Top 5: i Migliori Giochi di Aprile 2019
Ad aprile il tempo migliora e le giornate si fanno più lunghe, ma non sono mancati i giorni di pioggia: in entrambi i casi, ogni clima è adatto per dedicarci al nostro hobby preferito! Vediamo quindi quali sono i migliori giochi usciti questo mese.
#5 Cuphead
Cominciamo con un porting, ma di qualità: l’apprezzato run n’ gun di Studio MDHR, con grafica ispirata ai cartoni degli anni ’30, arriva anche sull’ibrida Nintendo: Cuphead, dopo aver ammaliato i giocatori di Xbox One e PC, convince anche su Switch, in quella che è probabilmente, la versione migliore del titolo.
Impersoneremo Cuphead (e Mugman in caso di campagna cooperativa) nella lunga battaglia contro il Diavolo, che ha vinto al tavolo da gioco le loro anime. Sarà un lungo viaggio, tra livelli lineari classici dei platform 2D e boss variopinti e unici per design e comportamento. Un titolo originale nel panorama videoludico odierno, capace di regalare emozioni a raffica anche in portabilità.
#4 Anno 1800
Dopo i non esaltanti Anno 2070 e Anno 2205, torna la serie gestionale di BlueByte con quello che è il suo miglior episodio dai tempi di Anno 1404, ma non solo: infatti Anno 1800 si dimostra essere anche uno dei migliori gestionali degli ultimi anni.
Il titolo è ambientato durante la rivoluzione industriale, diviso tra una campagna narrativa, dove cercheremo di scoprire l’assassino di nostro padre oltre a sviluppare la nostra isola abbandonata, e una modalità sandbox, come da prassi per il genere. Anno 1800 convince soprattutto per l’interfaccia, non più colma di menù e schede, ma più snella e intuitiva, dove spicca la pianificazione per la futura costruzione di edifici, vero e proprio toccasana per il genere. Un ritorno che convince, per una serie che aveva il disperato bisogno di tornare ai gloriosi fasti di un tempo.
#3 Katana Zero
Opera prima dello studio Askiisoft e distribuito dalla solita Devolver Digital, sempre molto attenta verso questo tipo di produzioni, Katana Zero si presenta a noi come un action bidimensionale frenetico e molto violento.
Guai a definirlo un clone di Hotline Miami: il titolo creato da Justin Stander, è un concentrato di estetica fatta di neon e colori accesi, ispirata dalla moda synthwave e del revival anni ’80, oltre che di serratissimo gameplay senza pause. Ma ciò che sorprende è la cura per la narrazione, fatto di scelte multiple con possibilità di interrompere i dialoghi degli NPC, che rappresenta più che un mero intermezzo tra uno stage e l’altro. Devolver Digital si conferma faro della scena indie e Katana Zero, è la prima sorpresa videoludica di questo 2019 per i possessori di PC e Nintendo Switch.
#2 Days Gone
Un’epidemia zombie scoppia nel bel mezzo dell’Oregon, e il biker Deacon St. John, si ritrova catapultato in un vero e proprio inferno: questo è l’incipit di Days Gone, titolo Bend Studio uscito in esclusiva per PlayStation 4 dopo uno sviluppo travagliato.
Il gioco prende ispirazioni da serie quali The Walking Dead e Sons of Anarchy e pone le sue basi su uno sviluppo narrativo tipico di titoli Sony come The Last of Us, ma occhio a considerarlo un esercizio di stile: si tratta di un viaggio di crescita, tra orde di furiosi mostri da contrastare e vari gruppi come la setta religiosa dei Ripugnanti o i soldati della NERO, capaci di rendere complicata la nostra vita.
Days Gone è un titolo che centra il punto, nonostante la sua genesi non proprio tranquilla, e che potrebbe risultare un piacevole divertissement in attesa di titoli più blasonati.
#1 Mortal Kombat 11
Il picchiaduro più violento di sempre torna nella sua undicesima iterazione, probabilmente la migliore finora: infatti NetherRealm ha alzato l’asticella per questo Mortal Kombat 11, puntando tutto sul sistema di combattimento che, a suon di novità come i Krushing Blow e i Fatal Blow, restituiscono al giocatore un feeling impareggiabile non solo per la saga, ma anche rispetto ai precedenti giochi della casa di Ed Boon, come Injustice.
I match sono divertenti e tattici come non mai, e se le modalità offline non deludono, l’online presenta una doppia faccia: nonostante un netcode pulito e completo come raramente si è visto nel genere, delude la modalità Krypta, ridotta a un mero grinding, che spinge i giocatori verso le microtransazioni. Nonostante questo difetto, che si spera venga limato in futuro grazie al supporto della community, Mortal Kombat 11 si presenta a noi come una Fatality brutale e spettacolare, esattamente come il suo gameplay, meritando il primo posto del mese di aprile.
Google Stadia vs. The World
L’avvento di Google Stadia ha accelerato i tempi verso un futuro atteso da tutti. Del resto il digital delivery è sempre più una realtà prossima, con anche Sony e Microsoft che cominciano attivamente a sondare il terreno, cercando di capire quanto l’utenza sia ancora legata alla copia fisica o se cominci già a strizzare l’occhio al digitale. Gli approcci sono diversi, ma c’è un dato impossibile da ignorare: le console fisiche esistono ancora e l’avvento di PlayStation 5 e Microsoft Scarlett pare procedere costante.
Google, dunque, è stata fin troppo ambiziosa o Sony e Microsoft sono state troppo conservatrici? Analizziamo in dettaglio la situazione.
Forzare il cambiamento
Da quando il servizio Stadia è stato presentato, la domanda è stata una soltanto: riuscirà Google a gestire centinaia di migliaia di videogiocatori contemporanei sui diversi dispositivi? È una domanda importante, fare il passo più lungo della gamba è un rischio che il colosso di Mountain View non può certo permettersi.
Dal canto suo, la presentazione ha avuto successo, lasciando sbalorditi gli addetti ai lavori e meravigliando i videogiocatori che, improvvisamente, hanno visto cadere le catene che li vincolavano a un singolo hardware. L’importante è giocare, poco importa su quale supporto. Del servizio streaming ancora mancano alcuni dettagli, come la modalità di pagamento o se serva o meno il possesso di un gioco, ma di certo le luci della ribalta al prossimo E3 saranno sicuramente puntate verso questo nuovo inizio. LE caratteristiche tecniche ve le abbiamo già raccontate, sono sicuramente molto allettanti e capaci di portare il gaming su nuovi livelli, non solo per chi gioca ma soprattutto per chi sviluppa e produce, cambiando per sempre la faccia del mercato: l’aver disponibile tutto, subito e ovunque eliminerà all’istante aggiornamenti e add-on scaricabili e patch, il rilascio di demo e beta, nonché la distribuzione in generale con i publisher che dovranno cambiare strategia comunicativa, forse più diretta e personalizzata.
Il futuro sembra proprio roseo, un futuro arrivato molto presto e capace di prendere tutti alla sprovvista. Tra questi Sony, Microsoft e Nintendo, con lo sviluppo di nuove console in dirittura d’arrivo, in qualche modo già obsolete.
In questo periodo però, si sta sondando il terreno, con strategie diametralmente opposte: PlayStation Now è realtà e sembra funzionare abbastanza bene anche nel nostro paese, anche se ancora non vanta una libreria da capogiro. Il servizio Sony ha permesso a molti utenti PC di saggiare finalmente alcuni dei suoi titoli più importati (Bloodborne su tutti), completamente in streaming, un evento totalmente inedito e fino a poco tempo di fa inimmaginabile. PlayStation 5 è una console fisica, di cui sappiamo già le caratteristiche tecniche, che porta il gaming verso una reale next-gen; a questo punto però, next-gen non è riferito solo alla componente tecnica. Purtroppo Mark Cerny non si è sbottonato su streaming e servizi tangenti, ma le peculiarità della nuova console lasciano ben sperare, pur mantenendo un supporto ottico vista anche la retrocompatibilità con PlayStation 4.
E Microsoft? Proprio in questi giorni, la presentazione della nuova Xbox One S All-Digital, console interamente dedicata al digital delivery. Questa mossa, visto anche il prezzo di 229,99€, ha lasciato interdetti i più, visto che la stessa console con supporto fisico ha lo stesso prezzo se non addirittura minore. La via della casa di Redmond è dunque diversa, ibrida, presentando ancora la “classica scatola”, quasi per non disorientare l’utenza; una scelta senza dubbio interessante, e tutto questo lascia presupporre come anche Microsoft stia sondando il terreno, in preparazione della sua nuova console.
