Agony – Pacatamente, come non piace a noi

Quando fu annunciato tramite Kickstarter nel 2016, Agony riscosse un certo interesse tra il pubblico, per via della sua visione molto cruda dell’Inferno e soprattutto, di una direzione che mal si sposava con organi di controllo come l’ESRB (Entertainment Software Rating Board). Infatti, Agony, sin dalle prime battute, era così al di là di ogni titolo horror visto finora che l’organo lo valutò come titolo “per soli adulti”. Una classificazione che al team di sviluppo polacco Madmind Studio non è andata giù, al punto da indurli a cercare in tutti i modi di ottenere una categoria PEGI che non fosse rossa. Una volta ottenuta, le cose non sono comunque andate per il verso giusto: Agony è gradualmente divenuto un titolo potenzialmente castrato sotto quasi tutti i punti di vista e alla sua release definitiva fu valutato con diverse insufficienze. Noi di GameCompass ci siamo presi il nostro tempo, attendendo alcune patch riparatorie e giocato con attenzione questo titolo che però – come vedremo – non merita il paradiso ma nemmeno l’inferno nella misura in cui vi è stato scagliato da molte testate.

Attento a cosa chiedi quando preghi…

Riassumere gli eventi di Agony non è operazione semplice: impersoniamo Amraphel/Nimrod (il protagonista viene chiamato in entrambi i modi, ma il perché non è del tutto chiaro), un’anima dannata, arrivata all’inferno dopo una morte probabilmente violenta. Il suo desiderio è quello di tornare in vita, ma solo la Dea Rossa è in grado di esaudire la sua ambizione. La sua ricerca coincide con il nostro obiettivo, anche se non tutto andrà nel verso giusto. E non ci riferiamo soltanto alla storyline del protagonista, ma anche al gioco nel suo insieme. Tutto è riassumibile con la parola “confusione” e lo svolgimento della trama ne è un chiaro esempio.
Il nostro peregrinare tra le lande degli Inferi sembra non portare da nessuna parte, ogni avvenimento risulta abbastanza slegato da quanto accaduto precedentemente. Ogni nostra azione ha delle conseguenze, ma di questo ce ne accorgeremo una volta scoperto che Agony propone ben sette finali diversi, molto “criptici” e di cui probabilmente uno soltanto – almeno secondo il ragionamento di chi scrive – comunica realmente qualcosa. La “questione delle scelte” è uno dei tanti problemi di game design del titolo e, per far capire meglio di cosa stiamo parlando, è bene procedere con metodo comparativo: prendiamo Prey di Arkane Studios, che ha tra l’altro ricevuto un recente aggiornamento; all’interno del titolo possiamo compiere diverse scelte, alcune di queste “invisibili”. Per intenderci, se in Mass Effect la scelta da intraprendere ci viene letteralmente sbattuta in faccia, in Prey tutto è molto più velato e dipendente davvero dal nostro tipo di gameplay. E in Agony? Nel titolo Madmind risultano invisibili nel vero senso della parola, soprattutto perché si ha sempre la sensazione di non possedere alcun libero arbitrio. Non è chiaro cosa influisca e cosa no, e se da un certo punto di vista può sembrare un’ottima cosa – quasi un espediente meta-ludico – la realtà dei fatti è che questo aspetto non è stato progettato nel migliore dei modi, con il risultato che la confusione regna sovrana. Non bastano nemmeno le tante note sparse qua e là, le quali aggiungono informazioni che si fatica a mettere assieme, finendo facilmente nel dimenticatoio, così come tutte quelle citazioni bibliche volte a crear atmosfera, ma che rimangono tristemente fine a se stesse.
L’offerta ludica di Agony si amplia con altre due modalità: Agonia ci porterà ad affrontare il titolo attraverso ambienti generati proceduralmente, mentre la più interessante modalità Succube ci consentirà di impersonare un demone, portando il giocatore a scoprire nuovi percorsi e nuovi modi di affrontare il gioco. Questa modalità secondaria – a conti fatti – è forse quella più gradevole tra quelle offerte dal titolo.

