Omensight

Quanto sarebbe bello poter viaggiare indietro nel tempo ed evitare la fine del mondo? I ragazzi di Spearhead Games, già creatori di Stories: The Path of Destinies, hanno deciso di regalarci questa fantastica opportunità con Omensight.
Pubblicato il 15 maggio 2018 su PS4 e Steam, Omensight si presenta come un  Action RPG con visuale dall’alto in terza persona e meccaniche da hack ‘n slash.
Il protagonista è un guerriero mistico, che si presenta solo quando la sua terra è in pericolo: l’Araldo, ultima speranza per il pianeta.

In un mondo lacerato da una sanguinosa guerra tra razze (le colonie di roditori, Rodentias e il clan degli Orsi vs le tribù di uccelli, chiamati Pygarians), l’Araldo ha il compito di proteggere la terra di Urralia dalla distruzione causata da un dio oscuro chiamato Voden, un mostro a forma di serpente, l’incarnazione del Vuoto. L’Araldo non dovrà solamente sconfiggere la malvagia divinità, ma il suo scopo principale sarà quello di salvare Vera, la Sacerdotessa senza-dio, che è stata assassinata prima degli avvenimenti raccontati in Omensight, liberando Voden. Per sfuggire all’apocalisse, il guerriero mistico dovrà indagare sulla sua morte, cercando in tutti i modi di far ritornare l’anima della sacerdotessa all’albero della vita.
Per riuscire nell’intento, l’Araldo ha la possibilità di viaggiare nel tempo e di rivivere gli ultimi istanti di vita di Urralia. Durante la sua indagine dovrà apparire d’innanzi a tre diversi personaggi: Ludomir, guerriero alleato dei roditori, Draga,  capo delle forze di Pygarian, e Ratika, comandante delle truppe rodentiane.
Queste tre entità aiuteranno il protagonista a comprende l’accaduto e scoprire i più bui misteri che Urralia cela dentro le sue mura.
La storia di Omensight ha una durata di circa 7/8 ore, ci permetterà di visitare più e più volte uno stesso scenario per scoprire nuovi passaggi segreti, aprire nuove porte o imparare qualcosa in più sulla lore, che è davvero ben studiata. Ma non vi preoccupate, le ambientazioni non risulteranno ripetitive o ridondanti, gli sviluppatori hanno cercato di differenziare ogni stage, anche se la somiglianza tra un posto e l’altro si nota parecchio.

Omensight, in quanto RPG con elementi hack-and-slash, dovrà essere giocato con un controller; mouse e tastiera sono supportati, ma per riuscire a giocare e godersi l’avventura al 100% il pad è una scelta obbligatoria.
Il gameplay non è per niente impegnativo o difficile, anzi, gli scontri sono parecchio semplici all’inizio, molte volte i nemici non ci sfioreranno neanche, ma nel proseguimento dell’avventura gli avversari saranno molto più agguerriti e numerosi, scaglieranno contro l’Araldo e i suoi alleati magie e incantesimi che se non schivati in tempo provocheranno un ingente danno.
Le mosse principali a disposizione del protagonista sono due: un attacco leggero e uno pesante; come in tutti i GDR, alcune delle abilità verranno sbloccate con l’acquisizione di esperienza e quindi con l’aumento del livello, che è strutturato in maniera esaustiva e semplice; una delle abilità più utili e sicuramente la più forte è quella di rallentare il tempo per i nemici circostanti, in modo da poter colpirli ripetutamente senza subire danni. Anche i vari potenziamenti sono acquistabili tramite la valuta in-game, aumentare le statistiche di attacco della spada, dell’elmo o diminuire il tempo di caricamento delle abilità, inoltre si potrà utilizzare anche una combo insieme al nostro compagno.
La principale meccanica è quella investigativa, ma purtroppo non risulta curata al meglio: tutti gli enigmi e i misteri si scopriranno semplicemente completando le giornate insieme ai tre personaggi, nulla di più. La storia è raccontata in maniera lineare, ma risulta abbastanza intuitiva e divertente.

Il comparto grafico è piacevole, non ci sono scenari appariscenti o zeppi di dettagli, i colori utilizzati molto accesi e le texture rendono il mondo di gioco molto cartoonesco e colorato, una decisione ideale per un titolo del genere. Anche la scelta dei modelli dei personaggi è parecchio azzeccata: si utilizzano animali e questo dona al gioco un’aria fiabesca.
Anche il comparto sonoro non eccelle, riesce ad accompagnarci durante tutta l’avventura in maniera sempre sufficiente. Al contrario, il doppiaggio (lingua inglese con sottotitoli in italiano), che riesce a mettere un pizzico di enfasi al tutto, risultando abbastanza gradevole da ascoltare. Leggere i sottotitoli mentre si gioca non è affatto semplice, soprattutto se sono importanti per comprendere bene la storia; in molte occasioni mi sono ritrovato a dovermi fermare qualche secondo per poterli leggere, per evitare di cadere nei burroni o di entrare, involontariamente, in battaglia.
Oltre a questo “piccolo” problema ho riscontrato anche alcuni bug, tra cui uno che mi ha costretto a riavviare la missione, perché il personaggio si era incastrato tra due barili – non chiedetemi come ci sono arrivato –, e alcuni fastidiosi lag durante i caricamenti del tabellone di gioco.
In conclusione, Omensight è un titolo poco più che sufficiente, con una storia, un gameplay e una grafica di buona fattura, ma non eccellente. Si poteva fare di più, il titolo è promettente, il gameplay è ben studiato, anche se abbastanza semplice e facile, la storia è d’effetto e la grafica non è niente male. Per quello che offre, essendo un gioco indie, può valere la pena provarlo, grazie anche a un prezzo accessibile (circa 15€ su Steam).




Overcooked 2

Sono trascorsi esattamente due anni dal lancio su PC del primo capitolo di Overcooked, adrenalinico party-game culinario sviluppato da  Team17 e Ghost Town Games. Oggi, visto l’enorme successo raccolto dal predecessore su tutte le piattaforme, esce OverCooked 2, riproponendo un invariato stile di gioco accompagnato da nuovissimi livelli e con una veste grafica leggermente più curata sotto certi aspetti.

Master Chef

Nel primo Overcooked abbiamo dovuto cimentarci in una folle corsa contro il tempo e in un durissimo allenamento per poter arrivare all’ultimo stage e batterci con il terribile appetito del final boss per salvare il mondo, passando attraverso coloratissimi livelli fuori di testa del Regno delle Cipolle. Sicuramente Overcooked è stato – ed è tutt’ora – uno di quei giochi dell’universo indipendente che ha lasciato a bocca aperta per la sua unicità, per una riuscitissima meccanica di gioco e per le tantissime ore di divertimento che è in grado di regalare. È possibile giocarlo da soli nella modalità campagna o in compagnia di uno o più giocatori, dividendo il joypad o la tastiera metà per uno o utilizzando una periferica per ognuno. In Overcooked 2 conosceremo tanti nuovi e bizzarri chef che si aggiungeranno a quelli già conosciuti nel primo capitolo, con piatti nuovi ed elaboratissimi che metteranno a dura prova le nostre doti culinarie!
Ogni livello nasconde nuove insidie e piatti sempre più elaborati che renderanno difficile la preparazione delle nostre ordinazioni. Lo scopo dei giocatori per ogni livello, sarà quello di completare più piatti possibili in un tempo limite senza troppi errori, in modo da poter guadagnare più stelle possibile – massimo 3 stelle per livello che serviranno per lo sblocco degli stage successivi.
Overcooked 2 è a tutti gli effetti il sequel del primo capitolo, o dovremmo forse dire, la continuazione?
Sì perché a conti fatti, anche i primi livelli di questo nuovo capitolo, potrebbero sembrare un po’ ostici per chi non abbia avuto la fortuna di potersi infarinare con le meccaniche di gioco del primo, quasi come se gli sviluppatori diano per scontato che l’utente debba conoscere il gioco. La complessità di alcuni livelli spesso impedisce di prendere al primo tentativo le agognate 3 stelle, costringendo anche i giocatori che hanno già approcciato al primo capitolo a dover ritentare per sperare in un risultato migliore. Sin dall’inizio vengono richiesti una forte dose di manualità con i comandi base del gioco e un altissimo spirito di squadra, in una eventuale modalità cooperativa, per poter completare i vari stage.

