Die Young

In un mondo in cui tutto sembra scorrere inesorabile verso un’unica direzione, scontata, prevedibile e noiosamente tranquilla, ci sono persone che cercano invece di vivere la propria vita “day by day”, attimo dopo attimo, all’insegna dell’avventura; una vita ricca di emozioni e alla costante ricerca di quelle forti sensazioni che ti fanno sentire realmente VIVO.
Non vi sto rifilando una filippica sul senso della vita: vi ho appena illustrato il background della coraggiosa protagonista di Die Young, survival-thriller-horror (e chi più ne ha più ne metta) della giovane software house IndieGala.

Tasselli Mancanti

Siamo su un imbarcazione in compagnia di 5 amici, ci dirigiamo verso un’isola, sarebbe stata la cosa più cool dell’estate diceva uno di loro, poi… il buio. Ci ritroveremo all’interno di un pozzo buio, qualcuno ne sposta il coperchio e lascia cadere al suo interno una mappa disegnata a mano con diversi punti di interesse; sul retro, un volto nascosto da un velo ci lascia intendere che quella mappa ci è stata consegnata in segreto per aiutarci a muoverci sull’isola. La nostra missione sarà quella di trovare i nostri compagni di viaggio – ovviamente dispersi – e di abbandonare quella maledetta isola.

Nonostante la storia possa sembrare solamente un mero pretesto giusto per contestualizzare la nostra protagonista sull’isola, è meglio non fermarsi alle apparenze e cercare di andare oltre il piccolo dettaglio riguardo il perché questi ragazzi si trovino su un minuscolo gommone, diretti verso un’isola di cui non si sapeva nulla in mezzo all’oceano e riguardo perché tutti scompaiano inspiegabilmente ancor prima di arrivare mettere piede sull’isola stessa . Insomma, roba di poco conto…

Salta qui, aggrappati lì

Ovviamente uno dei punti forti di Die Young dovrebbe essere il gameplay. Dico “dovrebbe” perché gli assets delle animazioni non danno alcuna sensazione di feeling, anzi a volte risultano frustranti perché poco precisi; risulta quasi ingiocabile con il joypad per via di alcuni movimenti – soprattutto in fase di scalata – che in alcune circostanze saremo costretti a fare con tanta minuzia, essendo presente anche una barra di “stamina” che spesso e volentieri si scaricherà facendoci cadere rovinosamente. Saltare, aggrapparsi, scalare… sembrano quasi le stesse animazioni di Sniper Ghost Warrior 3 (gioco che abbiamo recensito qualche mese addietro). Oltre al fatto che non aggiunge nulla di nuovo alle animazioni di un normale action-FPS, giocando a Die Young non facciamo altro che avere sensazioni di “déjà vu”, forse perché in questi ultimi tempi, il genere “survival” in prima persona sembra essere diventato il re della scena.
All’inizio del gioco potremo scegliere se cominciare la partita in modalità “adventure” o “survival“, la prima all’insegna dell’esplorazione, la seconda invece per chi ama un elevato grado di sfida nel giochi. Una delle cose più rilevanti del gioco è infatti è proprio questo altissimo livello di sfida offerto dalla modalità “survival“. I nemici in questo gioco sono molto pericolosi e le armi a nostra disposizione sono ridicole e quasi del tutto inutili contro alcuni di loro. Ci potremo limitare a eliminare qualche serpe che vorrà addentarci durante le nostre passeggiate nell’erba alta o al massimo qualche grosso topo che salterà fuori dagli edifici abbandonati sparpagliati sull’isola; per il resto, che sia un cane, o uno degli omoni giganti incappucciati, la cui presenza sull’isola rimane un mistero, il mio consiglio è quello di correre, correre, correre, a trovare un appiglio da scalare o un riparo come se non ci fosse un domani, perché in un confronto diretto non avrete scampo. Stranamente in questo gioco (rispetto ad altri survival) pur dovendo mantenere alto il livello di energia e idratazione, non avremo alcuna difficoltà a farlo, si troverà acqua in abbondanza e potremo craftare noi stessi le medicazioni necessarie per curarci. Forse un po’ troppo striminzito l’inventario che infatti ci darà la possibilità di portare solo pochi pezzi per ogni tipo di item. Il crafting dovrebbe essere al centro di ogni survival che si rispetti ma, proprio a causa del ristretto numero di oggetti che si possono stivare, l’uso di questa skill rimane spesso marginale; eppure il gioco ci offre lo spunto per creare altri oggetti o armi, ma spesso ci sarà impossibile per via dei materiali mancanti che magari abbiamo utilizzato un attimo prima per creare un kit medico.

