Diversità nei videogiochi: ci interessa davvero?

Le ricerche di mercato ricoprono un ruolo decisamente importante all’interno dell’industry videoludica, proprio come in moltissimi altri settori: conoscere le opinioni e i gusti del grande pubblico è di fondamentale importanza per sapere cosa vorrebbe, cosa sta andando bene e cosa no, cosa va cambiato o mantenuto, per fornire insomma una bussola agli operatori di un settore su ciò che i consumatori preferiscono.
Una tematica oggi non poco importante è quella della diversità gender, e la società di ricerche di mercato britannica Ipsos MORI, assieme a ISFE (Interactive Software Federation of Europe), ha condotto un’indagine riguardo a come come questa viene percepita dagli utenti all’interno dei videogame, prendendo un campione di giocatori, con preferenze di piattaforme varie e di età compresa tra gli 11 e i 65 anni, provenienti da Regno Unito, Francia, Spagna e Germania.

Riguardo l’affermazione «i videogiochi di oggi includono o meno una diversa gamma di personaggi», il 43% degli interpellati si è trovato d’accordo, contro il 10% che ha affermato il contrario, mentre il resto del campione si è espresso come indifferente o non informato sul tema.
La questione invece «i videogiochi dovrebbero includere maggior diversità tra i propri personaggi» ha ottenuto invece il 33% di assenso, il 14% di dissenso e uno spiazzante 53% composto da indecisi. Dei risultati simili sono stati ottenuti da statement come «avere più personaggi diversificati mi porterebbe a una migliore esperienza di gioco» e  «incoraggerebbe più persone ad iniziare a giocare».

È stato inoltre chiesto ai partecipanti al sondaggio quali gruppi vorrebbero che fossero meglio rappresentati all’interno del media: molti hanno votato per una maggiore partecipazione femminile (30%), ma un 14% sembra essere contraria all’idea; quando si è parlato di minoranze sul piano etnico, la situazione è andata perfino peggiorando: il 24% è d’accordo con un’eventuale maggiore presenza di personaggi di minoranze etniche o di colore contro un 20% di dissensi. Due affermazioni hanno persino ottenuto più dissensi che consensi, precisamente la presenza di più personaggi LGBTQ (tema da noi già trattato più volte in articoli come questo), con un 20% pro e un 22% contro, e il fatto che «avere personaggi di tipi diversi invoglierebbe di più all’acquisto» con un 26% di dissensi contro un debole 22%.
Ciò che è più sconcertante di quest’indagine non è tanto quella che pare essere una chiusura di non pochi partecipanti nei confronti del diverso, ma il fatto che la stragrande maggioranza abbia sempre risposto in modo neutro, con disinteresse verso la questione e poca volontà di approfondire la tematica, come se non riguardasse direttamente o risultasse addirittura scomoda.
L’abbiamo detto innumerevoli volte, ma vale la pena ripeterlo: il videogioco è ormai un mezzo di intrattenimento di massa, ed è prodotto artistico ormai al pari dei libri, del cinema, della musica e della tv. Più un simile frutto della creatività umana si espande e prende piede, più sarà probabile trovarne uno che rappresenti al meglio la nostra situazione come singoli individui o come minoranze all’interno della società; giochi come Overwatch o Mass Effect sono dei buoni esempi di rappresentatività e di integrazione della diversità nei character che possono essere di ispirazione per chiunque vorrà produrre qualcosa di “integrante” in futuro, dalla casa super famosa al più umile degli sviluppatori indipendenti. Ma i primi a chiedere che questo avvenga dobbiamo essere noi.




Più personaggi queer nei videogiochi

Il tema della comunità LGBTQ e di come questa venga vista, tollerata e più o meno integrata all’interno della società è ormai un argomento portante da anni, e che non cessa di creare fronti opposti in termini d’opinione. Qualunque sia la vostra posizione in merito, il mondo sta di fatto accettando (lentamente, molto lentamente se guardiamo il quadro globale: fino all’anno scorso solo 23 paesi nel mondo accettavano il matrimonio tra persone dello stesso sesso) una realtà che è stata sempre presente ma che solo adesso trova libera espressione. I Gay Pride, come le leggi su unioni civili, adozioni, pari opportunità, matrimonio fanno fronte alle oltre 70 nazioni che ancora considerano l’omosessualità un reato punibile con sanzioni che vanno dalla galera alla pena di morte.
Parallelamente, anche nell’universo dei videogiochi l’omosessualità va trovando espressione come forma di normalità, allontanandosi dallo stereotipo che, nei secoli, ha visto dominare in arti e vari aspetti della creatività soltanto un modello eterosessuale; anche in questo caso il processo non è stato indolore: non si assiste a forte odio o discriminazione, ma ancora un bacio omosessuale come quello visto nell’ultimo trailer di The Last of Us Part II riesce a far discutere la rete. Dopo quasi mezzo secolo di storia del medium, la figura del personaggio queer ha ancora una presenza marginale. I videogame dove è possibile trovare personaggi che si discostino da un modello etero sono davvero pochi se paragonati alla gigantesca mole di titoli disponibili, e questo fornisce il metro di come ancora la cultura popolare affronti in punta di piedi un simile tema.
Nella mia esperienza da giovane videogiocatrice, il mio primo incontro con un character queer è stato circa all’età di cinque anni, quando giocando a Super Mario Advance incontrai Strutzi (Birdo, in originale).

