Cinque videogames da giocare ad Halloween

E come tutti gli anni, ci ritroviamo sempre in quel periodo in cui l‘oscurità e il mistero domina le nostre serate, specialmente nella notte di Halloween, dove milioni di bambini e non si dilettano a vagare per la città travestiti da mostri, vampiri e qualsivoglia creatura terrificante. Tuttavia per chi non avesse programmi per il 31 ottobre, con questa interessante Top potrete trovare delle valide alternative per il vostro Halloween da paura.

Nella nebbia di Silent Hill…

E partiamo subito con il classico dei classici, giusto per mettervi ansia passeggiando tra la nebbia cittadina. Rilasciato nel 1999, il caro vecchio Silent Hill è praticamente perfetto per accompagnarvi durante la notte a suon di mostri piramidali e dalle stranezze più disparate. All’interno del gioco impersonerete Harry Mason alla ricerca della figlia adottiva di sette anni scomparsa nella nebbia della tranquilla cittadina di Silent Hill appunto. Il titolo offre ben cinque finali alternativi di cui uno visibile solo dopo aver completato il gioco come determinate condizioni. Quindi, se siete così messi male da adorare la nebbia — o abitate sopra l’Arno — , Silent Hill è il videogame che fa per voi.

P.T. di papà Kojima

Distribuito nel 2014, P.T. che sta per Playable Teaser, non è altro che un teaser interattivo in cui un protagonista sconosciuto si risveglia in un corridoio molteplici volte, come in un loop, ma con piccole inquietanti variazioni. Man mano la situazione acquisterà un senso ed essendo targato Kojima, la qualità di trama e scenario di certo non manca.

A cena con Resident Evil 7

Se proprio avete voglia di un bel arresto cardio-circolatorio la soluzione migliore è giocare Resident Evil 7: Biohazard col supporto VR. Rilasciato nel gennaio del 2016, RE7 è l’ennesimo titolo di casa Capcom, in cui nostri antagonisti saranno una tenera famigliola dai gusti alimentari discutibili. Essendo un titolo con visuale in prima persona non c’è niente di meglio di un visore VR e un pannolone per adulti per rendere il tutto più coinvolgente ma senza rischiare di macchiare le proprie mutande.

Monache rosse e vecchietti seminudi

Se siete degli amanti degli hideandseek come Friday the 13th, uno dei migliori del genere è proprio Remothered: Tormented Fathers, del designer italiano Chris Darril. Accolto ottimamente dalla critica, vincendo numerosi premi, come miglior indie, miglior horror, miglior gioco italiano e alcuni Game of The Year. La trama si svolge tra le pareti di casa Felton, in cui la protagonista principale, Rosemary Reed deve scappare dalle grinfie del padrone di casa, mentalmente instabile che, seminudo, rincorrerà la protagonista con una falce, affiancato da una monaca vestita di rosso. Proprio un bel titolo per passare il tempo rincorsi da vecchietti in giro per casa, anche se detta non suona poi così bene.

Xenomorfi spaziali

Concludiamo questa Top con un bel titolone horror, ma non troppo, Alien: Isolation, la cui trama è ambientata ben 15 anni dopo il primo lungometraggio. Come tutti gli horror l‘obiettivo più importante sarà quello di non morire malamente braccati dagli xenomorfi, capaci di correre come Usain Bolt nel 2009. Un bel mix di spazio, alieni e giocate a nascondino. Che volete di più?

Beh che dire “follettini e follettine” con questo si chiude la nostra top da cagarsi in mano per Halloween, speriamo di avervi soddisfatto e sopratutto di avervi messo paura, MHUAHAHA!!!




Hellsign

È possibile lanciare sul mercato un videogioco utilizzando degli asset base? Un videogioco che miscela trama horror, investigazione e azione in un composto forse troppo confusionario. Il paranormale è una bella attrattiva, così come il sistema di investigazione, semplicistico ma ben realizzato, al contrario di quanto avviene con le dinamiche di combattimento.
Hellsign, un esperimento di Ballistic Interactive, risulta un po’ troppo confusionario su diversi fronti: partendo dai comandi, molto macchinosi e poco precisi, fino ad arrivare alla gestione dei menù e sottomenù annessi per lo sviluppo del personaggio e la raccolta dati.

Perché Hellsign

A causa di una voglia sulla pelle, il nostro personaggio sarà destinato a divenire un “Hunter”, notizia che sembra non preoccupare minimamente il nostro alter-ego (come se fosse normale essere dei predestinati) ma, mancanza di pathos a parte, la strada è lunga e tortuosa prima di poter accedere ai privilegi di essere un vero cacciatore. Inizieremo il percorso facendo da “scout” a un team di Hunter professionisti ed è proprio da qui, che parte l’avventura di Hellsign. Dopo un brevissimo tutorial, vieni abbandonato a te stesso senza alcuna cognizione di causa: non avrai un “questlog“, né un riassunto dei compiti da svolgere durante le missioni (il ché è già abbastanza frustrante di suo) in più, anche nelle missioni che richiedono il “ranking” più basso, si affrontano nemici difficili da eliminare; tutti elementi questi, non fanno altro che portare a frustrazione, portandoci non  riprovare mai più l’incarico.

