Il futuro è arrivato da Google. Ma siamo pronti?
Per troppi anni siamo stati abituati al duopolio Sony-Microsoft, con Nintendo a fare da outsider. Ma tutto questo, nel corso degli anni, ha portato quasi a una standardizzazione dell’hardware, ma anche del software, dove si fa veramente fatica a trovare titoli in grado di fare un reale salto di qualità. In questo mondo semi-stantio tante sono state le voci di nuove pretendenti al trono di migliore console in commercio, a cominciare da Amazon, Apple sino a Google e proprio quest’ultima, dopo una serie di roboanti rumor, è finalmente tra noi.
Google Stadia è il nome del nuovo sistema, la materializzazione di un futuro già preventivato ma forse distante per essere realmente immaginato. Si dice spesso che la tecnologia avanzi più velocemente di quanto l’uomo riesca a padroneggiarla e anche nel mondo del gaming sembra essere arrivato il momento. Google Stadia è pronta. Ma noi?
Qui studio a voi Stadia
Tutti aspettavamo con trepidazione la conferenza Google alla GDC di quest’anno. Troppo importante era l’ingresso in campo di un quarto competitor e già le supposizioni, gli entusiasmi e le preoccupazioni fioccavano come i tweet di Wanda Nara. La nuova console Google avrebbe fatto la fine di Sega? Porterà qualcosa di nuovo? Se alla prima domanda non possiamo ancora rispondere, possiamo già dar forma al secondo quesito: sì, Stadia è qualcosa di nuovo; forse troppo.
Ovviamente il tutto non poteva che essere presentato da Sundar Pichai (amministratore delegato Google), che con molto entusiasmo ha presentato al pubblico il nuovo progetto, in cui la parola accessibilità ne è chiave di volta.
Tutti sapevamo che il futuro del gaming sarebbe stato nel Cloud e che PlayStation 5 e l’eventuale Xbox Two, sarebbero state le ultime console fisiche. Google è stata furba: come entrare in un settore così omologato, attraendo una clientela sin troppo abituata al solito trio? Semplice: anticipare di anni la concorrenza, perché quello mostrato da Google sembra a tratti fantascienza già alla portata di tutti. Il videogioco dunque non passa più attraverso tediose attese, tra download e aggiornamenti; non è più relegato a un singolo sistema ma soprattutto, cade la barriera tra videogiocatore e spettatore.
Google Stadia può essere infatti utilizzabile attraverso qualunque dispositivo dotato di Google Chrome, dalle SmartTV agli Smartphone, dai PC ai tablet e così via con un tempo d’ingresso in partita di massimo cinque secondi, senza alcun download o caricamento di sorta. Il pad progettato dalla casa californiana segue a ruota la filosofia del nuovo servizio, connettendosi via Wi-Fi direttamente alla sessione in corso e con accesso immediato a Google Assistant, in grado di fornire indicazioni al giocatore, mostrando direttamente su YouTube il frangente di gioco interessato.
Tutto questo è possibile attraverso un ecosistema di macchine ognuna delle quali dotate di chip AMD in grado di raggiungere i 10.7 Teraflops (una cifra standard per le console di nuova generazione); ne consegue che lo streaming potrà essere sfruttato in 4K HDR 60FPS su qualunque dispositivo e situazione, con possibilità nel breve futuro di arrivare all’8K.
Tutto questo ben di dio non interessa fortunatamente soltanto la partita singola: il multiplayer, attraverso il cross-platform, è anch’esso al centro del progetto, aumentando a dismisura il coinvolgimento, la partecipazione e l’interazione tra gli utenti. Pur giocando in multiplayer online non si perderà qualità, permettendo dunque a tutti gli utenti in partita di godere al massimo del titolo con cui si sta giocando. Entrano in scena nuovi modi di interazione tra gli utenti, tra cui lo State Share, che permetterà ai giocatori di condividere o interagire con determinati segmenti di gioco, sfruttabile ad esempio per confrontare punteggi o sfidarsi su un singolo elemento del gioco. Crowd Play invece, consentirà a qualunque giocatore di entrare istantaneamente in partita o in una lobby multiplayer, anche attraverso un video su YouTube. Tutto questo fa immediatamente pensare ai Content Creator, con i quali Google ha collaborato a stretto contatto: l’interazione tra essi e il pubblico, in questo caso, aumenterà a dismisura.