Uno dei punti a favore del gioco è l’ambientazione, molto curata e piacevole da esplorare.
È doveroso sottolineare che Die Young al momento è in versione in early-access, quindi ancora in fase di sviluppo. Proprio per questo motivo riponiamo fiducia nel team di IndieGala confidando in qualche buon aggiornamento che possa migliorare quelli che sono gli aspetti più deboli del gioco e le lacune narrative. Sì, il mistero spesso nutre noi avventurieri digitali, ma purché sia sempre giustificato da una buona storyline atta a supportarlo.

Tirando le somme, al momento il gioco appare un’accozzaglia di materiale di vario tipo, buono, per carità, ma purtroppo mal contestualizzato, un cattivo mix di elementi che lo fanno risultare forse pretenzioso. Mi domando se non sarebbe stato meglio, a questo punto, sviluppare il titolo seguendo un’unica direzione, quella di un adventure game in prima persona – mettendo così da parte il crafting, che purtroppo rimane spesso inservibile – oppure un survival puro al 100%, ma studiato con criterio e dovizia.
Ad ogni modo, attenderemo la versione definitiva del gioco per poterlo rigiocare ,sperando che IndieGala possa farci cambiare idea.




Darkwood su un torrent per contrastare i key-reseller.

I creatori di Darkwood hanno caricato una versione completa del loro nuovo survival horror su un torrent. Da Acid Wizard Studio affermano di averlo fatto per i giocatori che non abbiano abbastanza soldi per acquistare il loro, dando così loro una versione “sicura” da scaricare. Al contempo, lo sviluppatore polacco spera anche che quest’iniziativa dissuada ad acquistare il gioco dai key-reseller, i quali sono «un cancro che sta salassando questo settore».
Le affermazioni Darkwood è un gioco di orrore di sopravvivenza top-down, immerso in terribili boschi, ricchi di cose terribili, spaventose e dannose. Esplorare, scavare, cercare e cercare di sopravvivere. Ha lanciato la scorsa settimana dopo tre anni di accesso precoce.

Lo sviluppo è stato un viaggio lungo e spesso difficile, come ha detto Acid Wizard Studio nel comunicato di oggi. Adesso è finalmente fuori, dicono, essi sono inondati con le e-mail che cercano di usare i tasti gratuiti di vapore con l’intenzione di rivenderli. Questo “rende impossibile per noi fare omaggi o inviare chiavi a persone che in realtà non hanno i soldi per giocare a Darkwood”.

Acid Wizard Studio si unisce a una lunga serie di sviluppatori non più soddisfatti dei rivenditori.

Dicono che sono stati anche commossi da un giocatore che ha chiesto un rimborso “perché non ha voluto che i suoi genitori vengano sottolineati quando vedono il conto alla fine del mese”.

Così per incolpare con esso! Hanno caricato l’ultima versione di Darkwood DRM-free al sito torrent The Pirate Bay.

“Se non hai i soldi e vuoi giocare, abbiamo un torrent sicuro sulla Pirate Bay dell’ultima versione di Darkwood (1.0 hotfix 3), totalmente DRM-free. Non ci sono catture, nessun cappello pirata aggiunto per personaggi o qualcosa del genere. Abbiamo una sola richiesta: se ti piace Darkwood e vuoi che continuiamo a fare giochi, consideriamo di acquistarlo in futuro, forse in una vendita, tramite Steam, GOG o Humble Store. Ma per favore, per favore, non acquistarlo tramite qualsiasi sito di rivendita. Facendo questo, stai solo nutrendo il cancro che sta scendendo da questo settore “.

Darkwood costa € 11,99 / 13,99 € / $ 14,99 su Steam, GOG e l’Humble Store.

Credo che il nostro Adam sta giocando a Darkwood e intende raccontarci tutto quello che pensa ma, tra una vacanza e una partita a Gamescom, è stato un ragazzo impegnato con molte altre cose da fare. Speriamo che troverà il tempo. Tutto quello che ho sentito parlare di Darkwood è buono, ma sono un grande bambino fraidy e cerco rassicurazione.