…potresti ottenerlo

Tutta la struttura ludica di Agony si basa sullo stealth. Come survival horror il gioco riprende i canoni classici che ultimamente siamo abituati a vedere nel genere in termini di gameplay: fare poco rumore, nascondersi ove necessario e scampare dalle grinfie di creature di qualsivoglia natura, in questo caso demoni. Il problema però è che alcune meccaniche inserite non funzionano a dovere, rovinando per la maggior parte l’esperienza. La morte – come ci viene detto – fa parte del gioco e, al suo sopravvenire, abbiamo la possibilità di far migrare la nostra anima verso un ignaro malcapitato e prenderne possesso. Se questa meccanica a prima vista sembra interessante, richiedendo di “scappucciare” i dannati per poter trasmigrare – sempre che sia stata attivata l’opzione “possessione facile”, altrimenti… – una volta inserita la possibilità di possedere un demone crolla l’intero castello di carta. Il survival horror diviene tutt’altro, con quasi la sensazione “di aver rotto il gioco”. La possessione di un demone infatti – se usata con astuzia – può liberarvi l’intero campo dai nemici, trasformando gli inferi in una stravagante vacanza. C’è da dire che la possessione ha un limite di tempo, in cui, se non trovassimo proprio nessun corpo da controllare, scoccata l’ora, sarà game over. Ma anche qui, fatta la legge, si trova l’inganno.
È proprio questo il punto. Agony sembra ancora un work in progress in cui nessuno degli elementi proposti funziona a dovere. Un altro esempio è – l’incredibile – gestione dei checkpoint, mal calibrati in termini di distanza e soprattutto utilizzabili soltanto tre volte. Una volta sfruttati tutti i jolly – morti – dovremo utilizzare quello precedente e, di conseguenza, rifare intere porzioni di gioco. Questo si scontra anche con un level design spesso caotico e in cui risulta difficile orientarsi, dato che molti luoghi soffrono dell’eccessiva ripetitività degli asset. Fortunatamente, in nostro soccorso arrivano i fasci di luce – non quelli del ’25 – proiettati dalla nostra mano e in grado di indicarci la via. Di numero limitato e ricaricabili solo nei checkpoint o raccogliendo idoli sparsi per le mappe, che risultano molto utili a districarsi nei diversi percorsi verso la meta, rappresentando la classica “manna dal cielo” anche se, la direzione indicata alle volte, è quella più scomoda o contraria a quella intrapresa.

Se non vedi non ci credi

Uno degli elementi maggiormente castrati è la direzione artistica dell’Inferno e delle sue creature. La ricostruzione degli ambienti rende l’insieme molto tangibile, soprattutto nei luoghi chiusi, nei quali si può notare anche una certa ripetitività di oggetti e strutture. Fortunatamente è anche in grado di offrire scorci di un certo spessore, in cui si ha davvero l’impressione di viaggiare in un luogo trascendentale. Ma questi bei momenti, in cui si può assistere a ottimi giochi di luce e direzione artistica ispirata, sono anche – e per la maggior parte – di un anonimato disarmante. Molto di quanto mostrato sa di già visto, e anche le creature realizzate ad hoc per il titolo non sono certo memorabili. Questo nonostante alcuni riferimenti cristiani palesi e soprattutto l’intento di portare il tutto verso il concetto di lussuria, anche se a volte in maniera quasi volgare e posticcia.
Gli aspetti strettamente tecnici presentano elementi senza infamia e senza lode, dove le ultime patch hanno messo la pezza su alcuni problemi – ormai classici – da day one: il framerate risulta abbastanza stabile e i vari filtri funzionano discretamente bene. È un titolo che non colpisce per pura potenza tecnica, e quel che è presente non viene nemmeno risaltato da un impianto luci di livello; la maggior parte delle volte faremo veramente fatica a vedere cosa succede. Tutto è buio… anche con una torcia in mano. Manca una vera e propria rifinitura anche dopo alcune patch riparatorie, visibile soprattutto nella gestione dei geo data e nella fisica.
Anche l’audio non spicca particolarmente, vantando un discreto doppiaggio inglese (sottotitolato in italiano) e un’adeguata campionatura di suoni “classici” da horror.