Google è dunque pronta a entrare a “gamba tesa” nel mercato, supportato già da molte aziende e software house come Ubisoft e Id Software, presente in conferenza con Doom Eternal, ma supportato anche da Jade Raymond il nuovo capo di Stadia Games and Entertainment, dedicato allo sviluppo di prime parti e alla collaborazione con altri publisher.
E adesso?
L’arrivo di questo servizio, come detto, ha un po’ cambiato le carte in tavola. Sony e Microsoft sono probabilmente nell’ultima fase di sviluppo delle loro nuove console, ma come si approcceranno al nuovo concorrente, così diverso e così allettante? Il prossimo E3 potrebbe riservare molte sorprese ed è un peccato a questo punto l’assenza del colosso giapponese.
Google Stadia è dunque rivoluzionario, quasi sin troppo bello per essere vero; ma qualche perplessità permane. Prima di tutto, riusciranno le connessioni internet (si parla di 25Mbit per il 1080p 60FPS e 30Mbit per il 4K) meno performanti a gestire questo servizio? Una volta connessi centinaia di migliaia di utenti in contemporanea, il sistema reggerà? E poi l’elemento più importante, i costi; funzionerà attraverso un abbonamento stile Netflix o si dovrà possedere il singolo gioco? Queste domande avranno probabilmente risposta a Giugno in quel di Los Angeles, ma per un attimo, andiamo oltre.
La produzione e l’acquisto di nuovo hardware per l’utente potrebbe aver perso qualunque significato: rimanendo nel settore gaming, perché comprare una 2080Ti quando basta accedere a un servizio per giocare a 4k HDR e 60fps al secondo? Questo discorso vale indubbiamente anche per le console che sì, possono puntare su esclusive software (vedi Death Stranding o Halo Infinity), ma di fronte a tutto questo, valgono l’acquisto di una console e tutto ciò che ne consegue? La risposta non è così scontata e starà a Google e la poderosa campagna marketing che seguirà a mostrarci le reali potenzialità di Stadia.
Anche la distribuzione di giochi, a partire dalle beta e le demo potrebbe cambiare drasticamente, permettendo agli utenti un facile accesso, evitando download e attese che ormai sembrano far parte del medioevo. E la “Console War”? Anche questa finirebbe tra i libri di storia, nella sezione futilità.
E noi? Così come non siamo pronti ad auto a guida autonoma o a salire su aerei senza pilota, siamo già pronti a giocare senza console? I servizi cloud di Sony e Microsoft sembrerebbero portarci verso una risposta positiva, ma si tratta comunque di servizi che rispondo alla “naturale evoluzione” di quello che il gaming sta diventando. Google Stadia sembra andare oltre il prossimo step, con la sensazione che le vere potenzialità di questo servizio siano ancora segrete, delle cartucce da sparare direttamente contro Sony, Nintendo e Microsoft sul loro campo di battaglia, l’E3 di Los Angeles che, a questo punto, potrebbe oscillare tra una Waterloo o una Hastings.
Un anno all’insegna di Gamecompass
Caro lettore, il nuovo anno è cominciato da qualche mese, ma per noi di GameCompass comincia un po’ oggi. Riprendiamo le pubblicazioni dopo una breve (e utile) pausa per ripensare le nostre attività, e ricominciamo più energici che mai. Ci stiamo avvicinando sempre più al primo quarto di secolo del nuovo millennio, e io oggi ho deciso di tornare con una piccola lettera di buoni propositi per il nuovo anno: perché per noi, sì, si ricomincia oggi.
