Quando i Pokémon arrivarono in occidente

Quello del 1998 è un periodo che purtroppo non posso ricordare, essendo nata in quell’anno, ma posso ben immaginare ciò che provarono quei bambini e ragazzi americani quando a maggio seppero, grazie a un annuncio durante l’E3 di Atlanta, che quel gioco che tanto aveva venduto e stava vendendo in Giappone, sarebbe arrivato nel loro continente nel giro di pochi mesi: chi già dall’anno prima non aspettava altro (poiché era già stato mostrato in piccola parte), chi non aveva idea di cosa si trattasse ma rimase incuriosito, chi esaltato, chi scettico, chi vedendo per la prima volta la serie animata mandata in onda pochi mesi dopo implorò i genitori di spendere quei quasi 30 dollari per la cartuccia ed eventualmente anche un grosso extra per lo stesso Game Boy e chi invece andò a rompere il salvadanaio a forma di maialino per tirare fuori i risparmi.  Quando poi arrivò quel 28 settembre, i mostri tascabili entrarono di fatto nel mercato occidentale con Blu e Rosso, ma anche nei cuori di moltissimi giocatori: 151 esserini che aspettavano solo di essere catturati e allenati, luoghi da scoprire, nemici da sconfiggere; un replay del rilascio originale, ma in un altro continente e a oltre due anni di distanza, mentre l’Europa ne avrebbe dovuto aspettare ancora un altro.

Filmato iniziale di Pokémon Rosso, che presenta qualche differenza rispetto a quello di Pokémon Blu

E rieccomi quindi a parlare di Pokémon, la saga che mi ha accompagnata sin da quando ho mosso i miei primi passi nel mondo dei videogame. Ma questa volta cercherò di non fare la nostalgica, a differenza di come feci quando parlai di Pokémon Giallo (dove ho anche parlato della trama e che quindi salterò) e della mia esperienza su Pokémon ArgentoVediamo piuttosto cosa avevano di così tanto speciale questi primi due capitoli, che avrebbero poi reso unico il brand intero.


Gli  “Originali 151”

Gotta catch ‘em all!

Il primo aspetto unico – manco a dirlo –  sono proprio i Pokémon: l’idea che ci sia un ecosistema vario all’interno di un gioco è qualcosa che intriga molto ancora oggi e immaginate cosa poteva significare per un ragazzino negli anni ’90 sapere di poter avere una così vasta scelta di personaggi da collezionare, poterli allenare come meglio credeva, decidere se allenare i più forti, i più rari, o semplicemente i preferiti, insegnare o meno determinate mosse, decidere o no se farli evolvere, equipaggiare determinati strumenti che aumentavano certi parametri piuttosto che altri; con una personalizzazione così, che ai tempi non riusciva a offrire neanche un Final Fantasy, letteralmente ci si affezionava a quei piccoli mostri. E non dimentichiamo che tutto questo era possibile per la prima volta all’interno di una console portatile. Non è solo il come si gioca a rendere unico e bello un titolo, ma anche il dove.

Gli scambi e le lotte

Questi sono ancora oggi gli aspetti più “social” della serie. Come tutti i giocatori che hanno provato almeno un capitolo sapranno, è impossibile completare il Pokédex “da soli”, o comunque senza aiuti esterni alla cartuccia di partenza, poiché ogni versione ha dei Pokémon esclusivi che non si possono trovare nell’altra. I metodi leciti per acchiapparli tutti erano due: trovare qualcun altro con la versione opposta e scambiarsi i Pokémon desiderati attraverso il cavo Game Link o essere abbastanza ricchi (o tremendamente soli, a seconda dei punti di vista) da poter acquistare due Game Boy e due cartucce diverse, e fare il procedimento in solitario. Ma cose tristi a parte, probabilmente era la prima volta che l’intervento di qualcun altro fosse fondamentale al completamento del gioco, e non poteva essere diversamente dato che adesso come allora, uno dei pilastri fondamentali di Pokémon è l’interazione con gli altri; come il nostro personaggio in giro per Kanto incontra una moltitudine di NPC diversi durante il suo viaggio il giocatore non deve essere da meno, con la console in tasca e un mondo intero a disposizione.
E cosa si fa quando non si ha più niente da scambiare ma ancora tanto tempo a disposizione? Ovviamente si combatte per vedere chi dei due ha la squadra migliore, e per quei pochi minuti i Pokémon si fanno vivi, la tensione è vera, la voglia di vincere è tanta. Che si vinca o si perda, alla fine della lotta ci si stringe la mano o ci si da il cinque, magari può pure volare qualche parola di troppo, ma alla fine si torna amici come prima, almeno fino alla prossima battaglia.