In conclusione

Dove si posiziona dunque Agony? Come potete aver capito, non è un titolo affatto eccelso, ma non si tratta nemmeno di quell’ “agonia” di cui si è spesso parlato riferendosi al titolo. È un lavoro che merita senza dubbio il Purgatorio, in attesa di una versione (Agony Unrated) che probabilmente non arriverà mai. Alla fine della fiera dunque, Agony  è un classico menù scozzese: poca roba e nulla di veramente interessante, prendere o lasciare. Vi farà arrabbiare? Probabile. Vi chiederete cosa succede? Sicuramente. Vi lascerà qualcosa? Difficile, ma non «lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Il punto sulle Loot Box

Recentemente, Patricia Vance, presidentessa dell’ESRB, equivalente americano del PEGI, ha annunciato un nuovo avviso da piazzare sulle copie fisiche dei giochi che utilizzano il meccanismo delle loot box.

La Vance ha dichiarato:

«In molti ci hanno chiesto di entrare più nello specifico ma, dopo molte ricerche fatte negli ultimi mesi, soprattutto indirizzate ai genitori, abbiamo scoperto che molti di loro non sanno cosa siano le loot box e, anche quelli che ne hanno sentito parlare, non ne capiscono bene il meccanismo. Quindi per noi è importante concentrarci non solo sulle loot box, ma sulle microtransazioni in generale.»

La storia, quindi, tende a ripetersi: negli anni ‘90, quando sui telegiornali scorrevano le immagini di Doom o Mortal Kombat, i genitori pensavano che tali giochi non fossero adatti ai bambini. Per non parlare dei polveroni scaturiti a ogni uscita di Grand Theft Auto, oppure, le ridicole polemiche nostrane, su Mafia e Resident Evil 2. Veniva considerato tutto non adatto per i propri pargoli.
Ma questa volta le proteste vengono direttamente dai giocatori: che si parli delle microtransazioni di Star Wars Battlefront II, scandalo finito addirittura sui giornali, oppure del disegno di legge contro le loot box presentato da Chris Lee, rappresentante statale delle Hawaii e gamer di lunga data, gran parte delle persone facenti parte del settore concordano sulla loro limitazione o, addirittura, abolizione.

Le loot box sono il risultato della continua corsa a una certa assuefazione da gaming: in passato bastava comprare il singolo oggetto, e anche il più agguerrito dei giocatori poteva ritenersi soddisfatto. Mentre con il metodo attuale delle box diventa tutto un’attività casuale votata alla costante ricerca dell’oggetto desiderato. Tale meccanismo viene sfruttato fino all’osso dai produttori di videogiochi, così come testimoniato dal direttore finanziario di Electronic Arts, Blake Jorgensen, che, a proposito di Fifa e della modalità Ultimate Team ha dichiarato:

«Un film al cinema, negli Stati Uniti, può costarti venti dollari, ancora prima di prendere il popcorn, il che va bene. Ma allo stesso tempo un videogioco costato sessanta dollari che viene giocato dalle tremila alle cinquemila ore l’anno ha un valore maggiore. Se continui a spenderci soldi vuol dire che lo fai per divertiti ancora di più. Stiamo puntando sul dare ai giocatori quello che vogliono, e in grandi quantità, piuttosto che concentrarci sullo sviluppo di un nuovo gioco o di qualcosa di diverso.»

Il problema delle loot box viene proprio da dichiarazioni del genere: questa volta non è un fattore dovuto all’ignoranza dei genitori o dei media, ma alla convinzione da parte degli sviluppatori di fare giochi col puro scopo di spremere gli utenti, quando in realtà dovrebbe essere l’opposto.
EA, già sotto l’occhio del ciclone per il caso Star Wars Battlefront II, ha recentemente presentato un brevetto per il matchmaking basato sulla sequenza sconfitta/vittoria. Anche Activision-Blizzard è arrivata a concepire un’idea simile: difatti il loro sistema arriverà a premiare di più chi usa le microtransazioni. Così facendo, le loot box rischiano di scendere nello spinoso territorio del gioco d’azzardo e della ludopatia. È un problema che, se non dovesse venire affrontato seriamente dai produttori di videogiochi stessi, potrebbe passare nelle mani dei governi, com’è successo recentemente dall’indagine condotta dalla commissione che vigila sul gioco d’azzardo in Belgio. E visti gli aggiramenti legali da parte di Activision-Blizzard in Cina o la mancanza di concrete iniziative da parte dell’ESRB, questo scenario potrebbe diventare presto una realtà.