Il nuovo anno mi si prospetta come un arco di tempo travolgente, un po’ perché compio è l’anno della mia maggiore età, un po’ perché saranno due anni che faccio parte di questa redazione di pazzi, appassionati e inguaribili gamer, ci supportiamo e sopportiamo da un biennio (soprattutto loro, mi sopportano tanto…), ed è a loro che voglio dedicare un bel brindisi, come fosse il primo dell’anno; in fin dei conti, nonostante qualche diverbio su quale sia il miglior shampoo per l’auto o su quale sia la miglior console di sempre, siamo davvero una gran bella squadra, ognuno specializzato nella propria sfera di competenza editoriale.
Dal nuovo anno, faccio un po’ di analisi e un po’ di blande “premonizioni” (e Paolo Fox può accompagnare solo): sarà un anno importante in campo videoludico, alla GDC si compirà la rivoluzione verso i giochi in streaming (Google, ti aspettiamo al varco), avremo passi avanti nella tecnologia grafica (sempre più orientata al fotorealismo), contenuti nuovi, un’ascesa delle tecnologie VR e AR, che finora hanno avuto un ruolo da “contorno”, salvo ovviamente qualche bel titolone.
Nel corso del 2019 abbiamo già avuto titoli di grido come Anthem (grido di dolore, ma pur sempre “grido), Metro Exodus e si attendono ancora titoli a mio avviso fantastici, come Days Gone, Crash Team Racing Nitro-Fueled, World War Z, e per la gioia del nostro Gabriele Sciarratta, Tropico 6. Per quanto riguarda i propositi “redazionali”, se avete seguito i nostri Gamecompass Awards 2018, saprete sicuramente che stiamo ristrutturando un po’ tutto, dal format televisivo, al calendario streaming di Twitch, alle sezioni del sito stesso. Insomma abbiamo avviato una bella operazione di lifting editoriale per snellire, senza pero’ intaccare la qualità e quantità dei contenuti che puntualmente vi forniremo giorno dopo giorno.
La trasmissione riprende regolarmente, ma con cadenza più dilatata: perché le cose vanno fatte per bene, e non vogliamo forzare la mano.
Detto questo voglio augurare a tutti ma proprio tutti “uno spettabile anno nuovo”, come direbbe uno dei più grandi “dramma-comici” mai esistiti, un bacio a tutti dalla redazione di Gamecompass!
Il cross-play interessa veramente ai videogiocatori?
Secondo quanto riportato da Gamesindustry.biz, il cross-play, potrebbe non essere così importante per i giocatori come molti nel settore credono. Ad avvalorare questa ipotesi, sono i dati raccolti dal sondaggio effettuato nel quarto trimestre del 2017 da GameTrack, che mostra una generale indifferenza a interazioni tra la varie console.
I rumor che vedrebbero PlayStation, Xbox e PC permettere agli utenti di “giocare sulla stessa spiaggia, partendo da oceani diversi” sono stati molteplici negli ultimi 12 mesi: Microsoft, come sappiamo, ha fatto del cross-play tra console e PC una delle caratteristiche fondamentali nella sua strategia aziendale, mentre Sony, al contrario, è stata più volte ampiamente criticata per la sua apparente riluttanza a consentire un eventuale “condivisione” tra i consumatori PlayStation e quelli Xbox.
Tuttavia, all’interno del sondaggio, il 58% degli intervistati ha ammesso di essere totalmente indifferenti a tale questione. Essendo una percentuale così elevata possono entrare in scena anche altri fattori, come la reale conoscenza del cross-play ed eventuali implicazioni derivanti, oppure una certa soddisfazione nell’attuale modus operandi dell’attuale sistema – che non è da cosiderare per forza “malvagio”–.
Minecraft, Rocket League, Ark: Survival Evolved e Fortnite, tra gli altri, sono stati al centro di un lungo dibattito proprio riguardo il cross-play nell’ultimo anno e spesso, a causa della netta mancanza di interesse da parte di Sony nel permettere ai suoi utenti di condividere l’esperienza anche con i giocatori di Microsoft.
