La creazione di un Open World
Con l’avanzare delle tecnologie, la creazione di nuovi interi mondi digitali in ambito videoludico è divenuta realtà. Dai primi esponenti del genere Open World a oggi l’evoluzione è stata enorme, sino ad arrivare ai recenti Assassin’s Creed: Odyssey, Red Dead Redemption II e Cyberpunk 2077. L’immersione del videogiocatore in un contesto credibile non è solo l’obbiettivo principale: intrattenere, prolungare la durata del titolo e sopratutto restituire un senso di crescita e libero arbitrio, sono tra le componenti più difficili da bilanciare anche perché, questi titoli, possono viaggiare su un limbo molto sottile, dividendosi tra il divertimento e la noia. Come nasce dunque un Open Word e come si sviluppa sino alla sua pubblicazione non è noto a tutti, e oggi cercheremo di raccontarlo. Si tratta di uno dei generi di più complessa elaborazione in assoluto, in poche parole, una “bomba alla legge di Murphy” pronta a esplodere.
Il Mondo in uno Schermo
Sembra incredibile ma gli open world conoscono un proprio Medioevo: più di dieci anni fa infatti, titoli come Beyond Good & Evil, Gran Theft Auto III e Far Cry, si attestavano già su buoni livelli se paragonati alle macchine su cui dovevano girare. Ma a un certo punto, gli open world cominciarono a sparire, in favore di avventure più lineari e, di conseguenza, più “semplici” da produrre. Chiedete al pubblico il perché di questa scelta: fatto sta che l’evoluzione di questa tipologia di videogame subì un drastico rallentamento e per questo l’avvento di saghe come Assassin’s Creed, dopo anni di “buio”, fu una vera e propria rivoluzione, che contribuì a rendere la categoria così come la conosciamo ora. Con l’avvento delle console di attuale e precedente generazione le cose cominciarono a farsi interessanti, arrivando a quel The Witcher III divenuto pietra miliare e nuovo metro di paragone del genere, almeno fino a oggi.
La creazione di un Open World varia a seconda dell’obiettivo finale, racchiudendosi in due macro universi: quelli basati sul mondo reale e quelli fittizi. Entrambi sono uniti dalla gigantesca mole di lavoro necessaria a produrli, che non si limita alla creazione del mondo in sé ma, sopratutto, al bilanciamento generale, al fine di restituire il giusto senso di progressione.
I primi si basano su rilevamenti sul campo, al fine di ricreare nella maniera più dettagliata possibile strade, palazzi, piazze che potremmo vedere dal vivo; ovviamente tutto in scala. Esempi di questo tipo ne abbiamo a bizzeffe come ad esempio il dimenticato The Gateway (2002) in grado di riprodurre una piccola Londra su Playstation 2, passando ovviamente per gli Assassin’s Creed fino ai giorni nostri, dove i rilievi effettuati, soprattutto nella planimetria delle città e dei luoghi storici raggiunge livelli sopraffini. Ma c’è chi ha fatto di più e sempre in casa Ubisoft: The Crew, racing arcade immerso negli interi Stati Uniti. Era possibile letteralmente viaggiare da New York a Los Angeles, (impiegando circa tre ore; niente male) e visitare non solo le maggiori città americane ma anche i piccoli centri e luoghi più famosi dei coloni di tutto il mondo. Creare degli ambienti reali ha la propria dose di responsabilità e, essendo il videogioco un’opera globale, è possibile incappare in qualche imprevisto, come la scelta di censurare statue patrimonio dell’umanità, per evitare di urtare la sensibilità di qualcuno (vedi Assassin’s Creed: Origins). E per chi crea un mondo da zero? La difficoltà viene decuplicata, non tanto per la realizzazione tecnica quantoper quella artistica: anche se fittizio, un mondo possiede delle sue regole, e far sì che l’ambiente di gioco sia coerente con se stesso è la prima regola da rispettare. Del resto abbiamo visto come in The Elder Scrolls V: Skyrim e Fallout 3 tutto questo è estremamente rilevante in quanto, il contesto visivo è la chiave di volta per far sì che la narrazione possa attecchire su solide basi. Questo perché alle volte, un open world può essere anche un pretesto, “mascherando” la poca qualità della trama con la frammentazione della stessa in varie quest, principali e non o, ancora peggio, non sfruttando l’ambiente e il contesto creato. Assassin’s Creed è sempre un franchise da cui è possibile trarre numerosi spunti e anche in questo caso ci accontenta: Unity è stato un disastro per tanti motivi, ma sopratutto perché il suo svolgimento sembra del tutto slegato dalla Parigi rivoluzionaria di fine 1700. Immergere un videogiocatore in un contesto visivo credibile è la base su cui si poggia un open world in tutte le sue declinazioni, una sorta di regola scrittore-lettore che, una volta infranta, riduce di molto l’appeal verso il titolo interessato.
