Firewall Zero Hour

Firewall Zero Hour

Firewall Zero Hour, il nuovo titolo per Playstation VR sviluppato dalla software house First Contact Entertainment, si candida ad essere il primo vero FPS tattico in realtà virtuale. Il gioco, completamente in italiano sia nei testi che nel parlato, è destinato soltanto a un pubblico che abbia già compiuto 16 anni.
È indispensabile la presenza di un visore PSVR per utilizzarlo, mentre è opzionale l’utilizzo dell’AIM Controller che, a scapito del realismo e dell’efficienza di tracciamento dei movimenti, può essere sostituito dal classico Dualshock controller della Playstation, a differenza del  Playstation Move che non è supportato.
Il titolo che abbiamo per le mani è immediatamente entusiasmante, si viene subito colpiti dalla perfezione grafica, dalla ricchezza di dettagli e dal realismo immersivo. Sfortunatamente, un paio di dettagli non da poco fanno scendere la valutazione globale e, se non fosse per queste piccole pecche, il gioco avrebbe tranquillamente potuto ambire ad un 10 pieno.

Firewall Zero Hour

La storia

La First Contact Entertainment ha fatto davvero pochi sforzi nel creare una storia completa e coinvolgente, puntando invece tutto su qualità grafica ed efficienza tecnica del gioco. Infatti è proprio la storia a essere uno degli unici due punti dolenti, di questo titolo. Impersoneremo un mercenario, che sceglieremo tra una selezione di 12 soldati provenienti da altrettanti Stati, che avrà come unico obiettivo quello di completare il contratto che gli è stato assegnato in cambio di una remunerazione in criptovaluta.
I contratti, che si svolgeranno in nove diverse ambientazioni equamente distribuite in tre Stati, si distinguono in soltanto due categorie, quelli da attaccante e quelli da difensore.
Nella prima tipologia di contratti, dovremo raggiungere uno dei firewall presenti disattivarlo, quindi localizzare e raggiungere un computer portatile. A questo punto saremo costretti a restare nel raggio di un paio di metri dal computer per proteggere la connessione stabilita, fintanto che il nostro centro di comando e controllo, non riuscirà ad hackerare il laptop e completerà la sottrazione dei dati presenti. Terminato il download dei dati, verremo immediatamente pagati in Crypto e si concluderà così la missione. Tralasciando completamente la classica fase di “estrazione in gergo militare, in altre parole quando cerchiamo di uscire vivi dal campo di battaglia.
Nella seconda tipologia di contratto, cioè quella da difensore, dovremo invece impedire agli attaccanti, a suon di proiettili e di mine di prossimità, di raggiungere il laptop e quindi di sottrarre i dati contenuti, per un periodo di tempo limitato.
Alla fine di ogni contratto riceveremo una valutazione e delle ricompense, che saranno più sostanziose se completeremo la missione con successo, e con esse potremo poi acquistare upgrade per le armi e nuove dotazioni.