Facile ma non troppo

Ultimo ma non per importanza è il fattore difficoltà. Il gameplay intuitivo e gli obbiettivi chiari sin da subito stimolano il giocatore giovane e inesperto, che si trova davanti a un percorso di crescita graduale, con momenti mai eccessivamente impegnativi se preceduti da una buona dose di grinding. Le cosiddette fasi “post game” (ovvero tutto ciò che accade dopo aver battuto la Lega), sicuramente più ardue, attirano invece chi già mastica un po’ di giochi di ruolo; non si parla però di livelli di difficoltà troppo alti per il tipo di giocatore in questione. Menzione speciale per il glitch di Mew, che richiede una serie di azioni molto specifiche per farlo apparire, che ha portato ad avvicinarsi al brand una categoria d’eccezione, quella che raggruppa chi ama trovare buchi nella programmazione e “rompere i giochi”.

Pokémon Rosso e Blu non sono certo dei giochi privi di difetti a differenza di come li definiscono alcuni fan particolarmente nostalgici, essendo fortemente limitati dalla memoria delle cartucce e dalle capacità di calcolo del Game Boy, e da un sistema di combattimento sicuramente ben studiato, ma ancora allo stato grezzo e che sarebbe migliorato solo col tempo. Ricordare fa bene, ma idealizzare secondo la logica del “i primi sono sempre migliori dei seguiti” è un pensiero privo di senso critico e forse anche egoista, poiché chiuso a ogni tipo di critica. Nella società come nei videogiochi, il cambiamento non va rifiutato a priori.
Che celebriate oggi l’anniversario di questi due pionieri o il 27 febbraio, che i suddetti giochi vi piacciano o meno, è sempre giusto pensare ogni tanto a quando tutto è partito.




C’è un luogo e un momento per ogni cosa

Dell’estate 2003 ricordo relativamente poco: una delle stagioni più calde di sempre, La canzone del Capitano di DJ Francesco, i miei primi approcci al calcio, le ginocchia sbucciate, le giornate passate a giocare con quelli che sarebbero stati i miei primi amici; un’estate qualsiasi di una bambina di 5 anni qualsiasi. Ma tra queste ormai polverose memorie c’è un evento a suo modo speciale, che avrebbe segnato la mia vita come pochi altri. I bimbi non sono consapevoli del peso delle loro esperienze, quello c’è tempo per capirlo più avanti. I bambini provano e basta.
In un caldo pomeriggio di luglio trovai un vecchio Game Boy appartenente a mio fratello sul mobile della mia stanzetta, tra le maschere e i costumi da bagno.
Lo notai, lo osservai, lo presi. Era visibilmente vecchio, polveroso, pesante; un pezzo di plastica e di storia tra le mani.
Lo accesi, e per la prima volta vidi quella ormai famosa schermata iniziale che si chiudeva con un effetto sonoro cristallino. Comparvero poi delle scritte, per me ancora incomprensibili, e infine un’insegna luminosa: era appena partito un video, o quello che all’epoca mi pareva tale. Ogni suono era unico, qualcosa di mai sentito prima: c’era un fondale marino, degli esserini che mi ricordavano vagamente delle cozze, poi dei pesci, sulla superficie galleggiava un animale che non riuscivo a riconoscere, transizioni fra le quali si intermezzavano altri esseri, tutti diversi, tutti rigorosamente in bianco e nero. Apparve un drago che sputava fuoco e poi la sagoma di una creatura, più grande e maestosa delle altre, che nuotava velocissima sul fondo dell’oceano. Con gli occhi pieni di stupore e la bocca semi aperta, mentre il mondo stava già esplorando la terza generazione, io avevo appena scoperto l’universo dei mostri tascabili: avevo tra le mani una copia di Pokémon Argento.