Il Co-Op: la morte sua

Chi abbia giocato al primo Overcooked e ai suoi DLC potrà notare facilmente le doti richieste da questo secondo capitolo. Per il primo, come per il secondo, la modalità “giocatore singolo” a volte potrebbe risultare troppo macchinosa e complessa, tra lo switch dei 2 personaggi e l’organizzazione delle pietanze ci si confonde con molta facilità. In definitiva, la modalità vincente è sicuramente quella cooperativa: completare la campagna in multiplayer, non ha prezzo. Anche per il nuovissimo Overcooked 2, che abbiamo giocato su PC, con joypad per uno e tastiera per l’altro giocatore, la massima espressione risiede nella modalità multi-giocatore. Giocando in compagnia le ore trascorreranno talmente veloci tra urla, spintoni e risate, che non vorrete più staccarvi dalla TV. C’è da dire che è un gioco studiato per l’utilizzo di joypad, ragion per cui la tastiera è altamente sconsigliata, devo ammettere di aver avuto non poche difficoltà nel controllare il mio personaggio.

Cosa puzza di bruciato?

Nonostante io adori questo gioco in tutte le forme, c’è da dire che forse qualcosa non è proprio come dovrebbe essere. Partiamo dalla mappa, che con la sua nuova veste grafica è tanto bella quanto confusionaria, uno zoom troppo vicino impedisce di trovare subito i nuovi livelli sbloccati, che seguono una curiosa numerazione che avanza per multipli (1-2, 1-4, 1-6, 2-3, 2-6). Non è chiaro il motivo di questa scelta considerato che nel primo Overcooked erano numerati normalmente. In secondo luogo, come già detto, il livello di difficoltà si mostra sin da subito eccessivo, diventando ancora più impegnativo avanzando nel gioco, caratteristica questa che potrebbe far desistere chi si affacci per la prima volta alle meccaniche di Overcooked – fuoco sul pavimento che impedisce il movimento, automobili che investono il giocatore e tantissime altre insidie che non fanno ben sperare già dai primissimi livelli.

Tecnicamente

Il comparto tecnico è ineccepibile, il gameplay è rimasto invariato e altrettanto ben congegnato, molto fluido e semplice. Graficamente le migliorie sono visibili nei piccoli dettagli, shader più elaborati e texture più definite, soprattutto nella mappa di selezione dei livelli che vede un nuovo tabellone sviluppato su più livelli, per il resto il gioco non sembra aver subito significativi cambiamenti in questo versante. La colonna sonora cavalcante, chiaramente ereditata dal primo capitolo, è azzeccatissima e accompagna il gioco col giusto ritmo incalzante, rendendolo ancor più adrenalinico di quanto già non sia.

Tirando le somme

In definitiva questo nuovissimo Overcooked 2, a differenza del primo, non è un gioco proprio per tutti. Perché questa scelta? Selezione naturale? Mi rendo conto solo a posteriori che, se non avessi giocato il primo capitolo, con molta probabilità non avrei potuto apprezzare davvero il lavoro svolto da Team17 in questo secondo OverCooked. A ogni modo, se vi piacciono i party-game in locale e un alto livello di sfida che nei suoi picchi massimi potrebbe rasentare la frustrazione, sento di potervene consigliare caldamente l’acquisto, perché credo che, nonostante le sue imperfezioni, al momento la serie Overcooked, per la sua extra-dose di divertimento, detenga il titolo di “Re dei party-game” su ogni piattaforma.

Update After Launch: E luce fù!

Ed è come l’arcobaleno dopo la tempesta che Overcooked dopo la release ufficiale al day one, da bruco si fa farfalla e spicca il volo come prima era stato capace di fare il suo predecessore. La versione inviataci prima del rilascio sul mercato deludeva sotto vari aspetti.
Andando sullo specifico, dopo la data di uscita sono stati inseriti diversi elementi, uno su tutti diverse possibilità di gioco in multiplayer, organizzando partite pubbliche o private; All’inizio del gioco in modalità “storia” è stata aggiunta una clip iniziale che funge da breve premessa agli avvenimenti che spingeranno i nostri mini-chef, a intraprendere quest’avventura.
Il più importante cambiamento lo vediamo sulla mappa, in cui adesso l’avanzamento dei livelli avviene in modalità naturale, seguendo l’ordine numerico 1-1, 1-2, 1-3 e così via. Un’ altra delle mancanze sottolineate nella versione inviataci, è stata fortunatamente colmata e anche qui, come nel primo capitolo di Overcooked, dopo ogni stage completato avremo un percorso da poter seguire con il nostro furgoncino – senza perderci, come capitava spesso nell’anteprima – fino al prossimo livello appena sbloccato.
Insomma, a guardarlo adesso Overcooked 2 è quasi un altro gioco, degno erede di quello che prima di lui conquistò secondo noi il titolo di party game definitivo.
Non è la prima volta che videogame a rilascio sia sostanzialmente diverso rispetto all’anteprima: un altro chiaro segno della necessità Per ogni professionista di settore di rivedere un gioco più volte – al netto Dunque di patch e aggiornamenti – prima di poter emettere un verdetto definitivo.




Auto Age: Standoff

Auto Age: Standoff, sviluppato da Phantom Compass, è un gioco d’azione  e sparatutto nel quale ci ritroveremo nel 2080 in un’America in rovina, dove sono le gare di automobilismo a stabilire “le regole”. Il titolo presenta un’ampia varietà di veicoli che si distinguono fra loro per forza, armatura e velocità, i quali possono essere equipaggiati con vari tipi di armi primarie e secondarie in base alla propria preferenza. All’interno del gioco è presente un tutorial: non è obbligatorio, ma risulta di certo utile, la grande varietà di veicoli non influisce molto sulla loro “giocabilità” e ci vorranno un paio di partite prima di riuscire a trovare una buona combinazione d’armamenti.

Il problema principale di Auto Age, a oggi, è il suo essere basato quasi completamente sul multiplayer: i server sono deserti. Il gioco aveva molte possibilità di essere un buon titolo, vedendo anche i numerosi premi vinti ma, sfortunatamente, l’essere stato abbandonato nel 2017, data di rilascio dell’ultimo aggiornamento, non aiuta molto. Vista la mancanza della sezione online saremo costretti a giocare in versione single player contro l’ IA. Quindi, gli sviluppatori hanno inserito le modalità di gioco basilari per un titolo sparatutto ( deathmatch, conquista la bandiera ecc ecc). L’intelligenza artificiale è di medio livello il che trasforma il tutto in una sfida abbastanza godibile.