Tecnicamente, quasi perfetto

La First Contact Entertainment con Firewall Zero Hour fa scuola e mostra come, con un oculato lavoro di programmazione, si possano raggiungere livelli graficamente eccellenti anche con il Playstation VR, smentendo in tal senso i detrattori del device Sony.
La prima vera emozione si prova già nel tutorial, che non sarebbe niente di eccezionale se non fosse per la grafica che ci stupisce e coinvolge immediatamente. Prima ancora di iniziare a seguire le istruzioni, ci guardiamo in giro e, appena volgiamo lo sguardo al nostro abbigliamento, quasi sobbalziamo per la meraviglia, data la ricchezza di dettagli della nostra mimetica e dei vari accessori equipaggiati. Le texture sono belle da far paura, le luci, i riflessi e le ombre sono estremamente realistiche, anche qui un lavoro assolutamente degno di lode. Le animazioni fluide e armoniose ci coinvolgono sempre più in un mondo che stentiamo a non credere reale.
La fisica del gioco è ben studiata e assolutamente testata a dovere. Tutto funziona egregiamente, non mostrando alcuna pecca anche nei classici punti deboli, come le varie collisioni con muri, porte e oggetti, tutto calcolato alla perfezione.
Risulta evidente come un gran lavoro di beta testing sia stato fatto per portare il titolo ad un livello tecnico al top.
L’audio tridimensionale è assolutamente realistico, coinvolgente e persino indispensabile per giocare in maniera efficace. Infatti grazie al rumore dei passi dei soldati nemici potremo identificare un pericolo in arrivo o all’udire di spari in una certa direzione potremo sviluppare la nostra strategia d’attacco.
Il doppiaggio (in italiano) è naturale e ben realizzato, si alternano voci femminili a voci maschili che ci daranno le poche istruzioni necessarie allo svolgimento del contratto.
Il sistema di controllo, sfrutta l’ormai brevettata tecnica della rotazione a scatti, che riesce a eliminare completamente i pericoli legati al motion sickness sempre in agguato sui titoli VR. Tutti i movimenti del nostro mercenario sono fluidi e naturali, anche i comandi sono posizionati alla perfezione sia sul Dual Shock che sull’AIM Controller, rendendo estremamente immediato e naturale il controllo del personaggio. L’unico piccolo appunto relativo ai movimenti è la velocità della corsa, che rassomiglia piuttosto ad una camminata sostenuta e nelle situazioni più concitate, come ad esempio in un imboscata dovrebbe assolutamente essere ad un livello più elevato.

Il dispositivo di controllo per godere a pieno di Firewall Zero Hour è certamente l’AIM Controller che durante il gioco viene tracciato alla perfezione, senza la necessità di dover mai fare quelle manovre di scuotimento per riallinearlo, a cui altri titoli per PS VR ci avevano abituato. Il Dual Shock, seppur comportandosi bene come device di movimento del personaggio, non sempre viene tracciato altrettanto bene, costringendoci quindi a un riallineamento ogni tanto e sopratutto facendo perdere quella sensazione realistica di tenere una vera arma in mano.

Firewall Zero Hour

Le modalità di gioco sono estremamente limitate, escludendo la modalità di Addestramento, l’unica opzione rimanente è quella chiamata Contratti.
Nella fase di addestramento potremo far pratica con le varie armi, gli scenari e i tipi di missione, iniziando in single player, contro dei bot dalla limitata intelligenza artificiale che ben presto riusciremo a sottomettere, individuandone i punti deboli e la prevedibilità. Infatti tenderanno a farci agguati in gruppetti di tre o quattro provenendo da più direzioni, restando per lo più privi di copertura, puntando tutto sull’effetto sorpresa. Il radar da polso ci mostrerà i movimenti dei soldati nemici quando saranno a pochi metri da noi, semplificandoci così il nostro sporco lavoro da spietato mercenario. Qualche proiettile ben piazzato grazie alla perfetta mira del nostro fucile ci libererà velocemente degli incursori. I caricatori a disposizione sono limitati,  vanno quindi utilizzati con dovizia e parsimonia e, sebbene sia possibile trovare delle valigette contenenti dei colpi extra, questa ricerca ci costringerà a deviare dal nostro piano d’attacco e ci esporrà ad imboscate nemiche.
Il vero cuore del gioco è la modalità Contratti, che ci catapulterà in realistici scontri a fuoco, mixando tattiche d’aggressione, coordinamento tra i compagni dello sparuto plotone, espedienti d’astuzia e momenti di pura azione, come nemmeno nei migliori film hollywoodiani si sia mai visto. La presenza, quindi, di un buon impianto di cuffie e microfono è fondamentale per comunicare con i compagni e coordinare gli attacchi, sebbene sia anche possibile giocare utilizzando il microfono della Playstation Camera e l’audio proveniente dalla TV.
L’approccio strategico di questo FPS si respira sin dalla fase di preparazione alla missione, scegliendo i mercenari più adatti e i giusti armamenti avremo un sicuro vantaggio tattico.