Until Dawn

I
n spiaggia fa troppo caldo? Preferite la montagna? Allora siete i benvenuti a Redwood Pines, una bella e – soprattutto – tranquilla montagna innevata nel sud dell’Alberta.
È qui che è ambientato Until Dawn, survival-horror sviluppato in esclusiva per PlayStation 4 da Supermassive Games e pubblicato nel 2015. Nel mese di luglio di quest’anno il PS+ ci ha dato la possibilità di provarlo, e noi non ci siamo fatti scappare l’occasione.

La storia segue le vicende di 8 ragazzi che si ritrovano nella baita dei Washington per passare insieme le vacanze invernali. La festa è stata organizzata da Josh Washington, fratello di Hannah e Beth, coinvolte un anno prima in un grave incidente proprio in quella montagna, dove trovarono la morte.
I protagonisti si sono riuniti in quella baita non solo con lo scopo di far festa, ma anche per commemorare la scomparsa delle loro amiche, perdita causata da uno scherzo di cattivo gusto, ideato da cinque di loro, che portò Hannah a scappare fuori dalla baita e a cadere insieme alla sorella Beth giù da un burrone.

Tutto questo ci viene spiegato in un minuzioso prologo che, oltre a farci conoscere le vicende, ci farà familiarizzare con le meccaniche di gioco.
I comandi sfruttano il sensore del dualshock 4, che ci permetterà di girare la visuale con il solo movimento del pad, ma queste impostazioni si potranno modificare a piacimento all’interno dell’avventura, assegnando alla levetta analogica destra il compito di orientare lo sguardo dei personaggi, mentre alla sinistra quello di guidarli. Il sensore di movimento sarà sfruttato anche in alcune scene in cui il videogioco vi chiederà di stare immobili e non muovere il pad.
La mobilità e il feedback che danno i tasti non è male, i personaggi si muovono in modo naturale, anche se in alcune parti del gioco risulta molto difficile girarsi e camminare, complice la telecamera di gioco non perfettamente studiata (se, ad esempio, dentro una miniera o in un posto chiuso ci gireremo per ritornare indietro, spesso la telecamera si bloccherà e non ci farà vedere ciò che abbiamo davanti). Tralasciando questi particolari, il gioco si presenta ben strutturato, con una trama e un’ambientazione che ricorda molto i classici film horror, case senza luce, strutture cliniche abbandonate e in rovina e sotterranei bui e chiusi.
Until Dawn non è un semplice survival-horror, ma una vera avventura interattiva in stile horror. Questo perché lo stile di gioco ci permette di fare delle scelte e di poter stravolgere la trama, facendo morire i personaggi, far scoppiare liti o rendere il gruppo più affiatato.
Anche la caratterizzazione dei personaggi è un aspetto molto ben riuscito: tutti i character giocabili hanno delle statistiche, come il coraggio, il romanticismo o l’onestà, che varieranno a seconda delle scelte che faremo, facendoli apparire coraggiosi o romantici agli occhi degli amici o partner; anche le relazioni con gli altri personaggi godono di statistiche proprie, che, come detto prima, dipendono dalle scelte e da come ci rivolgiamo ai nostri amici. In questo modo Until Dawn ci mostra quanto possa essere elastica la sua storia, intrecciando la vita privata di ognuno dei protagonisti, con amori, amicizie e segreti da celare, alla terribile e inquieta nottata che li aspetterà, piena di misteri e terrore.
Potremo controllare tutti i personaggi uno alla volta: Until Dawn presenta più di un finale, potrebbe terminare con la morte di tutti gli amici, con nessuna perdita o con alcune perdite, in base alle nostre scelte.

A Until Dawn hanno lavorato parecchi attori che hanno prestato il loro volto ai protagonisti. Si riconosce subito il volto di Rami Malek, che interpreta Josh Washington, famoso per aver recitato in Mr. Robot; nei panni di Elliot Alderson, Meaghan Martin che ha prestato il volto a Jessica, famosa in ambito videoludico per aver doppiato, in lingua inglese, Naminé nei videogiochi Kingdom Hearts e Hayden Panettiere (Samantha), famosa ormai anche nel cinema hollywoodiano e che ha dato la voce a Kairi protagonista femminile della serie Kingdom Hearts.
Un cast molto ricco, anche per l’aumento del budget, poiché il progetto era stato concepito in principio per PS3 con l’idea di farlo uscire nel 2013, con il supporto per PlayStation Move, ma fu rimandato per poterlo sviluppare per la nuova generazione di console e con molti più fondi per finanziare il progetto e con una nuova grafica, arrivando su PS4 nel 2015.