Faccio cose, vedo gente
Dopo aver modellato un nuovo mondo come novelle divinità, arriva la parte più complicata, riassunta nella domanda “e mo’ che ci metto?”. È chiaro che questo processo arriva dopo centinaia di ore di brainstormig, storyboard, idee azzeccate e sbagliate fino a quando si arriva alle decisioni finali. In questo frangente molto dipende dal tipo di videogioco creato che può andare da FPS, TPS, Racing, RPG e persino spaziale. In un racing game, ad esempio, come l’eccellente Forza Horizon 4, il focus, oltre ad andare alla realizzazione dei modelli delle auto, è indirizzato a rendere l’intero ambiente di gioco abbastanza vario da poterne definire diverse regioni, enfatizzandone magari differenze di flora, fauna e clima, oltre a cercare di restituire il giusto colpo d’occhio nelle grandi città. In questo caso, il numero di NPC presenti ad esempio ha una limitata rilevanza così come, elementi di contorno che poco hanno a che fare con le corse sfrenate a bordo di bolidi. Tutt’altra storia con open world con componente narrativa ed esplorativa come Assassin’s Creed: Odyssey e Red Dead Redemption II, anche se con approcci diametralmente opposti. Entrambi però sembrano aver risolto un problema intrinseco presente in mappe molto vaste: il vuoto. È capitato, in diversi frangenti, che vastità non fa rima con divertimento, presentando zone senza elementi particolari tra altre che esplodevano di vita. Questo equilibrio spezzato, visibile anche nell’acclamato The Legend of Zelda: Breath to the Wild (ma non preoccupatevi, verrà elogiato successivamente), è stato il tallone d’Achille di quasi tutti gli open world ma fortunatamente, grazie forse a macchine più performanti (o magari una maggiore attenzione), questo problema sembra essere risolto: quest, zone intere da esplorare, segreti o semplici scorci mozzafiato, sono la cura di questo male, ma che Rockstar al contrario di Ubisoft, è riuscita a plasmare nella maniera più naturale possibile.
Ma esistono titoli che fanno degli ambienti ricreati il loro punto di forza: Dark Souls vanta una direzione artistica che difficilmente è riscontrabile in altri titoli, con una cura maniacale necessaria, perché è proprio la mappa che ci parla. Questa, visibile quasi interamente da ogni dove e benché non sia un open world in senso stretto, è utile a capire quanto sia importante inserire elementi corretti, coerenti e soprattutto in grado di risaltare agli occhi del videogiocatore.