Loot Box nei videogiochi come gioco d’azzardo?

Daniel Zeichner, parlamentare del lavoro per il collegio elettorale di Cambridge, ha recentemente presentato due domande a Karen Bradley, il Segretario di Stato per Digitale, Cultura, Media e Sport riguardanti l’argomento sempre più scottante delle Loot Box nei videogiochi e se esse possano costituire una forma di gioco d’azzardo.
All’inizio della scorsa settimana, l’ESRB (Entertainment Software Rating Board) ha risposto ufficialmente che le Loot Box non sono considerate gioco d’azzardo in quanto i clienti hanno la garanzia di ottenere sempre qualcosa anche quando non è quello che desiderano. In seguito WCCFTECH ha contattato PEGI (Pan-European Game Information), il cui direttore operativo Dirk Bosmans ha dichiarato di non essere in grado di decidere quali elementi possono costituire il gioco d’azzardo.
I governi e le commissioni nazionali devono essere coinvolti in primo luogo, pertanto ciò potrebbe rappresentare un bel passo avanti nella giusta direzione.

La prima domanda posta da Zeichner recita:

«Chiedo al Segretario di Stato per Digitale, Cultura, Media e Sport quale valutazione ha fatto il governo sull’efficacia delle protezioni aumentate sull’isola di Man contro i giochi d’azzardo illegali, il gioco d’azzardo in casa e le Loot Box e quali discussioni ha avuto con i colleghi del Gabinetto sull’adozione di tali protezioni nel Regno Unito.»

La seconda domanda:

«Chiedo al Segretario di Stato per Digitale, Cultura, Media e Sport, quali soluzioni intende adottare per proteggere gli adulti e i bambini vulnerabili da giochi d’azzardo illegali, gioco d’azzardo in casa e le Loot Box all’interno di giochi per computer.»

E’ passata poco più di una settimana, quindi dovremo aspettare ancora un po’ prima che una risposta dal Segretario di Stato del Regno Unito Karen Bradley venga pubblicata. Nel frattempo, l’utente Reddit Artfunkel ha fornito contesto aggiuntivo sulle domande di Zeichner. Pare che abbia invitato il parlamentare a cercare la valutazione del governo su questa questione dopo una riunione che ha avuto luogo “poche settimane fa”, quando le ultime notizie sollevate da Forza Motorsport 7, La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra e Star Wars: Battlefront II  non erano così importanti. Naturalmente non c’è garanzia che il governo britannico ritienga necessario adottare qualsiasi misura.
È stata infine presentata una petizione separata al Parlamento che ha recentemente raccolto più di diecimila firme (tutte le petizioni che ricevono più di 10.000 firme ricevono una risposta del governo). Se la petizione raggiungerà centomila firme, sarà presa in considerazione per il dibattito in Parlamento.




Annunciato Night Trap: 25th Anniversary Edition

Se credete che David Cage abbia inaugurato un filone di videogiochi molto vicini alla cinematografia, tanto che i suoi titoli vengono considerati dei film interattivi, vi sbagliate di grosso: il 1992 è stato infatti l’anno del controverso Night Trap, uscito su 3DOSEGA Mega CD e PC, che fin da subito fece scalpore, in quanto fu uno dei primi tentativi di portare un film interattivo al grande pubblico e poteva contare anche sulla presenza di Dana Plato (famosa per aver interpretato Kimberly Drummond ne Il mio amico Arnold). Il titolo, estremamente violento, contribuì, assieme a Doom e Mortal Kombat, altri titoli dell’epoca, alla realizzazione dell’ESRB, il primo sistema di classificazione dei videogiochi in base all’età.
Adesso, dopo ben 25 anni, è arrivato il momento di rispolverarlo. È stata infatti annunciata una nuova riedizione che arriverà su PS4 e PC il 15 Agosto mentre non è ancora stata annunciata una data per quanto riguarda Xbox.
Può essere sicuramente una buona occasione per recuperare un titolo che in parte ha cambiato il mondo videoludico.