La grafica è un punto di forza per Until Dawn, con texture dettagliate, luci e chiaroscuri che rendono le ambientazioni, gli scenari e tutto ciò che li contorna elementi da vero e proprio film horror. I personaggi, oltre ad avere ottenuto una grande e profonda personalizzazione, sono ben definiti, con shader e colori non proprio sgargianti che richiamano l’ambiente di gioco. Le superfici e tutto l’ambiente sono molto dettagliati, e il gameplay che porta a visitare solo determinati posti che molte volte sono posti chiusi o con pochi dettagli da mostrare aiuta molto in tal senso, portando la console a renderizzare solo quel determinato luogo.

Anche il comparto sonoro è ottimo, dai rumori ambientali alla musica di Jason Graves (famoso per aver lavorato anche a giochi come Dead SpaceTomb RaiderThe Order: 1886Evolve e Far Cry: Primal). Un altro aspetto da elogiare è il doppiaggio: Until Dawn oltre a essere doppiato in italiano, ci permette di selezionare qualsiasi lingua per il doppiaggio e anche per i sottotitoli, in modo da accontentare chiunque, sia chi preferisca godersi il gioco senza stare a leggere sia chi voglia giocarlo con l’audio originale.

Per quanto riguarda la longevità, invece, il discorso è sfaccettato: Until Dawn può essere completato in una sola run, ma i “cacciatori di platini” dovranno rigiocarlo più volte, facendo determinate scelte per poter ottenere tutti i trofei. Per i comuni giocatori che invece vorranno rigiocarlo per poter fare scelte differenti o per trovare tutti gli oggetti collezionabili, il gioco potrà risultare noioso, essendosi persa la suspence della prima volta. Sapere già quali scelte fare per poter andare avanti o sapere l’esito della storia, porta il giocatore a completare, quasi meccanicamente, i vari capitoli.

Until Dawn offre un’esperienza di gioco ottima, che lascia il fiato sospeso e rende il gioco sempre più tetro anche se, verso il finale, la trama prende una piega molto strana che rischia di distruggere tutto ciò che ha costruito nelle ore precedenti. Il gameplay, seppur poco articolato, consta di una giocabilità molto fluida che porterà a riflettere prima di fare una scelta o, per le scelte a tempo, a usare i propri riflessi per evitare di causare una tragedia. Al gameplay si aggiunge anche la terapia psichiatrica con il Dr. Hill, pronto a farci domande su domande, per capire le nostre paure e i nostri scheletri nell’armadio.
Devo dire che l’insieme di tutti questi punti ha dato al gioco una sua personalità, rendendolo diverso da qualunque altro titolo horror.
Consigliabile un po’ a tutti coloro che cercano un’avventura horror che non duri molto, ma anche a chi possiede la PlayStation Camera, che verrà sfruttata per registrare e salvare clip nei momenti più spaventosi, immortalando le reazioni dei giocatori.




Distraint

Ogni creazione artistica racconta sempre qualcosa dell’epoca in cui è scritta: alcune opere portano con sé solo lo spirito del tempo, altre raccontano per scelta la propria contemporaneità. Se è vero che la letteratura ci ha narrato le storie di ogni tempo, il cinema ci ha restituito il ‘900, la musica continua a parlare ai cuori di interi popoli e le arti visive – dalle prime iscrizioni nelle caverne a oggi – hanno immortalato fatti e accadimenti della storia umana, probabilmente tra un secolo (o anche meno) le opere videoludiche contribuiranno a raccontare l’epoca in cui viviamo.
Il fatto che nel 2015 un giovane sviluppatore finlandese abbia prodotto un’avventura grafica a tinte fosche dall’ambientazione horror chiamata Distraint (e quindi intitolata al pignoramento) potrà dirla lunga su questi anni figli della grande recessione e della crisi dei Subprime.