Il futuro degli altri
Alle 22:00 del 9 Giugno, Microsoft sarà chiamata a rispondere sul campo alla proposta allettante di Google e alle caratteristiche estreme di Sony. È chiaro come la divisione gaming del colosso di Bill Gates abbia imparato dai propri errori, puntando su una maggiore attenzione alla comunicazione e sui feedback della community. Proprio per questo la nuova Scarlett (nome ancora in codice delle nuova console) è un passo cruciale per il futuro del mercato, facendo saggiare probabilmente le caratteristiche del Project xCloud, definito come il “Netflix dei videogame”. Della nuova console si sa poco o nulla: è ovvio che sarà estremamente performante ma non è quello che interessa. Quello che conta adesso è la visione del futuro e l’approccio che Microsoft (come Sony del resto) avrà in questi mesi. Da giugno in poi, infatti, contando che Stadia uscirà a fine anno, potremmo avere un nuovo catalogo di scelta che non si baserà più sulle caratteristiche tecniche o sui titoli esclusivi ma sul tipo e sulla convenienza del servizio offerto. Questo apre un ventaglio immenso di possibilità, fatta di eventuali abbonamenti e fruibilità su diversi dispositivi. A questo proposito Apple non è rimasta a guardare: Apple Arcade non è ancora stato accostato allo streaming, certo, ma la presenza di un abbonamento per poter usufruire di titoli esclusivi è quasi certo. Questo aprirebbe il mercato a una concorrenza spietata e, nonostante l’approccio sembra essere ben diverso rispetto a Google, la casa di Cupertino sembra voler entrare a gamba tesa, sfruttando nomi altisonanti come Devolver Digital, Sega e Konami, facendosi via via strada nell’intricato mondo del gaming.
Nintendo rimane perora in disparte: se è vero che in Giappone è possibile giocare a Resident Evil VII e Assassin’s Creed: Odyssey in streaming su Switch, non si hanno ulteriori notizie sulle prossime mosse del colosso di Kyoto. Il suo approccio è cambiato radicalmente dopo la mala sorte toccata a Game Cube, cercando via traverse (per lo più di successo) per conquistare il pubblico. Ma adesso il mercato sta cambiando nuovamente e i giocatori, come si evince, sembrano attirati dal nuovo Eden offerto dalle nuove tecnologie.
L’avvento di Google Stadia dunque, sembra aver messo tutti sull’attenti, e fare un passo falso adesso decreterebbe un avvio difficoltoso e un gap difficilmente colmabile negli anni a venire. Microsoft, Sony, Apple e Nintendo, sono pronte a darsi battaglia portando la loro visione del futuro in un mercato che aveva disperatamente bisogno di una reale novità. La novità è arrivata, e non vediamo l’ora di entrare in un mondo che fino a pochi mesi fa sembrava fantascienza.
Not a Hero: Super Snazzy Edition
C’è chi dice che 3D e 2D sono due mondi separati e in quanto tali non convergono in nessun modo. Nella storia dei videogiochi spesso delle meccaniche proprie del 2D sono state riproposte 3D, non sempre con risultati eccellenti, ma il processo inverso è veramente raro, tanto che è difficile riportare degli esempi concreti; non siamo qui per farvi una top 10 dei giochi che hanno sfidato le leggi della bidimensionalità, però possiamo parlarvi di Not a Hero: Super Snazzy Edition, un gioco interamente 2D che implementa, con risultati davvero ottimi, il cover system tipico dei più frenetici third person shooter 3D come Gears of War o Uncharted. Questo frenetico sparatutto, uscito originariamente nel 2015 su PC e arrivato su Nintendo Switch soltanto quest’anno, è un mix di azione, tatticismo, violenza e follie alla Quentin Tarantino con una spruzzata di humor e parlate inglesi che donano all’intero gioco una veste unica e veramente eccezionale. Vediamo insieme questo gioco sviluppato dallo studio inglese Roll7 e pubblicato da Devolver Digital che, ancora una volta, mette nella sua immensa libreria un gioco veramente audace e innovativo come i già visti Minit e Crossing Souls.
Ta ta ta ta ta ta ta ta ta ta…
Siamo a 21 giorni da un’elezione in una città del Regno Unito e il singolare Bunnylord, un coniglio viola antropomorfo venuto dal futuro, vuole a tutti i costi diventare sindaco per scongiurare il crimine che, a detta sua, farà affondare la città in una crisi irreversibile. Con il poco tempo rimasto, Bunnylord attuerà una campagna anticrimine per mano delle peggiori canaglie del Regno Unito, sociopatici senza il minimo scrupolo quando si tratta di far fuori qualcuno; cominceremo utilizzando Steve, il migliore amico di Bunnylord, ma piano piano, una volta diminuiti i crimini, salirà il consenso e perciò sempre più folli esaltati, come Mike, Samantha e Cletus, cominceranno ad appoggiare il coniglio viola; ma andiamo con ordine. I livelli proposti in Not a Hero sono fatiscenti palazzi di periferia a più piani dove si nascondono intere bande di criminali: ci sarà sempre un obiettivo principale, come uccidere uno specifico NPC, rubare degli oggetti, piazzare bombe, salvare ostaggi e altri tre obiettivi secondari, come chiudere un livello in un tempo limite, uccidere tutti i nemici o chiudere una determinata sequenza di uccisioni senza essere colpito e tanti altri (a volte anche precedenti obiettivi principali) e, più obiettivi completiamo in un livello più crescerà il nostro consenso (che servirà appunto per sbloccare più velocemente tutti i personaggi). Il primo livello spiegherà la meccanica portante di Not a Hero, ovvero il sistema di scivolata, con “b”, seguita dalla successiva (quasi assicurata) copertura dietro a un oggetto del background, dalla quale rimarremo coperti dal fuoco nemico e potremo sparare quando questo non sarà nascosto come noi; capire questa meccanica è fondamentale per compiere delle run senza sbavature ma anche per sopravvivere al meglio fra le orde nemiche e dunque completare il livello. Scivolare, in fondo, è l’unico modo per trovare copertura e perciò, piano piano, dobbiamo capire come funzionano queste strane (ma interessanti) meccaniche allenandoci a premere e rilasciare il tasto al momento giusto per finire nel punto più strategico dalla quale far fuoco. Importantissimo, oltre allo scivolare, nascondersi e sparare, è ricaricare l’arma al momento giusto e nel punto giusto, possibilmente nascosti dietro a un oggetto del background e quando il fuoco nemico si fa meno denso.
I personaggi variano a seconda dell’arma che usano, il che influirà sul tipo di fuoco in sé (la pistola spara un colpo dritto e preciso, il fucile un colpo ampio ma con caricatore meno ampio e il mitra, con ampio rateo di fuoco ma scarsa precisione), la velocità di movimento, il tipo di esecuzione (di cui parleremo a breve) e possibilmente altre abilità uniche di uno specifico personaggio. L’esecuzione è un tipo di uccisione che potremo compiere quando andremo incontro a un nemico in scivolata facendolo cadere: una volta che sarà a terra, premendo il tasto del fuoco, il nostro personaggio ucciderà il nemico, chi con colpo di pistola e chi con una mossa particolare o un oggetto contundente come un coltello o una katana. Nei livelli, inoltre, possiamo trovare delle armi secondarie, molto utili per liberare le schermate più affollate e degli upgrade per i proiettili della nostra arma, che li renderanno infuocati, esplosivi, perforanti, rimbalzanti e molto altro ancora. Ogni personaggio offrirà dunque un gameplay diverso e pertanto, per via delle molteplici variabili che contraddistinguono ognuno di loro, si vengono a creare delle spiacevoli disparità portando il giocatore a preferire giusto una cerchia di personaggi più vicini al suo stile di gioco senza necessariamente provarli tutti; tuttavia, tanti stili significano anche un gameplay veramente vario già solo sul piano della scelta e perciò il sottolineare la disparità fra i personaggi non è un fattore necessariamente (forse anche per niente) negativo nell’intero.
Not a Hero è di base uno shooter che mischia elementi da alcuni giochi classici come Elevator Action Return, Contra e in parte alcuni altri classici per computer sulla scia di Persian Gulf Inferno ma si comporta nelle meccaniche come un modernissimo sparatutto sulla scia di Gears of War; ciò permette un gameplay infuocato il cui tempismo tra far fuoco e copertura è fondamentale se si vuole sopravvivere alle orde di nemici, che faranno fuoco manco fossero dei napoletani a Capodanno. Grazie alla suddivisione in tre capitoli, in cui in ordine faremo fuori una mafia russa, una gang di afro-britannici e una triade panasiatica, possiamo gradualmente approcciare questo singolare sistema e capire qual è lo stile di gioco che più ci aggrada, ovvero quale fra quello più casinista e cruento o quello furtivo e tattico. Più il giorno delle elezioni si avvicina più i livelli si faranno sempre più irti di nemici più forti, che sfoggeranno nuove armi o più coriacei da eliminare; in questo Not a Hero, offre una learning curve veramente piacevole e anche se gli obiettivi si faranno sempre più difficili (che dovranno essere soddisfatti tutti in una run di un livello) il gameplay non porterà mai il giocatore alla frustrazione.