Quello che colpisce nel titolo Nintendo e Rockstar precedentemente citati è la capacità di reinventarsi, cercando di portare qualcosa di nuovo. Link è immerso in un mondo sconosciuto e libero da vincoli dettati da missioni in sequenza da svolgere per portare al termine il titolo. Siamo vicini alla pura libertà d’azione in cui, il progresso avviene in maniera del tutto naturale, un’approccio molto diverso dai rivali, probabilmente anche per limitazioni hardware; ma non basta fare di necessità virtù: bisogna saperlo fare. Il team di sviluppo è riuscito a portarci tra le mani un’avventura genuina, una scelta che è stata ben premiata durante tutto il corso del 2017. Ma con Red Dead Redemption si è andati oltre, e sicuramente piccolo anticipo di quel che vedremo nei prossimi anni: un mondo vivo, in costante evoluzione e mai uguale a sé stesso; l’evoluzione, visibile sia negli ambienti che fra i personaggi giocanti e non, è un elogio alla cura per il dettaglio, spiegando anche i circa dieci anni di sviluppo. Ed è proprio questo il punto: l’open world è qualcosa di mastodontico e serve il giusto tempo per poter portare qualcosa di innovativo e curato in ogni dettaglio; ma ne vale la pena? In un mercato frenetico come quello di oggi, con questa moda che sembra più prendere il largo, non c’è il rischio del copia-incolla? Sì, e lo vediamo in continuazione. Eppure, basta variare l’intento con cui si crea un mondo aperto: Avalanche Studios, ad esempio, è maestra in questo e il suo Just Cause è una festa per gli occhi. La libertà concessa al giocatore (ben diversa da quella di Link) è in qualche modo indirizzata verso la spettacolarizzazione, rendendo di fatto questo titolo uno dei più divertenti e intrattenti sul mercato. Inoltre, anche il futuro Rage 2 potrà contare su una vasta mappa che metterà assieme il contesto esagerato di id Software con la cura per gli ambienti di Avalanche.
Il contesto è e resterà sempre fondamentale: creare un mondo credibile in tutti i suoi aspetti la regola d’oro per chi vuole cimentarsi in questa faticosa missione. Ma poi c’è la tecnica e, come Bethesda insegna, basta poco per distruggere tutto.
L’abito fa il monaco
Il bello della tecnologia è che ogni anno c’è sempre qualcosa di nuovo. Quello che un tempo era impensabile a un certo punto diventa possibile ma l’insidia è sempre dietro l’angolo. I moderni open world sono molto complessi anche dal punto di vista tecnico, dove si cerca di mettere assieme diverse simulazioni nella maniera più omogenea possibile. Una delle più grandi innovazioni l’ha introdotta Ubisoft con il suo Sea Engine, apparso in Assassin’s Creed III e ulteriormente potenziato in Assassin’s Creed IV: Black Flag: l’utilizzo di diverse equazioni sulla fisica dell’acqua, ha permesso un’attenta simulazione delle onde, cosa essenziale quando oltre al suolo, è possibile esplorare anche gli oceani. Da questo punto di vista le ultime produzioni dedicate agli Assassini, sono davvero eccellenti, mostrando mondi così diversi come quello acqueo e terrestre in tutta la loro complessità. Negli ultimi anni ha fatto anche capolino la simulazione del clima, passando da caldo afoso a intense nevicate, in grado tra l’altro di influenzare il gameplay. Anche questo processo è estremamente delicato: gestire centinaia di elementi diversi nello stesso momento può risultare davvero arduo e solo con le recenti macchine si è riusciti a raggiungere ottimi risultati. Questo perché è tutto l’ambiente a risentire del cambiamento: prendiamo ad esempio la pioggia; ogni goccia è indipendente l’una dall’altra e, ognuna di esse, viene influenzata dall’ambiente circostante dunque, già di per sé, molto complesso. Se aggiungiamo anche la simulazione dei venti o la gestione di elementi volumetrici come nebbia o fumo, il rischio del patatrac è dietro l’angolo. Per non parlare di come le superfici, una volta bagnate, debbano riflettere ancora più luce e di conseguenza ambiente circostante, appesantendo ancor di più il tutto. Ma per rendere veramente reale l’ambiente in cui ci muoviamo, devono intervenire le luci, che stanno pian piano passando da un’illuminazione globale al ray tracing. L’illuminazione globale è stata croce e delizia per ogni sviluppatore, che ha permesso sì una buona approssimazione nella simulazione dei fasci di luce ma molto distante dalla realtà. Funzionando in stretta relazione con gli shader, questo sistema riproduce centinaia di fasci di luce multi-direzionali, influenzando anche le ombre e le rifrazioni. Niente male, ma il ray tracing? Non abbiamo ancora visto la sua applicazione su larga scala ma le potenzialità sono sotto gli occhi di tutti. I prossimi open world potrebbero contare su un rivoluzionario sistema di illuminazione, trasformando gli odierni Odyssey o Marvel’s Spider-Man, in oggetti da antiquariato. Ma tutto questo ben di dio richiederà macchine ancor più performanti delle attuali GPU, visto la fatica con cui la GTX 2080 riesce a gestire tutto ciò, solo con anti aliasing DLSS.