Il titolo presenta una grafica cartoon in stile anni ’80, molto carina ma non molto “dettagliata”, con modelli ben fatti.  La colonna sonora è originale, ma tende a stancare dopo poco, mentre i vari effetti sonori risultano appropriati. Tuttavia, la “semplicità” della grafica e le poche modalità di gioco (affiancate da un comparto online deserto), non ci permettono di consigliare a oggi il gioco, il quale “non vale la candela”. Per chi è interessato, Auto Age: Standoff è disponibile su Steam, e ci auguriamo che in futuro possa essere popolato da giocatori che possano valorizzarne le caratteristiche.




Moonlighter

Da giocatori, o più precisamente da avventurieri, siamo stati in una marea di negozi, fra venditori più o meno tirchi per comprare o vendere oggetti. Ma vi siete mai chiesti cosa si prova a stare al posto del venditore? Come fa questi ad avere tanti begli oggettini da vendere? Per la prima volta potremo scoprirlo in Moonlighter, il piccolo miracolo indie della Digital Sun Games pubblicato da 11 Bit che incorpora parti action à la The Legend of Zelda, e dungeon per raccogliere tesori, e parti da business simulator in cui dovremmo vendere, in base alla domanda e al valore, tutto ciò che abbiamo saccheggiato (o parte di esso) e gestire il nostro negozio e il piccolo villaggio dove risiede il nostro Will. Il titolo è disponibile per Playstation 4, Xbox One e PC, e quest’ultima è la versione che prenderemo in considerazione.

Sogno di un commesso viaggiatore

Una notte, vicino al villaggio di Rynoka, appaiono dal nulla delle porte che conducono a dei dungeon, delle cripte in continuo mutamento piene di tesori preziosi; si formano così due squadre di esploratori contrastanti, i mercanti e gli eroi. Di questi non molti fanno ritorno e, con l’aumentare delle vittime, gli abitanti del villaggio decidono di chiuderne tutte le entrate. Senza tesori da vendere, Will, proprietario del negozio Moonlighter, vive giorni molto bui, ma un giorno, armato del suo coraggio e la sua voglia di seguire le orme del suo avventuroso padre Pete, decide di andare di entrare in un dungeon per cambiare la sorte della sua attività ed essere sia un eroe che mercante. Il gioco si alterna in sezioni diurne, nelle quali potremo aprire il negozio al pubblico e guadagnare più soldi possibili, e notturne, che sfrutteremo principalmente per andare a saccheggiare i dungeon. La loro forma richiama immediatamente quella del primo The Legend of Zelda (stanze rettangolari con quattro porte) ma la particolarità di queste cripte, così come accennato nella storia, è che a ogni nostro ingresso troveremo una struttura diversa; i dungeon si comporranno su tre livelli e, più scenderemo nel profondo, più rari saranno i tesori che troveremo (ma anche più resistenti e forti i nemici). Non troveremo mai porte da aprire con delle chiavi: è possibile infatti fiondarci direttamente all’ingresso delle sezioni successive, ma il tempo che dedicheremo all’esplorazione verrà ripagato col ritrovamento di ceste che conterranno dei tesori molto preziosi oppure oggetti che potremo usare per costruire armi, armature, migliorie per quest’ultime o creare delle pozioni. Il nostro inventario è composto da 20 blocchi (disposti a 5×4) ma il disporre i tesori all’interno di esso non è molto facile in quanto tutti gli oggetti che raccoglieremo dalle casse (che saranno sempre quelli che valgono di più o i più utili nel crafting) avranno delle maledizioni o degli incantesimi particolari: alcuni dovranno essere messi obbligatoriamente sul fondo o sulla cima della nostra borsa, altri distruggeranno un oggetto vicino quando usciremo dal dungeon oppure non appena gli troveremo una collocazione nella borsa, altri si romperanno se prenderemo troppi colpi e altri ancora rimarranno oscurati fino alla nostra uscita; a ogni modo, sempre dalle casse, avremo modo di raccogliere dei tesori intrisi da incantesimi che possono distruggere le maledizioni sopracitate (e dunque poter raggruppare un determinato numero dello stesso tesoro in un solo blocco), mandare i nostri ritrovamenti più preziosi direttamente al Moonlighter liberando la nostra borsa oppure addirittura trasformare un tesoro vicino in uno più prezioso. Se proprio non abbiamo più spazio per portare altri tesori possiamo “sacrificare” i tesori allo specchio magico che trasformerà istantaneamente i tesori in denaro; una meccanica semplice e intelligente purtroppo rovinata dall’assenza di un tasto “seleziona tutto”, che si traduce nel dover portare ogni singolo oggetto (o gruppo di oggetti) dallo slot dell’inventario, o cassa, allo slot dello specchio che si trova in basso a sinistra… per ogni singolo tesoro! La gestione dell’inventario, insieme all’azione vera e propria, è decisamente l’elemento più importante e bisogna sin da subito capire il meccanismo delle maledizioni e incantesimi per poter fare uscire dai dungeon più tesori possibili al fine di migliorare il nostro equipaggiamento sin da subito senza perdere troppo tempo; a tal proposito, non ci sono molti tutorial e, per quanto l’inglese utilizzato nel gioco non sia eccessivamente astruso, bisognerà comprendere il prima possibile questi meccanismi per non finire nel logorio di un grinding che potrebbe rivelarsi lungo, talvolta erculeo, in quanto i prezzi del fabbro che crea le armi e la strega che prepara le pozioni sono veramente tarati per un margine d’errore vicino allo zero!
Per questa ragione – dover guadagnare denaro di continuo per ottenere le migliorie necessarie – ci toccherà andare in uno stesso dungeon più volte, con il risultato di un gameplay ripetitivo, ma ciononostante piacevole, in un certo senso molto simile alla meccanica dei 3 giorni proposta in The Legend of Zelda: Majora’s Mask; capiterà spesso che, per esempio, arrivati alla terza sezione non saremo abbastanza forti o non avremo un armatura decente e perciò potremo uscire in qualunque momento offrendo dei soldi al talismano o al catalizzatore (catalyst) che, a differenza del primo, potrà farci tornare nella stessa stanza del dungeon dalla quale siamo usciti (e dunque senza doverlo ripercorrere dalla prima sezione). Gli altri due modi per uscire dai i livelli sono i più classici, ovvero uccidere il boss di fine livello, che ci farà avere accesso ai tesori più preziosi della cripta, oppure l’essere sconfitto in qualunque parte del dungeon, che comporterà la perdita di tutti gli oggetti nella borsa a eccezione dei primi cinque blocchi in alto che rappresentano le nostre tasche (è meglio dunque mettere in queste posizioni gli oggetti più importanti). Per non morire dovremo capire sin da subito che tipo di approccio vogliamo utilizzare: Will potrà portare due delle cinque armi proposte nel gioco, ovvero spada e scudo, lancia, spadone, artigli e arco e frecce, e a ciò consegue che il giocatore potrà scegliere tra stili di gioco diversi. Abbiamo un temperamento audace? Preferiamo sferrare pochi attacchi ma potenti? Contempliamo per lo più attacchi ravvicinati? L’arma di base sarà la spada e lo scudo ma ben presto, come scenderemo nel Golem Dungeon, avremo modo di prendere i primi materiali per poter costruire le restanti armi e capire velocemente quale stile di combattimento ci si addice di più, anche perché Moonlighter non è affatto un gioco facile; fino a quando, procedendo nel gioco e finendo nei dungeon successivi, non avremo un’armatura completa (e possibilmente omogenea visto che possiamo comporre delle armature di stoffa, acciaio o ferro) i nemici ci faranno sempre il cappotto e perciò avere una buona armatura fin da subito è fondamentale. Controllare Will è molto semplice: si muove e attacca esattamente come farebbe Link in titoli come A Link To The Past anche se l’esperienza è rovinata da una sorta di legnosità generale (persino all’interno dei menù); i comandi rispondono bene, ma alternare attacco e difesa risulta un po’ astruso, specialmente se si usano armi diverse dalla spada e lo scudo, che si richiama col tasto B se si usa un controller per Xbox. Con le altre armi, al posto di difenderci con lo scudo, è possibile sferrare degli attacchi speciali (caricati) e dunque mettere al tappeto i nemici in tempi più brevi; l’unica vera maniera per difenderci con le armi diverse dalla spada è il tasto RB che, in perfetto stile Link, farà allontanare Will con una capriola (che funzionerà ugualmente andando contro il nemico o tentando di superare un attacco a proiettile). Nonostante qualche piccola sbavatura, il gameplay puro risulta tuttavia molto piacevole, è molto soddisfacente uccidere i nemici per raccogliere i loro tesori e una volta abituati alla legnosità dei comandi si imparerà a sfruttare al meglio le capacità di Will; tuttavia, il gameplay all’interno dei dungeon non è che il 50% del gioco.