Il Gameplay

Le meccaniche di combattimento sono semplici, si spara e si schiva, ma il sistema di puntamento impreciso e scomodo, va a discapito della giocabilità in un’opera con visuale isometrica. Capiterà spesso e volentieri di far fuoco in un punto piuttosto che in quello desiderato. In Hellsign sono previsti diversi tipi di missioni o “contratti”, accessibili comodamente da una mappa riassuntiva della città, capaci di indurci a esplorare in cerca di indizi o cacciare a seconda dell’incarico, spesso in abitazioni abbandonate e infestate da entità sovrannaturali delle peggiori specie. Abitazioni che però, sin da subito, daranno l’impressione di essere identiche le une alle altre, il ché rende il tutto monotono e ripetitivo.
È presente anche un albero delle abilità da poter sviluppare per riuscire meglio nelle nostre imprese: è da notificare però, la difficoltà eccessiva per riuscire ad acquisire “skill point” adatti ai nostri scopi.

Tecnicamente parlando

Il comparto grafico di Hellsign è interessante, ma non va oltre. Una grafica pulita che con i giusti giochi di luce e ombra si colloca benissimo nella scena horror in cui vuole posizionarsi il gioco. Le animazioni invece, sembrano esser state utilizzate senza lavori di ottimizzazione: praticamente semplici asset, davvero basilari e scialbi.
Durante i nostri incarichi saremo accompagnati da un tappeto musicale composto di sonorità “ambient and noise”, accompagnato a sua volta, da “magistraliFX come il suono dei nostri passi completamente aritmici e buttati lì a casaccio.

Concludendo

Hellsign sarebbe un ottimo free-to-play, ma purtroppo non lo è. Su Steam si trova a 14,99 euro, tanto quanto Fallout 4 di Bethesda sulla stessa piattaforma per intenderci –mi pare sia abbastanza ovvio l’impossibile paragone no? –. Purtroppo è un tentativo fallito di proporre qualcosa di nuovo: pur carina e originale l’idea di base, rimane il fatto che sia stata completamente corrosa da una cattivissima gestione dei contenuti del gioco.




Remothered: Tormented Fathers

Nella mia storia di gamer ho vissuto un periodo (neanche breve) in cui mi sono allontanato dai videogame. Non è stato un momento dettato da ragioni di stanchezza nei confronti del medium, né una scelta dovuto a mancanza di stimoli: senza troppi giri di parole è stata una forma di self-punishment, dovuta a una serie di circostanze che hanno caratterizzato una transizione particolare della mia vita. Il ritorno all’ovile videoludico è avvenuto in un momento ancora più critico, un frangente in cui ho capito la reale dimensione dei videogame nella mia esistenza: quella di scialuppa di salvataggio, asse di quella Pequod che, irrobustita da scrittura e letteratura, mi ha permesso negli anni di restare a galla nell’eterna lotta contro i miei capodogli umorali. In quel frangente difficile, in piena epoca PS3, mi ritrovai a rispolverare la mia vecchia PS2 come fossi ancora lo studente dei primi anni di università. Capii tempo dopo le ragioni della scelta, che risiedevano in un bisogno di ritrovamento di un “Io originario”, lasciato forzatamente per anni in un ripostiglio della coscienza. Ricordo che entrai in un negozio e, ravanando tra l’usato, trovai una copia di Haunting Ground, che si rivelò il mezzo necessario per l’apertura di quel portale temporale: è curioso che, in un momento simile, nel quale molti penserebbero come necessaria la serenità piuttosto che un concentrato di tensione e immagini cupe, siano stati i survival horror a tornare in mio soccorso. Dico “tornare” perché il lato gotico del fantastico è stato un po’ il mio portale d’accesso a tutte le arti: quello di racconti e arabeschi di Edgar Allan Poe della SugarCo è stato il primo libro che ricordo di aver amato, così come nel cinema dei quei primi anni ’90 rimanevo folgorato da IT. E non è un caso che fosse proprio Maniac Mansion a introdurmi al mio genere preferito, le avventure grafiche, col suo carico di mistero e di tensione che accompagnavano l’intento parodistico nei confronti delle storie horror. Inutile dire che il primo approccio con quello che era destinato a divenire il moderno survival horror fu con Alone in the Dark, e da lì fu solo un attendere i Silent Hill, i Forbidden SirenProject Zero, titoli dotati non soltanto di una narrazione grandemente curata, che andava dallo psicologico al folklore nero, ma che calavano il giocatore in uno stato di assoluta impotenza, rendendo necessario ricorrere a ben altro che agli scontri fisici o armati per assicurarsi la sopravvivenza. Non potevo dunque non amare Clock Tower 3, ed è chiaro come la storia di Fiona Belli, costretta a fuggire con l’aiuto di un cane per le stanze dell’immenso castello di Haunting Ground, fosse un inevitabile, dolcissimo ritorno a sensazioni perdute.
Ed è partendo da simili sensazioni che è per me necessario introdurre il primo grande pregio di Remothered: Tormented Fathers (altrimenti a cosa sarebbe servito questo lungo preambolo?), la cui esperienza di gioco è stata una madeleine proustiana che, nella sua lenta masticazione, ha avuto il merito di sprigionare sfere sensoriali sopite da un po’ di anni. Ma non è certo questo personalissimo assunto di partenza a farne l’ottimo survival horror che è.