A meno che non si tratti di post apocalittici come Fallout o Rage, anche la vegetazione ha il suo bel da fare, a dimostrazione di come un’innovazione tecnica possa influire sul gameplay. Il caso eclatante arriva sempre da Assassin’s Creed, che con un maggior dettaglio del fogliame 3D dinamico è riuscita ad aggiungere alcune meccaniche stealth anche in mancanza di architetture. E non dimentichiamo le animazioni: ci vorrebbe un articolo a parte per parlare di quanto sia difficile gestire animazioni uniche in base al contesto, non solo per il personaggio che controlliamo ma per tutti gli NPC presenti su schermo. Non siamo ancora al punto di avere personaggi non giocanti unici, avendo a che fare molte volte con la ripetizione esasperata dei diversi modelli (vedi We Happy Few). Proprio le animazioni, unite alla gestione della fisica, sono le vere gatte da pelare e serve un ottimo lavoro di pulizia dei vari codici affinché non avvenga il disastro. Come dicevamo, Bethesda è ormai habitué in questi termini, contando su un motore di gioco (Creation Engine) targato 2011 e già imperfetto alla sua nascita. La buona norma, sarebbe quella di creare un nuovo motore di zecca a ogni passaggio di generazione piuttosto che aggiornare il precedente perché, a ogni riscrittura, possono generarsi conflitti che se presi sottogamba, possono rovinare l’intera esperienza.
In sostanza, questi sono i parametri da tener d’occhio nella creazione di un open world: tutto deve funzionare in perfetta armonia affinché il giocatore possa sentirsi integrato all’interno di nuovo mondo. La creazione della mappa è solo la punta dell’iceberg di un immenso lavoro e magari, ora che state giocando uno di questi titoli, soffermatevi davanti a una roccia o un cespuglio, chiedetevi perché si trovi lì e il tempo necessario alla sua modellazione. Poi alzate lo sguardo verso l’orizzonte: vi accorgerete di quanto ogni programmatore e artista abbia faticato per permettervi di godervi sane ore di svago.
E3 Real Time: Conferenza Ubisoft
La conferenza Ubisoft è come ogni anno una delle più attese, e anche quest’anno non mancano le aspettative tra Beyond Good & Evil 2 (lontano dall’uscita ma di cui ci si aspetta qualche anticipazione) e rumors vari, tra cui quello dell’uscita del ritorno di Splinter Cell.
Apertura riservata a Just Dance 2019, con un trailer video dove varie hit dell’ultimo anno vengono reinterpretate a suon di ottoni, passando da sonorità balcaniche ad atmosfere funk.
Si passa poi a uno dei più attesi della serata: Beyond Good & Evil 2. Il trailer ci introduce nell’ambientazione di un paesaggio innevato e in una situazione festosa interrotta dall’approssimarsi di veicoli nemici: inutile dire che si è subito pronti alla battaglia. Il video non mostra tracce di gameplay, ma regala certamente una spettacolarità che appaga l’attesa del gioco, ancora a oggi in lavorazione e non vicino a una data di rilascio.
Gabriel Brunier, narrative director di Ubisoft Montpellier, che raccolta parte della trama che comprende la ricerca di un misterioso artefatto, e Guillaume Brunier, senior producer: entrambi introducono ai personaggi principali del gioco. Il personaggio interpretato è un capitano, ed è ambienta a Ganesha nel XXIV secolo.
La più bella sorpresa sono gli scampoli di gameplay del gioco, ancora in pre-alpha, e l’invito agli utenti a creare contenuti artistici per il gioco, soprattutto musicali, in collaborazione con la HitRecord di Joseph Gordon-Levitt, che interviene nella conferenza a parlare della sua piattaforma che aiuterà i giocatori a contribuire ai contenuti del gioco fra musiche, artwork, e altri asset di gioco.
Justin Kruger, community developer di Rainbow Six Siege, che annuncia il raggiungimento di 35 milioni di giocatori nel gioco, e introduce le competizioni dell’e-sport: agosto a Parigi, novembre la Pro League e febbraio a Montreal. Parte così un breve trailer documentaristico per introdurre il nuovo corso.