Che vada a lavorare!

Come abbiamo accennato prima, Will è il proprietario del negozio Moonlighter, che di giorno ci toccherà gestire accogliendo i clienti interessati alla nostra mercanzia. Ogni tesoro ha, diciamo, un valore oggettivo ma dovremo venderlo tenendo conto della domanda generale. Quando venderemo un oggetto per la prima volta, e dunque non ne conosciamo il giusto prezzo di vendita, dovremo fare attenzione alla reazione del cliente e, a seconda di questa, potremo ogni volta parametrarci. Ci sono 4 reazioni principali e saranno mostrate sul balloon al di sopra di ogni cliente intento a comprare un oggetto:

  • la prima ci mostra una faccina molto felice con degli occhi “a monetina”; questa reazione ci indica che il cliente ha trovato un oggetto a un prezzo stracciato e dunque, anche se faremo la sua felicità, la prossima volta che rivenderemo lo stesso oggetto ci converrà gonfiare un po’ il prezzo.
  • La seconda è una faccina normalmente felice; beccare questa reazione significa fondamentalmente aver trovato il prezzo perfetto e ci converrà mantenerlo a discapito della domanda.
  • La terza faccia è una faccina triste; solitamente il cliente eviterà di comprare l’oggetto ma è anche possibile che lo prenda ugualmente e lo pagherà per il prezzo stabilito. Tuttavia, se lo farà, farà abbassare la domanda generale e perciò quando vedremo un cliente reagire in questo modo e lascerà l’oggetto sullo scaffale ci converrà cambiare tempestivamente il prezzo prima che si verifichi lo stesso caso con uno che lo comprerà (ovviamente è possibile cambiare il prezzo durante le fasi di vendita).
  • L’ultima faccina è quella oltraggiata; se un cliente reagirà così di fronte a un oggetto significa che il prezzo supera di gran lunga il suo valore effettivo e perciò nessuno comprerà mai l’oggetto.

Tutti i dati che raccoglieremo sui tesori in fase di vendita, ovvero i prezzi correlati alle emozioni che vengono scaturite e il livelli della domanda, saranno segnati sul nostro quaderno del mercante e ciò ci sarà di grande aiuto sia in negozio che nei dungeon qualora ci troveremo nella situazione di dover scartare un oggetto in favore di un altro. A ogni modo, gestire un negozio (così come nella realtà) non consiste solamente nel piazzare degli oggetti sugli scaffali e nell’aspettare che i clienti vengano a comprarli; dobbiamo rendere l’ambiente piacevole e, come si solitamente si dice, avere gli occhi anche dietro la testa. È possibile anche intuire quale tipo di oggetto vogliono i clienti quando entrano (sempre da un balloon che appare sopra la loro testa), così come possiamo capire se qualcuno è intenzionato a rubare; noi non possiamo cacciare i ladri quando entrano ma dobbiamo stare attenti a non perderli di vista in mezzo alla folla e quando allungano le mani e tentano di scappare con la refurtiva dobbiamo fermarli tempestivamente con una capriola. Ai clienti, inoltre, non piace fare shopping in un ambiente scialbo e perciò dobbiamo fare in modo che si trovino a loro agio… così da far in modo che sborsino di più! Avremo modo di abbellire il negozio con oggetti da appoggiare al bancone o sui muri e ognuno di essi avrà un effetto particolare: alcuni faranno sì che i clienti lasciano una percentuale di mancia, altri fanno fanno scorrere il tempo più lentamente, altri diminuiscono i furti o fanno sì che in una giornata entrino più clienti del normale. Tuttavia nulla di tutto ciò è possibile fino a quando non apporteremo la prima modifica al negozio. All’inizio il nostro negozio sarà minuscolo e ci sarà spazio per giusto quattro oggetti per la vendita ma possiamo allargarlo utilizzando la bacheca al centro del villaggio dalla quale è possibile finanziare il proprio negozio per delle migliorie: queste includono l’allargamento del locale, l’aggiunta dei cesti per gli oggetti in offerta, casse più larghe per accumulare gli oggetti invenduti o quelli che ci servono per la creazione delle armi e pozioni, migliori letti, che ci faranno dormire meglio recuperando così della vita oltre il massimo, e migliori registratori di cassa per far sì che i clienti lascino una grossa percentuale di mancia (magari fosse così semplice nella vita vera). Un buon imprenditore però non è tale fino a quando non investe i propri soldi in altre attività; in Moonlighter avremo anche la possibilità di finanziare altre attività e queste ci daranno l’opportunità sia le fasi di vendita che la nostra esperienza nei dungeon. Dalla bacheca potremo finanziare un fabbro, che ovviamente ci costruirà le armi e le armature, un negozio di pozioni, un negozio simil Moonlighter che venderà gli stessi oggetti che troviamo nei dungeon (molto comodo se, per esempio, abbiamo bisogno di un certo materiale per costruire un arma e ci noia andare in un dungeon per un solo oggetto), un negozio per gli oggetti che servono ad abbellire il nostro locale e un banchiere che investirà un po’ del nostro capitale in altre attività e ce lo restituirà dopo sette giorni con gli interessi. L’esperienza commerciale di questo gioco è veramente curata e trasmessa con passione ma, un po’ come accade per le armi e le pozioni, il tutto è sempre collegato ai meccanismi dei tesori dei dungeon perché i prezzi, anche per i finanziamenti, sono tarati per un margine di errore pari a zero.