Incubi in analessi

La narrazione di Remothered: Tormented Fathers comincia in medias res, mentre un’anziana Madame Svenska racconta a un interlocutore fuori campo gli accadimenti di cui è stata protagonista anni addietro Rosemary Reed, a seguito di un incontro con il notaio Felton ottenuto spacciandosi per una dottoressa dell’istituto nel quale era tempo stato ricoverato. Smascherata durante il colloquio da Gloria, infermiera preposta alle cure del notaio, la vedremo introdursi in casa Felton qualche ora dopo essere stata messa alla porta. Sarà l’inizio di una catabasi nell’orrore nascosto fra le mura domestiche, ma soprattutto nell’inferno della psiche umana. La sua esplorazione la porterà gradualmente nei meandri di una dark side che vedrà luce tra documenti, video, foto e altri oggetti utili a ricostruire un oscuro passato, fatto di nebulose sperimentazioni su un farmaco dell’evidente impatto sui processi mnemonici, il Phenoxyl, e di un ambiguo rapporto con la figlia del notaio, Celeste, misteriosamente scomparsa anni addietro. A “disturbare” questo percorso di scoperta ci saranno gli avversari che si avvicenderanno nel gioco, dallo stesso Felton, armato di falce e deciso a contrastare ogni intrusione, a una misteriosa suora rossa armata di uno spesso bastone a forma di colonna vertebrale. Le scoperte saranno molto interessanti, e verranno pagate al prezzo di lunghe ore di terrore e tensione costante.

Padri tormentati

Pur essendo uscito lo scorso 30 gennaio (data annunciata nel corso della Milan Games Week 2017) su PC, per poi arrivare in estate su PS4 e Xbox, Remothered: Tormented Fathers ha alle spalle una lunga storia di sviluppo: l’idea di base nasce già quando il creative director Chris Darril sedeva ancora tra i banchi di scuola della sua Catania. Nel 2007 si sviluppa un primo nucleo fortemente indebitato con Clock Tower, che vide una più marcata e originale identità un paio di anni dopo, quando il progetto cominciò ad assumere una prima forma su RPG Maker XP, dove viene pensato come survival horror 2D. Chris Darril comincia però a intuire i limiti di una simile scelta e, nonostante alcuni riscontri positivi sulla rete, decide di mettere in standby lo sviluppo, rifiutando anche alcune proposte di cessione dei diritti o di partnership. È una scelta difficile, umile e intelligente, e che darà i suoi frutti anni dopo, quando il game designer tornerà sul progetto con alle spalle esperienze di rilievo maturate nel settore, proprio in campo survival horror, da Forgotten Memories: Alternate Realities al più recente Nightcry, nel quale Darril assume il ruolo di board artist e concept designer sotto la direzione del regista Takashi Shimizu (noto per la saga cinematografica di The Grudge) e di Hifumi Kono, padre della saga di Clock Tower. Chiaro come simili lavori possano arricchire l’esperienza di un game designer, e questi anni sono utilissimi per garantire a Chris Darril una maggior consapevolezza nel passaggio dal 2D al 3D e, soprattutto, per poter lavorare su Unreal Engine 4, motore sul quale è sviluppata la versione finale del gioco.
Il risultato è letteralmente da manuale: quella di Remothered: Tormented Fathers è una lezione accademica in campo survival horror. Darril dimostra di aver acquisito alle perfezione le dinamiche e le meccaniche del genere, e ne dà saggio nel videogame che vede il suo esordio alla direzione creativa. All’interno della villa, il cammino di Rosemary Reed sarà disseminato della documentazione utile a ricostruire l’intera cornice narrativa, in un procedimento “piece by piece” mantenuto lineare e che non rende mai la narrazione frammentaria. Dalla nostra visuale in terza persona ci troveremo spesso a muovere la protagonista in modalità stealth, stando attenti a evitare lo stalker di turno e a nasconderci in un armadio o sotto un divano per sfuggire all’attacco, al quale potremo non soccombere scagliando un oggetto da lancio o, in ultima istanza, reagendo con tempismo usando un’arma di difesa. Vari di questi oggetti potranno essere utilizzati anche come diversivi da piazzare in posti strategici, e in giro per la casa si potranno trovare dei potenziamenti di attacco e difesa dei singoli item.
A differenza di altri titoli del genere, qui non è presente una modalità di gestione del panico, elemento che forse avrebbe regalato un po’ di pepe al gameplay: ci troviamo con una Rosemary praticamente instancabile, e questo facilita un po’ la dinamica hide&run su cui si regge il gioco. A compensare ci pensa però un buon bilanciamento dei nascondigli, non così frequenti da rendere troppo semplice la fuga: è uno degli elementi a favore di una gestione degli ambienti e di una strutturazione dei livelli globalmente molto ben congegnate.