Viene introdotto il personaggio di Antii Il Vessuo, creative director che introduce il trailer di Trials Rising, che invita sul palco Brad Hill, il “Professor Fat Shady”, che ha avuto il compito di creare svariati tutorial della serie nel corso degli anni e che invita gli utenti a iscriversi alla closed beta del gioco. Il gioco sarà rilasciato a febbraio 2019 per tutte le piattaforme PS4, Xbox, Nintendo Switch e PC.
Giunge un momento aspettato da molti, quello di The Division 2: sul palco Julian Gerighty parla di un virus e del caos che attanagliano la nazione, introducendo al setting narrativo del gioco e alla missione del giocatore: quella di determinare la rinascita della società.
L’IP targata Tom Clancy, e sviluppata dallo studio Massive Entertainment, mostra tutti gli elementi classici del genere post-apocalittico in un lungo trailer e scaraventa lo spettatore in uno scenario di distruzione, morte e terrore militare, che gli eroi dovranno essere pronti a sovvertire.
Si torna sul palco dove Julian Gerighty continua a parlare della storia che evidentemente compone la spina dorsale della campagna single player, sulla quale Ubisoft pare aver creduto, per passare poi alle caratteristiche del gioco, dalle classi di specializzazione (Sharpshooter, Demolitionist e Survivalist) fino all’elemento di novita dei Raids. Saranno previsti vari aggiornamenti, e si partirà subito con lo Year One, che vedrà 3 episodi e svariati DLC. La data della registrazione della beta è prevista per il 15 marzo 2019.
Arriva un momento attesissimo per tutti gli italiani: quello di Mario+Rabbids: Kingdom Battle.
Sul palco il lead producer Xavier Manzanares di Ubisoft Paris, accompagnato da una band dal vivo quasi tutta al femminile, i Critical Hit. Manzanares introduce così il “maestro” Grant Kirkhope che che guida uno straordinario medley delle principali musiche del DLC Donkey Kong Adventure disponibile dal prossimo 26 giugno.
Arriva il momento dei pirati: torna Skull & Bones, già presentato lo scorso anno all’E3 e quest’anno presentato con un altro trailer.
Sul palco adesso Justin Farren, creative director di Ubisoft Singapore, che parla degli obiettivi del gioco. Vengono presentati navi come La Sultana e Farren parla di quanto conti molto la fortuna, dovendo fronteggiare cataclismi, il tempo (avverso o favorevole) e conflitti di varia natura. Fra artiglieria da comprare, possibilità di personalizzazione delle navi, assalti navali, esplorazioni nelle isole il gioco si presenta con un lungo video gameplay che illustra il meglio del genere piratesco, che utilizza probabilmente parte del know-how acquisito in Black Flag, ma che ricorda anche per certi versi Sid Meier’s Pirates. Vi è la possibilità di formare gruppi e assaltare in flotta i nemici con piani di battaglia coordinati. Vengono rappresentate intere battaglie, si ha la sensazione di un titolo con una sua complessità e che certamente gode di un impianto grafico di rango. Non si ha ancora una release date, ma un’orizzonte d’attesa per il 2019.
Elijah Wood torna con la sua Spectrevision sul palco assieme al game director Benoit Richer di Ubisoft Montreal per presentare Transference, nuovo lavoro in VR che indaga sulla coscienza, ha come scopo quello di scappare da una mente in cui ci si trova intrappolati e avrà all’interno vari puzzle e una forte componente psicologica.
Il gioco pare alterna parti filmate alla ricostruzione su motore grafico, e sarà disponibile già nell’autunno 2018.
Abbiamo dunque Starlink – Battle for Atlas, ed è Laurent Malville a presentarlo e a introdurre rapidamente il video successivo, riservando una sorpresa a molti fan.
Yves Guillemot introduce quella che è un’assoluta novità, vedendo la seconda collaborazione con Nintendo con l’IP Starfox. E a presentarla non poteva che esserci nuovamente Shigeru Miyamoto, al quale Guillemot regala il primo prototipo della navicella di Starlink. Il gioco arriverà il 16 ottobre e sarà disponibile su tutte le piattaforme.