Non ricordo perché, probabilmente guidata dall’istinto come è sacrosanto a quell’età, iniziai a premere ripetutamente il tasto A, e mi ritrovai catapultata all’interno della partita. Davanti a me un mondo tutto da scoprire, e così avrei riempito tutti quei caldissimi e noiosi pomeriggi, quando nessuno dei bambini della mia zona era libero per giocare con me. C’era solo un problema: non sapevo leggere. E cosa fa un bambino quando non è capace di fare qualcosa? Chiede a qualcuno più grande di farla al suo posto. Mi precipitai da mio fratello, ai tempi appena dodicenne, gli chiesi di spiegarmi cosa fare.
Non ricordo cosa mi disse, né come finì quella giornata; so solo che da quel momento, nel tempo libero che passavo in casa, magari dopo un pomeriggio in bici o una mattinata passata al mare, che fossi sudata o con i capelli pieni di sale, afferravo il Game Boy e iniziavo a giocare. Muovi il personaggio, incontra avversari, sconfiggili, vai avanti per la tua strada. Qual era il modo migliore per vincere? Non ne avevo idea. Quale posto dovevo raggiungere? Volevo solo camminare e scoprire tutti quei luoghi che il gioco offriva, che aveva in serbo per me. E sapete cosa? Mi divertivo davvero tantissimo. La mia prima, grande iniezione di serotonina videoludica. Era tutto molto bello, e al divertimento si affiancava di pari passo il senso della sfida.
Imparai gradualmente le basi del gioco e capii finalmente il suo vero scopo: dovevo sì scoprire Johto e Kanto, ma per completare il Pokédex: ovviamente dovevo battere gli altri allenatori, ma per il preciso scopo di raccogliere le medaglie e accedere alla Lega per diventare infine Campione. E quando mi decisi ad arrivare sulla cima dell’Altopiano Blu per sconfiggere quelli che erano gli allenatori più forti della regione, e quando buttai giù l’ultimo Dragonite di Lance, sentii addosso tutte quelle emozioni che si provano quando si riesce a fare qualcosa di straordinario dopo essere partiti da zero. Il potenziale emotivo dei videogame si era per la prima volta dispiegato davanti a me, e io lo lasciavo esplodere come fuochi d’artificio nel cielo notturno: era bellissimo e liberatorio.
A quella estate ne seguirono altre, molte portano con sé ricordi legati a vari videogame, e fra questi non mancava mai un gioco della serie Pokémon. Introdussi i miei amici al brand nel 2004, iniziai e completai la mia prima personalissima avventura nel 2005 su Rosso fuoco, subito dopo aver ricevuto un Game Boy Advance SP; nel 2006 feci un piccolo passo indietro recuperando Rubino, dove per ogni leggendario che trovavo dovevo chiamare a raccolta tutti i bambini del quartiere per farmi aiutare, quando eravamo tutti convinti che per catturare un Pokémon fosse necessario premere dei tasti: c’è chi premeva ripetutamente A, chi B, chi si accaniva sulla croce direzionale, chi si lanciava in combinazioni di questi tasti, chi L+R, chi tutto a casaccio. Si provava ogni cosa e si perdevano ore finché quella dannata pokéball non si fosse chiusa.
Ora la saga ha sicuramente preso una piega diversa e c’è chi dice che sia diretta verso un inesorabile declino, e per certi versi sono costretta ad essere d’accordo. Sono piuttosto scettica riguardo i remake di Kanto in arrivo su Switch, ma è sulla prossima generazione che ripongo tutte le mie speranze. Ma poco importa, il meglio è già nella memoria: nessuno mi toglierà mai dal cuore quei giochi che per lungo tempo sono stati i miei migliori compagni d’avventura, soprattutto estivi, che a modo loro mi hanno aiutata a diventare ciò che sono adesso.
Ancora oggi, di tanto in tanto, ascolto la colonna sonora della seconda generazione, e mi piace pensare che quella bimba che giocava con quel vecchio Game Boy americano, con i suoni a 8 bit accompagnati dal rumore delle onde, sia ancora dentro di me, e che non smetta mai di giocare.




Pokémon: possibile leak sul sito ufficiale?

Durante lo speciale direct Nintendo a tema Pokémon, tenutosi oggi, sono stati annunciati i due “nuovissimi” titoli della saga principale. Pokémon Ultra Sole e Ultra Luna saranno ambientati ad Alola, come i suoi predecessori, e saranno disponibili per Nintendo 3DS a Novembre del 2017.  Già da tempo giravano delle voci su una possibile versione rivisitata di Sole e Luna, chiamata Pokémon “stars” che però sarebbe dovuta uscire su Nintendo Switch.
Curiosamente all’interno del sito ufficiale della stampa di Pokémon Company, nella pagina di Pokémon Ultra SUN e Ultra Moon possiamo notare che oltre alla versione per 3DS, sia spuntata quella per Switch.

Il riferimento a Switch è poi presto magicamente scomparso:Resta dunque il dubbio: errore o possibile leak? In attesa di un riscontro dalla società, possiamo ipotizzare che questo E3 ci porti ulteriori sorprese non svelate nel Direct di oggi.