Fra design e regia autoriale

Il level design è infatti uno degli elementi meglio studiati di Remothered: anche qui, nessuna rivoluzione, nessuna soluzione audace o fuori dagli schemi. La meta del design è un’altra: si vede il chiaro intento di proporre scenari e livelli che rispondano perfettamente ai canoni del genere, capaci di assicurare le stesse dinamiche in termini di ostacoli e vie di fuga. È un lavoro di taratura del metronomo dei tempi di gioco, e anche in questi termini l’obiettivo è pienamente centrato: non era affatto un risultato scontato, ed è una scelta che apporta giovamento anche sul piano visivo, con environment attentamente architettati e ben giocabili in fase di gameplay, ma anche molto belli a vedersi. Le relazioni di ordine-caos tra i vari elementi ambientali creano una perfetta armonia contestuale, restituendo il senso di opulenza e decadenza, di splendore perduto e insanità gotica che danno al titolo una cifra stilistica ben marcata, con una straordinaria cura dei dettagli che si apprezza particolarmente in ambienti come lo studio di Felton o l’attico, dove l’affastellarsi di manichini e bambole penzolanti è un altro chiaro omaggio all’iconografia di genere, una scelta quasi scolastica che riesce miracolosamente a non risultare retorica, preservando la bellezza del quadro d’insieme. I tributi videoludici, a onor del vero, sono disseminati ovunque e, se le dinamiche di gioco richiamano Clock Tower e i suoi derivati, il rapporto con la memoria-psiche richiama molto da vicino la già citata saga di Silent Hill, non ultimo Shattered Memories sia per l’oscura ambivalenza che sta nella relazione tra personaggi e ricordi perduti, sia per alcune sequenze video, dalle sedute di mesmerizzazione (dove l’inquadratura richiama il mezzobusto dello psicanalista del titolo Konami) al dondolio della ragazzina sull’altalena. Il tributo di Chris Darril non si ferma al medium videoludico, l’influenza è marcatamente cinematografica, come può intuirsi dalle lunghe cinematiche del titolo e soprattutto dall’alta cura al linguaggio di regia, all’uso della prospettiva, ai movimenti di camera, ai piani sequenza: il game designer catanese ha ammesso il proprio debito nei confronti di Polanski (palesato già nel nome della protagonista), di Lynch, di Hitchcock e del Pupi Avati de La casa delle finestre che ridono e del Demme de Il silenzio degli innocenti (che la protagonista sia molto simile a Jodie Foster lo avete notato tutti, no?) ma, a guardar bene, si riesce a scorgere anche di più: l’attico non può non riportare alla mente i manichini del Maniac di Lustig, di Tourist Trap, di House of Wax, di The Basement (o quelli del Silent Hill videoludico, of course) così come le bambole al muro ci rimandano a classici come DollsPuppet Master o al più recente Dead Silence. C’è lo sguardo abissale di David Cronenberg, la morbosità del primo Tobe Hooper, e anche la raffinata artigianalità del John Carpenter degli inizi: se dovessimo guardare Remothered solo da un punto di vista eminentemente cinematografico, sarebbe già un esordio straordinario, nel quale il director mostra di aver imparato bene anche la lezione dei grandi maestri della settima arte.
I difetti di questo primo titolo si manifestano in realtà su un piano eminentemente tecnico, con un’illuminazione a volte troppo marcata, che rende personaggi e ambienti un po’ affettati, un uso non sempre felice della saturazione cromatica (visibile fin dalle prime sequenze, a partire dalla brace della sigaretta accesa di Rosemary Reed) e animazioni che portano con sé più di una sbavatura. Ma parliamo di un lavoro indipendente, dove ai team di Darril Arts e Stormind Games va riconosciuto comunque il merito di aver ottimizzato bene le risorse disponibili, ottenendo una resa che sul piano tecnico è ottima ad onta delle imperfezioni. Se l’art-style trova i più felici risultati nel quadro d’insieme, con una quantità di elementi negli ambienti che formano uno stupendo mosaico, capace di restituire un veridico sfarzo e al contempo un’inquietante entropia, i primi piani denotano certi limiti poligonali in termini di definizione dei character, così come alcuni dettagli nei personaggi godono di scarso dinamismo, ma ricordiamo che il miglioramento di alcuni elementi in tal caso non dipende dalla sola perizia tecnica, quanto dal budget.
Il peccato meno veniale di quest’opera sta forse all’interno del comparto sonoro: se negli SFX il titolo può vantare una buona gamma ben gestita, dove i rumori di sottofondo o d’impatto sono utilizzati con sapienza, un problema non da poco si riscontra giocando in cuffia. Con gli headset alle orecchie, infatti, si può sentire chiaramente come i suoni degli stalker (dal rumore dei passi a un appropriatissimo Old MacDonald had a Farm canticchiato da Felton, scelta d’efficacia, che aumenta a dismisura il senso di inquietudine) provengano soltanto da sinistra, risultando un po’ penalizzante per l’esperienza di gioco, in un titolo dove l’ascolto del nemico diventa molto importante, in quanto le scelte riguardo il cammino determinano la vita e la morte, e un audio monodirezionale non permette di intuire la posizione del nemico. Per fortuna le meccaniche sono studiate bene e questo difetto (derivante anche dai limiti di Unreal in termini di audio 3D) risulta un limite non castrante.
Dal punto di vista sonoro, del resto, il gioco si avvale di una colonna sonora straordinaria, che vede Nobuko Toda (composer che ha contribuito a soundtrack del calibro di Final Fantasy XIV e a quelle di vari Metal Gear Solid) al fianco dell’italiano Luca Balboni, giovane compositore che recentemente aveva dato un ottimo saggio delle proprie capacità musicali in Mine, italianissimo film di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro con un buon riscontro di critica e pubblico. Il suo lavoro in Remothered non è certo da meno, anzi, l’estrazione eminentemente cinematografica dell’OST si percepisce all’istante, si sente un debito verso grandi maestri del cinema classico come Hans Zimmer e Danny Elfman ma che non si traduce in un’obbedienza mite e pedissequa al canone: si sentono a tratti le atmosfere cupe e asfissianti del Mother! di Aronofsky, richiamando quel gioco di dissonanze messo su da Jóhann Jóhannsson, ma anche influenze più “pop”, che nei brani cantati riportano alle sonorità melanconiche e cullanti dell’Elvis Costello di Imperial Bedroom. Il risultato è una pietra preziosa sul piano compositivo, che ben si incastona in un gioiello horror del mondo videoludico indie.