In aggiunta alla campagna principale, è possibile trovare in alcuni livelli delle porte rosse che ci porteranno in delle aree bonus e la campagna “me, myself and Bunnylord”, precedentemente rilasciata come DLC (il che ne fa la particolarità di questa Super Snazzy Edition), in cui controlleremo in prima persona il politico che non si fa alcun scrupolo nella lotta contro il crimine. Peccato solamente che una volta completati tutti gli obiettivi delle 21 missioni (che servono per ottenere i finali migliori), più quelli della campagna aggiuntiva che includono solamente tre missioni extra, non ci rimarrà più niente da fare, accorgendoci di quanto il gioco sia abbastanza breve nonostante il buon livello di sfida e i numerosi livelli; sarebbe bastata anche una semplice partita +, magari utilizzando il solo Bunnylord oppure con obiettivi secondari del tutto nuovi, ma l’unica cosa che rimane è solamente l’opzione di azzerare il file di salvataggio e ricominciare un nuovo file se proprio vogliamo rigiocare da capo questo titolo (che lo merita parecchio nonostante tutto).
Menomale che Bunnylord c’è!
Not a Hero mischia grafiche vintage, principalmente quelle di Atari 2600, Nintendo Entertainment System e dei computer Commodore 64 e Atari ST, presentando delle tonalità retrò comunque “remixate” e animate a modo per appellarsi al meglio ai giocatori odierni. Lo scenario riesce a essere immediatamente chiaro e ciò è fondamentale per il giocatore in quanto, bisogna capire sin da subito quali sono i punti in cui si possa cercare riparo. La grafica riesce a essere funzionale al giocatore e al gameplay e ciò non può che essere un punto a favore per la fruizione di questo gioco in quanto, in sostanza, ogni punto che ci sembra un riparo lo è per davvero. I personaggi sono ritratti con uno stile un po’ più “atarieggiante” ma ciò non toglie la possibilità di distinguere tutti i tratti distintivi di ogni personaggio come una collana, un occhio schizzato, una determinata capigliatura, una sigaretta o altro ancora. Inoltre, per i fan de Il Grande Lebowsky, in questo gioco potrete giocare con un Jesus molto simile a quello del film, con dei capelli neri raccolti, pizzetto, una camicia viola e un “gioco d’anca costante” – diteci come si fa a non amare questo gioco! –. Tutti i personaggi sono abbastanza “singolari” e ciò lo si può evincere dalle loro esilaranti linee di dialogo, rigorosamente prodotte con accenti inglesi veramente incomprensibili; sebbene tutte le linee testuali sono tradotte in italiano e i giocatori, per la maggior parte, possono ritrovarsi con una buona esperienza d’inglese ciò non basta per capire gli astrusi accenti che per altro sono parte dello humor delle one-liner qui prodotte. Insomma, per capire buona parte dell’umorismo delle linee di dialogo dei personaggi (e dei nemici) conviene allenare le vostre orecchie guardando un bel po’ di puntate di Monty Python’s Flying Circus, per intenderci! Impossibile poi non notare la forte componente satirica del gioco che tende principalmente a ridicolizzare ed esagerare le mire politiche e la losca vita di alcuni personaggi politici del mondo attuale, supportati per altro da gente psicopatica come tutti i personaggi che useremo per “attuare” la politica di sicurezza di Bunnylord basata sulla forza bruta e il terrore (se questo gioco fosse stato ambientato in Italia sicuramente avremo potuto stilare qualche particolare analogia…).
Parlando invece del comparto sonoro, Not a Hero propone una colonna sonora che mischia molti generi prettamente elettronici, fra cui il synthpop, la musica elettronica inglese e la chiptune, ma ciò che fa da padrone è certamente la componente dubstep. Sebbene ci sia un richiamo nostalgico nelle melodie, il gioco vuole proporre comunque qualcosa che tutti possano apprezzare e pertanto viene offerta una colonna sonora di tutto rispetto, fatta con bisunti chip sonori e con sintetizzatori moderni: ogni livello, ha un suo brano originale, perciò possiamo affermare che è stato fatto davvero un bel lavoro, anche perché i temi sono veramente graziosi.
Vota Bunnylord!
Ancora una volta i giochi proposti da Devolver Digital non si smentiscono e abbiamo di nuovo un piccolo capolavoro fra le mani. Not a Hero: Super Snazzy Edition è certamente un titolo da tenere in considerazione, specialmente in vista di qualche periodo di saldo in cui potremmo aggiudicarcelo per un prezzo ancora più basso di quello standard (12,99€). Questo insolito e, in parte, sconosciuto titolo potrà certamente regalare tantissime ore di sano divertimento a qualsiasi giocatore, specialmente quelli più abituati a vedere questo tipo di giochi in tre dimensioni, pur accettando la sua veste retrò e il suo humor pungente. Nonostante qualche lieve bug è sempre un vero peccato che questo titolo non si annoveri fra gli indie più gettonati del panorama recente; diamo a Bunnylord il rispetto che merita (o altrimenti ci manderà a casa uno dei suoi killer psicopatici!).
Minit
Speedrunner: quante volte ci è capitato di vedere su YouTube un video di qualcuno che completa nel giro di pochi minuti qualche gioco classico? Chi più o chi meno, tutti ogni tanto ci siamo detti: «caspita! Magari fossi così bravo!». Da oggi, per coloro che vogliono imitare i propri speedrunner preferiti, esiste un gioco adatto per questi esatti scopi, un gioco breve e minimale il cui slogan sembra proprio voler dire “less is more”: stiamo parlando di Minit, un titolo sviluppato da Kitty Calis, Jan Willem Nijman, Jukio Kallio e Dominik Johann. Come al solito Devolver Digital, che si è occupata della pubblicazione di questo titolo, ha ancora una volta premiato i game designer più audaci in quanto Minit è molto lontano da qualsiasi definizione o similitudine gli possiamo affibbiare, è un titolo unico che offre delle meccaniche mai viste prima, o per lo meno mai implementate in questo modo. Dunque cos’è che rende unico questo gioco? Vediamo insieme questo titolo per Nintendo Switch, ma anche presente per le restanti console e PC, macOS e Linux.
Maledizione! Un’altra spada maledetta!
Minit, in quanto a trama, offre l’essenziale, una storia breve che si svolge anche in pochi passaggi: troviamo in spiaggia una bella spada ma, una volta presa, scopriamo che è maledetta e dunque non solo non potremo più abbandonarla, ma ogni 60 secondi questa ci ucciderà, facendoci respawnare a casa nostra o in un’abitazione che fa da checkpoint intermedio. Chi non si arrabbierebbe in una situazione del genere? Il nostro obiettivo infatti sarà sporgere reclamo alla fabbrica di spade e capire cosa si cela dietro a questo lotto difettoso. Poste queste premesse, il gioco si pone come un insolito mix fra The Legend of Zelda, per l’overworld, il sistema di combattimento, crescita dinamica e il design generale, e WarioWare per l’assurda meccanica del limite di tempo e la bizzarria generale; dunque, come già accennato, ogni 60 secondi (o meno) ricominceremo sempre dallo stesso checkpoint e se non dovessimo completare quello che stavamo facendo in un determinato punto dovremmo tornare nello stesso e tentare una seconda volta, sperando che il timer non si azzeri una seconda volta. Queste strambe meccaniche sono veramente originali ma, anche se in maniera altalenante; il più delle volte gli obiettivi principali o le sidequest sono posizionati a una buona distanza dal checkpoint, dando al giocatore una buona dose di calma per risolvere i problemi che ci vengono posti, ma ci sono (meno) volte in cui tutto è abbastanza distante, dunque ci ritroveremo spesso nella situazione in cui spenderemo molti preziosi secondi solamente per recarci nel luogo della quest per poi risolverla con il tempo rimanente, appena sufficiente (soprattutto nella seconda quest in cui il timer passa da 60 secondi a 40 e non avremo la possibilità di raccogliere i cuori per aumentare la vita massima). Come risultato, torneremo di nuovo al checkpoint per ri-recarci al punto della quest con, ancora, i secondi necessari per risolverla e tentare la sorte una seconda volta. Non vogliamo dire che il gioco non sia stato testato (lo è, eccome), ma sarebbe stato meglio tarare l’overworld per i giocatori non abilissimi, soprattutto quei curiosi che non hanno idea di cosa sia questo gioco. Come tipico del gioco d’avventura, il nostro personaggio, obiettivo dopo obiettivo, diventerà sempre più abile e poco per volta saremo sempre più in grado di risolvere tutte le situazioni che ci si pongono di fronte. Anche sul fronte crescita, Minit offre sempre lo stretto indispensabile e i dialoghi comunicano sempre il minimo indispensabile, il tutto con il solito spirito strambo della quale il gioco è intriso; per quanto simpatico possa sembrare, a volte ci sono obiettivi indispensabili per continuare l’avventura e non sempre quello che dobbiamo fare risulta chiarissimo. L’area totale di gioco, alla fin fine, è piccola e dunque, anche girando a vuoto, prima o poi si porterà a termine un obiettivo più o meno rilevante; ci sarebbe piaciuto comunque giusto qualche informazione in più ma è anche vero che una volta scoperto il segreto della casa dei fantasmi il gioco potrebbe diventare giusto un po’ più semplice, anche se questo accadrà a gioco inoltrato (sempre se lo capiremo). Semplici sono anche i controlli: gli unici due tasti che useremo sono il tasto di attacco “B”, e il tasto di respawn “A”, per tornare più velocemente al checkpoint quando sarà necessario, un vero e proprio “suicide button” – Attenti solamente a non confondervi quando usate la spada nelle sezioni di combattimento; gamer con le manone: siete stati avvertiti! –.
