi perduto nei Lost Woods e sia diventato uno Stalfos (visto che prima di cadere nel dirupo che lo condurrà all’interno della torre dell’orologio di Clock Town è in una foresta molto simile ai Lost Woods) e che dunque non ci sia mai arrivato fisicamente a Termina ma in un altro stadio?
La prossima prova solidifica ancora di più la prima e, dunque, il fatto che Link in Majora’s Mask sia fondamentalmente uno spirito. Nelle prime fasi di gioco l’Happy Mask Salesman ci accoglie dicendo: «sei andato incontro a un terribile destino, non è così?» (in inglese: “you’ve met a terrible fate, haven’t you?”). Questa frase, vista la forma di Link quando incontreremo il venditore di maschere per la prima volta, potrebbe riferirsi a primo acchito al fatto che Link sia diventato un Deku ma non è esattamente così; se permetteremo alla luna di cadere su Clock Town, dopo le animazioni della distruzione della città e dell’annientamento di Link, sentiremo la risata del venditore di maschere e la linea di dialogo sullo schermo che ci indica proprio che il nostro eroe è morto. Dunque: che il significato di questa frase sia collocabile anche all’inizio del gioco e pertanto Link sia già morto?

Vivo Morto X?

The Legend of Zelda: Majora’s Mask potrebbe rappresentare tranquillamente l’accettazione di Link della sua stessa morte, un viaggio attraverso le cinque fasi del suo stesso lutto per poi arrivare alla sua illuminazione e, in un certo modo, andare avanti. Moltissime altre storie di di questo titolo ci insegnano proprio di accettare il nostro destino, che non si può vivere per sempre ma che possiamo farlo tramite i nostri insegnamenti se il nostro spirito non sarà tormentato (le maschere di questo titolo rappresentano proprio questo, il far vivere “uno spirito” in noi per sempre). A ogni modo, nulla di ciò che abbiamo detto è stato mai accolto da Nintendo ma ciò non significa che questo articolo non possa trovare riscontri con la realtà dei fatti; il gioco, proprio per la sua diversità rispetto gli altri titoli della saga, la sua tristezza nelle sue storie e la delicatezza nei suoi temi da spazio a moltissime chiavi di lettura e, con buona probabilità, questa non è l’unica (anche perché ci sono decine di altri elementi che non abbiamo preso in considerazione). Probabilmente è quella che da più senso alla frase “Majora’s Mask è uno dei titoli più cupi della saga di Zelda” e per tanto, chissà, magari questo titolo può essere un ottimo gioco che può aiutarci di fronte alla perdita di un nostro caro, un evento traumatico o capovolgente in quanto, una volta completata la nostra difficile avventura, Termina sarà salva, noi non saremo più soli ma soprattutto non ci troveremo più intrappolati nei soliti tre tristi giorni; sarà l’alba di un nuovo giorno, una vita tutta da vivere e da godere momento per momento.