Nastro rosso

Senza troppi giri di parole, Remothered: Tormented Fathers è l’esordio videoludico italiano dell’anno: con una scrittura equilibratissima, sottesa fra l’orrore della memoria e l’inferno della psiche, e una forte base cinematografica che si dispiega in intense cinematiche, il titolo riesce a sostenere dall’inizio alla fine una narrazione senza inciampi, sorretta da circa 6 ore di gameplay dinamico, ricco di enigmi ben strutturati e di fughe al cardiopalmo, in un susseguirsi di colpi di scena ed evoluzioni che non spezzano mai la tensione e stimolano la continua ricerca della soluzione per andare avanti. Nel lavoro di Chris Darril, lo abbiamo già detto, non si manifesta alcun intento rivoluzionario nei confronti del canone di genere, ma la maestria con cui è strutturato e realizzato questo titolo d’esordio rende bene l’idea di quale sia la sua cassetta degli attrezzi, lasciando grosse aspettative per il futuro.
Del resto, nelle intenzioni del game designer catanese, Remothered: Tormented Fathers è solo il primo capitolo di una trilogia di cui è stata già scritta l’intera storia: il potenziale è enorme, e ci sono tutti i motivi per attendere con trepidazione il sequel, sperando che una grossa produzione sposi il progetto e fornisca un adeguato budget per un titolo che merita i fasti del tripla A.




Machiavillain

Sviluppato da Wild Factor, Machiavillain è un gestionale orrorifico che ricalca il percorso di titoli storici quali Dungeon Keeper e Prison Architect.

Appena avviato, il titolo si presenta con una mini-schermata che fornisce la possibilità di personalizzare le configurazioni (grafica, comandi, schermi ecc.).
Una volta dentro al gioco vestiremo i panni di “Dio”, visto che ci ritroveremo a dover costruire la nostra villa dell’orrore così da far eseguire una serie di macabri omicidi da parte dei nostri minion. Quest’ultimi, stranamente, riescono a capire quando sono sfruttati e, infatti, se schiavizzati si rivolteranno contro le nostre creazioni fino ad abbandonare il proprio lavoro. I nostri obiettivi principali sono due: soddisfare i nostri “impiegati” e scalare la piramide gerarchica della leva dei malvagi. Inoltre, avremo la possibilità di scegliere i nostri sottoposti in base alle nostre preferenze e alle loro peculiarità.

Inizialmente ci ritroveremo a poter comandare 3 minion, il numero di quest’ultimi aumenta con il progressivo avanzamento del proprio grado all’interno della lega. Nei primi minuti di gioco il nostro obiettivo sarà quello di farmare e, di conseguenza, creare la trappola mortale (la casa). All’interno del titolo è possibile pre-selezionare i seguenti campi (raccolta dei minerali, raccolta di piante e raccolta della legna). Inoltre, come detto in precedenza, ognuno dei nostri personaggi sarà propenso a essere migliore in un lavoro rispetto agli altri. Qui entra in azione la schermata “lavori”, infatti, sarà possibile assegnare la priorità dei compiti da eseguire automaticamente. Con l’aumentare dei nostri adepti aumenterà anche il consumo dei viveri, per questo motivo è consigliabile scegliere i mostri diversificando le “razze”, visto che per ogni tipologia varia anche l’alimentazione. Infine, dopo aver costruito la nostra casa degli orrori, arriverà la parte “clou” del gioco, ovvero quella che ci vedrà attirare le vittime nella nostra villa così da ucciderle e usare i loro resti come fonte di cibo. Per commettere i nostri omicidi, ci serviremo della “pubblicità”, che servirà ad attirare gli sventurati nella nostra dimora. Prima del loro arrivo dovremo però far sì che i nostri mostri stiano nascosti e che il pavimento non sia sporco di sangue, visto che potrebbero spaventare gli ospiti facendoli scappare e, di conseguenza, aumenterebbero il sospetto attorno alla nostra villa.

Con l’aumentare di livello e con il passare dei giorni la difficoltà aumenterà. Cominceremo a essere attaccati frequentemente dai ragni, aumenterà il consumo di cibo e i minion cominceranno a essere sempre più stressati. La parte che probabilmente funziona meglio all’interno del titolo è quella che ci vede pianificare la composizione della nostra villa, modificabile in maniera molto semplice e soprattutto molto personalizzabile. Machiavillain sfrutta uno stile grafico cartoonesco, che in titoli del genere non guasta mai, si presenta, inoltre, con dei modelli abbastanza carini e apprezzabili. Dal punto di vista sonoro, gli sviluppatori hanno fatto un buon lavoro data l’ampia varietà di brani.
Infine, il titolo è molto carino, con difetti che non lo rendono perfetto ma rimane comunque un ottimo indie, capace di intrattenere i giocatori con molte ore di gameplay vario. Il titolo è disponibile su Steam a 20 euro.




Debris

Debris. Un’avventura visionaria negli abissi dell’ artico: in seguito alla caduta di un meteorite, una equipe di 3 sommozzatori, Chris, Sonya e Ryan (il nostro personaggio principale), viene ingaggiata dall’agenzia ALTA per girare una clip del detrito spaziale (da qui il nome del gioco); a causa di una fonte energetica ancora sconosciuta che scuoterà i ghiacciai, i poveri sventurati si ritroveranno ben presto separati e intrappolati in un inferno di roccia e ghiaccio… e non saranno soli.

Ecco, avete presente quei trailer che alzano l’asticella delle vostre aspettative alle stelle con video e immagini mozzafiato, che vi spingono a comprare il biglietto… e poi vi ritrovate seduti al cinema a vedere quello che di fatto è un b-movie?
Ecco, con Debris non ci andiamo lontano.