Venti di cambiamento

In termini di grafica Moonlighter ci delizia con una pixel art veramente deliziosa che si esprime nelle fasi di gameplay e  nelle brevi cutscene che mostrano delle immagini statiche (sempre molto belle). La grafica, in maniera generale, si rifà per lo più a The Legend of Zelda: the Minish Cap e ai giochi Pokémon della generazione del Gameboy Advance e perciò, nonostante la palette da 16/32-bit, personaggi e ambienti risultano molto curati, e dettagliati quanto basta. Non ci sono bug grafici di rilievo, e quelli presenti sono addirittura utili per avere un vantaggio con i nemici; in poche parole, è possibile (specialmente con lo spadone) colpire i nemici dalla parte opposta di un muro e rimanere protetti da (alcuni) attacchi nemici. Il titolo non si pone certamente come un gioco altamente realistico e dunque piccolezze come queste possono essere perdonate senza grossi compromessi e, in questi casi, persino sfruttate. La colonna sonora presentata è veramente deliziosa e tranquillamente accostabile a una di quelle di The Legend of Zelda; nulla al livello di Koji Kondo, ça va sans dire, ma i pezzi sono davvero ben composti, ben caratterizzati e anche ben registrati. Ci sono in totale quattro livelli, il dungeon di pietra, della foresta, del deserto e quello tecnologico, e pertanto i pezzi proposti sono molto vari e riescono a dare la giusta personalità, e persino serietà, ai determinati ambienti; ci sono bei pezzi orchestrali, riprodotti molto fedelmente, sfumature etniche, elettroniche nel dungeon tecnologico… insomma, si riesce a adattare perfettamente a ogni situazione regalando al giocatore un ottima cornice per un’avventura veramente particolare. Ogni dungeon ha sempre il suo tema e man mano si cambia di sezione varierà anche il tema, senza perdere le melodie portanti o il mood generale del pezzo; davvero molto ambizioso per un gioco indie. Unico problema, forse, è che si sarebbe potuto fare di più sul piano delle voci; non si chiedeva certamente un gioco interamente doppiato ma sentire anche un lamento da parte del personaggio principale sarebbe stata una buona implementazione. Abbiamo pertanto un personaggio con, sì, una personalità ben definita ma senza alcuna vera profondità; Will non si dimena quando dà un colpo di spada, non si lamenta quando viene colpito e non urla quando cade. Un po’ deludente come fattore.

Diamo a Will ciò che è di Will

Moonlighter è un gioco veramente curato in ogni dettaglio, è pieno zeppo di obiettivi, personalizzazioni, crafting e tanto altro. Può certamente interessare ai fan di The Legend of Zelda, gli amanti dei dungeon crawler e persino dei gestionali. Il solo problema di questo titolo, che sorprendentemente è al contempo anche il suo punto forte, è l’esubero di contenuti, non tanto perché risulti difficile stare dietro ai tanti obiettivi che il gioco ci pone, ma tanto perché è un po’ come giocare a Jenga! È davvero snervante andare in un dungeon con l’obiettivo di cercare un determinato oggetto che ci servirà per creare o migliorare un arma per poi uscire, ad esempio, con una quantità insufficiente oppure terminare una sessione di vendita e non avere ancora abbastanza soldi per poter finanziare un’attività o comprare qualcosa dal fabbro o dalla strega pur avendo i materiali. Insomma, se si fa qualcosa di sbagliato crolla tutto il resto! È importantissimo inoltre comprendere il funzionamento del sistema di maledizioni e di incantesimi dei tesori per fare più soldi possibili e purtroppo è molto difficile comprenderlo senza un tutorial o una vera guida.
Bisogna appunto essere molto pazienti con questo titolo, sperimentare, stare attenti alle icone e, in fase di vendita, alle reazioni, alle intenzioni dei clienti, e altro. Ci sono molte cose su cui dovremo istruirci, ma in Moonlighter saremo soli contro un sistema un po’ difficile da capire. Ma nella vita non abbiamo un tutorial, e anche per gestire un’attività bisognerà far ricorso a intelligenza e intuito.
È un titolo che o si ama o si odia, Moonlighter. Noi abbiamo più motivo d’amarlo, per la sua marcata personalità, per l’originalità e per meccaniche di gioco che sembrano non aver nulla in comune fra loro ma che in realtà si amalgamano molto bene. È uno Zelda-like molto più efficace e armonico di altri recentemente usciti come World to the West, che semplicemente soffrono di un’identità non troppo marcata. Speriamo solo che Moonlighter possa annoverarsi presto fra i grandi indie come Undertale, Axiom Verge o Limbo. Davvero sorprendente!




Unsighted: un piccolo inno alla diversità

Non è semplice essere uno sviluppatore indipendente, e lo è ancora meno se si è una donna transessuale. Se poi aggiungiamo il vivere in un paese come il Brasile, patria non proprio legata ai videogiochi, diventa tutto ancor più arduo. Questa è in breve la storia di Tiani Pixel, sviluppatrice brasiliana, che insieme a Fernanda Dias e sotto il nome di Studio Pixel Punk è al momento al lavoro sul suo primo gioco: Unsighted, un cyberpunk post-apocalittico – a detta della stessa autrice – fortemente ispirato alle saghe di ZeldaMetroidSouls.
Durante il Brasil’s Independent Games Festival di San Paolo ha avuto modo di mostrare il suo lavoro al pubblico e trattare temi chiaramente a lei vicini, come la rappresentazione dei personaggi LGBTQ nei videogiochi e nella cultura pop in generale (argomento che anche noi abbiamo affrontato qui). Secondo la sua opinione, chiunque inserisca un personaggio del genere all’interno del proprio videogioco dovrebbe anche fare lo sforzo di informarsi il più possibile su tale argomento ed evitare che il risultato non divenga un mero stereotipo, nonostante tutte le buone intenzioni. Bisogna parlare con i diretti interessati, capire cosa fare e sopratutto cosa non fare. L’esempio che è stato preso in causa è quello di Hainly Abrams da Mass Effect: Andromeda: si presenta subito come transessuale e racconta di essere in viaggio per lo spazio solo perché vuole essere accettata. Buone intenzioni, ma non espresse al meglio.

Non solo i trans, ma qualsiasi “tipologia” di persone non dovrebbe essere subito etichettata per evidenziare il loro essere “diverse”, è qualcosa che dovrebbe uscire fuori col tempo e sopratutto non si dovrebbe dare l’impressione che la loro vita giri solo intorno a ciò che sono.
Con Unsighted, Tiani vuole creare un ambiente che possa includere e rappresentare nel modo più naturale possibile, inserendo personaggi considerati fuori dal comune all’interno del mondo dei videogame (a partire dalla protagonista, una donna di colore) e chiunque riesca difficilmente a sentire quella forte connessione a livello personale all’interno di un videogioco, potrà trovarla all’interno del suo titolo.
Questo media sta diventando sempre più importante e determinante anno per anno; in molti dicono che determinati videogiochi sono persino riusciti a segnare e cambiare la loro vita sotto diversi spunti: trovare la forza di andare avanti durante periodi difficili, prendere determinate decisioni, conoscere persone che in futuro diventeranno importanti. È giusto che vengano usati anche per aiutare quelle persone che si sentono diverse e ai margini della società ad accettarsi e sentirsi soddisfatte e fiere di ciò che sono.