In definitiva, Minit è un gioco molto breve ed è possibile completarlo in un paio d’ore… Se l’avremo completato almeno una volta! La forza di questo titolo sta proprio nella sua brevità, infatti il completare il gioco, all’inizio, in un paio di giorni per poi completare una seconda quest, che pone nuove difficoltà al giocatore, in un paio d’ore crea in insolito effetto di piacere, un rilascio estasiante di dopamina paragonabile, forse, a quello di uno speedrunner quando completa un gioco in tempo record. La nostra sfida, fra noi e noi (o altri), sta proprio nel completare Minit nel minor tempo possibile, con la percentuale di completamento più alta (che aumenterà, ovviamente, in base agli oggetti sparsi nell’overworld, le monete e i portacuori, tutte cose non indispensabili per il completamento della quest principale) e, possibilmente, con meno respawn possibili. Le meccaniche di questo titolo sono allo stesso tempo semplici e intriganti, anche se forse la breve durata del gioco potrebbe comunque ledere il gioco in termini di rigiocabilità – Insomma, a completare lo stesso gioco di continuo, anche segnando tempi da record, prima o poi stancherà! –. Ad ogni modo, una volta finita la prima run possiamo comunque avviare la seconda partita + o, se avremo completato un file con una percentuale di completamento pari al 110%, la Mary mode, una campagna in cui controlleremo un altro personaggio ma senza la meccanica portante del tempo limite, lasciandoci dunque liberi di esplorare il mondo che ci circonda in santa pace.
Don’t fight me, fight the system!
Nonostante gli strambi personaggi di questo mondo e le bizzarre premesse di questo titolo, Minit offre al giocatore una grafica vicina al deprimente, con soli due colori, bianco e nero, senza alcuna tonalità di grigio (simile in parte alla grafica delle schermate di combattimento di Undertale), anche se è chiaro comunque l’intento degli sviluppatori nel creare qualcosa con uno stile vicino al Gameboy. Visto il richiamo nostalgico sarebbe stato bello poter inserire più filtri di visualizzazione, un po’ come accadeva per il Super Gameboy (storico add-on per Super Nintendo che permetteva di giocare alla libreria della console portatile sul televisore di casa), ma invece Minit rimane ai due soliti colori, talvolta stancando un po’ la vista del giocatore, specialmente se giocato al buio. È bene dire comunque che, anche se questa grafica può non piacere, ha una sua originalità e serve, forse, a rispecchiare una sottile denuncia alla società odierna, che viene qui presentata piatta, senza fantasia, senza genuinità, corrotta, monotona e dedicata maggiormente alla produzione e al consumo sfrenato senza riflettere sulle conseguenze. Non pochi personaggi, appunto, ci diranno di non combatterli, rivendicando invece di combattere il sistema! Che possa essere una delle chiavi di lettura… Chissà!
La piattezza e la bizzarria generale si riflette anche nella colonna sonora, giusto con un po’ più stile: non sono presentati grandi temi pomposi, come ci si aspetterebbe in un’avventura a là The Legend of Zelda, ma vengono riprodotti dei temi molto semplici, spensierati, orecchiabili ma comunque molto piacevoli e di buona qualità. Diciamo che tentano di riproporre un po’ quello che è stato fatto con la grafica, delle melodie “ignoranti” – oseremo dire sceme! – ma tutto sommato memorabili. Le sonorità includono l’uso di chip sonori ma anche di strumenti acustici come kalimbe, chitarre e pianoforti (da come si può notare, soprattutto, ogni volta che si muore). In ogni caso, il comparto sonoro presenta un grosso problema: come è normale che sia, le aree, divise principalmente in quattro grandi zone, hanno temi diversi ma il loro continuo cambio e il passaggio nelle aree senza musica provocheranno spesso un alt nella riproduzione audio, finendo per sentire i soli effetti sonori. È un difetto “poco elegante”, visto che la colonna sonora è abbastanza piacevole e, l’unico modo per ripristinare l’audio, sarà chiudere l’applicazione dall’home e riavviare il gioco dal nostro ultimo salvataggio (che sono comunque automatici). Non sappiamo dirvi se la stessa cosa accade su Steam o sulle altre console ma è bene che Devolver, o chi di competenza, applichi presto una patch per risolvere questo problema, che non fa che ledere al godimento di questo particolarissimo titolo.
In… Breve!
Insomma, Minit è un titolo incredibilmente particolare e pone delle meccaniche così insolite che risulta davvero difficile trovare una fascia di giocatori alla quale possa interessare. Di sicuro consigliamo questo titolo ai fan di Devolver, poiché ancora una volta viene consegnato un titolo veramente sopra le righe e intriso di quella bizzarria tipica di questo studio texano e ai giocatori più folli, quelli che apprezzano meccaniche sperimentali come quella proposta qui e i design strani e singolari – insomma, non abbiamo ancora capito cosa è il protagonista: è un animale? È una persona? È un alieno? Boh! Magari non è importante saperlo! –. Tuttavia, al di là di queste due specifiche categorie, ci risulta veramente difficile consigliare questo titolo a un semplice fan, per esempio, della saga di The Legend of Zelda o a coloro che giocano a titoli più grandi e più complessi; non solo potrebbero non apprezzare la singolare presentazione di questo titolo ma potrebbero, più gravemente, non apprezzare le folli meccaniche del tempo limite e dello speedrunning qui proposto. Purtroppo Minit è, e potrebbe rimanere per sempre, un titolo incredibilmente di nicchia, inaccessibile, difficile da capire e da apprezzare; soltanto chi comprende le basi sulla quale questo gioco si fonda può trovare in Minit una genialità incompresa, anche se non è espressa in maniera eccelsa. A ogni modo, il modico prezzo di 9,99€ sullo store (addirittura meno se in saldo) non è certamente un ostacolo e perciò, se questa recensione vi ha incuriosito, vi invitiamo dunque a giocare a questo titolo strampalato e, soprattutto, breve ma intenso.
Umiro
Il mondo del gaming mobile offre ormai da anni prove di grande creatività, sommerse troppo spesso nel mare magnum dei giochi di largo consumo e delle app di massa. Nessuno snobismo nei confronti di quest’ultimi, beninteso, solo l’esigenza di ricordare l’attenzione a un mondo (e a un mezzo, quello mobile appunto) che ha ormai tanto da dire in termini espressivi e di metterne di volta in volta in luce le piccole perle nascoste.
Proprio per questa ragione è necessario parlare di Umiro, elegante puzzle game distribuito da Devolver Digital su iOS e Android che ha goduto anche di un porting per PC. Il titolo nasce da un team di studenti di Singapore che durante un tirocinio hanno elaborato l’idea poi sviluppata sotto l’insegna Diceroll Studios.
Il gioco ci vede vestire i panni di Tinto e Satura, due ragazzini che hanno perso una memoria che il giocatore dovrà ricostruire di livello in livello mediante l’acquisizione dei vari cristalli azzurri e rosa. I puzzle dell’intero titolo potranno essere completati controllando e coordinando i movimenti dei due personaggi, che governeremo per l’intero gioco, eccezion fatta per i primi sei livelli in cui avremo il controllo del solo Tinto, in una serie di puzzle iniziali che servono al giocatore per comprendere le meccaniche di gioco e prendere le misure con gli ambienti.
Di base è tutto molto semplice: in relazione alla posizione dei nostri due protagonisti fermi ognuno in un punto dei piccoli livelli zeppi di ostacoli di vario genere, dovremo tracciare il percorso atto a condurre entrambi incolumi fino al proprio cristallo, per completare lo stage e permettere loro di recuperare un singolo ricordo. Tracciate le traiettorie, bisognerà scegliere il momento giusto per far partire Satura e Tinto per il tragitto tracciato ed evitare gli oggetti in movimento: basterà che uno dei personaggi venga colpito per dover ricominciare.
Storie d’altri puzzle
Il giocatore sarà chiamato a superare 4 capitoli di 10 livelli l’uno, con la possibilità di affrontare 5 livelli bonus guidando la sola Satura una volta terminata la storia principale, a patto di prendere tutti i cristalli extra che si trovano in ogni stage. Nei primi 40 livelli verrà ricostruita la storia personale dei due protagonisti, mentre gli ultimi 5 metteranno in scena un evento chiave nella narrazione che la ragazza dovrà rivivere e affrontare.
Dal punto di vista dello storytelling il gioco è dunque abbastanza curato, la scrittura è minimale ma non per questo gli autori hanno mostrato di sottovalutarla, anzi, vi è un armonia inaspettata per un titolo del genere, la narrazione vive un grande equilibrio nel suo ricostruirsi fra i brevi e lapidari dialoghi e le cutscene che legano un capitolo all’altro.