How to play

Debris, prodotto e sviluppato da Moonray Studios, è un gioco semplice e dai comandi molto intuitivi, tanto da permetterci di ottenere il pieno controllo del nostro personaggio in brevissimo tempo. Per la nostra sopravvivenza dovremo avvalerci di un timer energetico che, in buona sostanza, non dovremo mai far arrivare allo 0, poiché sarà quello che ci terrà in vita e ci darà la possibilità di utilizzare un fucile subacqueo a impulsi per illuminare zone troppo buie sparando dei “flare” o di eliminare diversi pericoli cambiando modalità di fuoco. Ad aiutarci nella nostra impresa ci sarà una seppia meccanica che fungerà da faro nel profondo buio abissale in cui ci ritroviamo e che, raccogliendo diverse risorse dalle rocce minerali sui fondali, le condividerà con noi tramite una sincronizzazione, permettendoci in questo modo di ricaricare in parte anche il nostro timer energetico. La seppia non vive di vita propria, ma viene pilotata in remoto dalla nostra compagna di sventure Sonya, che ci guiderà illuminandoci il cammino, a parte quando decide di andarsene per conto suo. Ovviamente lo scopo del gioco è quello di ritrovare i propri compagni e scoprire quali segreti si celino dietro questi misteriosi avvenimenti.

Bella l’idea della modalità co-op, che ci permetterà di godere dell’avventura in maniera più coinvolgente, purtroppo però questo può avvenire solamente tra amici – il che, è difficile – che dovranno quindi possedere il gioco su Steam, rendendo di fatto più oneroso e difficile il gioco in cooperativa.

A cosa è servito regolare le impostazioni grafiche?

Come vi dicevo, l’aspettativa altissima data dai trailer illude parecchio il giocatore, anche per le immagini che vedremo nella preview delle impostazioni grafiche, decisamente ingannevoli rispetto a quello che realmente vedremo in game.
Le ambientazioni, che dapprima saranno abbastanza suggestive da tenervi con il fiato sospeso ma che, purtroppo, dopo i primi minuti si riveleranno estremamente monotone – a parte qualche piccola novità decorativa di tanto in tanto – molto probabilmente hanno giocato un ruolo fondamentale sulla sensazione di ripetitività che Debris infonde nel giocatore già dopo pochi minuti di gameplay. Aggirarsi continuamente tra cunicoli stretti dalle pareti di ghiaccio per poi sfociare in enormi spazi bui forse non incentiverà future sessioni di gioco. I modelli poligonali dell’intero environment, senza escludere flora e fauna sottomarina, sono resi decisamente male, contornati come se non bastasse anche da texture molto approssimative e spesso confusionarie.

Colonna sonora: il goal della bandiera?

Se c’è una cosa che il team Moonray Studios ha fatto bene, è il comparto audioAzzeccatissimo e molto suggestivo, con suoni profondi e stimolanti che tengono alta la tensione durante il gioco. Suoni che si fondono perfettamente con il tipo di gameplay proposto, tra esplorazione e sopravvivenza.

Tirando le somme

Debris è in vendita sulla piattaforma Steam per 19,99 €. Un prezzo forse eccessivo per quello che il gioco in realtà offre. Non c’è abbastanza carne al fuoco e l’equilibrio globale del titolo è claudicante. Da un gioco ambientato in delle grotte sottomarine è vero che ci si può aspettare un susseguirsi di labirinti e cunicoli, ma è altrettanto vero, però, che quando ci si appoggia a trame intricate bisogna ricordarsi di catturare l’attenzione del giocatore anche con altri mezzi, e un miglior comparto grafico avrebbe sicuramente giovato a un gioco che poteva essere impiegato meglio.




Il producer di Layers of Fear: Legacy si racconta

Uscito per Xbox One, Playstation 4 e PC, Layers Of Fear arriva anche su Nintendo Switch in una versione rivisitata, denominata Layers of Fear: Legacy. Ridisegnato per adattarsi alla capacità della console, sarà giocabile sia in modalità portatile che in modalità fissa e comprende anche il DLC inheritance. Il gioco è uno dei primi horror a essere uscito su Nintendo Switch. Dato che il gioco è appena arrivato sulla console ibridaper celebrare la sua uscita, Nintendolife ha intervistato il produttore del gioco Rafal Basaj. Durante l’intervista, il produttore ha spiegato come lo sviluppo di tale versione sia cominciato già nel 2017, ai tempi in cui Switch era poco più di un rumor. Ciò nonostante erano fiduciosi sul potenziale della console. Inoltre, durante lo sviluppo, a quanto pare, si sono stati riscontrati molti problemi per via delle specifiche tecniche della console, sopratutto per la poca memoria disponibile anche sulle cartucce. Fortunatamente è intervenuto il team Nintendo risolvendo ogni tipo di problema.

È stato anche chiesto quanto l’horror sia rappresentato sulle piattaforme Nintendo:

«Nintendo non ha mai avuto tanti giochi horror sulle sue piattaforme, ma quando sono usciti, si è trattato sempre di titoli di qualità. Da Sweet Home, distribuito in Asia per Famicom, attraverso Clock Tower (Super Famicom), a Eternal Darkness: Sanity’s Requiem pubblicato esclusivamente su GameCube, a Luigi’s Mansion. Questo dimostra che Nintendo ha idee su come presentare un horror in grande stile sulle sue piattaforme.  Siamo estremamente felici di poter essere tra quei titoli con il lancio di Layers of Fear: Legacy per Nintendo Switch

In seguito, l’intervista si è spostata sui gusti personali in fatto di horror da parte di Basaj, rispondendo anche in maniera sorprendente:

«Penso che la maggior parte di noi in ufficio, quando si tratta di Nintendo, pensi a Eternal Darkness,  Resident Evil 4 Resident Evil. Ma andando oltre Nintendo dobbiamo menzionare Silent Hill 2, Amnesia, Forbidden Siren, Phantasmagoria, Alone In The Dark e tanti altri. Mentre come titolo poco ortodosso da menzionare qui: Diablo. La maggior parte delle persone nel team è appassionata di horror,  ed è quindi  impossibile citare tutti i titoli.»