Binding of Isaac: il gioco di carte supera le aspettative su Kickstarter

Il gioco di carte creato da Edmund McMillen, basato su The Binding of Isaac ha recentemente completato la sua campagna Kickstarter raccogliendo oltre 2 milioni di dollari.
La raccolta, terminata la scorsa notte, ha fruttato un totale di 2.650.780 milioni di dollari grazie a ben 38.334 sostenitori. L’obiettivo iniziale del progetto era di raggiungere i 50.000 $, target raggiunto in 75 minuti: risultato finale stato maggiore del 5.201% rispetto all’obiettivo iniziale.
Al termine della raccolta, McMillen ha festeggiato tramite Twitter e ha ringraziato vari sostenitori che hanno donato somme ingenti.JTNDYmxvY2txdW90ZSUyMGNsYXNzJTNEJTIydHdpdHRlci10d2VldCUyMiUyMGRhdGEtbGFuZyUzRCUyMml0JTIyJTNFJTNDcCUyMGxhbmclM0QlMjJlbiUyMiUyMGRpciUzRCUyMmx0ciUyMiUzRUhVR0UlMjB0aGFua3MlMjB0byUyMCUzQ2ElMjBocmVmJTNEJTIyaHR0cHMlM0ElMkYlMkZ0d2l0dGVyLmNvbSUyRkphdm9uRnJhemllciUzRnJlZl9zcmMlM0R0d3NyYyUyNTVFdGZ3JTIyJTNFJTQwSmF2b25GcmF6aWVyJTNDJTJGYSUzRSUyMGFuZCUyMCUzQ2ElMjBocmVmJTNEJTIyaHR0cHMlM0ElMkYlMkZ0d2l0dGVyLmNvbSUyRmdhcmltYXNoYXJtYSUzRnJlZl9zcmMlM0R0d3NyYyUyNTVFdGZ3JTIyJTNFJTQwZ2FyaW1hc2hhcm1hJTNDJTJGYSUzRSUyMGZvciUyMGtpbGxpbmclMjB0aGVtc2VsdmVzJTIwdG8lMjBtYWtlJTIwYWxsJTIwdGhpcyUyMGhhcHBlbiUyMGFuZCUyMHRvJTIwJTNDYSUyMGhyZWYlM0QlMjJodHRwcyUzQSUyRiUyRnR3aXR0ZXIuY29tJTJGZm91cnplcm90d28lM0ZyZWZfc3JjJTNEdHdzcmMlMjU1RXRmdyUyMiUzRSU0MGZvdXJ6ZXJvdHdvJTNDJTJGYSUzRSUyMGZvciUyMGNvbm5lY3RpbmclMjB1cyUyMHRvZ2V0aGVyJTIwYW5kJTIwc3VwcG9ydGluZyUyMHRoZSUyMGNhdXNlLiUyMHRoaXMlMjB3b3VsZG50JTIwaGF2ZSUyMGhhcHBlbmVkJTIwd2l0aG91dCUyMHlvdSUyMGd1eXMuJTNDJTJGcCUzRSUyNm1kYXNoJTNCJTIwRWRtdW5kJTIwTWNNaWxsZW4lMjAlMjglNDBlZG11bmRtY21pbGxlbiUyOSUyMCUzQ2ElMjBocmVmJTNEJTIyaHR0cHMlM0ElMkYlMkZ0d2l0dGVyLmNvbSUyRmVkbXVuZG1jbWlsbGVuJTJGc3RhdHVzJTJGMTAyMjc0NTAzMzkxMTQxNDc4NSUzRnJlZl9zcmMlM0R0d3NyYyUyNTVFdGZ3JTIyJTNFMjclMjBsdWdsaW8lMjAyMDE4JTNDJTJGYSUzRSUzQyUyRmJsb2NrcXVvdGUlM0UlMEElM0NzY3JpcHQlMjBhc3luYyUyMHNyYyUzRCUyMmh0dHBzJTNBJTJGJTJGcGxhdGZvcm0udHdpdHRlci5jb20lMkZ3aWRnZXRzLmpzJTIyJTIwY2hhcnNldCUzRCUyMnV0Zi04JTIyJTNFJTNDJTJGc2NyaXB0JTNFJTBB

Ha anche ringraziato i vari artisti che hanno contribuito alla realizzazione delle card art e anche la moglie Danielle per il suo sostegno.

«Un enorme grazie a tutti voi ragazzi là fuori che avete sostenuto e/o partecipato. Non mi sentivo così bene da secoli»

McMillen punta a consegnare The Binding of Isaac: Four Souls ai sostenitori entro novembre 2018, sette anni dopo il lancio del gioco indie originale.




Captain Bone

L’universo dei giochi indie è immenso, con moltissimi titoli sviluppati da piccole software house sparse per il mondo. Una si trova a circa 50 Km da Agrigento, in quella Licata dove lo chef Pino Cuttaia è riuscito a portare due stelle Michelin facendo gridare al miracolo. E un piccolo miracolo – o una sanissima follia – sembra quella di sviluppare videogame in un angolo sperduto di una regione che non si distingue per avanzamento tecnologico e industriale.
Ma il team di sviluppo Orange Team non pare essersi scoraggiato e ha deciso di provarci, sviluppando dal 2016 a oggi quanto basta per produrre la pre-Alpha di Captain Bone che ci consente di completare una singola missione e di visitare un piccolo villaggio.

Captain Bone si presenta come un action-adventure in single player, che ambienta la sua storia nelle isole dei Caraibi durante il XVII secolo, più precisamente nell’isola di Nassau. Il protagonista è un buffo pirata scheletrico rimasto in mutande dopo il suo ultimo sbarco: la prima unica missione di questa versione è quella di recuperare dei vestiti per procedere con la sua avventura.
Dopo esserci ritrovati sul pontile ci avvieremo verso la cittadina. La prima sensazione è di leggero spaesamento: sin dai primi minuti si soffre un po’ la mancanza di indicazioni atte a indirizzare verso il completamento delle quest, che potrebbero essere implementati in futuro con una mappa o qualche espediente che eviti al giocatore di perdersi per ore a girovagare per il borgo in mutande.
Sono presenti pochi NPC con cui poter interagire e allo stato attuale non tutti forniscono indizi grandemente rilevanti. Se dei tre elementi in quest’unica quest da trovare il cappello risulta abbastanza agevole, lo stesso non può dirsi per il giubbotto e per i pantaloni: chi scrive ha dovuto chiedere indicazioni direttamente agli sviluppatori. La risoluzione in effetti non era ardua, ma alcuni asset di gioco (banalmente quello che permette di accedere allo strumento per recuperare i pantaloni) andrebbe forse maggiormente messo in evidenza nell’environment: la cittadina ha una sua ampiezza, è ricca di elementi, e si potrebbe girare molto prima di notare il punto giusto in cui guardare, a scapito della fluidità di gioco. Qualche bug attualmente presente potrebbe inoltre mettere i bastoni fra le ruote o addirittura impedire il completamento della quest: un personaggio molto importante a un certo punto è letteralmente sparito e abbiamo dovuto iniziare nuovamente la partita per dargli modo di riprendere il suo moto e ritrovarlo.
Se le interazioni in termini di indizi sono migliorabili, i dialoghi risultano invece parecchio divertenti e ben studiati, con riferimenti chiaramente lucasiani (se l’ambientazione piratesca non bastasse a richiamare la saga di Monkey Island, i fan più attenti troveranno conferma nella presenza del simbolo ™ al termine di alcune parole) che seguono un algoritmo random: ogni volta che parleremo con loro la conversazione non sarà la stessa, ma con frasi generate in modo casuale, così da  conferire molta varietà ai dialoghi.
Un limite attuale in questa pre-alpha di Captain Bone è l’impossibilità di saltare i dialoghi: bisogna aspettare diversi secondi per potere leggere la battuta successiva, elemento che rischia di appesantire l’esperienza  e che verrà probabilmente corretto permettendo di poter andare avanti premendo un tasto, come ci si aspetta venga implementata nella prossima release l’interfaccia dei dialoghi, al momento abbastanza spoglia e minimale, testo bianco su sfondo nero, che non rende giustizia a dei dialoghi in realtà molto divertenti.