L’idea di base di Umiro è intelligente e al contempo ben messa in campo, la storia ha una sua vita, è solida, e cresce di pari passo al pianificare traiettorie efficaci in un percorso ogni volta diverso e con grado di difficoltà crescente. Coordinare due traiettorie differenti che dovranno andare a segno in parallelo non sarà facile, tutto è affidato alla capacità di pianificazione del giocatore, che non di rado si rifugerà in una meccanica trial&error che condurrà gradualmente alla soluzione, e questo può anche costituire un vizio (necessario): le traiettorie possibili sono potenzialmente infinite, comprese tantissime soluzioni non eleganti per aggirare l’ostacolo in movimento, che una volta presi i tempi risulteranno efficaci: con un po’ di pazienza ogni capitolo diventerà facilmente abbordabile. I tentativi, del resto, sono infiniti.
Codici di geometria esistenziale
Una sfida ardua solo all’apparenza, dunque: sarà molto difficile arrivare all’obiettivo pianificando le traiettorie con un semplice colpo d’occhio, ma il principio che vale qui è “chi la dura la vince”. L’ampia possibilità di profittare dei punti deboli di ogni mappa è un punto a sfavore del gioco, il vero tallone d’Achille che sottrae un po’ di senso della sfida e spegne leggermente il mordente.
È uno degli elementi che contribuisce a non incollare l’utente al gioco, e a ciò non pone rimedio neanche un art-style molto bello e curato: guardando il mondo di gioco, le proporzioni, le forme, le geometrie viene in mente inevitabilmente quel titolo straordinario che è Monument Valley. Non si può affatto dire che Umiro sia più facile dell’opera di Ustwo Games, anzi, probabilmente qui bisognerà impiegare maggior tempo sui livelli; ma il viaggio della principessa Ida gode di un equilibrio architettonico, di uno studio strutturale e di un ritmo da cui il gioco di Diceroll è ben lontano, ed è infatti inappropriato paragonare i due titoli, preferendo ricordare che si tratta di un’opera prima e che il risultato è davvero molto buono. Siamo davanti a un lavoro di level design pregevole e ben studiato, tecnicamente Umiro è un mondo che riprende elementi da modelli pregressi e ha il pregio di assemblarli bene, poco aggiunge di nuovo in termini di game design ma il risultato è quello di offrire svariate ore di sfida, richiedendo comunque una certa attenzione. In un aspetto non da poco sono stati bravi i designer del gioco: non far esondare il flow verso le rive della frustrazione. Il giocatore va per tentativi, magari a volte l’appagamento non raggiunge il massimo nemmeno a obiettivo conseguito, ma in pochissimi livelli si rischia di restare arenati.
Le cut-scene sono poi piccoli gioiellini, rapide vignette d’ispirazione manga che proiettano in un mondo fantastico e trasognato, oltre le dimensioni del tempo e dello spazio, restituendo l’atmosfera che gli sviluppatori volevano probabilmente rendere nel percorso di scoperta dei due piccoli protagonisti, sospesi in un limbo di geometria e irrealtà, risultando al contempo così reali nel loro legame sottile e in costante ispessimento.
A completare il quadro una soundtrack contemplativa dalle sonorità electro-ambient, ottima a calare il giocatore in uno stato di quiete meditativa, ideale per favorire il ragionamento e il calcolo, e che contribuisce a rendere Umiro un momento di piacevole straniamento dalla realtà quotidiana.
Un buon inizio
Con una scrittura attenta e non debordante che ben si intreccia a un gameplay semplice e intuitivo, Diceroll regala un ottimo titolo per gli amanti dei puzzle. Lanciato a un prezzo estremamente competitivo (circa 3 € su tutte le piattaforme su cui è stato rilasciato), il gioco si presta benissimo all’utilizzo su mobile, dove è possibile tracciare le traiettorie in punta di dito, in modalità touch, ma trova anche una buona traslazione su PC, dove le stesse linee possono essere disegnate tramite le frecce direzionali della tastiera, ledendo forse un po’ al dinamismo e all’immediatezza del gioco nella versione portatile, ma guadagnando un po’ in precisione (le linee sono molto sottili, rendendo facili gli errori a chi abbia dita voluminose e/o smartphone non ampi).
Divertente, con sessioni facilmente gestibili nel susseguirsi di livelli singoli e autosufficienti, Umiro è un gioco equilibrato in tutte le sue parti, che contribuirà a rilassare ogni giocatore non svuotandone le tasche e mantenendo vive le sue capacità logiche trasportandolo in un universo trascendente (lo stesso, dimenticavo, che dà il titolo al gioco) in cui perdersi per qualche piacevole ora.
Altri 10 giochi interessanti dell’E3 2018
Vi avevo descritto ed enunciato, in un precedente articolo, quelli che erano i 10 giochi più interessanti dell’E3. Le pretese di esaustività in certi articoli stanno a zero, perciò mi ero riservato di selezionarne altrettanti.
La fiera di Los Angeles è ormai terminata da tre settimane, ed è un buon momento per chiedersi quali, dei titoli restanti, siano rimasti impressi, e su quali la curiosità permanga ancora.
Two Point Hospital
Annunciato mesi fa e ripresentato al PC Gaming Show, non smette di destare interesse di trailer in trailer: il successore di Theme Hospital (sviluppato da Two Point Studio e pubblicato da SEGA) si presenta ricchissimo, alternando una grande cura dell’impianto gestionale “classico” della struttura ospedaliera con una serie di situazioni surreali destinate a renderlo soltanto più vario, come hanno mostrato la community manager Lauran Carter e il brand manager Craig Laycock nell’ultimo, spassoso trailer rilasciato proprio ieri.
Ooblets
Sviluppato da Glumberland, Ooblets è un life simulator sulla falsariga di Harvest Moon e Animal Crossing con un tocco di Pokémon, che gode di un art-style giocoso e un immaginario di grande varietà. Vi stupisce che abbia voluto pubblicarlo Tim Schafer con la sua Double Fine?
The Quiet Man
Il titolo richiama alla mente un vecchio film di John Ford, ma il setting narrativo sembra allontanare ogni accostamento. Del gioco si sa pochissimo, tranne quel che ha detto Square Enix, che, dopo averlo presentato nel corso di una conferenza a dire il vero un po’ sottotono, di The Quiet Man dice: «porta i giocatori al di là del suono con un’esperienza cinematografica narrativa e coinvolgente che può essere completata in una sola partita. Il gioco unisce alla perfezione delle scene reali in altissima qualità, delle immagini realistiche in computer grafica e azione al cardiopalma.»
E questo, unito a un trailer assai interessante, ci pare abbastanza per tenerci gli occhi puntati.
Jump Force
I crossover costituiscono sempre un enorme rischio, sempre in bilico tra il grande ed esaltante mash-up e un confusionario potpourri. Ma pare difficile si possa mancare il colpo quando metti insieme in un roboante fighting game alcuni dei più personaggi principali dei migliori manga e anime del momento. Il trailer lanciato nel corso della conferenza Microsoft mostra character da IP come Dragon Ball Z, One Piece, Naruto e dal più recente Bleach, con combattimenti che comprendono anche sessioni 3v3.
Scaldate i palmi delle mani, ci sarà da divertirsi.
Noita
La pixel-art è uno dei trend del momento, in campo videoludico, quasi una moda. Noita sembra accodarsi all’effetto nostalgia con un roguelike dungeon-crawler che richiama visivamente svariati titoli retrò. Ma se vi dicessi che ogni pixel su schermo è in realtà “simulato”? Il gioco fa infatti leva su principi della fisica e della chimica per permettere al nostro protagonista di variare ogni singolo quadratino. Esplosioni, rocce impazzite, fiamme, liquidi, sangue… ogni cosa potrà servire all’interazione con il mondo di gioco. E i risultati sembrano pazzeschi già dal trailer.
Hitman 2
È arrivato così, alla fine del PC Gaming Show, zitto zitto: dopo una prima stagione di buon successo, l’Agente 47 ritorna sviluppato dalla solita IO Interactive ma questa volta pubblicato da Warner Bros. Interactive Entertainment, includendo modalità d’assassinio in cooperativa e almeno 6 location diverse sin dalla release.
Imperdibile.
The Sinking City
I videogame tratti dall’opera letteraria di H.P. Lovecraft non hanno alle spalle una storia fortunata, pochi quelli davvero riusciti sul piano autoriale, e difficilmente hanno avuto un buon successo commerciale. Con questa avventura in terza persona, gli ucraini di Frogwares vogliono fare meglio dei predecessori, offrendo un titolo open world molto esplorativo e ampiamente focalizzato sull’investigazione.
We Happy Few
Sviluppato da Compulsion Games e pubblicato da Gearbox Publishing, questo controverso titolo è ambientato alla metà degli anni ’60, in un’ucronia che vede un diverso esito della seconda guerra mondiale. Nell finzionale icttà di Wellington Wells (anch’essa distopica, ça va sans dire), buona aprte degli abitanti è dipndente da una droga allucinogena che li obnubila, rendendoli facilmente manipolabili. Il gico comibina caratteersithce RPG, survival e alcuni elementi roguelike in un prospettiva in prima persona e con forte attenzione alla narrativa. Elementi che ce lo fanno sembrare molto, ma molto appetibile.