A quanto pare inoltre, il cross-play non è nella maniera più assoluta un fattore decisivo per il quale i giocatori possano essere più propensi o meno all’acquisto di una console: solo una piccolissima percentuale (13%) ha dichiarato di potersi lasciar influenzare da questo fattore durante l’acquisto.
Allo stesso modo, sempre e solo il 13% del campione è d’accordo che, avendo la possibilità di giocare in cross-play, possano essere più propensi alla sottoscrizione di un eventuale abbonamento per giocare online su console o PC.
La stessa tendenza era evidente tra i partecipanti al test, nelle domande inerenti al software: il 48% degli intervistati è in disaccordo che questa caratteristica possa influire sull’acquisto di uno specifico titolo, contro il 17% che si lascerebbe influenzare da questo fattore; inoltre il 49% degli intervistati, non è d’accordo che tale funzionalità li renderebbe più propensi a giocare online più di quanto facciano normalmente.
Phil Spencer, noto vicepresidente della sezione gaming di Microsoft, è stato molto franco riguardo il suo enorme desiderio di unire le comunità Xbox e PlayStation, commentando anche la riluttanza incessante di Sony in diverse occasioni:
«So che esiste questo genere di visione: “se i miei amici hanno questa console, non potranno giocare con persone che ne acquistano una diversa, e questo è il motivo per cui acquistano la mia console”.»
Che il cross-play abbia o meno il potenziale di influenzare le decisioni di acquisto tra i consumatori, non cambia il fatto che all’interno del settore, vi sia una visione generale che l’abbattimento delle barriere tra le piattaforme avverrà presto. Come potete leggere nel nostro precedente focus, Tim Sweeney di Epic Games, ha parlato di Fortnite e dei livelli di interazione cross-play senza precedenti, che consentiranno agli utenti di giocare allo stesso gioco su console, PC e dispositivi mobile. Le uniche piattaforme che non lo consentono tuttora sono Xbox e PlayStation, ma Sweeney è convinto che sia solo una questione di tempo:
«Affinché Sony e Microsoft supportino completamente i loro utenti, devono aprire le porte anche ai loro amici del mondo reale, altrimenti staranno solamente disgregando dei gruppi realmente esistenti.»
Epic Games: la barriera tra Xbox e Playstation cadrà inevitabilmente
Fortnite è uno di quei prodotti che ha fondato un nuovo modello di gioco nella games industry, secondo Tim Sweeney, CEO di Epic Games, e uno dei motivi per il quale le barriere tra le piattaforme verranno presto abolite promuovendo il cross-platform.
Sweeney, parlando durante la sessione State of Unreal di Epic al GDC, ha descritto il boom dei giochi mobile negli ultimi dieci anni come una delle cose più eccitanti che possano accadere nel settore videoludico. Tuttavia, quello che una volta risultava essere nuovo ed entusiasmante forse oggi non lo è più:
«Per un po’, questa industria mobile è stata stagnante. Ci sono oltre 100.000 giochi pubblicati ogni anno sugli store, molti dei quali sono giochi ad-driven e molti di loro hanno modelli di monetizzazione abbozzati. L’industria ha davvero bisogno di rivitalizzazione».
Tuttavia, nei mercati asiatici si è sviluppata una nuova tendenza, una che mette in discussione l’ipotesi che il mercato della telefonia mobile sia dominato dai “casual games”. Parlando con GamesIndustry.biz in una riunione prima dello State of Unreal, Sweeney ha descritto questa “tendenza” come: «la cosa più eccitante per Epic nel settore in questo momento.»
«Stiamo assistendo a un cambiamento di tendenza, dove prima esistevano i casual games, adesso, come successo in Corea e in Cina, ci sono dei veri e propri giochi per “gamer”. Lo abbiamo visto con Lineage 2, un MMO open-world che ha avuto un successo enorme. Adesso in moltissimi paesi giochi come questo, segnano grandi numeri per le entrate, per il tempo di gioco e per la nuova forma che stanno dando al settore nella games-industry.»