Firewall Zero Hour

Non è tutto piombo quel che luccica

Il più grosso difetto di questo titolo è legato alle interminabili attese nella fase di formazione delle squadre delle partite multi-player, i Contratti. Ci si trova nella stanza ad attendere per decine di minuti che si formino entrambe le squadre vedendo apparire i nostri potenziali compagni, che dopo qualche minuto di infruttuosa attesa abbandonano, rendendo così ancor più difficile raggiungere l’inizio di un match. A rendere ancora più frustrante il difetto è il fatto che una volta raggiunto il numero di 8 giocatori, 4 per squadra, la partita si concluda con un unica missione, che spesso dura anche pochi secondi o nel migliore dei casi qualche minuto.
Per ovviare a questo problema, sarebbero stati sufficienti due piccolissimi accorgimenti rendendo l’attesa molto meno noiosa e frustrante. Sarebbe bastato aggiungere un semplice poligono di tiro nelle stanza d’attesa e fare delle partite da 3 o meglio 5 round.




Bravo Team

La software house SuperMassive Games, già nota per titoli di spessore come Until Dawn per PS4, The Inpatient e Until Dawn: Rush of Blood per PSVR, abbandona la sua “safe zone” della ambientazioni horror, per lanciarsi in tra gli scenari degli scontri militari.
Bravo Team, è un gioco che come genere si piazza tra un FPS e un On-Rail Shooter, il tutto in rigorosa salsa Co-Op. Il titolo è completamente tradotto in italiano, ed è uscito il 6 Marzo 2018.

Scorta al Presidente

Bravo Team ci cala nelle vesti di un soldato americano demandato a fare da scorta alla Presidente di un non meglio precisato Stato dell’est Europa. L’incipit ci vede insieme ai nostri compagni d’arme su un SUV blindato per scortarla a destinazione, ma il viaggio viene interrotto da un gruppo di terroristi che rapiscono il nostro Capo di Stato.
Ripresasi dallo shock dell’attacco, la squadra abbandona il SUV per trovarsi sotto il fuoco incrociato delle milizie locali, che fino a poco prima erano ritenute nostre alleate. In breve i nostri compagni vengono decimati, e si rimane soltanto in due, guidati tramite contatto radio dal centro di controllo della missione.
La prima impressione è subito positiva e la storia si lascia scoprire piacevolmente, riservandoci qualche interessante sorpresa.

Sparatorie in Co-op

Bravo Team ci propone la sua versione di combattimenti urbani in co-op. Saremo assistiti da un compagno durante tutto il gioco, dovremo collaborare, alternandoci con le coperture e sferrando attacchi combinati. Potremo anche rigiocare le stesse missioni della campagna anche in modalità co-op online, avendo quindi come compagno un altro giocatore.
Il gioco dà il meglio di sé con l’AIM controller, ma può essere giocato sia tramite il classico gamepad della Playstation 4 che tramite i Playstation Move.
I movimenti nel gioco sono gestiti tramite salti da un riparo all’altro in posizioni prestabilite. Gli spostamenti vengono mostrati come un’animazione in terza persona, e un simile approccio risulta inizialmente abbastanza strano, ma in breve si comincia ad apprezzare la possibilità di ammirare le azioni di combattimento da una prospettiva diversa anche in VR.
Le armi che ci vengono messe a disposizione sono davvero poche e poco potenti, anche gli approvvigionamenti di munizioni sono scarsi, soprattutto nei livelli più difficili. Purtroppo la carenza di armi veramente potenti toglie non poco divertimento al titolo, che avrebbe tratto giovamento dall’aggiunta di qualche bomba a mano e qualche arma più incisiva, mentre un punto a favore è certamente l’aver previsto la possibilità che il fucile si inceppi, elemento che nelle azioni più concitate ci causerà non pochi grattacapi e che alza l’asticella della sfida.