Esecuzione forzata

“Each house is a story of failure — of bankruptcy and default, of debt and foreclosure”
(Sunset Park, Paul Auster)

Se il mio professore di diritto privato leggesse quanto sto per scrivere chiederebbe la revoca della mia laurea ma, semplificando, possiamo dire che il pignoramento è un mezzo con cui si sottrae qualcosa a qualcuno che ha avuto la cattiva idea di indebitarsi. Ogni cosa è pignorabile, anche le action figures che tenete sulla vostra scaffalatura. Ma se vi pignorassero un Funko Pop sarebbe forse più facile farsene una ragione (a meno che non abbiate quello di Clockwork Orange da 12.000 €) che se vi pignorassero la casa in cui abitate. Il pignoramento del proprio focolare è probabilmente una delle peggiori prospettive per chiunque: un’idea da incubo, ideale per un horror. Con la crisi l’aumento delle esecuzioni forzate sugli immobili è stato inevitabile e il game designer Jesse Makkonen si è forse chiesto come ci si deve sentire a non avere più una casa, ma soprattutto si è messo nei passi di chi ha l’onere di togliere la casa a qualcuno, strapparla via con tutto il suo deposito di ricordi, esperienze e momenti vissuti. Invece del cinico affarista privo di remore in simili situazioni, qui abbiamo il signor Price, un uomo dotato di coscienza ed empatia, caratteristiche non ideali quando ci si trova in un simile ruolo. Eppure Price dovrà andare fino in fondo nel suo viaggio tra stanze, corridoi, uffici, androni e soprattutto abitazioni da confiscare. Un percorso che è un susseguirsi di gironi danteschi in una storia dalla struttura vagamente dickensiana, un Canto di Natale fuori stagione che porterà Price a confrontarsi con i propri spettri nel corso di ogni espropriazione (che, per inciso, sono 3, proprio come i fantasmi di Natale del racconto dickensiano) e che lo vedrà in bilico tra i morsi della sua coscienza e la sua voglia di far carriera: intuiamo fin dall’inizio come il nostro protagonista non sia proprio un esempio di cinismo, a differenza dei suoi capi, gli sprezzanti McDade, Bruton & Moore, che appaiono di tanto in tanto a ricordargli le regole del successo. Il fatto che a presiedere ai pignoramenti vi sia un’azienda privata di cui Price è un semplice agente suona come un’incongruenza, visto che di solito quest’attività è di competenza dello Stato: ho pure cercato come vengono effettuate le esecuzioni forzate in Finlandia e in altre parti del mondo occidentale e pare che anche in questi paesi sia competenza di enti o agenzie governative, che non hanno un marchio privato come nel caso in questione. Sotto questo aspetto è dunque necessario fare uno sforzo di sospensione dell’incredulità, e francamente non viene difficile considerando l’ambientazione cupa e straniante e la tecnica di racconto non lineare, che ricorre a improvvisi salti temporali, a scene oniriche che raccolgono i frammenti del franto inconscio di Price e a sequenze surreali che rafforzano il senso d’angoscia trasmesso dal racconto, improntato sulla scia di un simbolismo che sembra unire David Lynch a Silent Hill in un unico titolo.

Nebbie in pixel art

Distraint è un’avventura grafica bidimensionale a tinte fosche in pixel art ideata da Jesse Makkonen, dicevamo, game designer finlandese già autore dell’interessantissimo Silence of the Sleep. Il gameplay è essenziale, trattandosi di un’avventura a scorrimento laterale nella quale l’obiettivo è risolvere enigmi non troppo complessi e che ha al centro storia e ambientazione atte a restituire il senso di angoscia e lacerazione interiore del protagonista. Come in un classico punta e clicca, si dovranno raccogliere oggetti che saranno raggruppati in un inventario dotato di tre soli slot (che non arriverete mai a riempire) e utilizzarli in modo da poter andare avanti.
Parlare di level design sarebbe troppo, trattandosi di un indie game dalla grafica basilare che risulta comunque buona, essendo questo uno speed project (lo stesso Makkonen scrive d’averci impiegato “82 giorni, 620 ore, tazzine di caffè 155/54 litri”) ma sul piano artistico la resa centra in pieno l’intento, grazie anche a piccoli, decisivi innesti come una nebbiolina d’effetti particellari atta ad accentuare l’atmosfera onirica e un effetto grana che contribuisce ad atemporalizzare la storia raccontata. Il sonoro completa questo quadro, insinuandosi in maniera delicata e appropriata e contribuendo in maniera decisiva a restuire un’ambientazione ansiogena e il dramma psicologico del protagonista.