Epic ritiene che stia cominciando ad accadere lo stesso processo in mercati come gli Stati Uniti e l’Europa, grazie in gran parte alle rifiniture e ai miglioramenti apportati al motore grafico Unreal Engine. Sempre durante lo State di Unreal, i co-fondatori di Studio Wildcard, Doug Kennedy e Jesse Rapczak, sono saliti sul palco per parlare di Ark: Survival Evolved su smartphone, annunciando anche il porting su Nintendo Switch.
Un altro esempio è ovviamente Fortnite della stessa Epic Games, che secondo Sweeney è l’esempio migliore, considerato lo sviluppo su Unreal Engine oltre che ovviamente per il “trend” che ha fino a ora sviluppato il gioco in sé.
La versione per Android di Fortnite deve ancora essere rilasciata, ma quando questo avverrà, sarà il prodotto che girerà su tutte le principali piattaforme, con la stessa esperienza condivisa al suo interno e proprio questo, secondo Sweeney, sarà un aspetto essenziale di come la game-industry cambierà e continuerà a crescere negli anni a venire.
«Non riesco a immaginare nulla di meglio per la crescita collaterale del settore console rispetto a questa nuova generazione di bambini, cresciuta con dispositivi Android e iOS e che stanno imparando a giocare lì. Magari giocando a Fortnite [sui dispositivi mobili, ndr], che poi magari vorranno giocare sulla TV di casa, con controlli più precisi grazie a un joypad e una migliore esperienza visiva, facendo quindi un passaggio a piattaforme come PlayStation o Xbox.»
Ovviamente, l’idea che i possessori di PlayStation e Xbox possano un giorno giocare insieme, è e rimane un tema di grande attualità. Fortnite sarà solo uno in più tra quei giochi che non possono essere riprodotti su entrambe le piattaforme, con Microsoft che sostiene molto più la necessità di cross-play rispetto a Sony. Da parte sua, Sweeney è un grande sostenitore del cross-platform, ma è attento anche a sottolineare la natura senza precedenti di Fortnite, pienamente inter-operabile su mobile, PC, Mac e console. Proprio per questo motivo crede fermamente che questa situazione di stallo, non durerà ancora per molto. Sempre durante l’evento, il CEO di Epic, menziona anche la legge di Metcalfe, secondo la quale “il valore di qualsiasi esperienza connessa per un determinato utente è direttamente proporzionale al numero di persone a cui è possibile connettersi nel mondo reale”. In parole povere il prossimo passo logico nel settore console, sarebbe quello di eliminare le barriere tra gli utenti Sony e il resto del mondo.
In effetti ormai i giochi sono diventati esperienze sociali allo stesso modo di Facebook o Twitter, e queste esperienze hanno davvero senso e possono definirsi tali, solo se gli utenti possono comunicare con tutti i loro amici indistintamente.
VR: rilevamento oculare, la tecnologia del futuro?
L’azienda Tobii l’anno scorso ha mostrato per la prima volta la propria tecnologia di sfruttamento dell’Eye Tracking integrata nell’HTC Vive alla Games Developers Conference, e al Consumer Electronics Show ne ha svelato alcune nuove applicazioni per dimostrare il potenziale del rilevamento oculare.
Un reporter di Engadget ha raccontato la propria esperienza e ha analizzato:
«Per calibrare il tracciamento, ho seguito un punto intorno al display per un po’, usando solo i miei occhi. Poi mi è stato dato uno specchio che rifletteva il mio avatar VR, che seguiva il movimento della mia testa, ma gli occhi erano vuoti e privi di espressione. In seguito sono passato a un altro specchio con rilevamento oculare abilitato. Quando ho sbattuto le palpebre, il mio avatar lo ha fatto pure. È una piccola cosa, ma ha rilevato molto per rendere l’esperienza più coinvolgente.