La grafica non basta

La SuperMassive Games si supera sul piano tecnico sfornando un gioco graficamente tra i migliori titoli per PSVR finora sfornati, con texture eccellenti, ambientazioni immersive e ben dettagliate, un effetto nebbia davvero ben riuscito e un generale realismo abbastanza fedele. Le animazioni dei personaggi sono discrete, si registra qualche movimento legnoso di troppo, visibile.
Gli spostamenti da un riparo all’altro si eseguono puntando l’arma verso l’appostamento prescelto e premendo il tasto X. La visuale, a questo punto, si sposta in terza persona e vedremo così il nostro personaggio spostarsi da un riparo all’altro. Proprio grazie a questo approccio, la SuperMassive Games riesce a eliminare completamente qualsiasi possibile problema legato al “motion sickness“, problema che affligge finora la gran parte dei titoli in VR.
Il comparto audio è davvero buono, tutto doppiato in italiano in maniera eccellente, condito da effetti sonori abbastanza realistici si lascia apprezzare durante tutto il gioco.
Il sistema di mira con AIM Controller è molto preciso e immediato, soltanto l’assenza di un vero rinculo ci ricorda che non abbiamo una arma reale tra le mani.
Purtroppo il titolo pecca in termini di longevità. La campagna base single player dura al massimo 3 ore e la seconda modalità in single player ci riproporrà gli stessi scenari, cambiando solo l’assegnazione dei punteggi per i colpi messi a segno.
A peggiorare la situazione arriva la modalità co-op online che, rappresentando il cuore pulsante di Bravo Team, dovrebbe aggiungere ore di divertimento e novità da scoprire. Sfortunatamente la SuperMassive Games va un po’ al risparmio, non disegnando delle mappe specifiche per il co-op online, costringendoci a rigiocare insieme a un compagno reale le stesse identiche missioni già completate nella campagna single player.
La mancanza di divertimento aggiuntivo, nella modalità multiplayer, non deve aver generato molto richiamo, e non di rado bisognerà aspettare tra i 10 e i 20 minuti prima di trovare un compagno online, per poi abbandonare definitivamente questa modalità una volta conclusa la partita.

Bravo, ma non bravissimo

Bravo Team è assolutamente un titolo da provare per apprezzare il proprio AIM Controller in azione, ma la scarsa longevità e la carenza di armi lasciano un po’ l’amaro in bocca, rendendo evidente come un titolo che avrebbe potuto avere tutte le carte in regola per essere un capolavoro si sia perso nel classico bicchiere d’acqua.
Non tutto è perduto, però, il potenziale rimane ancora immutato, le basi ci sono tutte e un bel DLC che ci offra nuove e più potenti armi, qualche ambientazione aggiuntiva e una modalità online dedicata potrebbe risolvere molti problemi e rianimare un gioco nel quale il divertimento dura per un tempo troppo limitato.




The Inpatient

The Inpatient

The Inpatient il nuovo gioco per Playstation VR, targato SuperMassive Games, può essere annoverato tra gli horror psicologici.
La software house inglese, dopo averci affascinato con la coinvolgente storia di Until Dawn (qui la recensione) ed entusiasmato, lanciandosi nel mondo della realtà virtuale, con lo spettacolare shooter su binari Until Dawn: Rush of Blood (qui la recensione), che rappresenta uno spin-off del primo, adesso ci presenta quello che è un vero e proprio prequel del capitolo d’esordio.
Non c’è quindi da meravigliarsi se l’hype di tutti i fan della serie è stato elevato sin dall’annuncio ma, se già doversi confrontare con un primo titolo di rango non risultava un’operazione semplice, questo The Inpatient presenta non pochi problemi che ne inficiano la qualità.

Blackwood Pines Sanatorium

Ambientato 60 anni prima gli eventi di Until Dawn, in un manicomio/casa di cura a BlackWood Pines, The Inpatient ci vede vestire i panni di un paziente affetto da amnesia. Durante tutto il gioco ci troveremo sempre in compagnia di qualche personaggio con cui dialogheremo (nel vero senso della parola).
Prendendo in prestito dalla Teoria del Caos l’effetto farfalla, la SuperMassive Games, come già  in Until Dawn, ce ne offre la propria versione: le risposte che sceglieremo di dare influenzeranno il corso della storia, saranno decisive per la vita o la morte dei personaggi incontrati e ci condurranno a finali differenti.