Le animazioni sono fluide e già ben curate, con alcuni movimenti del protagonista da migliorare, come quando, dopo una corsa, ci si ferma e si vede il personaggio scivolare per un po’ prima di fermarsi del tutto.
L’AI, che è sempre un problema non da poco, vede ancora dei margini di miglioramento, con NPC che si lanciano dalle alture o finiscono incastrati tra le varie case, oppure che se colpiti da un gancio del protagonista finiscono per rincorrerlo per tutta la città, non lasciandogli tregua. La vita del capitano non è molta e si perde facilmente, anche solamente saltando da una parte all’altra di una scala o discesa, causando danno. In tal senso, sembra un po’ eccessivo che Captain Bone possa morire a seguito di un semplice salto che ci costringerà a ricominciare da capo.
Come detto, è possibile colpire i personaggi non giocati: ci si aspetta dunque un combat system che in questa fase non è possibile valutare.
Il motore grafico utilizzato da Captain Bone è l’Unreal Engine 4, che riesce a gestire in maniera ottimale luci e ombre di giorno, mentre la luminosità scarseggia dopo il tramonto, presentando qualche piccolo inestetismo nelle lanterne sparse per tutta la città; le luci delle lanterne, molte volte risultano scarse o assenti, lasciando il giocatore quasi completamente al buio.
I modelli tridimensionali dei personaggi hanno una loro personalità: niente spigoli o visi squadrati, ma volti e corpo molto arrotondati che sembrano modellati a mano, creando un effetto simile alla plastilina.
Il comparto sonoro presenta un buon ventaglio di suoni che possono ancora vedere qualche revisione in termini di utilizzo durante la run. La soundtrack, infatti, è molto orecchiabile, in pieno tema piratesco, con un jingle che rimangono facilmente impressi, ma alcuni elementi sono decontestualizzati, come il sound del mare, che si continua a sentire, in maniera abbastanza marcata, anche all’interno della città.
Dei piccoli errori e bug attualmente presenti possono essere risolti senza difficoltà, come delle piccole implementazioni, quali l’uso del tasto Esc per uscire dai vari menù o il caricamento automatico del salvataggio dopo essere andati Game Over, potrebbero essere comunque di peso.
Tirando le somme, possiamo comunque dire con certezza che i ragazzi di Orange Team stiano facendo un bel lavoro con Captain Bone: i difetti riportati sopra sono abbastanza normali in questa fase e c’è di certo ancora non poco da migliorare. Ma la base del gioco c’è tutta, implementando delle buone quest, continuando con dei dialoghi divertenti e dal buon ritmo, e innestando la parte action in maniera equilibrata può venir fuori un prodotto di tutto rispetto.
Restiamo dunque in attesa di sviluppi, e non vediamo l’ora di vedere il resto del gioco.




Sony fermerà la produzione di titoli fisici per PS Vita nel 2019

La fine di PlayStation Vita, nonostante potrebbe attirare nuove cerchie di fan, in particolare per generi come indie e JRPG, sembra essere vicina. Infatti Sony, ha deciso di darle il fatidico colpo di grazia terminando la produzione di titoli fisici entro il 31 marzo 2019. La notizia giunge da una lettera agli sviluppatori, la cui società chiede di presentare i loro ordini di acquisto finali entro il 15 febbraio 2019. Sony continuerà comunque a vendere titoli digitali Vita sul PlayStation Store, ma le costose schede di memoria, proprietarie della console – uno dei motivi per cui la portatile non ha avuto il successo sperato – potrebbero rallentarne il mercato. Numerosi sono i fattori che hanno contribuito alla morte della PS Vita, come l’ascesa dei titoli mobile e la non considerazione della console da parte delle divisioni europee e americane dopo il lancio del 2012. Nel 2015, il presidente di Sony Worldwide StudiosShuhei Yoshida, ha dichiarato che la società non riesce a vedere un futuro per la console.
Oltre a smettere di produrre titoli fisici, Sony, smetterà anche di includere i titoli PS3  PS Vita nell’elenco PlayStation Plus gratuiti per il mese. Quindi i giocatori della portatile, potranno acquistare solo titoli digitali prima del totale abbandono della console.




Spartan

Da pochissimo è arrivato Spartan su Nintendo Switch, un simpatico platformer sviluppato da Sinister Cyclops Game Studios, misconosciuto developer con all’attivo questo solo titolo, uscito anche su Playstation 4 e Xbox One. Spartan si presenta come una sfida old school, un gioco piattaforme non lineare per i più allenati e che attinge, probabilmente, da classici come Mc Kids o Alex Kidd.

Questo è Spartan!

Siamo nell’antica Grecia: scompaiono improvvisamente tutte le armi, le armature e l’oro della leggendaria città-stato e appaiono diversi strani portali in tutta la penisola greca; toccherà dunque al re guerriero Leonida, figura ormai resa popolarissima dal film 300 (tratto a sua volta dall’omonimo fumetto di Frank Miller), andare alla ricerca degli oggetti scomparsi e capire chi sta dietro a questo mistero. L’obiettivo di ogni livello è trovare degli oggetti nascosti (normalmente 5), sparsi per tutta l’area di gioco, che servono per attivare il portale e avanzare nell’overworld; sotto questo punto di vista Spartan tenta di rievocare uno stile di platformer non molto popolare, già visto in giochi retrò come Oscar o Mc Kids (entrambi titoli non entusiasmanti e pieni di difetti), la cui caratteristica principale era la non linearità dei livelli e, appunto, il collezionare degli oggetti per poi uscire dal livello; bisogna dare comunque un po’ di credito a questo nuovo titolo in quanto le aree di gioco non sono mai troppo confusionarie e, anche se non c’è una mappa del livello e bisogna spesso fare backtracking, è abbastanza facile capire dove si è stati e dove no, specialmente grazie ai checkpoint ben disposti e di cui l’ultimo attivato è raggiungibile in ogni momento premendo il tasto “X” nel menù di pausa.
I controlli su Nintendo Switch sono abbastanza semplici: rispettivamente, con “B” e “Y” si salta e si attacca e con i dorsali “ZL” e “ZR” ci si difende e si corre; un set di tasti abbastanza semplici ma purtroppo il tutto è rovinato da una sorta di scivolosità nei movimenti che rovina l’esperienza generale poiché non solo molti dei salti devono essere effettuati con precisione ma spesso ci sono anche tanti ostacoli che ci uccideranno in un solo colpo e che, dunque, ci rispediranno al checkpoint. All’inizio gli attacchi e la difesa di Leonida ci sembreranno sufficientemente buoni ma, procedendo nel gioco, ci accorgeremo che ci sono degli evidenti sbilanciamenti e che ostacoleranno la nostra esperienza. I colpi di spada, come ci aspetteremo, sono corti però i nemici che ci si pongono davanti, all’inizio, sono sempre alla nostra portata e, soprattutto, cadranno con un solo attacco; tuttavia, andando avanti nel gioco, ci si presenteranno sempre nemici sempre più forti, veloci e che ovviamente necessiteranno più di un colpo per cadere giù e qui ci accorgeremo di quanto sia corto il nostro attacco, lento il nostro Leonida (nonostante la chiara differenza quando si preme “ZR“) e inconsistente il nostro scudo. La difesa, così come l’attacco, ci sembrerà funzionare a dovere ma tantissime volte non funziona mai come ci aspetteremo; lo scudo ha due posizioni di difesa (frontale e alta, richiamabile premendo su) ma, per un’esigenza di animazione, quando si richiama la prima posizione (che è quella di default), si attiverà per un millesimo di secondo la seconda posizione; non sembrerebbe un grande difetto ma lo sarà quando, senza capire il perché, lo scudo reagirà diversamente a uno stesso colpo che abbiamo parato in precedenza; in poche parole, se non si capisce questo meccanismo, alcune volte lo scudo vi difenderà, altre no. Non sono i soli difetti, poiché, talvolta, lo scudo potrà risultare inefficace all’occorrenza (e non per i problemi spiegati pocanzi, ma perché, semplicemente, alcuni attacchi saranno “perforanti”) e perderemo inevitabilmente dei punti vita; se affronteremo nemici nell’area di gioco che ci porteranno allo stremo perché la difesa è incostante, che correranno come dei dannati e per i quali saranno necessari almeno 5 colpi per mandarli al tappeto, immaginate com’è combattere contro un boss! In-game non è possibile recuperare energia ma ci è permesso cambiare la difficoltà durante il gioco accedendo così a dei “cuoricini stock” (3 in tutto, come del resto i punti vita) che ci concederanno di recuperare dei punti vita; dunque un metodo per recuperare energia esiste in qualche modo ma ci chiediamo lo stesso perché non far apparire dei cuoricini dai nemici uccisi? Perché una cosa semplice come recuperare energia deve essere un progetto di scienze?
Vi diciamo solamente che dalla seconda sezione del gioco in poi, in media, completavamo un livello in oltre 30 minuti perché sinceramente abbiamo trovato il level design poco curato da come si può evincere dai troppi ostacoli “one hit kill” sparsi un po’ dappertutto quasi senza logica; abbiamo giocato a tanti bei giochi indie, difficili “al punto giusto”, ma questo, nonostante le buone collocazioni dei checkpoint, risulta poco bilanciato. Tutto questo, misto ai tempi di caricamento lunghissimi (di almeno 20 secondi) fra un menù, l’overworld e un livello, assurdi per un gioco 2D come questo, renderanno Spartan un gioco infernale, così difficile e astruso da non essere per niente divertente. Tuttavia, non si può dire che il titolo non sia longevo; almeno i 24 livelli, fra il trial and error e i tempi di caricamento, saranno un’ “insolita” lunga esperienza.