Babylon’s Fall
E arriviamo al classico last, but not least”: Babylon’s Fall sembra collegarsi ad Attack on Titan, come suggerisce il riferimento all’impero Helos. Nel trailer abbiamo una cronologia degli eventi che porta fino allo scontro armato fra due giganti. Insomma, le informazioni non sono tante: ma a pubblicarlo è Square Enix e, soprattutto, a svilupparlo è PlatinumGames. Vorremmo negare fiducia Kamiya e al team che ha creato Nier: Automata e la saga di Bayonetta?
I 10 giochi più interessanti dell’E3 2018
Tra le chiacchiere sulle conferenze dell’E3 e una polemica sul mancato gameplay di Death Stranding o sulla prima persona in Cyberpunk 2077, spesso si adombra la parte più importante della fiera: i videogame.
Di giochi annunciati, mostrati o approfonditi ce ne sono stati tanti. Alcuni per la prima volta, altri sono stati approfonditi, altri ancora sono stati mostrati sotto una nuova luce. Quali sono stati i più interessanti? Abbiamo operato qui una selezione senza pretese di completezza, proiettando un cerchio di luce sui giochi mostrati durante le conferenze e dei quali si è parlato meno di altri ma che, per varie ragioni (da come sono stati comunicati a qualcosa di nuovo che è stato mostrato sino a quelli di cui conosciamo il semplice concept) hanno destato il nostro interesse.
My Friend Pedro
Remake dell’omonimo flashgame della DeadToast, Devolver Digital decide portarlo dopo 4 anni su Nintendo Switch e PC e lo presenta nella propria conferenza. Se già il gioco originale aveva un grande potenziale, fra volteggi, sparatorie a doppia arma e virtuosismi parkour, con un art-style rinnovato e maggior lavoro alle spalle ci si può davvero aspettare un titolo frenetico e spettacolare, potenzialmente capace di tenere lontana la noia per ogni minuto di gioco.
Control
Remedy ritorna con un gioco che non pare meno interessante di Quantum Break e Alan Wake. Presentato durante la conferenza Sony, in Control si vestono i panni di Jesse Faden (interpretato da Courtney Hope, la Beth Wilder di Quantum Break), da poco nominato direttore del Federal Bureau of Control, un’organizzazione governativa segreta dagli scopi misteriosi che sembra essere alle prese con una minaccia paranormale. Control pare essere un titolo composito, un live action con componenti à la Alan Wake e una struttura da metroidvania con missioni secondarie opzionali, da condurre fino alla fine con poteri telecinetici e parti shooter in un setting artistico ispirato al movimento architettonico brutalista.
The Awesome Adventure of Captain Spirit
Prima del secondo Life is Strange, Dontnod ci regala (letteralmente: sarà gratuitamente scaricabile, come specificato nel corso della conferenza Microsoft) un’avventura ambientata nello stesso universo narrativo. Il protagonista è un ragazzino di 10 anni, Chris, che vive in una piccola cittadina e diventa Captain Spirit grazie alla forza della propria immaginazione. Captain Spirit sarà anche customizzabile nell’aspetto, disegnandolo tramite Chris che potrà applicargli maschera, cappello, colorarlo e altro ancora. Il titolo pare sarà breve, durerà all’incirca due ore, ma avrà un buon margine di rigiocabilità e finali multipli. Come ogni supereroe, Captain Spirit avrò degli alleati, come lo Sky Pirate, e un villain, Snowmancer.
Non pochi sembrano i richiami a Life is Strange in un gioco che appare non lineare, fatto d’interazione, esplorazione e dialoghi, e che pare già essere un inno all’immaginazione e alla fantasia.
Sea of solitude
Una giovane donna di nome Kay soffre di solitudine, e così diventa un mostro in un mondo di mostri. Cornelia Geppert, CEO di Jo-Mai, l’ha definito durante la conferenza EA un lavoro molto personale. Quel che è certo è che si tratta di un platform-puzzle esplorativo d’avventura con una forte componente emozionale sulla falsariga di RiME, e che ci sono tutti i motivi per tenervi gli occhi puntati.
Night Call
Una delle sorprese migliori è un’avventura narrativa che ci vede a Parigi, come tassista notturno che si trova a ottenere informazioni su un serial killer e su misteri da risolvere inerenti gli omicidi. Nel titolo sviluppato di BlackMuffin Studio e Monkey Moon, e presentato al PC Gaming Show, sarà possibile condizionare gli accadimenti tramite interagendo con oggetti e personaggi e, tra comparto artistico e premesse narrativa, c’è tutta la base per una gioco story driven di sicuro interesse.
Sable
A primo impatto ha ricordato a molti Journey, far colori suggestivi e una componente esplorativa che lo avvicinerebbe di più a Breath of the Wild. Ad ogni modo potrebbe essere un exploration game bellissimo, anche grazie a un comparto artistico fortemente ispirato a grandi fumettisti europei (vedi Moebius). Ci si chiede come due sole persone abbiano già potuto creare tutto questo, e non vediamo l’ora di poterne sapere di più per capire fino a dove sono riusciti a spingersi.
Neo Cab
Pur essendo ambientato in un futuro dal sapore fortemente cyberpunk, questo è un titolo che potrebbe essere fra i più attuali sul piano tematico: i developer di Change Agency hanno spiegato che il tema centrale del gioco è «come le emozioni possono impattare sulle performance lavorative». Anche qui, come in Night Call, vestiamo i panni di un autista, uno dei pochi rimasti in un mondo in cui la maggior parte dei guidatori umani sono stati soppiantati da intelligenze artificiali. «In Neo Cab you’re one of the proletariat who are just riding the line of capitalism» dice il creatore Patrick Ewing, non negando un certo legame a giochi come Papers, Please. Tutto questo non vi fa venire una matta voglia di giocarci?
Transference
Lo ammetto, lo aspetto già dallo scorso anno, quando ancora nulla era già stato mostrato di quest’opera in VR. Che a questo E3 si è svelata ancor più interessante nel corso della conferenza Ubisoft, rivelando la sua natura psicologica e cinematografica, con vari puzzle da risolvere e una grafica che sembra promettere il meglio.
Tunic
Un RPG isometrico in purissimo stile zeldiano, un action fantasy con una volpa per protagonista e un art-style accattivante, il tutto sviluppato da un solo developer, Andrew Shouldice. Della storia si sa poco, ma con queste premesse volete non dargli fiducia?
Battletoads
Di questo titolo non sappiamo davvero NIENTE, se non che sarà il remake di una grande esclusiva NES, e che sarà cooperativo e in 2.5D. L’originale è un gioco ormai iconico, noto per la sua difficoltà, ma tutt’altro che perfetto dal punto di vista del game e level design. Sarà l’occasione per un sfornare un videogame con un buon livello di sfida e più equilibrato dal punto di vista strutturale?
Mentre aspettiamo la risposta, gioiamo per il ritorno dell’IP!
Ovviamente mentre scrivevo questa selezione mi sono venuti in mente un’altra decina di titoli presentati che vale la pena seguire. Ma ve li dirò in settimana, in un altro articolo!
E3 2018: tirando le somme
L’E3 è terminato da appena qualche giorno e, come ogni anno, eccoci qui a tirare le somme. Nei suoi due distinti macromomenti — uno all’interno dei padiglioni, dove era possibile toccare con mano le novità di developer grandi e piccoli e platform holder, l’altro che ha anticipato il momento della bolgia fieristica e che è sempre un nodo cruciale sul piano mediatico e di marketing, quello delle conferenze — l’Expo di Los Angeles riveste sempre un’importanza non da poco in termini di vetrina. Proprio il secondo momento risulta importante ormai da decenni per i partecipanti, dovendo calibrare attentamente i contenuti e studiando i messaggi da veicolare, con risultati di anno in anno altalenanti per ogni operatore.
Quest’anno si è mostrato al solito interessante sotto vari aspetti ed è utile tirare un po’ le fila di quanto visto.
Ad aprire le danze è stata la conferenza di Electronic Arts, che si è svolta in maniera tutto sommato prevedibile: è stata occasione di presentare la nuova edizione delle consolidate IP sportive (Madden NFL, NHL, NBA Live e l’immancabile Fifa, quest’anno impreziosito dalla Champions League), e per rilanciare gli shooter, dal nuovo Battlefield, ambientato stavolta nella seconda guerra mondiale, a un Battlefront II arricchito con nuovi contenuti. Se tutto questo risultava un po’ telefonato, rimanevano due fronti su cui giocare la partita: l’attesissimo Anthem e “i conigli nel cilindro”, quelle IP non annunciate sulle quali ogni volta i fan si aspettano di essere, se non accontentati, quantomeno un po’ stupiti. Sul piano BioWare, nulla di cui lamentarsi: sul palco arrivano il general manager Casey Hudson, l’executive producer Mark Darrah e la lead writer Cathleen Rootsaert, tre importanti attori nello sviluppo del titolo, che hanno raccontato vari aspetti del development, approfondendo un’idea di setting narrativo che nelle sue fondamenta era già stata condivisa con il pubblico, nonché le feature e alcune modalità di gioco. Sulla nuova IP sembrano credere molto da tempo sia il developer sia il publisher e, pur nutrendo alcune perplessità riguardo alcune modalità di gioco che potrebbero risultare già viste, e temendo abbastanza gli effetti negativi in fase di scrittura derivanti dalla fuoriuscita dal progetto di Drew Karpyshyn (già lead writer dei primi due Mass Effect), la gestione tecnica e narrativa di un prodotto strutturato come Anthem dà non pochi motivi per continuare a seguire il progetto. Forse proprio a causa della grande attenzione a quella che è al momento l’IP di punta non si è rimasti del tutto soddisfatti in termini di nuove IP: se l’annuncio di Unravel 2, forte di un’interessante modalità co-op, è salutato con entusiasmo, e se Cornelia Geppert, CEO e game designer di Jo-Mei Games, presenta con emozione un Sea of Solitude dal setting narrativo interessante, sul quale terremo gli occhi fissi, il resto appare un po’ povero. Un Command & Conquer per mobile (denominato Rivals) che ammicca forse troppo alle modalità di Clash of Clans, e la cui dimostrazione risulta priva di dinamismo, e un Star Wars Jedi: Fallen Order che sembra presenziare lì più per ragioni di brand che di sostanza. Nient’altro di rilevante da registrare in una conferenza in cui il CEO di EA, Andrew Wilson, risulta asettico e pubblicitario, freddo e puntuale, e nulla può la discreta conduzione di un’Andrea Rene che, pur non essendo evidentemente avvezza un pubblico di simile portata, se la cava comunque bene.