Cosa si poteva fare meglio

Come accennavamo, i difetti legati a questo titolo sono diversi e coinvolgono molti settori chiave.
Il secondo  difetto, non da poco in ordine di fastidio arrecato al gamer, è rappresentato dalla programmazione dell’ambiente che ci circonda. L’intero scenario, compresi il 99% degli oggetti, si presenta infatti come un unico gigantesco blocco immobile: ciò vuol dire che non solo non saremo in grado di far muovere niente sbattendovi contro, perdendo in realismo ma, per di più, qualsiasi oggetto, persino quelli dotati di ruote, ci bloccherà il cammino, impedendoci di proseguire, obbligandoci a una macchinosa manovra di aggiramento. Per compire questa farraginosa operazione dovremmo spostare l’analogico di destra per tre o quattro volte nella direzione della rotazione che vorremo effettuare prima che la manovra vada a buon fine.
Qualche “illuminato” sviluppatore della casa britannica, ha ben pensato di mettere una bella toppa a questo inconveniente creando quello che rappresenta il primo dei difetti del gioco.
Il più grave problema è infatti proprio legato al sistema di controllo.
I programmatori della SuperMassive Games hanno dimostrato la propria maturità in ambito VR, studiando un sistema di controllo che evita completamente, qualsiasi problema legato al “motion sickness”, posizionando il movimento in avanti sull’analogico sinistro e la rotazione di 30/45/60 gradi sull’analogico destro.
Fin qui un ottimo lavoro. Purtroppo qualcuno, probabilmente in uno stadio particolarmente avanzato dello sviluppo del gioco, o addirittura in fase beta testing, ha avuto la “geniale” idea di mettere sempre sull’analogico destro la “feature” per l’inversione di visuale a 180°. Questa inopportuna funzione di controllo ci perseguiterà per tutto il gioco e ci capiterà in continuazione di azionarla involontariamente. Malauguratamente, neanche dalle impostazioni è possibile disattivarla, e saremo così condannati per l’intero gioco a doverci voltare nuovamente nella giusta direzione, diminuendo ancor di più la già scarsa immersività di questa esperienza VR.
Lo stress e il senso di insoddisfazione causati dalle già citate incaute scelte di programmazione ci inducono a sperare almeno in una storia avvincente e dal finale ricco di suspense. Anche qui veniamo amaramente delusi: ci mettiamo veramente poco a capire la storia e i suoi risvolti, e il gioco si riduce a seguire qualche personaggio per interminabili corridoi nei quali non succede assolutamente niente, e quasi speriamo in un jumpscare per movimentare un po’ la noia generata da questi lunghi tratti soporiferi.

Cosa ci è piaciuto

Assolutamente da lodare, invece, è l’esperimento relativo al controllo vocale dei dialoghi fatto dagli sviluppatori della SuperMassive Games.
Durante i colloqui con i vari personaggi, ci verranno poste delle domande e proposte a schermo due risposte possibili: ci basterà pronunciare la frase scelta e verrà automaticamente interpretata dall’intelligenza artificiale che si occupa del riconoscimento vocale.
L’eccellente lavoro degli sviluppatori britannici fa sì che l’algoritmo di riconoscimento vocale abbia un ottimo livello di accuratezza, pari quasi al 90% di corretta identificazione della risposta. È saggiamente stata anche prevista la possibilità di selezionare la risposta, semplicemente guardandola e premendo il tasto X.
In breve, risulta abbastanza naturale parlare con i personaggi del gioco sebbene sia necessario pronunciare esattamente la frase mostrata come risposta e non sia possibile dire qualcosa di simile o di significato analogo, come avviene nelle odierne AI di riconoscimento vocale.