Poi sono passato a uno schermo con due robot. Quando li ho guardati, mi hanno fatto un cenno visivo diretto e hanno risposto con messaggi di testo. Leggevo una consapevolezza insolita in loro, come se percepissero il mio intento di avere una conversazione. Questo tipo di feedback potrebbe facilmente far credere di stare chiacchierando con i personaggi del gioco. E potrebbe essere ancora più utile negli ambienti social VR: immaginate quanto sarebbe noioso se fossimo bloccati con avatar che non rispondono al movimento dei nostri occhi.
Una demo sorprendente consisteva nel lancio di sassi verso bottiglie lontane. Senza il tracciamento oculare era quasi impossibile abbattere con precisione qualsiasi cosa. Ma, con la funzione attivata, tutto ciò che dovevo fare era concentrarmi su una bottiglia e lanciare la roccia con sufficiente quantità di moto virtuale.
Nuovo per il CES è stato un trio di esperienze che mostrano la tecnologia di Tobii. Uno era un salotto virtuale, dove potevo selezionare qualcosa da guardare spostando gli occhi attraverso una libreria multimediale. Oggi per interagire con oggetti virtuali dovreste fare affidamento sul touchpad di un controller o sollevare la testa. Non è solo un modo goffo per sostituire facilmente qualcosa che potete fare nella vita reale, aggiunge una funzionalità completamente nuova che non è mai stata possibile senza il rilevamento oculare.
Successivamente, mi sono ritrovato seduto in un loft virtuale a giocare a un gioco in realtà aumentata. Alla mia sinistra c’era Marte, mentre la Terra era alla mia destra. L’obiettivo era lanciare razzi da Marte e colpire navi aliene che fluttuavano attorno alla Terra. Potevo cambiare la visuale di entrambi i pianeti, cambiando l’angolo dei missili e delle navi, e c’era anche un pulsante per accendere e spegnere la tecnologia Tobii. Avevo molto più controllo del gioco potendo semplicemente guardare un pianeta e ruotarlo con il touchpad del controller Vive. Farlo manualmente, selezionando un pianeta con il controller, era molto meno fluido e rendeva il gioco più difficile da maneggiare.
Ho anche giocato uno scenario simile a Star Trek Bridge Crew, che prevedeva la manipolazione di un numero scoraggiante di pulsanti e quadranti su un’astronave. Se avete giocato a Star Trek VR, saprete che la parte difficile è assicurarsi di premere il pulsante giusto al momento giusto. Con il rilevamento oculare, ho dovuto solo guardare un pulsante per selezionarlo. La tecnologia di rilevamento oculare ha fatto un buon lavoro nella scelta del pulsante giusto la maggior parte del tempo, anche se la demo aveva molte altre cose selezionabili nelle vicinanze.
Mentre la realtà virtuale è la soluzione più immediata e ovvia per Tobii, la società punta ancora a collaborare con più produttori di PC per inserire il rilevamento oculare nei loro computer. Attualmente, oltre 100 giochi supportano questa tecnologia. Ci si può anche aspettarsi di vedere il rilevamento oculare di Tobii anche nei laptop più sottili nei prossimi anni (in questo momento è principalmente relegato a grossi notebook da gaming.) La società mi ha permesso di dare un’occhiata al suo design del sensore “IS5”, significativamente più piccolo e più sottile della sua soluzione attuale. In particolare, la fotocamera è stata drasticamente rimpicciolita.
L’amministratore delegato di Tobii, Henrik Eskilsson, ha detto che in futuro il rilevamento oculare sarà visto come un requisito fondamentale per la realtà virtuale. E sono propenso a credergli. Il rilevamento oculare accurato offre un migliore “senso di presenza”, che è l’obiettivo finale della realtà virtuale. Provare la tecnologia di Tobii per soli 30 minuti mi ha già “rovinato” ogni esperienza con auricolare VR senza rilevamento oculare. Lo definirei un successo.»
Crediti: www.engadget.com