Si passa così alla seconda conferenza in ordine cronologico, una delle più attese, quella di Microsoft. Da tempo ci si chiede cosa bolle nella pentola di Redmond, considerando che i numeri nel mercato console vedono necessario il ripensamento della propria strategia commerciale. In questi ultimi anni, le conferenze del colosso di Xbox non sono state ritenute soddisfacenti, e un rilancio è quantomai urgente. Il 2018 segna probabilmente un cambio di passo, o quantomeno questo è il segnale che possiamo certamente registrare da una conferenza che oscilla tra la concretezza di certe IP e di alcune azzeccate mosse di mercato, e la fumosità di dichiarazione che hanno il brioso e artefatto sapore del disclaimer pubblicitario: bellissimo sentir parlare di un team dedicato all’AI e al lavoro sulla nuova Xbox, ma meglio non farsi abbagliare da ciò di cui non possiamo avere riscontri certi. Ottimo segnale invece è quello dell’acquisizione di 5 nuovi studi che entrano a far parte dei Microsoft Studios, soprattutto Ninja Theory, promettente developer che ha mostrato la propria qualità in passato nei lavori su Devil May Cry e che si è in qualche modo consacrato con l’ “indie AAA” Hellblade: Senua’s Sacrifice e che adesso, con maggior risorse economiche, potrà rivelare il suo vero potenziale (nel bene e nel male). Bene anche la presenza di alcuni ospiti del calibro di Chris Avellone, che da narrative director spiega lo sviluppo di Dying Light 2, il quale risulta molto interessante in termini di trama. Tirando le somme, quella Microsoft è globalmente la conferenza che impressiona di più, sia per gli ottimi segnali lanciati al mercato, sia per la massiccia presenza di titoli, fra esclusive e world premiere di multipiattaforma di vario genere.
Pur senza faville, la conferenza Bethesda qualche ora dopo regala comunque solidità, fra contenuti aggiuntivi (su tutti i DLC di Prey e Wolfenstein II), nuovi titoli (ci si riferisce a Starfield, il nuovo space RPG su cui la casa e in lavorazione) e nuovi capitoli di IP già presenti in catalogo: Doom Eternal e The Elder Scrolls VI sono due uscite molto ben accolte, ma gli occhi sono ovviamente tutti puntati su Fallout 76, annunciato già nei giorni precedenti e che sta destando la maggiore curiosità di pubblico. Conferenza che quadra ma non stupisce.
Al contrario della conferenza Devolver Digital, che ci abitua ormai annualmente a veri e propri pezzi d’avanspettacolo condotti con gran ritmo e senso dello show dall’attrice Mahria Zook, qui nei panni di Nina Struthers. Fra parodie delle retroconsole e momenti di pura satira nei confronti delle lootbox, lo studio texano trova spazio per tre nuovi annunci nei 20 minuti scarsi di conferenza: l’open world SCUM, la remaster di Metal Wolf Chaos XD e lo spettacolare shooter My Friend Pedro, che a parere di chi scrive è uno dei più interessanti prodotti di questo E3.
Una conferenza forse meno stupefacente dello scorso anno, ma sempre dalla grande carica esplosiva (pur senza teste che saltano in aria come era stato nel 2017), agli antipodi della noia che ci serve su un piatto Square Enix: la casa giapponese riserva i suoi pezzi migliori (da Shadow of the Tomb Raider a Kingdom Hearts III passando per Just Cause 4 e Nier: Automata) alle altre conferenze, limitandosi a ripetere gli stessi trailer o ad arricchirli. Le piccole aggiunte a Final Fantasy XIV non bastano, così come il telefonatissimo undicesimo capitolo di Dragon Quest. I migliori annunci risiedono certamente nell’interessantissimo The Quiet Man e in un Babylon’s Fall di cui non vediamo l’ora di sapere di più, ma la mancanza di interventi (tra developer, creativi e board dell’azienda) si fa sentire, e di concreto rimane ben poco.
Concretezza che invece dimostra di possedere a grandi lettere Ubisoft, che sceglie una formula standard mantenuta per tutto l’incontro, fatta di un trailer iniziale seguito da un intervento di uno o due attori coinvolti nello sviluppo del titolo che spesso hanno modo di essere supportati da sequenze di gameplay: gli interventi di Justin Farren per Skull & Bones, di Elijah Wood e Benoit Richter per Transference, di Jonathan Dumont per Assassin’s Creed Odyssey permettono uno sguardo più concreto e profondo sui titoli in lavorazione, il loro metterci la faccia è per certi versi rassicurant, ma soprattutto è un segno di grande serietà, che dà solidità anche a Beyond Good & Evil 2, il quale, grazie alle spiegazioni dei due Brunier, si fa più tangibile nonostante la mancanza di gameplay.
C’è spazio anche per il DLC di Mario+Rabbids: Kingdom Battle, un Donkey Kong Adventure che viene letteralmente suonato di Grant Kirkhope e dai Critical Hits che lo accompagnano, dopo un’introduzione di Xavier Manzanares. Pur non presente sul palco (ma presenti Soliani e Kirkhope per parlare delle musiche del gioco durante l’E3), il team di Milano si conferma elemento importante dell’universo Ubisoft, e c’è motivo di credere che questo sia solo l’inizio dell’ascesa di un team che ha meritato i riconoscimenti e le lodi caduti a pioggia nell’ultimo anno, riuscendo ad appagare anche la pretenziosissima Nintendo. Probabilmente è anche merito loro se, alla conferenza, Ubisoft ha potuto presentare Fox tra i personaggi della propria nuova IP, Starlink.
Una conferenza che non ha troppi picchi verso l’alto, ma che di certo quadra in tutte le sue parti, e dove ogni team ci ha messo la faccia e ha condiviso il lavoro col pubblico.
Condivisione del lavoro che è invece forse quel che è mancato in una delle conferenze più attese: Sony si affida infatti a lunghi trailer per dar spazio principalmente a 4 esclusive: The Last of Us 2, Ghost of Tsushima, Death Stranding e Marvel’s Spider-Man. Titoli pregevolissimi — il primo presentato così bene da indurre il dubbio nel pubblico fosse ampiamente scriptato, anche se a un’attenta analisi è possibile confutare questa tesi: in gran parte il video non lo è, in realtà — ma ancora una volta lontani dall’essere accompagnati da una release date. Nessun membro del team di sviluppo a raccontarli, talvolta musicisti a introdurli. Curiosità a parte per nuovi titoli come Control o per il remake di Resident Evil 2 (uno dei pochi ad essere accompagnato da una data d’uscita), Sony sembra voler dare al pubblico uno sguardo più approfondito delle sue esclusive di punta, offrendo scampoli di gameplay (meno che nel titolo di Kojima, nel quale si intravedono alcune fasi stealth, una di arrampicata e si intuisce la presenza di una componente shooter) ma non andando oltre, accontentandosi del minimo sindacale per non sfigurare.
Una parsimonia, quella di Sony, che contrasta con i 25 trailer del PC Gaming Show, che, ad onta della sufficienza con il quale è guardato ogni anno, offre vari momenti interessanti: la conduttrice, la streamer Frankie Ward, riesce a mantenere un certo ritmo nelle due ore scarse che compongono lo show, ed è piacevole notare quanta varietà offra l’ambiente PC. Da avventure story-driven come il lovecraftiano The Sinking City, ma anche Neo Cab e Night Call, si passa a titoli dallo stile artistico affascinante come Sable o gestionali molto attesi come Two Point Hospital. Ma il PC Gaming Show non è soltanto riservato alle produzioni indipendenti: c’è spazio anche per Hunt: Showdown, FPS horror su cui è al lavoro Crytek, il super chiacchierato Star Citizen (giunto adesso l’alpha 3.2), Overkill’s The Walking Dead, Hitman 2 (anche questo incomprensibilmente non inserito nella conferenza Square Enix) e vari titoli SEGA, dalle remastered di Shenmue, a tre novità: Valkyria Chronicles 4, e, per la prima volta su PC, Yakuza Kiwami e Yakuza Zero, a conferma che l’amata serie nipponica ha ormai trovato una solida fanbase in Occidente. Rimane curiosità, infine, riguardo Ooblets, nuovo lavoro della Double Fine di Tim Schafer, ed è solo un altro tassello che si aggiunge a una conferenza poco altisonante nelle forme ma molto interessante nei contenuti.