A quell’età non avevo la minima idea di cosa fosse un trans, e quando da più grande scoprii che Strutzi lo era, rimasi piacevolmente colpita di come Nintendo (già alla fine degli anni ’80, in Super Mario Bros. 2, dove se ne registra la prima presenza) avesse integrato un personaggio del genere nei suoi giochi.
Oggi, più informata e consapevole, non posso non fare caso al fatto che moltissimi dei personaggi apertamente gay, lesbiche, bisessuali o trans non vadano incontro a un destino felice. Basti guardare giochi come le saghe di Mass Effect  e Dragon AgeThe Last of Us Life is Strange: nei titoli di Bioware è possibile avere relazioni omosessuali: molti NPC sono apertamente gay, lesbiche, bi o trans, e chi ci ha giocato sa come tanti di questi, o i loro partner, siano destinati a un epilogo tragico. La solfa non cambia con Life is Strange dove il rapporto tra Max e Chloe (o prima ancora Chloe e Rachel) sembra destinato a non essere mai felice. Se le forme creative sono figlie della propria epoca ed espressione del proprio tempo, anche questo sembra essere sintomo della condizione attuale di chi vive l’omosessualità nella nostra epoca, dove l’accettazione è maggiore rispetto ai secoli passati, ma ancora la strada da fare è molta.
I videogame in questo senso mostrano coraggio: sempre a fine anni ’80 in Final Fight viene introdotto il personaggio di Poison, in questi anni saghe come Shin Megami Tensei e Dragon Ageper non parlare di avventure come Fable The Longest Journey. Naughty Dog ha introdotto il tema in maniera forte e senza mezzi termini già in Left Behind, DLC del primo capitolo di The Last of Us dove Ellie vive con naturalezza l’amore verso la sua compagna già alla sua giovanissima età. Nel secondo capitolo la vediamo alle prese con una nuova relazione, e si spera che, nonostante vivano ancora in un mondo dai contorni apocalittici, il loro futuro non sia così nefasto. Naughty Dog ha una grande responsabilità sulle sue spalle.
La comunità dei gamer LGBTQ richiede a gran voce personaggi rappresentativi, magari con finali più felici, con uno spazio che consenta loro le stesse esperienze ed emozioni di un qualsiasi altro videogiocatore.
La strada, tutto sommato, è quella giusta.




Atari punta al mercato LGBT

Lo aveva promesso tempo addietro e adesso pare stia muovendo i verso una direzione ben precisa: Atari ha costituito una partnership con LGBT Media, società proprietaria della social app LGBTQutie, per produrre applicazioni indirizzate: l’accordo prevede che LGBT Media acquisisca e “rilanci” il city-building game, sviluppato da Atari, Pridefest, avvantaggiandosi dei suoi collegamenti con la comunità LGBTQ e del suo potere sul piano social. Entrambe le società sperano di creare un “nuovo standard” di gioco per una fetta di utenti ancora insoddisfatti da questo punto di vista.
Entrambe le società mirano a due obiettivi: Atari vuole accaparrarsi un mercato in qualche modo sottovalutato. Witeck Communications ha stimato nel 2013 che la comunità LGBTQ abbia un potere d’acquisto globale di circa 830 miliardi di dollari e Atari spera dunque di arrivare per prima. Per LGBT Media, d’altro canto, è una possibilità di aumentare la propria portata associando al proprio un marchio “iconico”. del gaming e della cultura pop mondiale.
Siamo ancora agli inizi, ma questa joint venture è certamente da seguire attentamente per i risvolti che potrà avere il frutto della collaborazione su un mercato al quale ancora in pochi si sono rivolti.