Basaj ha avuto modo di raccontare il suo passato da gamer, soprattutto su Nintendo:

«Ho iniziato con Donkey Kong, che ho giocato sul mio Atari ormai morente, ma successivamente le mie attenzioni si sono trasferite a The Legend Of Zelda: A Link To The Past per poi proseguire con l’intera saga. Il titolo migliore per me è The Legend Of Zelda: The Wind Waker, che considero un imbattibile capolavoro ancora oggi, ma ho un posto speciale nel mio cuore anche per Star Fox e la serie Pikmin

Durante l’intervista si è parlato anche degli obiettivi del team:

«L’obiettivo del team è volere che i nostri giochi siano più che solo puro divertimento.  L’horror è sempre stato un mezzo per tenere sotto controllo le tensioni sociali; affrontare le nostre paure, per gestire la realtà della vita. Vogliamo portare questo aspetto al livello successivo, quindi abbiamo deciso di seguire due regole, quando creiamo  nuovi giochi. Per prima cosa, tutto deve partire da un soggetto preciso, di natura psicologica o filosofica. Deve inoltre non solo alleviare le tensioni delle persone, ma anche far riflettere sui problemi presentati nel gioco e confrontarli con le loro visioni del mondo e delle loro vite. Nel corso del nostro lavoro spesso presentiamo dilemmi, scelte difficili e problemi che non hanno risposte giuste o sbagliate, in questo modo possiamo far sì che le persone inizino a discutere del mondo reale che li circonda.»

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Dead Space gratis su Origin per un tempo limitato

Dead Space per PC Windows è attualmente disponibile gratuitamente tramite il servizio Origin di EA come parte del programma dell’azienda “Offre la ditta“. Il gioco è completo al 100% per un periodo limitato, quindi assicuratevi di prenderlo prima che la promozione scada. Dead Space è stato rilasciato nel 2008, quindi non necessita di un PC di ultima generazione per poter godere al meglio l’esperienza di gioco, ma rimane comunque uno dei migliori titoli horror pubblicati negli ultimi dieci anni.




Until Dawn: Rush of Blood

Until Dawn: Rush of Blood

La realtà virtuale è agli inizi, finora abbiamo visto soltanto superficialmente cosa sia possibile fare: l’ambito gaming è certamente quello che ha offerto le migliori applicazioni, e gli sviluppatori della SuperMassive Games dimostrano egregiamente con Until Dawn: Rush of Blood come sfruttare al meglio alcune delle vere potenzialità di un mondo ancora tutto da scoprire.
Mixando sapientemente un’ottima grafica, un audio 3D eccellente e tempismo perfetto, il developer britannico offre un saggio di come sia possibile generare attimi di intenso terrore, alternate a corse adrenaliniche al cardiopalmo.

Uno sguardo al passato

Se Until Dawn ci aveva affascinato per una trama ricca e coinvolgente, mettendoci di fronte a decisioni che cambiavano il corso della storia, Rush of Blood punta in tutt’altra direzione.
Rush of Blood, spin-off di Until Dawn, deluderà chi si aspetti un titolo con storia approfondita e una certa caratterizzazione dei personaggi, sulla falsariga del precedente, mentre stupirà chi voglia invece approcciare a un titolo capace di sfruttare l’attuale potenziale della tecnologia VR e di mostrare come un sapiente mix di Audio 3D e Realtà Virtuale possano trasmettere sensazioni reali come ansia, senso di velocità, vuoti d’aria e attimi di intenso terrore a sorpresa.

Survival Horror o Sparatutto su Binari ?

Rush of Blood riesce nell’intendo di unire due generi, quello del survival horror, immergendoci in un’ambientazione orrorifica à la Stephen King, e facendoci letteralmente accomodare in una giostra su binari con tanto di pagliacci assassini sulla quale si basa l’impianto shooter del gioco.
Sul nostro carrellino ci apprestiamo a fare un giro sulla “normalissima” giostra, la classica Casa degli Orrori; a guidarci un cordiale giostraio che ci introduce alla visita. Purtroppo fin da subito qualcosa va storto e l’innocua giostrina si tramuta in un inferno di sangue, maiali, lame rotanti, mostri e spiriti pronti a squartarci.
Dalla nostra parte avremo come mezzi di difesa una coppia di pistole/fucili a canne mozze, cariche e pronte a inondare di piombo tutto quello che ci si parerà davanti. Le due armi, controllate separatamente grazie al supporto dei PlayStation Move, rendono l’esperienza ancora più coinvolgente e accattivante. Una volta presa la mano con i controlli e con i movimenti si riusciranno anche a colpire due bersagli contemporaneamente, come un agente segreto esperto. Due torce elettriche direttamente apposte sulle nostre armi contribuiranno a rendere l’ambientazione (fittamente buia, come in ogni horror che si rispetti) ancora più suggestiva, ci troveremo spesso a spostarle in tutte le direzioni per scorgere qualche nemico in agguato nell’intensa oscurità che ci avvolge.
È un’ambientazione atta a trasmettere una costante sensazione di ansia, ci si aspetta costantemente un’aggressione alle spalle improvvisa e, non appena abbassiamo la guardia per rilassarci, ecco lì un jumpscare a farci urlare di terrore e a costringerci istintivamente a scaricare con rabbia tutto il nostro arsenale addosso al nemico (spesso condito da qualche parolaccia), quasi a volerci vendicare dello spavento.
Dal punto di vista visivo, si è di fronte a un impianto grafico ben curata, niente che faccia gridare al miracolo, forse a una PS4 PRO avrebbero potuto chiedere di più in termini di rendering poligonale. Il tutto è condito con qualche colorazione cartoonesca, che rende il tutto ancora più surreale e un po’ da carnival game.
Le animazioni, anche grazie a una grafica poligonale non troppo pesante, risultano estremamente fluide e assolutamente naturali.
L’eccellente audio 3D gioca un ruolo fondamentale nell’esperienza, ed è spesso sfruttato subdolamente per attirare la nostra attenzione verso una parte del ambiente, per poi farci saltare urlando dal divano con un jumpscare temporizzato alla perfezione.
Il coinvolgente doppiaggio in italiano è di qualità elevata, spicca tra tutti il noto doppiatore di Joker, Riccardo Peroni, che presterà la voce al nostro “amico” giostraio.
La trovata della guida su binari, seppur regalandoci sensazioni di velocità e a volte persino vuoti d’aria, riesce a eliminare completamente i possibili problemi legati al “motion sickness”.