Analisi Tecnica

Le texture sono belle, dettagliate e di grande effetto, sia quelle relative all’ambiente sia quelle che delineano l’aspetto dei personaggi. Il titolo sarebbe graficamente eccellente se non fosse per una miriade di bug grafici che, a scapito del realismo, fanno brillare anche in totale oscurità tutti gli oggetti, evidentemente aggiunti in un secondo momento, come i contorni delle finestre, delle porte, alcune parti della pavimentazione ecc.
Le animazioni dei personaggi sono abbastanza fluide e credibili, mentre quelle legate al nostro personaggio lasciano alquanto a desiderare. La velocità con cui ci muoviamo è a dir poco ridicola, anche nei momenti più concitati di imminente pericolo siamo lenti come una tartaruga assonnata e, se ci guardiamo i piedi, per altro scalzi, notiamo una specie di “moon walking” con scivolamento frontale del tutto inverosimile.
Il comparto audio è buono: i dialoghi, in italiano, sono ben doppiati, quasi al livello di quelli dello spin-off Rush of Blood, e le musiche accompagnano abbastanza bene le varie parti della storia. Gli effetti audio, seppur d’effetto, sono spesso temporizzati con troppo anticipo, rovinando così la sorpresa dei, tra altro rari, jumpscare.
L’estrema lentezza del personaggio, le lunghe camminate per gli interminabili corridoi che attraversiamo del tutto indisturbati e le poche emozioni che regala questo titolo, fanno sì che la scarsa longevità di sole 2-4 ore diventi un pregio piuttosto che un difetto.
Per quanto riguarda il “motion sickness”, problema sempre in agguato quando si tratta di realtà virtuale, possiamo tranquillamente affermare che i ragazzi di SuperMassive Games lo hanno totalmente scongiurato, tramite l’ormai collaudato sistema di rotazione a scatti.

The Inpatient

Impressioni Impazienti

Purtroppo The Inpatient delude sotto molti aspetti, la storia lenta e superficiale, il sistema di controllo stressante e tutt’altro che funzionale, la longevità di sole 2/3 ore e qualche bug grafico, fanno scendere il giudizio generale del gioco ben al di sotto della sufficienza. L’impressione generale che si ha giocando a The Inpatient è che la SuperMassive Games abbia puntato davvero in alto con un titolo graficamente bellissimo, e aggiungendo l’innovazione del controllo vocale dei dialoghi, al già apprezzato sistema di narrazione dell’effetto farfalla, abbia cercato di raggiungere l’olimpo delle IP. Purtroppo evidentemente, a uno stadio avanzato dello sviluppo, forse per problemi di budget, o a causa di qualche deadline da rispettare, abbiano dovuto accelerare la conclusione del titolo, lasciando bug grafici un po’ ovunque e rattoppando alla meno peggio i bug più importanti.

 




StarBlood Arena

StarBlood Arena

StarBlood Arena è uno shooter 3D in prima persona a bordo di una navetta spaziale, ambientato in dodici arene da combattimento al chiuso.
Il titolo si piazza in quel filone inaugurato da RIGS: Mechanized Combat League, offrendo ben poche innovazioni al genere. Gli sviluppatori della WhiteMoon Dreams, provano a cavalcare l’onda della realtà virtuale per proporre un titolo che, senza un visore addosso, tende a svuotarsi di significato.
Starblood Arena è un prodotto ricco di difetti e probabilmente senza alcuna pretesa, carente sotto diversi aspetti, e nel migliore dei casi ci regala brevi momenti di divertimento, alternati a lunghe pause di caricamento.

StarBlood Network Reality Show

Il gioco ci introduce a un improbabile futuro popolato da diverse razze extraterrestri e dove letali reality show televisivi vanno per la maggiore.
Una ben assortita coppia di simpatici presentatori alieni, chiacchierando spesso degli affari propri, ci introdurrà alla scoperta dello studio televisivo del “famosissimo canale” StarBlood Network, guidandoci così a conoscere i comandi di guida delle astronavi che andremo a pilotare, senza dimenticarsi di prenderci un po’ in giro.
Il controller preposto allo scopo è il classico joypad, che con l’analogico sinistro ci permetterà di ruotare e muoverci, mentre con i tasti L1 e R1 sarà possibile traslare sull’asse Z.
Già dal tutorial si avverte un senso di malessere, “motion sickness” a cui sarà difficile sottrarsi.
Il più grave difetto del gioco è rappresentato proprio dalla chinetosi, difetto che, malgrado gli sforzi fatti dal team della WhiteMoon Dreams, non sembra sia stato del tutto risolto ma, a voler esser buoni, soltanto lievemente mitigato.
È proprio il “motion sickness” insieme alle lunghe attese tra un match e l’altro a spezzare l’unico aspetto divertente del gioco, rappresentato dal ritmo frenetico degli scontri nelle arene.