L’elefante nella stanza

«Quel momento segnò la mia rovina: questa è la mia storia, e questi sono i miei rimpianti»
(Distraint)

Distraint è un’avventura grafica che potrebbe anche passare per una visual novel gotica, tanto il peso della trama è maggiore di quello degli enigmi; fosse letteratura sarebbe un racconto horror nemmeno tanto breve (ma neanche lunghissimo: il gioco dura circa un paio d’ore) dal buon ritmo, dai temi solidi e con qualche sbavatura: Makkonen calca probabilmente troppo la mano sugli elementi onirici, preme l’acceleratore del surrealismo e ogni tanto rischia di andare fuori strada. Nel tentativo di rendere più potente il piano simbolico dell’opera, alcune sequenze appaiono sovraccaricate e rischiano di risultare in parte poco funzionali al racconto, che a volte ne subisce il peso: la stessa scena dell’elefante (che resta comunque una delle più intense del titolo) non fa eccezione, e alcuni momenti simili rischiano di non giovare al risultato finale, mentre altri sono inseriti con grande equilibrio nel tessuto narrativo.
Ciò nonostante, Distraint resta un’opera interessante, nella quale l’autore ci restituisce una storia a più livelli, ottimamente resa nonostante gli stretti tempi di produzione, e nella quale il messaggio passa forte e chiaro, portandoci al finale in un climax di angoscia, ambiguità, claustrofobia onirica, ambientazioni surreali in cui non si lesinano i jumpscare.
Un’opera videoludica che denota una certa forza di contenuti e sapienza narrativa, e che piacerà agli amanti dell’horror psicologico e autoriale.




Remothered: Tormented Fathers

Scrivere una recensione su una demo è ben più difficile che per un titolo in versione definitiva. Lo è ancor di più quando si tratta di un’alpha version, normalmente dedicata a pochi fortunati. Noi siamo fra quelli, è toccato a me giocarlo e tocca a me condividere la mia – credetemi – terrificante esperienza con l’ultimo lavoro della Darril Arts, Remothered: Tormented Fathers.

Muovendo i primi timidi passi

Remothered: Tormented Fathers è già un titolo perfettamente giocabile, oltre che con mouse e tastiera, anche con il joypad, i comandi sono molto intuitivi e immediati.
Tutto comincia all’ingresso di una villa, ricca di particolari e molto evocativa: si rischia quasi sempre di perdersi nei dettagli ambientali, vi fermerete a fissare e ammirare gli elementi meno utili ai fini della storia, i lampadari, i tendaggi, le poltrone etc… Inutile dire che proprio da questi elementi si possono apprezzare le meraviglie prodotte con Unreal Engine (e vi ricordo che stiamo solamente parlando di un titolo in versione alpha).
Andando avanti nel gioco, in giro per la mansion troveremo oggetti che potremo raccogliere e che saranno suddivisi in due categorie: “diversivi” (vasi, tazzine, piatti, orologi sveglia) e “armi” (forbici, pugnali, argenteria varia).
Nell’alpha si potranno completare solo alcuni degli obiettivi per circa un’ora di gameplay.
All’interno della villa si aggira il padrone di casa, un vecchio folle, seminudo e trasandato che sghignazza, urla e vaga per i corridoi dell’oscura magione, brandendo un falcetto che avrebbe il piacere di utilizzare sulla nostra protagonista (riguardo la quale è chiara la somiglianza con Jodie Foster).
Bisognerà fare attenzione, muoversi silenziosamente è di fondamentale importanza per sopravvivere nel gioco. Il vecchio sarà praticamente una macchina da guerra, il nostro incubo peggiore, una volta scoperti è difficilissimo riuscirlo a seminare: personalmente sentivo il sangue raggelarsi nelle vene quando la musica si faceva incalzante e sentivo quei maledetti passi veloci, pesanti, sempre più forti alle mie spalle: neanche il tempo di girarsi e… WUAH!
Sotto questo punto di vista Remothered riesce sempre a tenere alta l’asticella della tensione durante il gameplay. Per nostra fortuna il team di sviluppo ha ben pensato di fornire ai giocatori anche dei checkpoint e dei punti di salvataggio che alleggeriranno il carico: in un gioco come questo aiutano non poco.
Alcuni piccoli bug sono inevitabili in una versione alpha, dal posizionamento di fronte ai punti di azione (cassetti, armadi…) che a volte risulta poco preciso, e ci si ritrova ad aprire e chiudere lo stesso cassetto un paio di volte qualche imprecisione forse legata alla telecamera nelle rotazioni durante le fughe in corsa, che risultano un po’ confusionarie. Nulla che, in un’alpha già di tutto rispetto, il team di sviluppo non possa risolvere, in vista dell’imminente lancio della versione beta.