Arriva il momento di For Honor, presentato da Roman Campos-Oriola, creative director del gioco, e anche qui si va verso il coinvolgimento degli utenti: il gioco sarà disponibile su PC gratuitamente dall’11 al 18 giugno. Viene dunque lanciato il trailer, che include il personaggio del Principe di Persia, per un DLC destinato a impreziosire il gioco principale.
La guerra civile dilania la Cina e quattro nuove fazioni sono qui introdotte nel nuovo update assieme alla nuova modalità di assedio “breach“.
Delphine Dosset, brand director di The Crew 2, introduce il gioco, annuncia che sarà disponibile dal 21 giugno e l’open beta è già scaricabile.
Adesso un altro momento che molti sapevano: quello di Assassin’s Creed Odissey, che si mostra adesso in un nuovo trailer cinematico.
Jonathan Dumont, creative director del gioco, introduce al setting dell’antica Grecia, dove filosofia e democrazia sono all’apice, mentre imperversano le guerre del Peloponneso un semplice mercenario deve salvare i suoi cari e diventare un eroe leggendario. Ritorna una forte componente RPG come nel precedente Origin’s e si aggiunge la scelta di scegliere il personaggio Alexios o Kassandra. In vari mini trailer vediamo scampoli di gioco, come quelli in cui ad Alexios viene data la spada di Leonida e fin da piccolo comincia il suo cammino da eroe o dialoghi a risposta multipla che si intessono con personaggi come quello di Socrate. Segue quindi un lungo trailer di gameplay e la data d’uscita: 5 ottobre 2018.
Far Cry 5 è il capitolo della serie venduto più velocemente
Far Cry 5, anche se è sul mercato da poco tempo, è già diventato il titolo più venduto della serie. Ubisoft ha dichiarato che durante la prima settimana, Far Cry 5 ha raddoppiato il numero di vendite raggiunto dal precedente quarto capitolo, diventando così il secondo più grande lancio nella storia di Ubisoft, appena al di sotto di Tom Clancy’s The Division. Far Cry 5 registra numeri eccellenti anche sul fronte streaming e contenuti video con oltre 55.000 ore di trasmissioni su Twitch e 117 milioni di visualizzazioni per i contenuti pubblicati su YouTube.
Il produttore esecutivo di Far Cry, Dan Hay, ha dichiarato:
«Sono davvero lieto di vedere che il culmine di tanti anni di lavoro da parte del team stia dando i suoi frutti. Siamo commossi dall’accoglienza che i giocatori hanno riservato a Far Cry 5 e sopprattutto, desiderosi di continuare a espandere e supportare la community di Far Cry nei mesi e negli anni a venire».
Ubisoft svela qualche dettaglio su Far Cry 5
Mentre si aspetta con ansia l’uscita di Far Cry 5, per il mese di marzo, Ubisoft ha iniziato a divulgare maggiori informazioni sullo sparatutto in prima persona. Oggi, è stato rilasciato un nuovo video che mostra buona parte del nuovo gameplay e anche alcuni elementi riferiti a co-op e personaggi. Il video presenta il direttore creativo di Far Cry 5 Dan Hay e il produttore associato Philippe Fournier fornendo nuovi dettagli. Hay ha parlato del numero di personaggi che saranno presenti in Far Cry 5: i giochi precedenti della serie tendevano ad averne tra i 18 e i 20 distribuiti in tutto il mondo di gioco, mentre Far Cry 5 ne vanta attualmente più di 65. Questi personaggi sono unici e porteranno a missioni e scopi specifici. Questo porta Fournier a discutere di come la co-op funzionerà in Far Cry 5, per la maggior parte simile a Far Cry 4. Fournier ha parlato in modo specifico della soddisfazione che si prova quando un giocatore pilota un elicottero mentre un altro scende in vista di un combattimento o si muove via terra. Ci sono altri aspetti toccati in questo video, che spaziano dalla “vita sessuale” e altri frammenti di gameplay con un lanciafiamme. Far Cry 5 uscirà su PS4, Xbox One e PC il 27 marzo 2018.
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