Pregi vs Difetti

La storia lascia molto a desiderare, costituendo soltanto un mero pretesto per i combattimenti tra razze aliene su delle mini astronavi, non assolvendo neanche al compito di fungere da collante alle varie modalità di gioco.
Per un imprecisato motivo, ci troviamo a partecipare a un letale reality show televisivo, dove impersoneremo uno dei 9 piloti disponibili fra le diverse razze aliene e umane. Ogni pilota comanderà una specifica navetta, che avrà differenti caratteristiche di difesa, velocità, ecc. e differenti armi primarie e secondarie ( laser, missili, bombe, ecc. ).
Le ambientazioni dei vari livelli, sono le 12 arene messe a disposizione per i combattimenti tra cui Catacombe, Miniera, Fabbrica, Grotta e Silo.
Gli scenari (interamente al chiuso) risultano così decisamente claustrofobici (caverne, cunicoli, anfratti), fattore che tende a intensificare i fastidi legati al “motion sickness”.
Superando i primi segni di chinetosi, con un po’ di buona volontà, si riesce a giocare qualche partita degna, a tratti persino divertente. In breve, l’iniziale sensazione di caos, si trasforma in una battaglia adrenalinica per lo più istintiva, senza richiedere grandi sforzi strategici e organizzativi.
Purtroppo il ritmo frenetico di StarBlood Arena – che di per sé rappresenta la caratteristica più entusiasmante del gioco – viene spezzato da lunghe fasi di caricamento tra un match e l’altro.
È possibile giocare in single player, in multiplayer e in modalità co-op: le sfide sono i classici deathmatch tutti contro tutti o a squadre, una versione del “capture the flag” con una palla e una sfida dove bisogna difendere le proprie basi da ondate di nemici che arriveranno all’infinito, anche questa affrontabile in solitaria o a squadre.
Il primo impatto con il comparto grafico è di certo positivo, grazie alla cura dei personaggi e ai loro dettagli nell’interfaccia di selezione dei piloti, ma si fa poi deludente durante le sfide nelle arene, dove presenta una grafica grossolana e spesso scarna.
Le mappe, seppur lievemente claustrofobiche, sono studiate abbastanza bene, concedendo lo spazio necessario per qualche discreta evoluzione tridimensionale.
Superato l’iniziale smarrimento e senso di caos, il gameplay vero e proprio risulta abbastanza divertente, e una volta presa confidenza con la mappa si tende ad approfittare di ogni anfratto per colpire il nemico, rimanendo comunque protetti.
Il sistema di puntamento risulta comodo e preciso: guidati dal movimento del PSVR, sarà sufficiente guardare direttamente il nemico, facendo collimare il mirino con la sua navicella e potremo colpirlo senza troppa difficoltà.
Assolutamente degno di nota è il comparto audio, che vanta sia delle azzeccatissime musiche metal, ottime per scandire il ritmo incalzante dei combattimenti, sia dei dialoghi in italiano con un doppiaggio di buona qualità.
I disagi legati al “motion sickness” rendono il gioco tutt’altro che gradevolmente fruibile: anche dopo aver superato l’iniziale chinetosi e aver fatto un po’ l’abitudine al movimento a 360°, di tanto in tanto si incorrerà in spiacevoli momenti dove potrà ripresentarsi il malessere, costringendoci così ad abbandonare temporaneamente il campo di battaglia, rompendo ancora una volta il ritmo del gioco.

Try before you buy

StarBlood Arena è, in definitiva, un titolo del quale si può tranquillamente fare a meno senza timore di star perdendosi un’impareggiabile esperienza VR, portando a sconsigliarlo con decisione chiunque abbia riscontrato in passato qualche episodio di “motion sickness”.
Gli “stomaci d’acciaio” che vorranno mettere alla prova le proprie doti di immunità alla chinetosi, prima dell’acquisto, potranno provare la demo gratuita scaricabile dal Playstation Store, mentre per i possessori di Playstation Plus il titolo è disponibile nella line-up di febbraio, figurando per il secondo mese consecutivo (come già accaduto nei due mesi precedenti con Until Dawn: Rush of Blood del quale trovate qui la nostra recensione).