Un’anima debole

Il gioco presenta una colorata grafica 2D, gli elementi sono distinguibili, ben disegnati e le animazioni molto fluide ma il tutto sembra molto scarno e ricorda quasi uno di quei tanti cloni di Super Mario Bros per smartphone; quel che stupisce è che l’intero comparto grafico è stato realizzato con Unreal Engine 4, il motore grafico di Dragon Ball Fighterz, Fortnite, Kholat, Playerunknown’s Battlegrounds, Sea of Thieves e il prossimo Crackdown 3, che qui dà risultati risibili, degni dei browser game in flash giocabili su www.newgrounds.com, popolarissimi nella scorsa decade. Insomma… ci saremmo aspettati qualcosina in più sul piano grafico. anche se per fortuna tutto gira su Switch in maniera stabile e senza bug rilevanti o rallentamenti.
Le musiche riescono a richiamare quell’atmosfera e quelle sonorità tipicamente mediterranee tramite scale e strumenti tipici greci, con giusto una qualche sfumatura moderna, un po’ come accade in giochi “solari” come quelli della saga di Shantae; possiamo almeno dire che la musica lascia almeno una nota positiva in questo gioco un po’ disastrato.

Lasciamo perdere

Il gioco, dai video e dai trailer, sembrava essere interessante, curioso, poteva essere una piccola gemma nascosta in mezzo ai tanti titoli indie dell’E-shop ma purtroppo non si rivela all’altezza della competizione, soprattutto su Nintendo Switch dove ci sono moltissimi platform 2D e 3D indie degni di nota (basti pensare a Celeste). Il gioco sembra promettere bene, non ha una cattiva presentazione – insomma, giocare nei panni di Leonida è fantastico – ma, al di là delle graziose ambientazioni greche e di una non-linearità più o meno ben implementata, ha decisamente ben poco da offrire; se non fosse per i controlli scivolosi, attacco e difesa inconcludenti, lunghissimi tempi di caricamento e un gameplay alla lunga tedioso (e non piacevolmente difficile come sarebbe stato appropriato) dai troppi ostacoli “one hit kill”, potremmo avere un bel titolo. È bene precisare che non è un problema di mera difficoltà: giochi come I Wanna Be the Guy risultano ben più ostici, ma le logiche di trial and error sono ben bilanciate e inserite in un level design di tutto rispetto, cosa che non avviene in questo titolo. Sinister Cyclops Game Studio ha ancora strada da fare come developer,  e questo titolo sarebbe anche meglio collocabile titolo sull’App Store di iOS o sul Play Store di Google, sempre a patto di ribilanciarlo.
Ci dispiace veramente dire, poiché amiamo i giochi indie di questo genere, che l’ago della bilancia penda di più verso gli elementi negativi e perciò vi consigliamo, visto anche il non meritevole prezzo di 11.99€ sul Nintendo E-Shop, semplicemente di provare qualcos’altro. Un’occasione mancata.




Unavowed, una delle avventure grafiche più ambiziose degli ultimi anni

Wadjet Eye Games. Questo è il nome della software house che sta lavorando da anni a un punta e clicca che potrebbe dare una ventata d’aria fresca al genere che, superata la sua epoca d’oro, negli ultimi tempi stenta ad affermarsi anche sulla sua piattaforma nativa, ovvero il PC.
Unavowed, oltre a essere il progetto più grande a cui Wadjet Eye abbia mai lavorato, cerca anche di discostarsi dall’avventura grafica tradizionale, che consiste in una trama già “preconfezionata” e quindi statica, completabile in poche ore. Il gioco di Dave Gilbert (fondatore della compagnia) non ha nulla di tutto ciò.

Si ha innanzitutto la scelta del personaggio principale, che può essere un agente di polizia, un barista o un attore; ognuno con diverse abilità speciali e con una diramazione diversa della storia di base. Il protagonista scelto verrà posseduto da un demone, il cui obbiettivo sembra essere quello di spargere violenza e distruzione per tutta New York. La sua vita da allora verrà completamente stravolta: ricercato dalla polizia, senza casa, nè famiglia, nè amici. C’è un solo modo per liberarsi dell’entità malvagia e tornare a vivere normalmente: unirsi agli unavowed (letteralmente, gli inconfessati), un’antica società atta a combattere le forze del male.
Un’altra peculiarità è quella di poter scegliere un secondo personaggio, a scelta tra quattro, che entrerà a far parte del nostro party. Ognuno di loro ha abilità, debolezze e tipi di dialogo unici, che porteranno a una risoluzione degli enigmi proposti ogni volta diversa, a seconda del compagno scelto; il tutto contornato da ben 125 possibili scenari. Tutto questo porta il giocatore a ricominciare più e più volte, trovando sempre qualcosa di diverso.
Uno degli scopi che Gilbert vuole raggiungere con questo titolo è quello di evitare lo spoiler totale del gioco, anche vedendone gamplay e streaming vari prima dell’acquisto, e al contrario, invogliare a chi ha visto quei video a giocare comunque per scoprire cos’altro c’è da vedere.
Unavowed verrà rilasciato quest’anno su Steam in data da definirsi, e se tutte le premesse date rimarranno invariate, potremmo forse assistere alla nascita di un pioniere di una nuova generazione di punta e clicca.