Essendo una versione di test del gioco, un parere tecnico del titolo risulta limitante, ma di certo i ragazzi della Darril Arts, al momento, sembrano sulla strada giusta. A questo punto non rimane che dirsi “arrivederci” all’imminente uscita della beta, che dovrebbe apportare sostanziali miglioramenti a grafica, animazioni e probabilmente anche un bugfix.




What remains of Edith Finch

A distanza di due anni dalla versione PS4 di The Unfinished Swan, capolavoro indie di Giant Sparrow uscito su Playstation 3 nel 2012, tornano i ragazzi di Santa Monica e questa volta anche su PC, grazie all’intervento “a sorpresa” del publisher Annapurna Interactive, compagnia cinematografica americana che da qualche tempo si occupa anche di videogames.

Un racconto dell’Orrore

What Remains of Edith Finch è nient’altro che una collezione di racconti brevi, i quali narrano le storie dei membri di una famiglia “maledetta” e delle loro rispettive morti, ambientate nello stato di Washington.
Il gioco si apre in medias res, col nostro protagonista in viaggio su un battello verso una destinazione a noi sconosciuta.
In mano teniamo un mazzo di calle bianche che già preannuncia i futuri sviluppi della narrazione e un diario, il diario di Edith Finch. Aprendolo veniamo catapultati all’interno del racconto stesso, nel quale tutto comincia con la casa.

La Casa dei Finch

Edith ci racconta di essere l’ultima erede della casa appartenuta per secoli alla sua famiglia, un edificio dalla forma bizzarra sul quale scorcio si apre appunto la prima parte giocabile del titolo. E così, nei panni di una diciassettenne Edith, ci ritroviamo a percorrere il viale alberato e tortuoso che porta all’ingresso della magione mentre la nostra voce (in inglese), accompagnata dalle parole scritte (in italiano) che appaiono all’interno dell’ambientazione nella quale ci muoviamo, a volte fluttuanti, altre appiccicate agli oggetti, ci guida e pian piano ci introduce alla storia dell’infanzia trascorsa in questo luogo che, Edith stessa ci confessa, “mi metteva a disagio in un modo che non avrei saputo esprimere a parole”.
Parole che invece trova adesso, al momento della narrazione: “Avevo paura della casa”.

Il Sublime

Da qui in poi gli elementi del gotico e nello specifico del gotico americano ci sono tutti e si susseguono in maniera concitata, come in “Una discesa nel Maelström”, in un racconto fantastico a spirale discendente bilanciato e sostenuto dal nostro moto a spirale ascendente, all’interno della vecchia dimora dalla cantina al piano più alto, che ci permette di visitare le stanze di ciascuno degli antenati e parenti di Edith (fra cui quella del fratello scomparso Milton, che chi ha giocato il precedente titolo The Unfinished Swan collegherà certamente), curate tutte nei minimi particolari e nelle quali si susseguono storie di “vita e di morte, follia e sanità e soprattutto razionalità e irrazionale, realtà e immaginazione-visione”.

Nel Trattato del Sublime, l’autore è del parere che l’opera sublime mostra le capacità di creare con la lingua quelle realtà difficili da catalogare e confinare entro precisi limiti e definizioni.
Ed è così che Ian Dallas, creative director di Giant Sparrow, descrive il proprio gioco: un “Sublime horror”, citando il lavoro di Lovecraft ed indirettamente quello di tutti i suoi maestri, da Hawthorne a Dickinson ed Edgar Allan Poe.

Cosa rimane del videogioco

Abbiamo parlato di letteratura, di filosofia, di narrazione. Ma cosa resta di Edith Finch, al giocatore?
Restano una direzione artistica straordinaria e una grafica molto curata e accattivante, un level design ben congegnato e un sistema di controllo semplice e intuitivo. Ma in un’epoca in cui opere come questa vengono etichettate distrattamente come walking simulator, definizione che lascia abbondantemente trasparire il preconcetto secondo il quale un’opera ludica non possa essere tale nella sua manifestazione più semplice, ovvero quella di gioco a fini ricreativi e di svago, ludus in cui è prevalente la libera elaborazione della fantasia, ci rendiamo conto di quanto risulti difficile convincere il giocatore del fatto che anche una minima interazione che sia il movimento o la risoluzione di semplicissimi enigmi e puzzle ambientali, o una ricercata varietà nei mini-giochi di cui questa è costellata possano conferire all’opera il titolo di videogioco e, di contro, quanto sia invece naturalmente accettato che nell’annoverare fra le opere videoludiche propriamente dette un mero cineblockbuster interattivo come può essere Uncharted 4 non sorga mai alcuna piccola incertezza. A ciò si aggiunga poi la durata dell’esperienza, poco meno di tre ore nella sua totalità, e si capirà benissimo perché questa è una di quelle perle che spesso vengono snobbate o trascurate dal grande pubblico. Ma a proposito di quest’ultimo dettaglio lasciamo chiudere il discorso a chi dell’argomento nello specifico s’intende, ovvero il mai troppo citato Edgar Allan Poe con:

L’Elogio del racconto

“Il comune romanzo presenta problemi a causa della sua lunghezza. Poiché non può essere letto in una seduta, si priva da sé, com’è ovvio, dell’immensa forza che gli deriva dalla totalità. […] In un racconto breve, invece, l’autore ha la possibilità di sviluppare la pienezza dei suoi scopi, qualunque essi siano. Nel corso di un’ora di lettura l’anima del lettore è in balìa dello scrittore.”




Remothered: Tormented Fathers. Ci si prepara al rilascio della beta

Avverrà a breve il rilascio della beta di Remothered: Tormented Fathers, un videogioco made in Italy, targato Starmind Games con la collaborazione della Darril Arts. Anche se non è stata fissata una data certa, abbiamo la sicurezza che il gioco completo uscirà esclusivamente per PC/steam e PS4/psn entro il 2017. Nel frattempo potremo godere del video trailer rilasciato dalla casa di produzione.

Remothered: TF è il primo tanto atteso capitolo di una trilogia. Un’avventura survival-horror in terza persona. Giocando nei panni di Rosemary Reed, una giovane di 35 anni, ci troveremo a fronteggiare psicopatici e fanatici. Una fitta rete dove omicidi e ossessioni prendono vita.

Registrandovi nella pagina ufficiale del gioco, potrete avere accesso alla beta non appena diventerà disponibile. Inoltre, iscrivendovi riceverete in regalo: gli storyboard digitali, un wallpaper per i fan e, per concludere in bellezza, la canzone “Tormented Fathers”, brano tratto dalla colonna sonora del gioco, scritta da Nobuko Toda (conosciuto come compositore per Final Fantasy, Halo, Metal Gear Solid…).




Outlast II: rilasciato trailer di lancio e prime immagini.

Outlast II sarà rilasciato sul mercato il 25 Aprile per Pc, Xbox One e Playstation4 e già dai trailer/ immagini si preannuncia un degno successore del primo capitolo.Quest’oggi Red Barrels, la casa produttrice della saga di Outlast, ha rilasciato un trailer di lancio e un bel po’ di foto macabre, un classico per il franchise di Outlast, materiale che ci offre una visione più completa delle ambientazioni e della storia di questo nuovo capitolo.
La trama non è collegata a quella del primo episodio, è ambientata negli anni 70 ed è ispirata al terribile massacro di Jonestown del 1978.
In Outlast II ci ritroveremo nei panni del cameraman e reporter Blake Langermann che si ritroverà in un villaggio sperduto dell’Arizona dove indagherà sull’assassinio di una donna. Inizialmente per Blake era una normalissima indagine: non sapeva di star andando incontro a qualcosa che non aveva mai visto prima d’ora.
Ecco qui di seguito il trailer di lancio, le immagini e le specifiche tecniche per poterlo giocare su pc:

 

 

Configurazione minima

OS: Windows Vista / 7 / 8 / 10, 64-bits
Processor: Intel Core i3-530
Memory: 4 GB RAM
Graphics: 1GB VRAM, NVIDIA Geforce GTX 260 / ATI Radeon HD 4870
DirectX: Version 10
Storage: 30 GB available space
Sound Card: DirectX Compatible
Additional Notes: Targetting 720p @ 30 fps

Configurazione raccomandata

OS: Windows Vista / 7 / 8 / 10, 64-bits
Processor: Intel Core i5
Memory: 8 GB RAM
Graphics: 1.5GB VRAM, NVIDIA Geforce GTX 660 / ATI Radeon HD 7850
DirectX: Version 11
Storage: 30 GB available space
Sound Card: DirectX Compatible
Additional Notes: Targetting 1080p @ 60 fps
Fonte: Steam

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