Si passa così all’ultima conferenza, quella della “vecchia signora” del mondo videoludico: Nintendo quest’anno sceglie di esserci, a differenza del 2017, annunciando la propria conferenza, che chiuderà il ciclo di quest’anno. Se la prima parte ha un buon ritmo alternando gli annunci di titoli terze parti (Daemon X Machina e Overcooked 2 fra gli altri) e prime parti (Super Mario Party e Fire Emblem: Three Houses su tutti), la seconda si arena sul nuovo Super Smash Bros. Ultimate, al quale viene dedicato un lungo deep dive nel quale si sviscerano scenari, personaggi e singole feature, risultando un po’ fuori contesto rispetto alle altre conferenze basate soprattutto sulla varietà di contenuti: l’approfondimento di un singolo titolo non è probabilmente il momento migliore per accattivare un pubblico con aspettative di reveal e sorprese last minute.
Poche sorprese eclatanti, ma a guardar bene i titoli interessanti non mancano: EA non stupisce, ma Sea of Solitude solletica la curiosità, Microsoft lancia alcune l’amo di alcune esclusive classiche, ma come detto non è quello il fulcro della conferenza. Probabilmente i titoli più interessanti sono stati presentati durante il PC Gaming Show, considerando che Sony persevera nella propria politica di dar un assaggio dei propri first party senza accompagnarli a date di rilascio mentre Square Enix non offre alcuna novità di riguardo e Nintendo preferisce l’approfondimento. Anche Devolver Digital riesce a incuriosire, in relazione al breve tempo del proprio show, e questo ci conferma forse quanto il mondo indie sia ancora una fucina di creatività nel mondo videoludico. Questo senza sminuire le grandi case: Bethesda annuncia comunque dei buoni contenuti speciali, ma soprattutto un altro Doom, dopo un primo reboot di buona qualità, e una nuova IP, mentre Ubisoft, pur avendo già annunciato gran parte dei titoli mostrati, li approfondisce intelligentemente, trovando il tempo per annunciare anche un’altra collaborazione con Nintendo.
Quali strategie daranno buoni frutti sarà il tempo a dirlo. Nel frattempo potremmo anche provare a fare una classifica in relazione a quanto mostrato, mettendo alla base non valutazioni in merito alla bontà dei prodotti (senza una prova dei quali ogni giudizio va sospeso) quanto in relazione al valore aggiunto delle conferenze e quindi riguardo la forza e l’efficacia del messaggio lanciato, non considerando il “fumo” derivante dall’applicazione di pure strategie di marketing ma soprattutto la concretezza di certe dimostrazioni, la volontà di dare un messaggio chiaro ai giocatori e l’effettiva prospettiva di star lavorando per loro, senza voler abbagliare nessuno.
A valutare le sensazioni lasciate da ogni show, ma soprattutto quanto concretamente posso aver tratto dai contenuti mostrati in termini di strategie di mercato e lavoro dietro le quinte, ordinerei le conferenze come segue:
- Microsoft: tanti trailer, fra esclusive e multipiattaforma, per mostrare che a Redmond non interessano soltanto i titoli first party, ma non sottovalutandoli, come dimostrano le acquisizioni di ottimi studios. Buoni anche gli intenti sull’AI, anche se poca concretezza da quel punto di vista. A ogni modo, Microsoft è più viva che mai, e pare pronta già alla guerra della prossima generazione.
- Ubisoft: tanti trailer, tanto contenuto e tante testimonianze per una conferenza solidissima, dove anche i titoli senza release date prendono forma concreta, grazie a team member che ci mettono la faccia e danno uno spaccato del lavoro dietro a ogni IP.
- PC Gaming Show: L’avreste mai detto, di trovarlo sul podio? Ebbene sì: le più interessanti novità escono fuori proprio da questa conferenza, che non dà spazio solo a indie interessantissimi (segnatevi quelli nominati sopra) ma mette in luce anche IP come Hunt: Showdown (titolo importantissimo per Crytek, dopo prestazioni di mercato non esaltanti negli ultimi anni) ma soprattutto Hitman 2. Vi pare poco?
- Devolver Digital: A loro ormai quasi piace vincere facile: con uno show sopra le righe, parodistico, un po’ paraculo (fanno satira su un settore di cui non sono totalmente avulsi alle logiche) puntano dritti all’engagement e propongono pochi titoli ma di evidente interesse. Un garanzia.
- Bethesda: lo dicevamo prima, la solidità premia: anche qui poche IP ma tutte ben calibrate, dal nuovo RPG Starfield a nuovi capitoli di Doom e The Elder Scrolls, oltre al già annunciato Fallout. Certo, si poteva fare di più, ma da un lato va bene così.
- Sony: Manca molto la concretezza, vi è un’evidente volontà di “far melina”, puntando su hype forti, ad alto potenziale di hype, delle quali però si vede ancora poco. Perché di Spider-Man un gameplay allo scorso E3 lo avevamo già, e questo nuovo trailer non aggiunge proprio tantissimo. Ciononostante, apprezzatissimi i trailer, il lavoro è di ottima fattura, siamo contenti anche dell’ennesima riproposizione restaurata di un classico, Resident Evil 2, ma qui un po’ di concretezza è mancata.
- Electronic Arts: Di certo non è andata male. Occhi puntati su Anthem, con il team che non lesina spiegazioni su lore e meccaniche, ma poco altro. Solite IP annuali, un Command & Conquer che a oggi pare ricalcare un po’ troppo alcuni classici free-to-play mobile di successo e due nuovi titoli che forse non bastano a distinguersi dagli altri.
- Nintendo: Si parte benissimo, si finisce morti di noia: va bene l’importanza di Super Smash Bros. Ultimate, ma lo spiegone di una cinquantina di character, e feature, e luoghi e dettagli vari poteva trovare miglior collocazione. Nel corso di una conferenza all’E3 diventa un tecnicismo inadatto e che uccide il ritmo di chi vuole invece un’overview, più consona al contesto.
- Square Enix: Conferenza spoglia, i trailer migliori sono già affidati ad altre conferenze, a volte sembra di assistere a dei piatti highlights, ci si dimentica presto dell’approfondimento iniziale su Shadow of the Tomb Raider e si finisce col chiedersi, a posteriori, perché riservare Hitman 2 alla conferenza meno seguita dell’E3. Inspiegabile.
Speciale E3 2018: la conferenza Devolver Digital
Dopo il successo dello scorso E3, torna quella banda di matti di Devolver Digital, con la promessa di fare una conferenza più esagerata e soprattutto più violenta dello scorso anno. Promessa mantenuta, ma andiamo con ordine.
La solita esageratissima e sboccatissima Nina Struthers, ci introduce al primo gioco, SCUM, un open world surival sviluppato da Gamepires in collaborazione con Croteam, che sarà disponibile in early access su Steam a partire da agosto 2018.
Il prossimo “titolo” annunciato è Lootboxcoin: le virgolette sono obbligatorie, visto che si parla di una moneta di plastica in vendita sul sito di Devolver Digital e che cambia di valore dopo ogni ora. Chiaro riferimento al mondo selvaggio delle criptovalute, oltre che alle amate/odiate lootbox, il tutto condito dalla solita ironia degli americani.
Ma torniamo subito in carreggiata con My Friend Pedro, un frenetico twin stick shooter in arrivo per Nintendo Switch e PC che ricorda molto le sparatorie viste nei film di John Woo.
Arriviamo quindi all’ultimo annuncio della conferenza, condita sempre dal solito piglio ironico dei texani, dove dal Devolver Digital Entertainment System Classic, la loro prima retroconsole (che in realtà è un Sega Dreamcast, ma non ditelo alla Struthers) esce fuori Metal Wolf Chaos XD, remaster del titolo cult a cura di From Software che arriverà entro la fine dell’anno su Xbox One, Playstation 4 e PC, supportato dal geniale dominio internet mechamericagreatagain.com, chiaro riferimento allo slogan elettorale dell’attuale presidente americano Donald Trump.
Che dire di Devolver Digital, a parte che si conferma come l’editore più folle ma anche più attento alle novità del mondo indie, e non solo, in circolazione?
Abbiamo avuto due novità, nella forma di SCUM e My Friend Pedro, oltre all’atteso remake di Metal Wolf Chaos. Forse l’unica pecca della conferenza è stata l’assenza del titolo cardine della libreria dei texani, ovvero Serious Sam 4, ma considerando che sarà giocabile in fiera, attendiamo con fervore.
Detto questo, l’appuntamento è per il prossimo anno, dove troveremo una Nina Struthers ricostruita dopo l’attacco da parte dello stagista che ha perso il braccio lo scorso anno. E chissà quali altre sorprese ci aspettano…