The Game

Il gioco si suddivide in 7 episodi di difficoltà crescente: Baita Infestata (che rappresenta una specie di introduzione / tutorial), Discesa Oscura, Hotel Horror, Braccio Folle, Città Fantasma, Miniere Mortali e Inferno Finale.
Possiamo scegliere tra 5 livelli di difficoltà, da Facile a Folle, modalità nella quale i nemici saranno molto più difficili da abbattere e i loro attacchi ci causeranno ferite più gravi, fino ad arrivare a Psicopatico in cui a vantaggio del realismo avremo soltanto una vita.
Il gioco supporta il classico Dual Shock che offre una discreta esperienza, ma il massimo del realismo e del divertimento si ottiene tramite i due PS Move che , permettendoci di controllare separatamente le due armi, ci lasciano liberi di sparare contro un nemico che ci aggredisce mentre ci troviamo girati a guardarci le spalle tramite la torcia dell’altra arma.
Il menù delle opzioni ci permette di calibrare in maniera semplice i controller e di scegliere la sorgente audio che utilizzeremo ( auricolari, TV Piccola, Home Cinema, ecc.), in modo da adattare il suono 3D, che gioca un ruolo fondamentale, al nostro “set-up casalingo“.

Must have in Realtà Virtuale

In definitiva Rush of Blood è un titolo che ogni amante della realtà virtuale deve avere nella propria collezione, da tirar fuori ogni qual volta qualche amico possa mettere in dubbio le emozioni trasmesse dal visore, in questo caso di casa Sony.
A renderlo ancora più appetibile è il prezzo davvero contenuto che, a oggi, si aggira intorno a 20 € (il gioco è stato anche distribuito gratuitamente con il PSPlus).
I cacciatori di Platino, dopo averlo completato la prima volta a livello normale, dovranno giocarlo ancora una volta al livello Psicopatico per ottenere il tanto agognato trofeo.
Nell’ancora non nutritissimo parco dei titoli offerti per chi possieda un headset per la realtà virtuale, il gioco di SuperMassive Games è insomma uno di quelli che non possono assolutamente mancare nella raccolta di tutti i fortunati possessori di PlayStation VR, capace di offrire ore di intenso divertimento a un prezzo più che commisurato.




Alcune anticipazioni su Black Mirror

Una delle news più interessanti della Gamescom riguarda l’annuncio del reboot di Black Mirror, serie punta-e-clicca a tema horror il cui terzo (e finora ultimo) capitolo è stato pubblicato nel 2011. A Colonia il produttore, Martin Kreuch, ha fornito ai colleghi di Gamereactor.eu alcune anticipazioni sul nuovo titolo:

«Il nostro nuovo gioco è un reboot della serie, ed è dunque un universo standalone. Il non aver giocato ai primi titoli che non influenzerà l’esperienza dei giocatori: questa è una nuova storia, con nuovi personaggi, ma conserverà gli ingredienti fondamentali che la serie ha sempre avuto: un’atmosfera scura, un orto gotico, , non tanto splatter, ma più orrore psicologico, come è proprio di questo genere di storie».
Black Mirror
uscirà il 28 novembre 2017 per PC, PS4 4 e Xbox One e sarà distribuito da THQ Nordic.

Di seguito l’intervista a Martin Kreuch:




Il producer di The Evil Within 2 vorrebbe portare il titolo su Switch

The Evil Within 2 sarà disponibile in poche settimane, precisamente il 13 ottobre, per Playstation 4, Xbox One e Pc, e ora il producer Shinji Mikami ha affermato che vorrebbe vedere una versione Switch del gioco.
In un’intervista rilasciata a Gamespot, Mikami ha dichiarato: «Penso che una versione per Switch sia un progetto interessante. Mi piacerebbe provare se ne avessi la possibilità.»
Queste dichiarazioni non portano però a nulla di concreto, significa soltanto che uno dei più importanti membri dello staff vorrebbe realizzare questa versione.
Riguardo il gioco, Mikami ha dichiarato che ci è voluto meno tempo a sviluppare questo capitolo rispetto al primo, anche se ha rassicurato gli utenti affermando che ci vuole meno tempo per sviluppare un sequel che una nuova IP.